Corruzione in Corte d’Appello, in aula il nodo sul video dello scambio di denaro tra Manna e Petrini

Il giudice si è riservato di decidere sull’utilizzabilità di quelle immagini e delle intercettazioni. Il sindaco di Rende e l’ex magistrato sono accusati di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose

Nuova udienza preliminare del procedimento a carico del sindaco di Rende, Marcello Manna, e dell’ex magistrato della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini, entrambi accusati di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose. Questa mattina sono state affrontate in aula alcune questioni preliminari riguardanti l’utilizzabilità delle intercettazioni e del video che ritrarrebbe Manna mentre consegna la busta contenente denaro a Marco Petrini. Il giudice si è riservato la decisione. 

Rito abbreviato

Marco Petrini, assistito dal suo avvocato di fiducia Francesco Calderaro, ha optato per il rito abbreviato mentre Marcello Manna (difeso dagli avvocati Federico Olivo e Nicola Carratelli) si è riservato ancora di decidere. Entrambi dovranno rispondere del reato di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose. In particolare Manna è accusato di aver corrotto l’ex magistrato per ottenere una sentenza favorevole al suo assistito: l’assoluzione di Francesco Patitucci, già in primo grado condannato a 30 anni di carcere per il delitto di Luca Bruni, ma assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. Nel maggio del 2019 Marco Petrini avrebbe ricevuto dalle mani dell’avvocato Marcello Manna la somma di 5mila euro in contanti quale corrispettivo dell’assoluzione.

Il caso del lungometraggio

Secondo la ricostruzione della Procura il denaro contante sarebbe stato contenuto in una busta da lettera e consegnata al giudice nel suo ufficio in Corte d’Appello. Il magistrato avrebbe poi accettato di ricevere ulteriori utilità a vantaggio di Mario Vitale, cugino di Stefania Gambardella e compagna di Marco Petrini. In tal senso, l’avvocato Marcello Manna si sarebbe posto quale intermediario con Giuseppe Citrigno, ex presidente della Fondazione Calabria Film Commission, per far ottenere al giovane un finanziamento per la realizzazione di un lungometraggio: 175mila con la stipula di una convenzione avvenuta nell’ottobre del 2019.

La cosca Lanzino Patitucci

Il magistrato per favorire la posizione dell’imputato Patitucci avrebbe posto in essere «un atto contrario ai doveri di ufficio consistito nell’alterare la dialettica processuale inquinando metodologicamente l’iter decisionale della Corte d’Assise d’Appello da lui presieduta con sentenze contaminate in radice dagli eventi corruttivi». Il reato è aggravato dalle modalità mafiose per aver agevolato la cosca Lanzino Patitucci. Tuttavia, lo scorso febbraio il Tribunale di Salerno ha archiviato la posizione di Francesco Patitucci.

Rif: https://www.lacnews24.it/cronaca/corruzione-in-corte-d-appello-la-procura-chiede-il-processo-per-marcello-manna-e-marco-petrini_154380/

Corruzione in atti giudiziari, chiesto il processo per Manna e il giudice Petrini

SALERNO – La Procura di Salerno ha chiesto il rinvio a giudizio per l’avvocato (e attuale sindaco do Rende) Marcello Manna e per Marco Petrini ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro. Entrambi sono accusati di corruzione in atti giudiziari. Secondo l’accusa Marcello Manna, difeso dall’avvocato Armando Veneto, avrebbe corrotto l’ex Presidente per far assolvere Francesco Patitucci, condannato in primo grado condannato a 30 anni di carcere per concorso nell’omicidio di Luca Bruni, avvenuto a Castrolibero nel 2012 e assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, con una mazzetta di 5mila euro come corrispettivo in cambio della sentenza “aggiustata”.

L’attuale sindaco di Rende ha più volte proclamato la sua estraneità alla vicenda parlando di “atti processuali travisati” e di “accuse infondate da parte di Petrini, letteralmente indotto e costretto a fare il mio nome, accusandomi di averlo corrotto, dopo che per ben sette volte, nel corso dell’interrogatorio del 31 gennaio 2020, aveva espressamente negato ogni mio coinvolgimento nella vicenda, e solo dietro espressa dettatura del Pubblico Ministero che lo interrogava, capendo che la relativa ammissione poteva giovargli per fargli “guadagnare” gli arresti domiciliari, ha poi cambiato versione, pure incorrendo, ovviamente, in plurime imprecisioni, falsità ed inverosimiglianze, dando luogo sia il dichiarante, che chi lo interrogava a gravi irregolarità anche di rilevanza penale che non potranno restare impunite”

Il tribunale del Riesame di Salerno, lo scorso 30 dicembre, in accoglimento parziale del ricorso fatto dalla procura salernitana ha emanato una misura del Divieto di esercitare la professione forense per 12 mesi per l’avvocato Marcello Manna e sospesa in attesa della pronuncia della Cassazione.

Rif: https://www.quicosenza.it/news/area-urbana/439786-corruzione-in-atti-giudiziari-chiesto-il-processo-per-manna-e-il-giudice-petrini

Il giudice corrotto del Tribunale di Catanzaro condannato a 4 anni e 4 mesi e a pagare 300mila euro. E’ già libero

Il Gup di Salerno, Vincenzo Pellegrino, ha condannato il giudice, attualmente sospeso, della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini, a 4 anni e 4 mesi di reclusione. Condannati a 3 anni e 2 mesi Emilio Santoro, detto Mario, ex dirigente dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza; e a un anno e 8 mesi di reclusione l’avvocato Francesco Saraco. I tre imputati erano accusati di varie ipotesi di corruzione in atti giudiziari. Petrini è stato anche interdetto dai pubblici uffici per la durata di 3 anni e 6 mesi, Emilio Santoro per 3 anni e Saraco per un anno e 6 mesi.

Petrini – ex presidente della seconda sezione della Corte d’appello di Catanzaro e della Commissione tributaria – era accusato di avere accettato offerte di denaro, doni e sesso in cambio dell’interessamento su processi penali e tributari. Dopo l’arresto, nel gennaio 2020, Petrini ammise di avere ricevuto denaro in cambio di favori nelle sentenze e fece i nomi di vari complici nel sistema di corruzione: tra cui avvocati e commercialisti.

Le ‘mazzette’ variavano dai 500 ai 2mila euro, ma in un caso si arrivò a 30mila euro: è la somma che Petrini avrebbe intascato “per la causa di Antonio Saraco”, figura di primo piano del cartello ’ndranghetista Gallace-Gallelli-Saraco, con l’obiettivo di “ammorbidire il procedimento penale” già in appello. Erano i primi mesi del 2019.

L’allora presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, per quella somma doveva influenzare la sentenza che erano prossimi a pronunciare i tre colleghi che componevano la Corte d’Appello al processo “Itaca Free Boat”: imputati erano Antonio Saraco e Vincenzo Gallelli, che in primo grado erano stati condannati rispettivamente a 10 e 16 anni. Petrini doveva riuscire a fare ottenere l’assoluzione a Saraco e la riduzione a 6 anni a Gallelli. Fallì: i due ebbero confermata la sentenza.

Oggi la condanna per i tre imputati, per due dei quali, Petrini e Santoro, il Gup, ritenuto che le esigenze cautelari siano venute meno, ha revocato le misure cautelari ordinando l’immediata rimessione in libertà dei due imputati.

Petrini è stato inoltre condannato a risarcire al ministero della Giustizia la somma di 311.500 euro. Stessa cifra dovrà pagare Emilio Santoro. Saraco, che ha avuto la pena sospesa, deve pagare 260mila euro.

Il Tribunale ha ordinato la confisca per equivalente delle somme ritrovate in contanti ai tre imputati. Petrini è condannato a risarcire la Presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero della Giustizia, da liquidarsi in sede civile.

Rif: https://www.lecodelsud.it/il-giudice-corrotto-del-tribunale-di-catanzaro-condannato-a-4-anni-e-4-mesi-e-a-pagare-300mila-euro-e-gia-libero

Rinascita Scott, Petrini e le promesse di danaro di Pittelli per aggiustare processi

petrini-pittelli

Nella cospicua mole di atti consegnati dalla Dda di Catanzaro al gip Claudio Paris nel corso dell’udienza preliminare su Rinascita Scott, l’inchiesta che ha fatto tremare le famiglie di ‘ndrangheta del Vibonese, compaiono i verbali di interrogatorio del magistrato Marco Petrini resi nell’ambito dell’inchiesta della distrettuale di Salerno, nome in codice “Genesi”, che svela un sistema corruttivo tra toghe sporche, legali e professionisti, un “patto” finalizzato ad “aggiustare processi in cambio di soldi”. In questi interrogatori emerge il nome di Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia, in arresto dal 19 dicembre dell’anno scorso, quando i carabinieri del Ros gli misero le manette ai polsi, nell’ambito della maxi operazione Rinascita Scott, coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri.

“L’omicidio Gentile e le promesse di Pittelli”

Il carteggio comprende l’interrogatorio di Petrini datato 5 febbraio 2020, in parte omissato, in cui il magistrato riferisce di conoscere il noto legale catanzarese, in quanto difensore di imputati in procedimenti da lui decisi come presidente del collegio di Corte di appello. Petrini confessa di aver ricevuto la promessa della dazione di una somma di denaro di 2.500 euro in cambio dell’esito favorevole di un processo a carico di un imputato da lui difeso, condannato in primo grado, collocando l’episodio in epoca successiva alla sua cessazione dalla carica parlamentare. “Dico ciò anche perchè durante il suo mandato parlamentare l’avvocato Pittelli aveva di fatto smesso di esercitare la professione di avvocato e comunque non era più presente in udienza, come prima di diventare parlamentare. La proposta corruttiva fattami personalmente dall’avvocato Giancarlo Pittelli avvenne nei locali della Corte di appello” e risale al 2016, ammettendo di aver accettato la promessa di ricevere il danaro in cambio dell’assoluzione dell’imputato da lui assistito. “L’imputato venne assolto dalla Corte di assise di appello se ben ricordo”. Il magistrato non rammenta in quella sede il fatto omicidiario che vedeva coinvolto l’imputato difeso da Pittelli, ma sarà più chiaro nell’interrogatorio del 25 febbraio  quando, dopo aver riferito di non aver ricevuto, nonostante l’esito favorevole, alcuna somma da Pittelli e dopo aver precisato di non aver avuto un buon rapporto con lui, parla del processo riguardante l’omicidio Gentile, ucciso nei pressi dei giardini di San Leonardo e che ha come imputato Nicholas Sia. I ricordi si fanno più nitidi ricordando che la Corte ridusse all’imputato la pena su sua proposta.  “Ribadisco che io ero relatore e la somma promessami da Pittelli non mi fu poi consegnata. Poi parla del  procedimento di Rocco Delfino: “mi fu promesso denaro ugualmente da Pittelli, si trattava di un procedimento di prevenzione patrimoniale per il quale si chiedeva la revocazione di un provvedimento di confisca definitivo emesso dal Tribunale di Reggio Calabria . Ricordo che il processo fu trattato alla presenza dell’avvocato Pittelli e dello stesso Delfino, il giorno precedente l’arresto di entrambi da parte della Dda di Catanzaro il 19 dicembre dell’anno scorso. Per questa vicenda la decisione non è stata adottata per quel che mi risulta.

Il patto da 2.500 euro

La promessa della somma di denaro per revisionare il provvedimento di confisca patrimoniale di Delfino  mi fu fatta da Pittelli nel novembre 2019 in Corte di appello. Ciò lo ricordo perché era in corso di trattazione il processo penale a carico di Nicholas Sia per il quale, come ho detto, ho accettato la promessa di 2.500 euro dallo stesso avvocato Pittelli

Catanzaro, l’ex senatore Pittelli denuncia per diffamazione il giudice (sospeso) Petrini

Catanzaro, l’ex senatore Pittelli denuncia per diffamazione il giudice (sospeso) Petrini

L’avvocato Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia e uno dei principali imputati del maxi-processo “Rinascita-Scott”, ha denunciato per diffamazione il giudice sospeso della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro Marco Petrini. Lo comunicano i difensori di Pittelli, gli avvocati Guido Contestabile ed Enzo Galeota, che hanno presentato due esposti alla Procura di Salerno nei confronti del magistrato arrestato per corruzione a gennaio.

Ai pm campani, lo scorso febbraio Petrini ha raccontato di essere stato corrotto dall’avvocato Pittelli, oggi detenuto a Nuoro, nel carcere di Badu e Carros, mentre è in corso il processo in cui è accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta. La scorsa settimana, i verbali di due interrogatori sono stati depositati dalla Procura di Catanzaro nel processo a carico di Pittelli che, stando alla versione di Petrini, avrebbe offerto (e il magistrato avrebbe accettato) la promessa di 2500 euro per ribaltare in appello la sentenza d’appello per l’omicidio di Marco Gentile, un ragazzo il ragazzo accoltellato dal suo coetanneo Nicholas Sia per un debito di droga e per essere stato deriso in pubblico più volte dalla vittima.

“All’imputato, – disse Petrini prima di ritrattare – la Corte ridusse su mia proposta la pena da 18 a 12 anni. Ribadisco che io ero il relatore. La somma promessami da Pitelli non mi fu poi mai consegnata”. Secondo i legali di Pittelli, le dichiarazioni di Petrini sono una “menzogna palese” perché Sia è stato condannato in primo grado a 17 anni e sei mesi di reclusione, con rito abbreviato. La Corte d’Appello (presieduta dalla giudice Reillo), esclusa l’aggravante dei motivi futili e abbietti, ridusse la pena a 16 anni e la Corte di Cassazione annullò successivamente con rinvio la sentenza per difetto di motivazione riguardo alla mancata concessione dell’attenuante dello stato d’ira ed erroneo calcolo della pena da infliggere. Nell’appello bis, con la Corte presieduta da Petrini, la condanna fu riformulata a 12 anni.

Nella denuncia per diffamazione, Pittelli ha allegato tutte le sentenze spiegando che la riduzione della condanna era stata “oggettivamente imposta dal dictum del Supremo Collegio” e che Petrini “non poté fare altro che diminuire la pena, irrogando all’imputato 12 anni di reclusione”. “La riduzione di pena operata dal collegio presieduto da Petrini, pertanto, – aggiunge Pittelli – è frutto esclusivo del portato derivante da plurime pronunce di merito e da una sentenza del Supremo Collegio, e non è stata certamente determinata da un inesistente accordo corruttivo”.

L’avvocato imputato di “Rinascita-Scott”, inoltre, ha denunciato Petrini anche per l’affermazione riportata nei mesi scorsi dal quotidiano Gazzetta del Sud secondo cui il giudice sarebbe affiliato a una loggia massonica “coperta da Pittelli“. Su questo punto, l’ex senatore Pittelli afferma nella propria querela: “Non ho mai dato vita, né partecipato a logge ‘coperte’ o ‘spurie’. Non ho mai invitato il dottore Petrini a farne parte e non ho mai presieduto alcun rito di affiliazione del dottore Petrini con il quale non ho mai avuto alcun rapporto se non quelli necessari dal ruolo rivestito da quest’ultimo presso la Corte d’Assise d’appello di Catanzaro”.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/19/catanzaro-lex-senatore-pittelli-denuncia-per-diffamazione-il-giudice-sospeso-petrini/5937138/

Le mazzette al giudice Petrini a Catanzaro: incidente probatorio per un medico e un avvocato

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Il sospetto e l’angoscia. L’idea di essere indagato per le costanti attività corruttive poste in essere, spinse il giudice Marco Petrini (sospeso ma non destituito dalla magistratura) a tentare di scoprire cosa stesse accadendo.

Il togato usò l’unica arma di cui disponeva per mettere il naso nelle indagini: la chiave di accesso della ex moglie al cosiddetto sistema “Scripta”. La donna, infatti, tra il dicembre 2019 e il gennaio successivo era incaricata, nella veste di dipendente del ministero di Grazia e Giustizia, della tenuta della corrispondenza e del protocollo riservato indirizzata al presidente della Corte di appello di Catanzaro.

Petrini si era allarmato per la pubblicazione sui quotidiani nazionali e locali della notizia riguardante l’esistenza di un’inchiesta a carico di ben 15 magistrati in servizio nel distretto catanzarese. Di alcuni erano filtrati i nomi, degli altri non si conosceva invece l’identità.

Ben consapevole delle irrituali attività svolte nell’esercizio delle proprie funzioni, l’ex presidente della Corte di assise, approfittando abusivamente della finestra del programma “Scripta” aperta sul computer di ufficio della moglie, prese a consultare ripetutamente e periodicamente il programma per verificare la presenza di comunicazioni relative a procedimenti iscritti a suo carico da parte della procura di Salerno (competente funzionalmente a indagare) e trasmesse al presidente della Corte di appello. Con questo espediente, Marco Petrini riuscì ad estrapolare il numero del procedimento penale  che lo riguardava – il 6695/18/21 – , la data del provvedimento di iscrizione – il 2 agosto del 2018 – e le qualificazioni giuridiche coincidenti con quelle originariamente date alla notizia di reato trasmessa a Salerno dalla procura distrettuale di Catanzaro.

Il magistrato, poi arrestato e sospeso dal servizio per le gravi condotte tenute in cambio di ingenti somme di denaro, ha ammesso le proprie responsabilità in relazione a molteplici episodi corruttivi, precisando tuttavia d’aver compiuto l’accesso abusivo al sistema “Scripta” all’insaputa della moglie. In relazione a questa vicenda Marco Petrini dovrà essere sentito in sede di incidente probatorio dal gip di Salerno, Giovanna Pacifico, per esplicita richiesta avanzata in tal senso dal procuratore capo, Giuseppe Borrelli e dall’aggiunto, Luca Masini.

L’ex presidente dell’assise catanzarese sentito in udienza nei giorni scorsi ha già ridimensionato la portata di gravi affermazioni che aveva messo a verbale e riguardanti tre colleghi magistrati in servizio nel capoluogo di regione.

Il togato ha pubblicamente escluso che fossero coinvolti con lui nel “mercimonio” di sentenze messo in piedi negli ultimi anni. Non solo: ha pure scagionato l’avvocato Giancarlo Pittelli dall’accusa di aver “aggiustato” con la sua complicità dei processi. Accusa che in precedenza aveva invece lanciato nei confronti del penalista. Punto di domanda: Petrini quando dice la verità e quando mente?

Rif: https://catanzaro.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2020/09/09/le-mazzette-al-giudice-petrini-a-catanzaro-incidente-probatorio-per-un-medico-e-un-avvocato-58c9b303-2192-409b-87e9-3dbc718699a3/

Soldi e sesso in cambio di favori, così Gratteri ha “smascherato” il giudice corrotto

Tutto è partito da Catanzaro. Dagli uffici della Procura distrettuale antimafia. E’ stato Nicola Gratteri a mettere la firma su un fascicolo “bollente” inviato per competenza a Salerno. Da quegli atti si è sviluppata la clamorosa inchiesta che ha portato all’arresto del giudice Marco Petrini, un suo collega che lui stesso conosceva e che capitava di incrociare nei corridoi del tribunale di Catanzaro, divisi da un solo piano. Appena saputo del coinvolgimento del magistrato nell’indagine condotta dalla Finanza su un presunto caso di corruzione in atti giudiziari aggravato dal metodo mafioso, Gratteri ha quindi ha trasmesso tutta la documentazione alla Direzione distrettuale antimafia di Salerno.

La genesi dell’inchiesta. L’origine dell’inchiesta denominata “Genesi” che ha portato all’arresto del giudice Marco Petrini e di altre sette persone nasce infatti da un procedimento datato 2 agosto del 2018 che si è sviluppato in modo clamoroso e del tutto inaspettato. Gli investigatori della Guardia di Finanza erano dapprima sulle tracce di tre soggetti: Luigi Falzetta, Emilio Santoro, detto Mario, e Giuseppe Tursi Prato, detto Pino. L’indagine riguarda inizialmente solo loro ma le intercettazioni successive aprono altri scenari, ben più inquietanti. “L’ascolto di quelle intercettazioni – scrive il gip Giovanna Pacifico nell”ordinanza – faceva emergere uno scenario investigativo di ben maggiore ampiezza, attraverso la speculare estensione delle operazioni intercettive, via via autorizzate da questo ufficio, rispetto agli originari ‘bersagli’”.  Le conversazioni captate rivelano con il passare dei giorni un quadro indiziario grave. Tra un’intercettazione ed un altra, i finanzieri giungono all’identificazione di un giudice in servizio nel distretto giudiziario di Catanzaro e l’indagine diventa inquietante. Quel giudice è Marco Petrini, addirittura il presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro. Alla polizia giudiziaria non resta altro che redarre l’informativa shock che il 15 ottobre del 2018 arriva sulla scrivania di Nicola Gratteri e dei suoi sostituti procuratori che coordinano l’inchiesta originaria. Alla Dda di Catanzaro, invece, non rimane che trasmettere gli atti alla Procura di Salerno competente per territorio. Di mezzo c’è, coinvolto a pieno titolo nell’indagine, spunta un magistrato del distretto giudiziario catanzarese. Non si può fare altrimenti. Tocca ad altri andare avanti e sviluppare la clamorosa attività investigativa.

Dalle origini al blitz. Inizia qui quella che verrà denominata in codice l’inchiesta “Genesi”. Il fascicolo passa nelle mani del pm salernitano Luca Masini e le indagini vengono svolte sul campo dai reparti specializzati della Guardia di Finanza. E’ il 7 novembre del 2018 e il gip autorizza le intercettazioni telefoniche ed ambientali. Petrini finisce sotto inchiesta, pedinato, intercettato, a casa e nel suo ufficio. L’ascolto delle conversazioni fa venire fuori quello che gli inquirenti definiranno una “sistematica attività corruttiva”. Tutto ruota intorno al magistrato di origini umbre che vive a Lamezia. Gli accertamenti bancari fanno il resto e gli investigatori scoprono le “difficoltà finanziare” del giudice. Il cerchio intorno a Petrini si stringe sempre di più e, contemporaneamente, le indagini si allargano coinvolgendo le sue presunte amanti (due avvocatesse) in quello che sarà l’aspetto più piccante e pruriginoso della vicenda. Sul registro degli indagati vengono iscritte complessivamente quattordici persone. Per otto di queste il gip di Salerno ravvisa le esigenze cautelari. L’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato e suoi presunti “intermediari” Emilio Santoro e Luigi Falzetta finiscono in carcere insieme ad una serie di professionisti. Tra questi anche quattro avvocati. E’ il 15 gennaio del 2020, il giorno del blitz. Storia dei giorni nostri. Una storia che non è ancora finita e che promette ulteriori, clamorosi risvolti perché tra le 120 pagine dell’ordinanza si celano ipotesi investigative in via di sviluppo. Come una serie tv in attesa di un’altra puntata.

Rif: https://www.zoom24.it/2020/01/16/soldi-e-sesso-in-cambio-di-favori-cosi-gratteri-ha-smascherato-il-giudice-corrotto/

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Toghe sporche, no alla rimozione del magistrato Petrini: il Csm lo sospende

Il ministro della Giustizia Bonafede aveva chiesto di esercitare l’azione disciplinare. L’ex giudice è accusato di corruzione in atti giudiziari

L’ex giudice Marco Petrini

Resta sospeso dall’esercizio della funzione di magistrato, Marco Petrini. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro non è stato rimosso così come aveva chiesto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, all’indomani dell’inchiesta Genesi che ha portato nel gennaio scorso all’arresto di Marco Petrini con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. 

Nei confronti del magistrato il Consiglio superiore della Magistratura ha esercitato un’azione disciplinare e il 13 luglio scorso si è svolta l’udienza durante la quale la Procura Generale della Corte di Cassazione ha chiesto la rimozione di Marco Petrini dall’esercizio della funzione del magistato. Il Csm, tuttavia, ha rigettato la richiesta limitandosi a disporre una sospensione, accogliendo così la richiesta avanzata dalla difesa rappresentata dall’avvocato Francesco Calderaro.blob:https://www.toghesporche.org/06f60e15-bfac-4aa1-a896-1265936e4261

Marco Petrini era già stato sospeso in via cautelativa dal Csm all’indomani dell’inchiesta poichè colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere oggi in parte revocata e sostituita con gli arresti domiciliari.

Rif.https://www.lacnews24.it/cronaca/inchiesta-genesi-no-alla-rimozione-di-petrini-il-csm-lo-sospende_121350/

Toghe sporche, Petrini ritorna in carcere: indagata anche la moglie

l gip del tribunale di Salerno ha annullato gli arresti domiciliari all’ex presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro perché avrebbe mentito negli interrogatori. Nell’inchiesta “Genesi” coinvolta adesso anche la Gambardella

«Qua a Lamezia Terme non ci puoi venire sicuro perchè vengono e ti sparano». È questo il tenore delle conversazioni intercorse tra Maria Stefania Gambardella e Marco Petrini intercettate però dal nucleo economico della Guardia di Finanza di Crotone che, su delega della Procura di Salerno, ha notificato un avviso di garanzia alla moglie dell’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro,accusato di corruzione in atti giudiziari. 

L’inchiesta Genesi

Si allarga, insomma, a macchia d’olio l’inchiesta della Procura di Salerno che lo scorso gennaio aveva portato all’arresto del magistato Marco Petrini per un giro di corruzione negli uffici giudiziari catanzaresi. Mazzette, orologi e preziosi per aggiustare le sentenze. Ma adesso nel mirino dei magistrati è finita anche la moglie del magistrato intercettata dalla Guardia di Finanza ad intrattenere conversazioni con il marito inducendolo «a rendere dichiarazioni mendaci in occasione degli interrogatori» avuti dinnanzi ai pubblici ministeri di Salerno il 29 febbraio e ancora il 17 aprile scorso.

Le intercettazioni

La moglie allarmata ma intercettata al telefono esprimeva al marito le sue preoccupazioni: «Ti vogliono ammazzare tutti – diceva – non hai capito cosa hai combinato pure, tu non hai capito niente Marco“. Ed ancora: “Tu d’ora in poi devi ascoltare solo me. Le cose che hai fatto da solo sono tutte sbagliate. Allora tu mi devi ascoltare però sennò non vengo più Marco, se non fai le cose che ti dico io. Non fare le cose di testa tua perchè sono tutte sbagliate, tutte deviate».

 Le accuse e le perquisizioni

L’accusa per Maria Stefania Gambardella è induzione a non rendere dichiarazioni o rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. La Procura di Salerno contestualmente all’avviso di garanzia ha anche emesso un decreto di perquisizione e sequestro. Le fiamme gialle di Crotone hanno passato al setaccio l’abitazione, l’ufficio e l’auto della donna alla ricerca di documenti che potessero fornire ulteriori prove dell’ipotesi accusatoria e, in particolare, l’intento di pregiudicare la genuinuità della prove.

Petrini torna in carcere

Ritorna invece in carcere l’ex presidente di sezione della Corte d’Appello Marco Petrini. Per lui il Gip del Tribunale di Salerno ha disposto la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con la custodia in carcere. A fondamento della richiesta avanzata dal procuratore aggiunto, Luca Masini, vi sarebbe la necessità di rafforzare le esigenze cautelari. «Nel corso degli interrogatori investigativi cui è stato sottoposto – si legge nel’ordinanza – Marco Petrini rendeva, fra le altre, dichiarazioni che alla luce delle ulteriori attività investigative risultavano non veritiere». 

rif:https://www.lacnews24.it/cronaca/inchiesta-genesi-indagata-moglie-petrini-avrebbe-indotto-marito-mentire_117635/

Toghe sporche, le rivelazioni bomba di Petrini. Parla di Sculco, di giudici corrotti e poi ritratta

Marco Petrini

I verbali degli interrogatori resi davanti ai pm di Salerno. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro racconta dei rapporti con l’ex consigliere regionale di Crotone. Inoltre, prima formula precise accuse nei confronti dei colleghi magistrati Cosentino, Commodaro e Saraco, poi ci ripensa. Ma ora gli inquirenti non gli credono

I verbali degli interrogatori resi davanti ai pm di Salerno. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro racconta dei rapporti con l’ex consigliere regionale di Crotone. Inoltre, prima formula precise accuse nei confronti dei colleghi magistrati Cosentino, Commodaro e Saraco, poi ci ripensa. Ma ora gli inquirenti non gli credono

3902   di Alessia Candito 3 giugno 2020 01:58

Marco Petrini
Marco Petrini

Prima tira in ballo colleghi magistrati, poi ritratta. Racconta in dettaglio di sentenze aggiustate, killer lasciati a piede libero, colleghi scomodi allontanati avallando interessate istanze di ricusazione, poi si pente. Ha mille facce, mille volti, mille verità, l’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini. Per il procuratore vicario Luca Masini e il pm Vincenzo Senatore non è un cliente per nulla facile da gestire, ma adesso delle sue bugie hanno le prove. E sono finite agli atti di due distinti procedimenti. Il primo è l’inchiesta Genesi, che lo ha fatto finire in manette, il secondo ha un diverso e più recente numero di registro e sembra avere molto a che fare con le dichiarazioni del giudice.

Le bugie di Petrini ai pm di Salerno

Ufficialmente magistrato irreprensibile, in realtà per sua stessa ammissione padrone di un suq in cui ogni sentenza era in vendita. Forse anche fratello di una loggia segreta, che tra guanti e grembiuli annovera anche più di una toga, oltre all’avvocato ed ex senatore Giancarlo Pittelli,e magari ancora fedele a quel sistema, in grado di comandarlo a bacchetta. Di fronte ai pm di Salerno che su di lui indagano, Marco Petrini ha mentito. Ha mischiato verità con menzogne e verosimiglianze, ma è stato stanato. E a causa dei suoi giochini è tornato in carcere per oltre un mese prima di essere riammesso ai domiciliari.

I mille volti del giudice

Per i magistrati, istigato dalla moglie, Maria Stefania Gambardella, per questo indagata, ha iniziato a sciorinare una serie di «ricostruzioni illogiche», miste a piccole verità e svogliate ammissioni, più «dichiarazioni mendaci» – si legge nelle carte – messe in fila negli interrogatori del 25 e 29 marzo e del 17 aprile. E adesso quegli interrogatori sono agli atti. In più, c’è uno stralcio di quello del 5 febbraioIl Petrini numero 1, almeno all’apparenza. Quello che ancora non sembrava aver prestato ascolto alle sirene del suo vecchio mondo e alle «espressioni minatorie» della moglie. E che di fronte ai pm che gli mostrano due biglietti per le partite del Crotone,ammette di essersi fatto corrompere da Enzo Sculco.

Quella condanna ingombrante che Sculco aveva fretta di far estinguere

L’offerta – racconta Petrini – gli era stata fatta dal difensore del politico, l’avvocato Mario Nigro. Il plenipotenziario della politica crotonese aveva un problema non da poco. Far dichiarare estinta una condanna in precedenza riportata e soprattutto le pene accessorie collegate. «In particolare – afferma Petrini – la sanzione d’interesse era quella della interdizione perpetua dai pubblici uffici ed anche quella dì contrattare con P.A. per anni tre. Tra i reati per i quali Sculco era stato condannato vi era una corruzione».

Il prezzo della corruzione: due biglietti per la partita del Crotone

A Petrini si chiedeva «un interessamento». In cambio, tanto nel 2017 come nel 2018, «dall’avvocato Nigro» ha ricevuto – ammette – «due biglietti omaggio per assistere alla partita di calcio in entrambi i casi le partite Crotone-Milan. In entrambi i casi si trattava di due biglietti uno per me ed uno per il figlio di mia moglie Stefania Gambrdella, che si chiama Gian Giuseppe Buscemi». Ovviamente, «intestati ad Enzo Sculco corredati della dichiarazione dello stesso di cessione dei titoli».

Le ammissioni di Petrini

Tutte carte che gli investigatori hanno trovato nel corso della perquisizione a casa del giudice. E che – confessa lui – hanno portato agli effetti desiderati. «In cambio dei suddetti biglietti ho trattato il procedimento con esito favorevole al condannato Enzo Sculco. Mi viene ricordato che l’udienza di trattazione del procedimento fu quella del 30 giugno 2017 e che il deposito la decisione di sostanziale accoglimento dell’istanza dell’avv. Nigro. Gli altri due componenti del collegio nulla sapevano», specifica.

«Nel contesto delle attività investigative – si legge però nell’ordinanza di custodia cautelare che ha riportato il giudice in carcere – tale dichiarazione del Petrini si rivelava mendace, in quanto smentita dal provvedimento adottato dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 28.06.2017 nei confronti di Enzo Sculco.

Invero, dalla lettura del provvedimento si evicenva che il Petrini non aveva composto il Collegio, e che il provvedimento adottato dalla Corte d’Appello non era stato di accogliemento bensì di non luogo a provvedere sulla istanza difensiva (sul presupposto che l’estinzione della pena accessoria fosse già intervenuta per effetto di una precedente pronunzia del giudice dell’esecuzione.

Dunque era riscontrata la cessione dei biglietti da parte dello Sculco (per il tramite dell’avvocato) al Petrini ma era al contempo non veritiera l’affermazione del Petrini (autoaccusatoria e accusatoria nei confronti del Nigro e dello Sculco), secondo cui egli avrebbe adottato un’ordinanza accogliemento (senza coinvolgere nel patto corruttivo i componenti del Collegio)».

Ritrattazioni spia?

Il resto è tutto coperto da un lungo omissis, salvo quella che sembra l’ultima frase di quell’interrogatorio. E recita testualmente «erano false in quanto detto denaro proveniva da attività corruttiva che ho confessato». Di cosa si tratti non è dato sapere. Di certo, è facile ipotizzare che ogni singola affermazione di Petrini, soprattutto se utile a correggere quanto affermato in precedenza, venga passata ai raggi X. Soprattutto alla luce di quanto accaduto negli interrogatori successivi del 25 e 29 febbraio e 17 aprile.

Quelle telefonate con la moglie e il nuovo Petrini

Poco prima di quei colloqui con i giudici, ci sono un paio di telefonate della moglie, Stefania Gambardella. Che – magari non immaginando di essere intercettata – gli intima «Allora tu mi devi ascoltare però, sennò non vengo più Marco, se non fai le cose che ti dico io, non vengo più … non fare più le cose di testa tua perché sono tutte sbagliate, tutte deviate». E Marco – affermano i pm nell’avviso di garanzia con contestuale decreto di perquisizione spedito alla Gambardella – a quanto pare esegue.

In passo indietro del giudice 

Da quanto sopravvissuto agli omissis, pare che «riguardo al processo Vrenna» Petrini si preoccupi di «precisare e rettificare che in realtà, a parte la visita iniziale ricevuta dall’ex Procuratore dottor Tricoli, poi di tale vicenda non mi sono mai interessato, essendo il collegio composto da altri colleghi con i quali non ho avuto alcuna interlocuzione sul punto. Dunque nessuna somma di denaro ho mai ricevutoin relazione a tale vicenda». Ergo in precedenza aveva detto l’esatto opposto.

L’assoluzione (a pagamento) di Patitucci

La seconda vicenda riguarda invece altri due procedimenti, uno dei quali per omicidio, e l’incontro – gli ricorda il pm – «che lei ha presso il suo Ufficio della Corte di Appello di Catanzaro con l’avvocato Manna Marcello (attuale sindaco di Rende ndr), lei ne ha parlato di questo incontro, ne ha parlato nel corso di entrambi gli interrogatori». Petrini è visibilmente in difficoltà. Balbetta, risponde evasivamente, poi alla fine racconta che anche il suo collega, il giudice Cosentino avrebbe accettato denaro per addomesticare la sentenza in favore del killer Patitucci, poi assolto da quelle contestazioni. Gran parte di quel verbale, soprattutto –sembra di capire – per quel che riguarda i contenuti di un primo incontro con Manna è coperto da un omissis lungo più di 100 pagine. Ma qualcosa alla scure dei pm sfugge.

Tutto si può con un fratello di loggia

Lungo, delicato il processo contro Patitucci è durato mesi. «Era in questione la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale» – ammette Petrini, inchiodato da precedenti interrogatori- ed anche Cosentino era coinvolto in quella decisione. Allora è stato lui a farsi da tramite della “disponibilità” manifestata dall’avvocato Gullo, insieme a Manna difensore del killer. «Lui mi disse, sapendo lui che il relatore era Cosentino, dice: “Se è necessario un contributo ci può essere anche per Cosentino». E sarebbe stato proprio Petrini a informare Cosentino, anche se ci tiene a specificare di «non avere cognizione dell’effettiva dazione». E qui il procuratore Masini si impunta, magari capisce che sta succedendo qualcosa di strano ed insiste. Vuole sapere perché Petrini si sia sentito libero di andare da un collega per convincerlo a vendere una sentenza. E solo dopo molte insistenze riesce a farsi dire che «anche il collega Cosentino era iscritto alla stessa … alla stessa loggia». Coperta evidentemente.

La “conversione” di Petrini

Problema, il 17 aprile Petrini smentisce categoricamente tutto. E per giustificare il rapido e radicale cambio di rotta usa parole quasi da pentito di mafia, di quelli che – improvvisamente – decidono di ribaltare quanto in precedenza raccontato. «Nel corso dei due ultimi interrogatori ero particolarmente provato dal punto di vista psicologico e morale» spiega e solo «in questo momento – aggiunge – credo di aver recuperato la serenità sufficiente ad affrontare questo atto istruttorio ed ho pertanto intenzione di rispondere positivamente al suo invito». Parole dette di fronte ad uno schermo. Per la prima volta Petrini non è di fronte ai pm. Le restrizioni da Covid sono ancora dure e l’interrogatorio si svolge in videoconferenza. Fra lui e i magistrati c’è distanza. E magari anche per questo può ritornare indietro non solo su quanto affermato il 25 e il 29 febbraio, ma anche su quanto in precedenza accennato – come si evince dalle domande dei magistrati – quindi sfumato e il 17 aprile radicalmente negato.

Indietro tutta

Interrogato dal pm Senatore, quel giorno l’ex giudice giura e spergiura che il collega Cosentino nulla sapeva, né di Patitucci, né di un «delicato» procedimento di misure di prevenzione, «Ioele+ terzi interessati». Al centro, c’era «un soggetto già condannato per bancarotta, nei confronti del quale era stata avanzata una proposta di misura di prevenzione patrimoniale che si era conclusa con la confisca di alcun beni in primo grado». In appello, aggiustata a favore dell’imputato per 2500 euro cortesemente versati – dice Petrini, specificando quanto emerso nei precedenti interrogatori dall’avvocato Marcello Manna.

«Con Manna ci provai»

I pm hanno anche una data dell’incontro fra i due, il 30 maggio. E Petrini non smentisce che l’attuale sindaco di Rende lo abbia agganciato durante quel procedimento di misure di prevenzione «rappresentandomi che la questione era molto delicata». Tanto meno che «sarei stato disponibile ad accogliere l’appello dietro versamento di una somma di denaro» o che l’avvocato «si dichiarò disposto ad accontentarmi». Certo, nonostante l’insistenza dei pm non spiega come mai si sia sentito libero di proporre una cosa del genere ad un legale che, afferma Petrini citando la logica domanda dei magistrati, poteva benissimo «andare alla più vicina Stazione dei Carabinieri per denunziarmi». Si limita a dire «semplicemente “ci provai”, sperando che le cose andassero bene». Ciò che Petrini sembra a tutti i costi voler smentire è che gli altri componenti del collegio, i giudici Cosentino e Commodaro, fossero al corrente di questo giochino.

Il “martire” Petrini

Immolato per la causa di chi? «Il collegio giudicante era composto, nella circostanza, dai colleghi Cosentino e Commodaro. Ero io il relatore della procedura. Non rappresentai ai componenti del collegio la proposta corruttiva che mi era stata fatta» ci tiene a precisare. E aggiunge «escludo che il dott. Cosentino fosse parte dell’accordo corruttivo. Prendo atto di aver reso dichiarazioni contrarie il 25 febbraio 2020. Mi sento di escludere tale circostanza e comunque, ribadisco che egli nulla seppe della proposta che mi era stata rivolta dall’avvocato Manna e che non fu invitato in alcun modo a partecipare alla spartizione della somma che avevo ricevuto. Anche per il dottor Commodaro vale lo stesso discorso». Stessa storia per il processo d’appello a Patitucci, in cui «la decisione – sostiene – trovava il suo fondamento nello svolgimento dell’istruttoria dibattimentale». Eppure qualche mese prima – emerge tra le pieghe dell’interrogatorio – aveva riferito tutt’altra cosa e in modo dettagliato. Salvo poi iniziare a zoppicare nel confermarlo già dal 25 febbraio.

Ricusazione a pagamento

Un quadro torbido che si ripete, uguale a se stesso in relazione ad un altro episodio che riguarda il giudice Cosentino. Stando ai primi verbali, su gentile offerta (economica) dell’avvocato Staiano diretta a lui e al collega Saraco, Cosentino avrebbe accolto un’istanza di ricusazione quanto meno fantasiosa, salvo poi preoccuparsi quando quella pronuncia è diventata un caso tanto sui media, come negli uffici della Corte d’appello. Con tanto di ricorso – durissimo – del sostituto Di Maio, accolto in toto, in fretta e senza rinvio dalla Cassazione, nonché una convocazione formale di fronte al presidente Introcaso. Cosentino non si aspettava tanto clamore, eppure la decisione di accogliere l’istanza di ricusazione di un presidente di collegio «sulla base della pregressa conoscenza delle fonti collaborative» era così clamorosa che – racconta Petrini il 25 febbraio – lui stesso si era detto contrario «perché non stava in piedi sotto il profilo giuridico». Ma Cosentino, aveva ammesso in quell’occasione, aveva ricevuto un’offerta di danaro per una sentenza comoda da Staiano e con lui si era confidato perché consapevole «che ho avuto soldi in passato dall’avvocato».

Inversione a U

Passa qualche mese e il 17 aprile nell’ennesima versione di Petrini tutto cambia. «Escludo – afferma – che risponda a verità quanto da me dichiarato il 25 febbraio 2020, a proposito della partecipazione del dott. Cosentino all’accordo corruttivo riguardante il processo Patitucci ed a proposito della partecipazione dello stesso dott. Consentino e del dott. Saraco all’accordo corruttivo sotteso all’accoglimento dell’istanza di ricusazione del dott. Battaglia o del dott. Bravin». Insomma, una marcia indietro totale e convinta. Al pari delle accuse, a quanto filtra, in precedenza formulate. E adesso toccherà ai pm di Salerno capire dove fra le mille versioni di Petrini sta la verità. E sbrogliare la matassa.

rif: https://www.lacnews24.it/cronaca/toghe-sporche-interrogatori-bomba-petrini_119086/