De Magistris: ‘Quando ero magistrato il CSM mi bloccò per lasciare sul posto i magistrati corrotti. Per lo schifo che ho visto mi sono dimesso dall’ordine giudiziario’

l sindaco di Napoli Luigi De Magistris: ‘mi sono imbattuto nel sistema del CSM. Quando ero magistrato non sono stato fermato dalla ‘ndrangheta ma dal CSM che mi doveva tutelare’

Rif: https://www.la7.it/piazzapulita/video/de-magistris-quando-ero-magistrato-il-csm-mi-bloccò-per-lasciare-sul-posto-i-magistrati-corrotti-per-13-06-2019-274804

Corruzione al Tribunale di Latina, rientrano 400 mila euro spariti: erano in Brasile

Uno degli indagati nella vicenda di corruzione che ha sconvolto il Tribunale di Latina ha restituito 400 mila euro. Si tratta di Davide Ianiri, imprenditore coinvolto nel concordato del Consorzio Costruttori Pontini, che aveva trasferito quella cifra in Brasile. Ianiri non si fidava del giudice Lollo, per questo, ha spiegato agli inquirenti, voleva mettere quella somma al sicuro. Dalle indagini emergerebbe che Ianiri versava importi non dovuti al commercialista Marco Viola per assicurare alla sua impresa l’accesso al concordato preventivo. È da questo concordato e dai sospetti del liquidatore che è nata la denuncia che ha dato il via all’indagine. Il liquidatore infatti si era reso conto che dalla procedura erano spariti proprio 400 mila euro che Ianiri ora ha fatto rientrare dal Brasile.

Intanto il Consiglio dell’Ordine dei Commercialisti di Latina corre ai ripari dopo lo scandalo che ha portato all’arresto di tre professionisti. Nella seduta del 25 marzo il Consiglio ha deciso di attivare il Consiglio di Disciplina per valutare le responsabilità degli iscritti coinvolti. Ma l’Ordine fa di più e propone di dare: “Pubblica evidenza sia degli incarichi di curatore fallimentare e commissario giudiziale che di quelli endo-concorsuali, con riferimento tanto agli anni passati che per quelli futuri. Questo sulla base della convinzione che i principali, nonché preventivi, metodi di contrasto alla corruzione siano la trasparenza e la rotazione degli incarichi”, recita una nota diffusa a seguito della seduta. Il Consiglio dei Commercialisti ha espresso anche la volontà di introdurre un codice etico per evitare sovrapposizioni tra consulenti privati e incarichi con funzione di ausiliario del Giudice.

rif:https://www.latinaquotidiano.it/corruzione-al-tribunale-di-latina-rientrano-400-mila-euro-spariti-erano-in-brasile/

Olimpia, tra le intercettazioni l’ex giudice Lollo: io le sentenze le scrivo in 3 minuti e mezzo

giudice Lollo

elle carte dell’indagine Olimpia spunta anche il nome del giudice Antonio Lollo. L’ormai ex magistrato (che fu arrestato nell’ambito di un’inchesta di corruzione al Tribunale di Latina), è il cognato di Elena Lusena, essendo sposato con la sorella della dirigente comunale, Antonia Lusena.

Dalle intercettazioni il suo è un ruolo più che marginale ma comunque curioso. Lollo entra in scena in due circostanze, quando sequestrano la tribuna dello stadio Francioni e nella vicenda di Via Quarto, e in entrambe lui o la moglie parlano al telefono con Elena Lusena.

Quando viene sequestrata la Tribuna Ospiti del Francioni Elena Lusena è direttamente coinvolta in quanto responsabile degli impianti sportivi e nominata custode dal GIP. Il giudice Lollo si offre di intercedere per lei. Nelle conversazioni telefoniche si evince che Lollo ha già parlato con i magistrati coinvolti, e riferisce che il GIP (Giuseppe Cario) del caso non è intenzionato ad avere rapporti diretti con la Lusena.

“il GIP, lui non ti vuole parlare perché in fase di indagini dice giustamente non è opportuno, io non so la veste, non so niente, è chiaro che è estranea ai fatti, ma io questo non lo posso sapere a priori … faccio il Giudice, se domani mattina la incrimina o commette una cosa come faccio a parlargli ? Giustamente mi dice lui … è una questione che se la deve vedere con il pubblico ministero … qualunque istanza tu abbia da fare … autorizzazione, c**** e lazzi e quello che ti pare a te la fai al pubblico ministero, poi il PM la girerà al GIP … lo capisco il collega, lo capisco il collega, anche io avrei fatto la stessa cosa … certo perché la situazione è fluida, oggi sei custode, domani te indagano … perché crolla qualcosa … “, questo è quello che spiega Lollo alla cognata in una conversazione del 9 settembre 2014. E a proposito del PM Lollo dice a Elena Lusena: “.. poi magari me lo fai sapere … ci posso anche parlà” .

In una successiva conversazione, così Lollo spiega meglio la situazione e parla del collega, il giudice Cario.

“Volevo spiegarti il punto di vista di Cario che io non condivido … purtroppo non è che si può mettere la pistola in testa alle gente, Elena, amica mia, devi pure capirlo questo … il suo punto di vista è il seguente … riteneva l’inopportunità di sentirti ma non per la persona che sei, il nome o quello che fai, sia ben chiaro, perché la presentazione l’avevo fatto io quindi, è ovvio che non c’era nessuna riserva metnale sula tua competenza e onorabilità, ma per il fatto che comunque la scelta da un punto di vista sostanziale della tua persona, era stata fatta dal pubblico ministero sebbene la nomina formale dipendensse da lui, ma la scelta sostanziale l’aveva fatta il pubblico ministero, dice io non voglio intromettermi nelle relazioni che ci sono tra PM e custode nella gestione di una procedura come questa perché … non succede, ma un domani sto pubblico ministero che è un perfetto idiota, secondo me, cambia idea, la indaga, casca una transenna, na cosa … non perché debba avvenire questo, sia chiaro Elena eh … non è detto che questo deve avvenire, e questo non è il mio punto di vista, è il suo punto di vista, quindi relata refero … non è mia la paternità di questio giudizio, di questo pensiero, non voglio trovarmi in difficoltà con il pubblico miniseteor e con gli organi di polizia giudiziaria per aver paralto e convenuto con il custode una certa linea che poi debbo disattendere per un motivo che non dipende né da me né dal pubblico ministero né dal custode … fatto te che te devo dì… fà come te pare … cioè, è chiaro che questa è gente che c’ha paura pure dell’ombra del suo naso infatti Cario pe scrive na sentenza ci mette tre mesi e mezzo, io ci metto tre minuti e mezzo, lui ci mette tre mesi e mezzo … che cosa si va a dire ad una persona così? Purtroppo nulla amica mia… eh cara cognata”.

Insomma, è palese l’intercessione di Lollo e anche il parere dell’ex giudice nei confronti dei colleghi.

Il nome di Lollo spunta pure nel caso di Via Quarto, in particolare quando emerge che il costruttore Riccardo avrebbe ceduto al Comune un terreno che era già di proprietà pubblica per effetto di un esproprio conseguito nel 1980. Lollo il 18 gennaio 2015 telefona alla cognata Elena Lusena per sapere chi sono i notai coinvolti nella vicenda. Nel giro di pochi giorni Elena Lusena provvederà a fornire alla sorella Antonia, moglie del giudice, il nome dei tre notai. Appreso che i tre notai che hanno siglato gli atti in tre momenti diversi sono Corteggiani, Becchetti e Celeste, singolare il commento di Antonia Lusena: “So sempre loro Elenì”.

Non è ben chiaro dalle carte il motivo di tanto interesse sui nomi dei notai coinvolti nella vicenda di Via Quarto. Singolare invece come l’Indagine Olimpia sia talmente trasversale da arrivare perfino all’ex giudice Antonio Lollo, che sarà arrestato nel marzo 2015 per aver messo in piedi un sistema di corruzione che puntava a pilotare i fallimenti gestiti dal magistrato.

rif:https://www.latinaquotidiano.it/olimpia-tra-le-intercettazioni-lex-giudice-lollo/

l giudice Lollo intercettato: «Adesso devo ricicla’ sti soldi…»

ROMA – Gli affari del giudice Antonio Lollo – mazzette grazie ai fallimenti pilotati al Tribunale di Latina – andavano meglio delle migliori aspettative. E il magistrato, in pubblico sempre misurato e riservato, in privato si lasciava andare a un linguaggio meno compito: «Porca t…! Qua abbiamo mosso un milione di euro tra un c…. ed un altro». 

«Me lo merito un Rolex?»
Antonio Lollo
Antonio Lollo

Gli incassi della banda messa in piedi con curatori, periti e consulenti erano talmente oltre le previsioni da diventare un problema: «Dove c… li metto sti soldi? Se avessi potuto mi ero già comprato una casa, due. Non lo posso fare, a chi c… le intesto…in qualche maniera sti soldi li devo ricicla’, come c… faccio sennò?». Alla fine, il magistrato si lancia sugli orologi: «Me lo merito un Rolex? Io ho scelto un Daytona», si sfoga con un complice. 

Le fotografie

Nessuno scrupolo, anzi: «A me me frega solo dei soldi… Non mi sento affatto sporco. E mia moglie è dalla parte mia!». La signora merita quindi un premio: «Gli volevo fare una sorta di tetris (il giudice confonde forse il videogioco con una parure, ndr), con gli smeraldi, gli orecchini e un anello.. se c’hai rubini, preferisco lo smeraldo…, tutti smeraldi, un bel bracciale». Ma i gioielli avranno per il giudice Lollo un costo maggiore di quello nominale. Dopo le intercettazioni, viene fotografato dalla Squadra mobile di Latina in una gioielleria di via Cavour a Roma, quindi pedinato e arrestato due giorni fa mentre – vistosi scoperto – si preparava a portarli all’estero con i contanti. In manette anche la moglie, Antonia Lusena, il commercialista Marco Viola, suo principale complice, e altre cinque persone, tra cui la cancelliera Rita Sacchetti. 

La strategia della banda

Funzionava così: Lollo e Viola, quale commissario giudiziale, individuano le procedure concorsuali con in ballo le cifre più sostanziose e le portavano a Latina suggerendo cambi di sede legale o finzioni utili a rendere competente il tribunale pontino e in particolare la sezione presieduta da Lollo. Il giudice incaricava quindi Viola o suoi colleghi come curatori, liquidatori, periti, in alcuni casi costringendoli dietro minaccia di ritorsioni ad accettare la procedura che Lollo illustrava anche con riunioni convocate a casa sua: liquidazioni accelerate e aste pilotate in cambio di parcelle da centinaia di migliaia di euro. Il 15% spettava al giudice. In carcere anche il brigadiere della Finanza, Roberto Menduti, che spiava dal sistema informatico le indagini della polizia e della procura di Latina, partite tre mesi fa e che ora vanno a ritroso, coinvolgendo altri giudici. All’orizzonte l’associazione a delinquere. 
«I miei amici – rivendicava Lollo – mangiano anche loro alla tavola… Sono il leader, spalle larghe e palle sotto, devono fare come dico io». 

Rif: https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_22/magistrato-fa-boss-adesso-devo-ricicla-sti-soldi-7cf521a8-d062-11e4-a378-5a688298cb88.shtml?refresh_ce-cp

SISTEMA LOLLO: NEMMENO CON LA LEGGE SPAZZACORROTTI CI SARÀ IL CARCERE (per l’ex-giudice)

Era marzo del 2015 quando, a Latina, come titolarono tutti gli organi di stampa locali, ci fu un vero e proprio terremoto. Che non incideva sulla crosta terreste, ma decisamente sulla credibilità della giustizia e, in particolare, del Tribunale pontino.
Un “consolidato sistema corruttivo”, spiegò la Questura di Latina, che fece scattare l’operazione di polizia e conseguenti arresti (otto) nell’ambito di un’indagine coordinata dalle Procure di Latina e Perugia, poiché, quest’ultima, è competente per i reati afferenti ai magistrati di Latina. Il magistrato coinvolto, come noto, era Antonio Lollo, divenuto ormai, e immediatamente già da allora, il simbolo di un potere giudiziario malato.

Gianluca Tuma
Gianluca Tuma

Lo sdegno dei cittadini fu unanime, persino Gianluca Tuma, un pezzo grosso del mondo di sotto pontino, dichiara in un’intercettazione finita nell’indagine Don’t Touch (2015), in cui è stato condannato nel relativo processo per intestazione fittizia di benila sua indignazione per uno dei protagonisti dell’affaire Lollo, il commercialista Gatto il quale avrebbe dato cattive referenze sul suo conto a Ciavolella, il promoter infedele di Latina accusato da molti risparmiatori di aver sottratto somme ingenti di danaro che doveva essere invece investito, con cui il Tuma dice di aver costituito in passato una società.
Ebbene Gianluca Tuma, dopo che lo scandalo Lollo era finito su tutti i giornali (Don’t Touch, l’indagine che invece ha colpito lui è di pochi mesi dopo), dice che di Gatto non se lo sarebbe proprio immaginato ma che, in fondo, lo vedeva un “tipo strano“.
Al di là di questo giudizio che lascia il tempo che trova, sopratutto per la fonte di chi lo pronuncia, nel Lollogate di cose “strane” ne sono accadute fin troppe e, purtroppo, ne potrebbe accadere una che di strano e, sopratutto insopportabilmente ingiusto, ha tutti i crismi.
Ma andiamo con ordine.

IN BREVE LA STORIA DEL LOLLOGATE

Tra le le persone arrestate, quattro finirono in carcere e quattro ai domiciliari. Si trattava, per l’appunto, del giudice della sezione fallimentare del Tribunale, Antonio Lollo, dei commercialisti Marco Viola, Vittorio Genco e Massimo Gatto (su cui dopo torneremo). Ai domiciliari la moglie del magistrato Antonia Lusena, e sua madre, nonché cognata del giudice Lollo, Angela Sciarretta, già vice questore in servizio come dirigente nella Questura di Latina. Colpiti con i domiciliari furono anche un imprenditore, Luca Granato e, assestando altri due colpi all’autorevolezza delle Istituzioni, un sottufficiale della Guardia di Finanza in servizio in Procura, Roberto Menduti (indagato anche l’altro finanziere Franco Pellecchia, poi assolto), uno dei tanti esempi di infiltrazioni che agevolano la criminalità a Latina e pronvincia, e una cancelliera del Tribunale, Rita Sacchetti.

I reati contestati furono molti: dalla corruzione in atti giudiziari, alla concussione, all’induzione indebita a dare o promettere denaro od altra utilità, alla turbativa d’asta, al falso e alla rivelazione di segreto nonché all’accesso abusivo a sistema informatico e telematico aggravato dalla circostanza di rivestire la qualità di pubblico ufficiale. Inoltre, furono applicati ingenti sequestri relativi ai profitti di reato, come denaro cash e oggetti preziosi per un valore di oltre il milione di euro.

Tanti i professionisti citati, sia di Latina che della provincia, tra commercialisti, architetti, avvocati, poiché destinatari degli incarichi che il giudice distribuiva; tante le aziende penalizzate da un sistema dei fallimenti malato poiché pilotato: Cedis Izzi, Desca, Fratelli Olivieri, Eredi Mandara, Villa Gianna, Cantieri Navali Rizzardi Holding srl, Evotape Packaging srl, Casale Immobiliare, Costruzioni Paoloni, Electronics Italia, Mirasole, Copredil, Desca, Poseidon, Gaeta Itticoltura, Select Pharma, Frigomarket Pacifico ecc.

Le indagini coordinate dal Procuratore Aggiunto Antonella Duchini, della Procura di Perugia, e dall’allora Procuratore Aggiunto Nunzia D’Elia, della Procura di Latina, iniziarono in ragione di una denuncia presentata presso la Procura della Repubblica di Latina, in cui si ventilavano notizie di reato inerenti a una bancarotta collegata a un procedimento di concordato preventivo.

Tommaso Niglio
Tommaso Niglio

Gli accertamenti della Squadra Mobile dell’allora ex vicequestore, il rimpianto Tommaso Niglio, fecero emergere quel “consolidato sistema corruttivo, grazie al quale i consulenti nominati dal giudice (ndr: Lollo) nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest’ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso“.
Lollo, in soldoni (un’espressione che in questo caso non è vagamente metaforica), concedeva incarichi ai consulenti liquidando parcelle più alte e facendosi restituire, a seconda dei casi, una cospicua percentuale. 

Non meno gravi il sistema di illeciti che fu predisposto per influenzare lo svolgimento delle aste disposte dal Tribunale di Latina “per la vendita di beni oggetto di liquidazione nelle procedure concorsuali” e la manomissione del sistema informatico della Procura per eludere le indagini avendo scoperto, la Squadra Mobile di Latina che conduceva materialmente le indagini, le “reiterate attività di accesso abusivo al sistema informatico del Registro Generale della Procura della Repubblica di Latina, al fine di consentire ad alcuni soggetti sottoposti ad indagine di poter evitare le attività investigative a loro carico, attraverso la conoscenza di dati coperti da segreto istruttorio“. Un problema, quello di alcune opacità all’interno delle Istituzioni (in particolare della Procura, del Tribunale e delle Forze dell’Ordine) o malgrado esse, che Latina Tu ha già evidenziato per altri casi, sicuramente affini, e comunque gravi, come quelli raccontati in Latina, le verità nascoste e in Bastarda Pontina parte III.

Antonio Lollo
Antonio Lollo (foto da Il Messaggero)

In 4 anni, da quando fu resa pubblica la notizia dell’indagine e degli arresti, è successo di tutto e di più: retroscena grotteschi e servili (regalie a Lollo trattato dalla sua schiera come un Don Rodrigo de noantri), colpi di scena pindarici (uno degli indagati, l’imprenditore Davide Ianiri, coinvolto nel concordato del Consorzio Costruttori Pontini, restituì la somma di 400 mila euro recuperandola dal Brasile dove l’aveva trasferita), rese incondizionate (Lollo collaborò immediatamente rivelando le dinamiche e ulteriori nomi, alcuni dei quali omissati dagli inquirenti), vasi di Pandora non ancora del tutto scoperchiati, altri filoni di indagini (ad esempio quello che ha coinvolto di nuovo l’architetto Fausto Filigenzi per aver retrocesso a Lollo alcune somme nell’ambito di incarichi ricevuti come stimatore e Ctu, in dieci procedure differenti tra cui i fallimenti del gruppo Cedis Izzi e del caseificio Eredi Mandara) e, sopratutto, il patteggiamento (febbraio 2018) del maggiore imputato Antonio Lollo che ha limitato i danni, evitando il carcere (se si escludono i giorni di custodia cautelare), con una condanna a 3 anni e 6 mesi per il reato più odioso in capo a un appartenente alla magistratura (da cui prontamente e strategicamente Lollo si dimise a scandalo rivelato): la corruzione in atti giudiziari.

Circa un mese fa, a febbraio del 2019, è andata in scena al Tribunale di Perugia l’ultima (per ora) puntata del processo sui fallimenti pilotati. Il giudice del Tribunale di Perugia, Piercarlo Frabotta, ha condannato, per corruzione e per alcuni dei reati contestati, Fausto Filigenzi a 2 e 6 mesi di reclusione, con relativa interdizione dai pubblici uffici e confisca di quasi 175mila euro; Luigi Fioretti a 2 anni di reclusione (pena sospesa), con interdizione dai pubblici uffici e la confisca di 25mila euro; il finanziere Roberto Menduti a 1 anno e 2 mesi (pena sospesa).

Elvio Di Cesare, segretario nazionale dell’Associazione Antimafia Caponnetto

Assolti altri indagati come il commercialista Andrea Lauri, l’avvocato Vincenzo Manciocchi e, come detto, l’altro finanziere coinvolto Franco Pellecchia. Ai patteggiamenti, sono stati condannati i commercialisti Marco Viola, Massimo Gatto e Vittorio Genco e, poi, Antonia Lusena e Angela Sciarretta. 3 anni e 3 mesi per Viola3 anni e 8 mesi per Gatto3 anni per Genco, 1 anno e 6 mesi per Lusena e 1 anno e 4 mesi per Sciarretta. Fuori dagli esiti del Tribunale di Perugia, poiché hanno scelto di affrontare il processo con rito ordinario al Tribunale di Latina (si ipotizza abbiano commesso reati non in concorso con Lollo e quindi la competenza non è più di Perugia), i commercialisti Raffaele Ranucci e Marco Rini, l’imprenditore Gianluca Abbenda e la cancelliera del Tribunale di Latina, Rita Sacchetti. Accolte dal Tribunale perugino le domande di risarcimento della Fallimento Casale immobiliare e dell’Associazione Caponnetto di Elvio Di Cesare per circa 20mila euro.

TANTO RUMORE PER NULLA: NESSUNO ANDRÀ IN CARCERE PER SCONTARE LA PENA

Come riportato dai giornali locali, per alcuni imputati del processo di Perugia, le richieste di patteggiamento che hanno superato i tre anni dovrebbero portare i commercialisti Marco Viola, Massimo Gatto e Vittorio Genco in carcere, per via della nuova Legge Anticorruzione pubblicata come la numero 13 in Gazzetta Ufficiale del 16 gennaio 2019 e intitolata “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici“, al secolo il decreto Spazzacorrotti. 

Secondo la Spazzacorrotti non è più possibile l’assegnazione del lavoro all’esterno oppure ricevere permessi premio o misure alternative per chi ha subito una condanna per reati contro la pubblica amministrazione. Ossia il caso dei commercialisti Gatto, Viola e Genco che, nonostante abbiano impugnato la sentenza relativa alle pene accessorie, dovrebbero finire in carcere avendo patteggiato a febbraio del 2019 dopo l’entrata in vigore del decreto, a differenza di Antonio Lollo che invece ha scampato il pericolo avendo patteggiato nel febbraio 2018, prima dell’introduzione del nuovo regime legislativo. 

Ma è nei dettagli che il diavolo nasconde la sua coda. Infatti, la “legge Spazzacorrotti” voluta dal ministro della Giustizia Bonafede pare caratterizzarsi di quella che il giornalista del Corriere della Sera, Luigi Ferrarella, definisce “un’abborracciata tecnica legislativa“, non avendo previsto una disposizione transitoria per la nuova norma che “destina obbligatoriamente al carcere i condannati definitivi per reati contro la pubblica amministrazione dal 31 gennaionon permettendo più a loro in stato di libertà di chiedere ai Tribunali di Sorveglianza di scontare la propria pena in una misura alternativa al carcere“. Per l’appunto proprio come i commercialisti pontini Genco, Viola e Gatto.

Roberto Formigoni
Roberto Formigoni, ex Governatore della Regione Lombardia per quattro consiliature consecutive

Sin qui nulla di nuovo. Della summenzionata mancanza di una disposizione transitoria se ne sta discutendo da qualche settimana. Ma c’è una novità.
Proprio la scorsa settimana è arrivato il primo caso che certifica concretamente i dubbi sulla disposizione transitoria. A Como, una giudice delle indagini preliminari, dr.ssa Luisa Lo Gallo, ha ritenuto la norma che punisce i condannati per reati contro la Pubblica Amministrazione non applicabile retroattivamente ai cosiddetti colletti bianchiche dovessero iniziare a scontare la pena per reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge peggiorativa (come ad esempio è toccato all’ex presidente della Regione Lombardia, Formigoni, dopo i 5 anni e mezzo definitivi per corruzione). In sede di incidente di esecuzione la gip Lo Gallo, accogliendo la lettura del professor Vittorio Manes e dell’avvocato Paolo Camporini, ha pertanto sospeso l’ordine di esecuzione e ordinato al pm Daniela Moroni di scarcerare tal Alberto Pascali, un avvocato condannato a 4 anni in via definitiva per peculato il 13 febbraio 2019, entrato giovedì in carcere a Bollate (Milano), e che ora avrà 30 giorni per provare (da libero) a chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali.

Tribunale di Latina

Come riporta Luigi Ferrarella: “alle prese con la questione se le norme dell’ordinamento penitenziario, quando cambiano pesantemente le carte in tavola, abbiano natura processuale (e quindi si applichino nel momento in cui entrano in vigore) o sostanziale (e dunque non siano retroattive se sono più sfavorevoli), la giudice(ndr: Lo Gallo) non si nasconde che negli anni scorsi la giurisprudenza maggioritaria ha sposato la tesi processualeMa questa è una truffa delle etichette. Perché quelle che con interpretazione «ancorata a un approccio formalistico» vengono «considerate norme meramente processuali» (in quanto attinenti alla modalità di esecuzione della pena e non alla sua entità o alla cognizione del reato), «in realtà sono norme che incidono sostanzialmente sulla natura afflittiva della pena» e «in modo significativo sulla libertà personale» del soggetto. Ambito nel quale la garanzia di non retroattività, indica la giudice richiamando una «efficace espressione» della Consulta nel 2010, «impone di non sorprendere la persona con una sanzione non prevedibile al momento della commissione del fatto.

SISTEMA LOLLO: NEMMENO CON LA LEGGE SPAZZACORROTTI CI SARÀ IL CARCEREUn provvedimento che appare tombale per chi avrebbe voluto ottenere giustizia e che, con tutta probabilità, servirà anche ai condannati del caso Lollo per evitare il carcere. Per carità sono le leggi e i diritti costituzionali a dover essere garantiti. A tutti. Eppure la vicenda del Lollogate è stata dirompente, per la gravità del coinvolgimento di un giudice, per la messa in mora da parte dei cittadini nei confronti della credibilità di uno dei tre poteri dello Stato, per la sensazione di avere a che fare con intere classi di professionisti (commercialisti, avvocati, architetti, imprenditori) squalificati e attenti solo al lucro. E rischiano di essere ancor più dirompenti gli esiti della stessa vicenda: la sensazione forte di aver sporcato indelebilmente con una macchia la tenuta della giustizia che, se così dovesse essere, è stata negata a una città e una provincia intere.
Solo sensazioni si dirà, come più che una sensazione che nelle sezioni fallimentari del centro sud il fenotipo Lollo non è una monade infettata, una mela marcia, piuttosto una regola.
Nessuna sensazione invece, piuttosto un’amara verità, vi sarebbe se si concretizzasse un tale vulnus di giustizia: nessuno dei cavalieri dell’apocalisse Lollo condannati sconterà un solo giorno di galera per la pena che hanno loro comminato.
E questa sì che sarebbe difficile da spiegare a un/a giovane adolescente che vuole fare il magistrato.

Rif: http://www.latinatoday.it/cronaca/latina-richieste-condanna-processo-corruzione-tribunale-giudice-lollo.html

Tangenti in tribunale, ex-Giudice Antonio Lollo patteggia a 3 anni e 6 mesi

Ha patteggiano la condanna a 3 anni e 6 mesi l’ex giudice del tribunale di Latina, Antonio Lollo, arrestato nell’ambito di una vasta indagine sulle mazzette per ottenere incarichi alla sezione fallimentare e pilotare i fallimenti.

Il processo si è svolto a Perugia, dove è stato spostato per competenza visto che i fatti riguardano magistrati di Latina. Il giudice per l’udienza preliminare – secondo quanto scrive Latina Oggi – ha accolto la richiesta di patteggiamento avanzata dalla difesa per il reato di corruzione in atti giudiziari.

Lollo, che si è dimesso dalla magistratura dopo l’arresto, esce così dal processo e, grazie alpatteggiamento, incassa una pena tutto sommato mite, considerando che per il reato di corruzione in atti giudiziari il codice penale prevede una pena minima di 6 anni e massima di 12.

Rif:https://www.latina24ore.it/latina/143713/tangenti-tribunale-lollo-condanna/

Fallimenti pilotati in tribunale, richieste di condanna per la cricca del giudice Lollo „Fallimenti pilotati in tribunale, richieste di condanna per la cricca del giudice Lollo“

Fallimenti pilotati in tribunale, richieste di condanna per la cricca del giudice Lollo
„L’udienza celebrata ieri in tribunale a Perugia. Il pm fa le sue richieste per sei imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Si torna in aula a novembre“

Fallimenti pilotati in tribunale, richieste di condanna per la cricca del giudice Lollo

Arrivano le richieste di condanna per gli imputati del processo legato all‘inchiesta per la corruzione nella sezione fallimentare del tribunale di Latina, in cui era coinvolto anche il giudice Lollo che nei mesi scorsi ha già patteggiato la pena a 3 anni e mezzo. Ieri, davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Perugia Piercarlo Frabotta, sono comparsi sei degli imputati che hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato, un rito processuale che consente lo riduzione di un terzo della pena. 

Per Fauso Filigenzi, architetto che secondo gli investigatori si impegnava a cedere a Lollo il 50% della liquidazione per gli incarichi che riceveva come ctu, il pm ha chiesto la condanna a quattro anni di reclusione. Per l’avvocato Luigi Fioretti due anni e quattro mesi mentre per il commercialista Andrea Lauri due anni di reclusione con sospensione condizionale della pena. Richieste di condanna anche per i due finanzieri coinvolti: il pm ha chiesto due anni e due mesi per Roberto Menduti e dieci mesi per Franco Pellecchia. E’ arrivata invece una richiesta di assolzuione per Vincenzo Manciocchi.

Il pm ha inoltre formalizzato la richiesta di rinvio a giudizio per gli imputati che hanno scelto di procedere con rito ordinario. Già in calendario le prossime udienze, fissate il 9, il 23 e il 30 novembre prossimi.“

rif:http://www.latinatoday.it/cronaca/latina-richieste-condanna-processo-corruzione-tribunale-giudice-lollo.html

Malagiustizia: l’inchiesta di PresaDiretta sui Tribunali Italiani

Malagiustizia: l'inchiesta di PresaDiretta sui Tribunali Italiani

Su Rai Tre l’appuntamento con PresaDiretta ha affrontato il tema della malagiustizia italiana e degli effetti collaterali.

La malagiustizia italiana è stato un importante argomento trattato durante la puntata di stasera a PresaDiretta.

L’inchiesta ha mostrato il degrado dei tribunali italiani nonostante ci siano i fondi e le capacità per risanare la situazione.

Malagiustizia Italiana: quando la legge non funziona

La puntata di stasera a PresaDiretta ha messo in luce la situazione in cui versano i tribunali del nostro paese. A dispetto di quanto si possa pensare, non vivono in condizioni rosee e di conseguenza ne risente tutto il sistema giudiziario.

Le telecamere della nota trasmissione hanno mostrato i tribunali di: Venezia, Palermo, Latina, Catania, Tempio Pausania, Avellino, Napoli.

Ma la situazione era sempre la stessa. Infatti l’inchiesta «Palazzi di ingiustizia» ha fatto vedere edifici fatiscenti, impraticabili, con personale a corto. Il risultato è che le condanne cadono e nessuno arriva mai a presentarsi di fronte la giustizia. Insomma, tutto il sistema gira a vuoto.

Al tribunale di Palermo ci sono 13 giudici per le indagini preliminari a fronte di 28. Mentre a Catania le udienze vengono rinviate per i motivi più vari, come il troppo caldo nelle aule di udienza. Sono strutture che pagano 800 mila euro all’anno di affitto ai privati per edifici inagibili.

A Napoli, il presidente del tribunale Garzo, dice:

I soldi ci sono. La gara di appalto è stata vinta. Ma i lavori non sono iniziati.

Per l’occasione è stato intervistato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che cerca di rassicurare il conduttore:

La situazione delle infrastrutture dei tribunali è grave. I soldi ci sono: 80,5 milioni più 28,5 milioni di euro per intervenire […] Ci sono 360 magistrati provenienti da concorsi che andranno a lavorare nei tribunali più 320 da concorsi pendenti. Questo significa che ci sarà una saturazione.

Inoltre assicura l’intenzione di voler aumentare di 600 posti le posizioni per la magistratura e che il ministero sta valutando la strategia più consona da attuare per migliorare la disastrosa situazione della giustizia italiana.

Di seguito il contenuto redatto prima della trasmissione e relativo alle anticipazioni

Si preannuncia estremamente avvincente la puntata di stasera di PresaDiretta che verterà sulla malagiustizia in Italia.

Dalle ore 21,20 il conduttore Riccardo Iacona si destreggerà in studio su tematiche interessanti commentandole insieme a ospiti di eccezione.

Malagiustizia: le anticipazioni

In onda il lunedì in prima serata sul terzo canale, PresaDiretta è un programma che si prefigge come obiettivo quello di indagare nel quotidiano del nostro Paese insieme alla conduzione di Riccardo Iacona.

Stavolta il conduttore cercherà di far luce sulla giustizia italiana che troppo spesso subisce dei rallentamenti con fascicoli pendenti, personale assente ed edifici pericolanti. Inoltre l’inchiesta presenterà il maxi processo Eternit e il caso Robledo.

Non solo, si indagherà anche sul cambiamento climatico focalizzandosi sui milioni di alberi abbattuti dalla tempesta che ha investito le montagne di Veneto e Trentino a fine ottobre scorso.

Per parlare di tutto questo sono stati invitati in studio:

  • Giulia Grillo, ministro della Salute;
  • Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia;
  • Walter Ricciardi.

Rif:https://www.money.it/malagiustizia-in-italia-inchiesta-di-presadiretta

Caso Cavallotti, aziende distrutte dai giudici, la Procura rinuncia a indagare

Caso Cavallotti il pm di Palermo chiede l’archiviazione per l’amministratore. La famiglia siciliana di imprenditori, spogliata di tutti I beni nonostante l’assoluzione dall’accusa di mafia, denunciò I presunti abusi del manager scelto dal tribunale

’è un sorprendente incrocio tra un fatto tragico, che ha colpito milioni di italiani, e una meno nota, ma pure terribile, vicenda di malagiustizia. Nadia Toffa, inviata delle Iene scomparsa due giorni fa, si era interessata alle assurdità inflitte alla famiglia Cavallotti, imprenditori di Belmonte Mezzagno, in provincia di Palermo, assolti da ogni accusa di mafia eppure spogliati di tutti i loro beni dallo Stato.

IL CASO
Proprio nel giorno in cui ci ha lasciati la coraggiosa giornalista, la Procura del capoluogo siciliano ha chiesto al gip di coprire con il velo definitivo dell’archiviazione le indagini sulle presunte malversazioni contestate, dai Cavallotti, a uno degli amministratori giudiziari che hanno gestito, e indebitato, le loro aziende, Andrea Modica de Mohac.

Il professionista siciliano era stato intervistato proprio da un altro inviato delle Iene, Matteo Viviani. Il quale nel dicembre del 2017 gli chiese di rispondere alle accuse di abuso d’ufficio e false fatturazioni mossegli dai Cavallotti, e ottenne la seguente risposta: «Era tutto autorizzato dal giudice…».

È un’informazione decisiva. E indispensabile per comprendere la sconcerto suscitato, dalla richiesta d’archiviazione, in Pietro Cavallotti, che nella seconda generazione della famiglia di imprenditori è divenuto il regista delle tenaci strategie processuali studiate per avere giustizia.

SENZA SPERANZE
Dice Pietro: «Il nostro timore è che, con la fine delle indagini sull’amministratore Modica de Mohac, cada ogni speranza di verificare se vi siano state, appunto, anche responsabilità da parte del Tribunale. In particolare, se ad autorizzare condotte manageriali devastanti, e additate come sospette dalla Guardia di Finanza, sia effettivamente stata la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, presieduta negli anni in questione, dal 2006 al 2012, anche da Silvana Saguto».

Si tratta della magistrata sotto processo a Caltanissetta con alcune decine di capi d’impoutazione relativi proprio agli incarichi affidati a diversi professionisti per gestire le aziende sequestrate dal suo ufficio.

Colpisce, in effetti, il contrasto fra la rassegnata resa dei pm palermitani e la durezza delle accuse ipotizzate nelle loro relazioni investigative dagli uomini della Dia di Palermo, guidati all’epoca dal colonnello Riccardo Scuto. Ipotesi che confermavano in gran parte i sospetti formulati innanzitutto nell’esposto presentato alla Procura, nel 2014, da Salvatore Vito Cavallotti, zio di Pietro.

LA DENUNCIA DELLA FAMIGLIA
Con quella denuncia, la famiglia di imprenditori segnalava, per esempio, fatturazioni acquisite dalla Comest, una delle aziende di famiglia amministrate giudiziariamente da Modica de Mohac, e provenienti da ditte, come la “D’Arrigo” di Borgetto, di cui era amministratore lo stesso professionista.

Così come venivano denunciati i rapporti instaurati con la “Mirto inerti”: rapporti in cui, negli accertamenti successivamente condotti, gli investigatori della Direzione antimafia riscontrarono anomalie che facevano «trasparire con ogni probabilità un artifizio, mirante a sanare, in epoca successiva, le incongruenze della contabilità interna».

L’INCHIESTA GIORNALISTICA
Nella stessa relazione veniva citato anche un articolo di un combattivo giornale on line, I siciliani giovani, e in proposito, gli investigatori guidati dal colonnello Scuto scrivevano: «Appare non completamente priva di fondamento la tesi giornalistica che paventava successivi aggiustamenti contabili realizzati a seguito di una denuncia presentata dai fratelli Cavallotti, che lamentavano la svendita a prezzi irrisori dei mezzi delle loro società».

È in virtù di tali elementi che gli investigatori sollecitano la Procura di Palermo ad acquisire i carteggi tra l’amministratore giudiziario e il Tribunale. Richiesta avanzata dai pm, ma mai evasa. Un silenzio, sui possibili addebiti riconducibili alla stessa sezione Misure di prevenzione, che secondo Pietro Cavallotti «è perfettamente intonato con i successivi provvedimenti di confisca delle nostre aziende.

Da una parte la negazione dei carteggi tra de Mohac e i giudici impedisce di accertare eventuali illeciti dello stesso Tribunale che, per la loro maggiore gravità, spazzerebbero via anche l’ostacolo della prescrizione, in modo da consentire a noi di agire contro amministratori e magistrati per essere risarciti. Dall’altra», nota Cavallotti, «la confisca, che continuiamo a chiedere, senza esito, di revocare, ci impedisce di acquisire documenti che da soli potrebbero consentirci verifiche contabili più penetranti, ma la stessa confisca ci priva, soprattutto, della legittimazione giuridica ad agire civilmente» .

Passano gli anni, resta l’ingiustizia subita dagli imprenditori di Belmonte, e resta anche l’impossibilità di rivalersi almeno sul piano civile nei confronti di chi ha lasciato che una delle più grandi imprese nazionali nella distribuzione del gas si riducesse in polvere. Una beffa che pare prolungarsi senza fine.

Cosa è successo a Bibbiano, sesto capitolo: il business degli affidi e il conflitto di interessi

Gli affidi muovono un giro d’affari poco trasparente, compreso tra 1 e 2 miliardi di euro l’anno. In Italia ci sono 1800 strutture, un numero anomalo rispetto ad altri Paesi come Germania o Francia

Nel caso di Bibbiano le relazioni tecniche dei terapeuti avrebbero ingannato Procura e tribunale per i minori. Ma non è chiaro se e quanto situazioni simili possano nascondersi in Italia, dato il conflitto di interessi strutturale di molti operatori del settore. Quello reggiano, per dimensioni e tipo di indagine, sembra il primo caso giudiziario del genere.

Negli anni però, diverse inchieste giornalistiche hanno posto l’accento sui tecnici e i «giudici onorari» che decidono sui minori da sottrarre alle famiglie in casi di violenza. Questi tipi di giudici non sono magistrati professionisti, ma educatori, psicologi, sociologi e avvocati, adattati al ruolo.

Rif:https://www.open.online/2019/07/23/cosa-e-successo-davvero-a-bibbiano-sesto-capitolo-il-business-degli-affidi-e-il-conflitto-di-interessi/