Csm, le manovre per le raccomandazioni. Il pm corrotto: «Ho incontrato Casellati e Legnini»

Csm, le manovre per le raccomandazioni. Il pm corrotto: «Ho incontrato Casellati e Legnini»

Longo, che ha patteggiato 5 anni, tira in ballo il presidente del Senato: «La incontrai in un bar nel 2016. Volevo diventare capo della procura di Ragusa». Il ruolo di Filippo Paradiso, ex consigliere di Palazzo Madama, oggi indagato. «Da Legnini mi portò un altro intermediario». Anche lui vicino ad Amara e Calafiore. I verbali in esclusiva sull’Espresso

n pochi ricordano che l’inchiesta della procura di Perugia che ha travolto il Csm, il pm Luca Palamara, i Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri, è partita da lontano. In particolare, da una piccola procura siciliana, quella di Siracusa. Dove lavorava un pm, Giuseppe Longo. Accusato di aver venduto – come lui stesso ha ammesso patteggiando una condanna a cinque anni di carcere – la sua funzione pubblica agli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore. I due imprenditori, elargendo mazzette e favori, come è noto hanno pilotato le sentenze del pm, che proteggeva i loro interessi e quelli dei loro clienti.

La storia dello scandalo giudiziario, però, ogni giorno ha il suo colpo di scena. L’Espresso nel numero in edicola da domenica 30 giugno e già online su Espresso+ha adesso scoperto che il pm corrotto nei suoi verbali ha fatto il nome anche del presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. E quello dell’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini.

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Csm, il pm corrotto ha incontrato la presidente del Senato Casellati per una raccomandazione 

Giuseppe Longo parla degli incontri con la presidente di Palazzo Madama «per una promozione». E spunta il ruolo chiave del suo consigliere. Nei verbali anche il nome di Legnini, ex numero 2 del Csm: «L’ho visto nel suo ufficio»

Longo ha raccontato ai magistrati di Messina (e poi a quelli di Perugia) che lui – nella primavera del 2016 – sarebbe riuscito a incontrare sia la Casellati, allora potente membro del Csm in quota Forza Italia, sia l’allora numero due di Palazzo Marescialli, esponente del Pd. E che a entrambi ha chiesto una raccomandazione per essere promosso a capo di una procura. Non di Gela (per raccomandare Longo in quella sede, secondo, i pm di Perugia, Palamara – allora membro del Csm – avrebbe ottenuto da Calafiore e Amara 40 mila euro). Ma quella di Ragusa.

«L’incontro è avvenuto nel bar fuori al Csm», conferma Longo all’Espresso, spiegando di voler parlare solo di contenuti «attinenti» ai suoi interrogatori. «Ho parlato con la Casellati della mia candidatura a Ragusa. Lei ha preso copia della mia domanda con i pareri di professionalità».

Ma come ha fatto Longo a entrare in contatto con la Casellati? Il pm ha raccontato che all’appuntamento non andò da solo. Ma che fu accompagnato da un uomo assai vicino all’attuale presidente del Senato. Si tratta di Filippo Paradiso, un dirigente della polizia di Stato che ha rapporti di alto livello con il mondo della magistratura italiana. E qualche guaio con la giustizia: Calafiore – in altri verbali consultati da L’Espresso – ha dichiarato che aveva in uso la carta di credito di Amara. Oggi il poliziotto risulta indagato a Roma per traffico di influenze.

Fu Paradiso, dice dunque Longo, a organizzare il meeting tra i tavolini del bar tra lui e la Casellati. E fu sempre Paradiso, e questa è una certezza, che riuscì a entrare nell’ottobre 2018 nello staff del gabinetto della presidente del Senato. Le dimissioni, spiegano dal Senato, sono arrivate a gennaio 2019. In concomitanza con le prime notizie su un’inchiesta di di lui.

Per ottenere l’appoggio della Casellati «sono andato insieme a Paradiso, che mi era stato presentato un paio di settimane prima da Giuseppe Calafiore. Con la Casellati, (Paradiso) era in ottimi rapporti… lei comunque non mi ha garantito nulla», chiosa Longo. E al cronista che gli chiede se davvero non fu preso alcun impegno dalla Casellati e da Legnini per la sua sponsorizzazione per la promozione, Longo chiarisce: «Guardi, è evidente che promesse esplicite non ne sono state fatte. Ma se organizzo un incontro con dei consiglieri (del Csm, ndr) attraverso persone considerate a loro vicine, diciamo che qualche aspettativa poteva essere implicita».

Legnini – secondo quanto ha raccontato l’ex pm – avrebbe incontrato l’uomo di Amara «nel suo ufficio al Csm». Anche in questo caso Longo non si è mosso da solo: a preparare il rendez-vous con l’allora vertice del Consiglio superiore della magistratura è stato un altro intermediario. «Ha organizzato l’incontro il professor Dell’Aversana», ribadisce. Siamo sempre nella primavera del 2016. Legnini, Longo e Pasquale Dell’Aversana, stavolta, si incontrano non in un bar, ma in una sede ufficiale. «Neppure Legnini mi ha garantito alcunché. A lui e alla Casellati ho parlato di Ragusa perché Gela era stata assegnata».

Un associazione presieduta da Dell’Aversana ha avuto stretti rapporti con i sodali di Longo Amara e Calafiore.

«Il coacervo di manovre nascoste» di cui parla Mattarella parte da lontano.

rif: http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/06/28/news/csm-raccomandazioni-casellati-legnini-1.336451

Giudice tributario corrotto, a processo anche Sante Levoni

Giudice tributario corrotto, a processo anche Sante Levoni

Levoni, in particolare, è accusato di aver regalato salumi e di aver promesso somme di denaro in cambio della consulenza illecita di Menegatti

Andranno a processo le 13 persone, tra cui il giudice tributario Carlo Alberto Menegatti e Sante Levoni, titolare della nota ditta di salumi di Castelnuovo, accusate a vario titolo di corruzione, accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio. Lo ha deciso questa mattina, accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio del procuratore aggiunto Morena Plazzi, il gup di Bologna, Gianluca Petragnani Gelosi. Il processo, che iniziera’ l’11 ottobre davanti al collegio della seconda sezione penale, nasce da un’inchiesta su un giro di consulenze ‘proibite’ fornite da Menegatti, componente della commissione tributaria dell’Emilia-Romagna, a vari imprenditori e titolari di societa’ in merito a ricorsi pendenti col Fisco. Consulenze fornite, secondo gli investigatori, non solo in cambio di denaro, ma anche di ‘prodotti alimentari di elevato valore commerciale’, tra l’estate 2015 e il 2016. Oltre al giudice tributario e a Levoni, fra i rinviati a giudizio figurano il commercialista bolognese Giuseppe De Pascali, l’imprenditore Romano Verardi e dipendenti ed ex dipendenti dell’Agenzia delle entrate e di Equitalia. Levoni, in particolare, è accusato di aver regalato salumi e di aver promesso somme di denaro in cambio della consulenza illecita di Menegatti, a proposito sia della decisione del patron dei salumi di trasferire la residenza dall’Italia al Principato di Monaco, sia di alcuni accertamenti fiscali a carico della societa’ Globalcarni. Procedimenti per i quali, secondo la Procura, Menegatti ‘si attivava per fornire informazioni riservate in merito alla sezione e ai giudici assegnatari’ del contenzioso. 

Rif:https://www.lapressa.it/notiziario/la_nera/giudice-tributario-corrotto-a-processo-anche-sante-levoni

Bufera procure, Ermini lascia il Disciplinare sul pm Palamara

Presidente Mattarella

Il vice presidente del Csm non presiederà la sezione disciplinare che il 2 luglio prossimo deve decidere sulla richiesta del pg della Cassazione Riccardo Fuzio di sospendere dalle funzioni e dallo stipendio il pm Luca Palamara

Il vice presidente del Csm, David Ermini, non presiederà la sezione disciplinare che il 2 luglio prossimo si deve pronunciare sulla richiesta del procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio di sospendere dalle funzioni e dallo stipendio Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm indagato a Perugia per corruzione. Lo ha deciso dopo che dalle intercettazioni dei pm di Perugia è emerso come Palamara volesse interferire sulle scelte del Csm anche con pressioni sullo stesso Ermini.

Il passo indietro di Ermini 
Il collegio, quindi, sarà presieduto dal laico del Movimento 5 Stelle Fulvio Gigliotti. Si tratterà di una riunione in camera di consiglio, cioè a porte chiuse alla quale parteciperanno, se lo vorrà, lo stesso Palamara e certamente i suoi difensori. Ermini, dunque, fa un passo indietro. Ma solo per questioni di opportunità. D’altronde il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura ha dimostrato di essere riuscito a gestire correttamente il dossier “nomine”, incassando anche i ringraziamenti dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Eppure quelle conversazioni di Palamara, intercettate dal trojan, non gli consentono di prendere parte in modo sereno al Disciplinare.

Le accuse su Palamara 
A Perugia è emerso un quadro desolante: Palamara risulta essere stato corrotto con 40mila euro (particolare smentito dagli indagati) per far nominare il pm Giancarlo Longo – già travolto da inchieste corruzione in atti giudiziari – alla Procura di Gela. Non solo: utilizza un esposto al Csm – fatto dal pm Fava che accusava Pignatone e Ielo di non essersi astenuti quando l’inchiesta sul Consiglio di Stato ha fatto emerge aspetti (penalmente irrilevanti) relativi ai rispettivi fratelli – per fare un dossieraggio contro gli stessi Pignatone e Ielo. Nel registro degli indagati finiscono: Palamara (corruzione e rivelazione del segreto), Fava (rivelazione del segreto e favoreggiamento) e Spina (rivelazione del segreto e favoreggiamento). Nell’inchiesta, però, stanno emergendo nuovi tentativi di delegittimazione dell’aggiunto Ielo.

Intercettando, però, i magistrati hanno scoperto ulteriori fatti. Ossia l’esistenza di un «centro di potere» esterno al Csm, in cui Palamara, Spina e i consiglieri Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Paolo Criscuoli e Gianluigi Morlini dialogavano della nomina alla Procura di Roma con parlamentari Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti, quest’ultimo già sotto processo a Roma nel caso Consip. Stando a quanto emerge, Palamara appoggiava la nomina del procuratore generale di Firenze Marcello Viola, definito dai più «l’anti-Pignatone». Nei fatti, il 23 maggio scorso la V Commissione ha deliberato per la nomina di Viola (contro il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo e il procuratore di Palermo Franco Lo Voi, più «filo-Pignatone»).

rif: https://www.ilsole24ore.com/art/bufera-procure-ermini-lascia-disciplinare-pm-palamara-ACjsIrU

Sull’ex pm di Etruria si spacca ancora il Csm

Sull’ex pm di Etruria si spacca ancora il Csm

Nomine – Roberto Rossi durante l’indagine sulla banca fu anche consulente del governo Renzi

Quando c’è di mezzo il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, finito sotto procedimento al Csm perché per un periodo fu consulente del governo Renzi e pm dell’inchiesta su Banca Etruria, le divisioni dentro al Consiglio sono garantite.

Così è stato per la Quinta commissione che si è spaccata esattamente a metà sulla sua riconferma a capo dei pm aretini. Tre consiglieri hanno votato perché Rossi resti altri quattro anni , e altri tre consiglieri hanno votato contro la riconferma.

Il presidente della Quinta Gianluigi Morlini, di Unicost, (la corrente centrista a cui appartiene anche il procuratore), Antonio Lepre di Magistratura Indipendente (la corrente più conservatrice) e Mario Suriano, consigliere di Area (sinistra) hanno votato a favore del magistrato. Contro la riconferma di Rossi, invece, Piercamillo Davigo, di Autonomia e Indipendenza ( la sua corrente, trasversale) e i laici Fulvio Gigliotti, M5S ed Emanuele Basile, Lega.

I relatori delle due mozioni, Morlini e Davigo devono scrivere le motivazioni delle proposte che andranno in plenum per il voto finale, in attesa, a grandi linee, si può dire che chi ha votato contro il rinnovo dell’incarico ha tenuto conto del comportamento, ritenuto evidentemente inopportuno, del procuratore che per un periodo era contemporaneamente pm dell’inchiesta su Banca Etruria, con Pierluigi Boschi nel Cda, e consulente di Palazzo Chigi, con Maria Elena Boschi al governo, all’insaputa del Csm. Sulla valutazione negativa di Rossi come procuratore, per Davigo, Gigliotti e Basile, avrà pesato anche quanto detto da Rossi , nel 2016, al Csm su cosa poteva fare banca Etruria privata, per esempio, ma anche quanto non detto, che aveva già indagato su Boschi senior. I consiglieri della Prima proposero un’archiviazione e non il trasferimento per incompatibilità ambientale ma chiesero una valutazione disciplinare all’ex Pg della Cassazione Pasquale Ciccolo, finita anche quella con un’archiviazione.

Morlini, Lepre e Suriano, invece, ritengono che quella vicenda, archiviata, non incida sulle buone capacità di Rossi procuratore, di cui magistrati e avvocati aretini parlano bene e che ha ricevuto pure un parere favorevole del Consiglio giudiziario.

Era il 21 luglio del 2016 quando il plenum del Csm votò l’archiviazione della pratica a carico di Rossi ma i relatori Morosini ( Area) e Balduzzi (laico di Scelta Civica) ritirarono la firma e si astennero, così come tutti i togati di Area perché, su proposta di Uncost, dalla relazione fu eliminata la proposta di inviare il fascicolo alla Commissione competente per le valutazioni professionali. Già quel Consiglio avrebbe dovuto votare sul rinnovo o meno di Rossi a procuratore, dato che i quattro anni sono scaduti nell’estate 2018 ma i consiglieri, divisi anche allora, e in scadenza a settembre, lasciano la pratica rovente ai loro successori. A ottobre il nuovo Plenum eredita un parere favorevole, relatore l’ex presidente della Quinta, Luca Palamara, anche lui di Unicost. Per Rossi sembrava cosa fatta, ma tra il 17 e il 24 ottobre sono stati votati due ritorni in Commissione a partire da un imput di laici di FI e Lega.

Ora il voto finito tre a tre in Commissione, ma se in plenum Area, che ha quattro consiglieri, voterà così come il suo componente della Quinta commissione, allora Rossi, per la legge dei numeri, resterà procuratore di Arezzo.

Magistrati arrestati, nel “sistema Trani” spunta il pm Domenico Seccia. E il grande accusatore cita anche l’ex rettore di Bari

Magistrati arrestati, nel “sistema Trani” spunta il pm Domenico Seccia. E il grande accusatore cita anche l’ex rettore di Bari

Dopo il pm Luigi Scimè, pure lui finito indagato per corruzione, c’è quindi un altro magistrato sul quale i pm salentini Roberta Licci e Giovanni Gallone e i colleghi della procura di Bari stanno focalizzando l’attenzione. L’imprenditore che sta collaborando con i magistrati, nel corso degli interrogatori, ha più volte fatto il nome di Seccia, poi ribadito da pm Savasta, arrestato per corruzione. Nei verbali citato anche l’ex rettore di Uniba, Uricchio, ora all’Anvurdi F. Q. | 21 Giugno 2019 11

Il nome di un quarto magistrato compare nell’inchiesta della procura di Lecce su Antonio Savasta, ex pm a Trani, e Michele Nardi, ex giudice per le indagini preliminari, entrambi arrestati con l’accusa di corruzione a gennaio. Si tratta di Domenico Seccia, attuale sostituto procuratore generale della Cassazione ed ex pubblico ministero antimafia nonché membro della commissione tributaria di Bari. Seccia, uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla mafia foggiana fino a quando è stato in servizio nel capoluogo dauno e alla Dda di Bari, viene tirato in ballo dall’imprenditore di Corato, Flavio D’Introno.  

Corruzione, l’ex pm Savasta ammette di aver chiesto 300mila euro a imprenditore Tarantini: “Ma era idea di Nardi”

Dopo il pm Luigi Scimèpure lui finito indagato per corruzione, c’è quindi un altro magistrato sul quale i pm salentini Roberta Licci e Giovanni Gallone e i colleghi della procura di Baristanno focalizzando l’attenzione. D’Introno, nel corso degli interrogatori, ha più volte fatto il nome di Seccia, poi ribadito da Savasta durante l’incidente probatorio davanti al gip Giovanni Gallo. Savasta – come riporta Repubblica Bari – ha spiegato di aver saputo già negli scorsi anni che Seccia “faceva parte dello stesso meccanismo”. L’ex pm antimafia faceva parte della commissione tributaria che annullò cartelle esattoriali da 8 milioni di euro a D’Introno. La vicenda di Seccia è venuta fuori durante l’incidente probatorio a Lecce, ma è incardinata a Bari.

Sempre l’edizione pugliese di Repubblica, dà conto di un passaggio delle dichiarazioni di D’Introno davanti al gip Gallo. “Dopo gli arresti e il mio interrogatorio del 2 febbraio ho ricevuto minacce da un altro magistrato – ha detto – e per questo motivo ho presentato denuncia alla procura di Bari”. Minacce che si sarebbero sostanziate, secondo quanto raccontato da D’Introno, con riferimenti espliciti alla “mafia garganica”. Di questo aspetto l’imprenditore aveva parlato anche con Savasta a novembre, durante un colloquio registrato e consegnato ai carabinieri. “Pure questo qua, che ti dice che ti manda la mafia garganica…”, diceva Savasta. Quindi la chiosa di D’Introno: “Quello è proprio un animale”.  

L’imprenditore Casillo accusa Nardi e Savasta: “Arrestarono la mia famiglia. Per uscire costretti a pagare”

Nei suoi racconti, D’Introno ha coinvolto anche l’ex rettore dell’Università di Bari, Antonio Felice Uricchio, da qualche giorno componente del direttivo Anvur, l’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca. Uricchio, non indagato, viene citato per fatti del 2011: “Insieme con il dottor Nardi – ha raccontato D’Introno – stavamo andando a casa del professore Uricchio, che era magistrato della commissione tributaria, ma non si sapeva se il ricorso andava a lui o a un altro magistrato. E quindi noi andammo a parlare con lui”. In quel periodo, l’ex rettore dell’Uniba faceva parte della commissione tributaria che annullò le cartelle esattoriali a D’Introno.

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Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/21/magistrati-arrestati-nel-sistema-trani-spunta-il-pm-domenico-seccia-e-il-grande-accusatore-cita-anche-lex-rettore-di-bari/5273010/

Corruzione, indagato giudice tributario

PERUGIA – Ruota intorno all’ipotesi accusatoria che due decisioni della commissione tributaria regionale siano state trasformate, passando dal rigetto all’accoglimento del ricorso, un procedimento della procura di Perugia nel quale un avvocato del foro del capoluogo umbro e un giudice dello stesso Organismo sono indagati per corruzione.

Lo studio del legale, tributarista, è stato perquisito e gli inquirenti hanno sequestrato un computer, un telefono cellulare e altro materiale. L’indagato – difeso dagli avvocati Luca Gentili e Michele Titoli – rivendica comunque la correttezza del proprio comportamento.

Gli accertamenti sono stati avviati in seguito a una segnalazione partita dalla stessa Commissione tributaria.
L’organismo ha infatti rilevato che le due decisioni sfavorevoli ai ricorrenti, entrambi rappresentanti dal legale, erano state poi alterate e trasformate in accoglimento dell’istanza, con tutti i vantaggi derivanti da questo. ANSA

Avvocato e giudice accusati di corruzione

I due si sarebbero adoperati per “correggere” almeno due sentenze in favore di altrettanti assistiti del legale

PerugiaGio. 27 Giu. 2019

L’avvocato del foro di Perugia, Vincenzo Carrese e il giudice di Spoleto, Franco Petriofi, sono indagati per falso e corruzione. Secondo quanto ricostruito dai militari delle fiamme gialle, che hanno svolto le indagini coordinati dal pm Massimo Casucci, i due si sarebbero adoperati per “correggere” almeno due sentenze in favore di altrettanti assistiti del legale.
E dunque, delega di perquisizione alla mano, i militari del nucleo di polizia tributaria delle fiamme gialle, hanno bussato alle porte degli studi dei due professionisti e dopo un’accurata ispezione hanno sequestrato telefoni cellulari, computer e varia documentazione, tra cui alcune sentenze. Al momento le pronunce modificate risulterebbero essere due, ma il sospetto è che si potrebbe essere di fronte ad un sistema, un modus operandi già utilizzato in passato.
Intanto dagli atti verrebbero segnalati numerosi contatti tra i due indagati a ridosso delle sentenze incriminate tra l’ottobre e il novembre dello scorso anno. La situazione è stata invece segnalata in Procura a marzo e da lì sono stati attivati tutti gli accertamenti del caso. Secondo quanto emerso, una delle due sentenze, decisa e scritta in camera di consiglio, sarebbe stata corretta dal giudice, un geometra di Spoleto, che adesso è stato a sua volta indagato assieme al legale. Carrese, difeso dagli avvocati, Luca Gentili e Michele Titoli, rivendica la correttezza del suo operato.

Rif:http://www.quotidianodellumbria.it/quotidiano/perugia/giustizia/avvocato-e-giudice-accusati-di-corruzione

Lettera a Ministro e Csm: “Magistrati ostili, così ci tolgono dignità e speranza nel futuro” „Lettera a Ministro e Csm: “Magistrati ostili, così ci tolgono dignità e speranza nel futuro”“

Lettera a Ministro e Csm: “Magistrati ostili, così ci tolgono dignità e speranza nel futuro”
„E’ alta tensione al carcere di Barcaglione, dove i detenuti sono ormai in agitazione, in costante crescita dopo la morte di Daniele Zoppi“

I detenuti non riescono a trascorere del tempo con la famiglia, pochissime pene alternative, zero colloqui con i magistrati e un “no” categorico all’applicazione della legge 199, che prevede di scontare gli ultimi 18 mesi di pena in casa. E’ alta tensione al carcere di Barcaglione, dove i detenuti sono ormai in agitazione, in costante crescita dopo la morte di Daniele Zoppi. Così i 70 detenuti del carcere hanno scritto una lettera che la Camera Penale di Ancona, già schieratasi al fianco dei detenuti, ha rilanciato e indirizzato al Ministro dell Giustizia e alla Presidenza del Consiglio Superiore della magistratura. 

Il testo integrale della lettera scritta dai detenuti anconetani 

E’ ormai diverso tempo che vediamo continui rigetti ingiustificati, in ultimo è negato poter passare del tempo in famiglia ai detenuti che usufruiscono dell’articolo 21 esterno al carcere. I rigetti parlano di programmi troppo ampi che l’articolo 21 concerne solo il lavoro e non altro. Ci sentiamo di dissentire fortemente su questo punto perché è lo stesso ordinamento penale che, al capitolo 48 (paragrafo 13) dice testualmente che, 

“nel provvedimento di assegnazione al lavoro esterno senza scorta, devono essere indicate le prescrizioni che il detenuto o internato deve impegnarsi a rispettare per iscritto, durante il tempo da trascorrere fuori dall’istituto, nonché quelle relative agli orari di uscita e di rientro, tenuto anche conto dell’esigenza di consumazione dei pasti e del mantenimento dei rapporti con i propri familiari e figli , secondo le indicazioni del programma di trattamento”.

Pugno di ferro con i detenuti, “così non li recuperiamo più”: all’attacco dei magistrati

Ecco noi ci domandiamo come possa essere possibile lavorare all’esterno dell’istituto e non andare a casa e, allo stesso tempo, mantenere i rapporti con i nostri cari? L’uscita dall’istituto per lavorare è un passo molto importante per la vita di un detenuto che ritorna gradualmente alla società, ma soprattutto la continuità del rapporto con la propria famiglia, in primis con i figli, che ricominciano a rivedere la figura paterna fuori dal contesto carcerario, anche se per poche ore e nella propria casa. Questi dinieghi addirittura allontanerebbero ulteriormente genitore e figli perché, lavorando duramente la settimana, non sarebbe possibile svolgere i colloqui familiari settimanali che si ridurrebbero solo a quello domenicale svolto in molti istituti solo 2 domeniche al mese. Volgiamo ulteriormente far notare le pochissime pene alternative o premiali concesse dalla magistratura di Ancona. Un detenuto, che ha scontato anni di pena, ha partecipato alla vita sociale, ha avuto una forte revisione critica dei propri errori ed è pronto, secondo l’area trattamentale e la direzione, a poter avere la possibilità di scontare la pena in affidamento in prova o ad usufruire dei permessi premio, si vede vanificare tutto dai magistrati di sorveglianza: è quasi impensabile scendere al di sotto dei 4anni di pena e vedersi accettare positivamente l’affidamento in prova. Qua siamo in un istituto di reclusione attenuata di neanche 100 detenuti e possiamo assicurare che sono davvero pochi quelli che ogni anno vediamo usufruire del beneficio dell’affidamento in prova e quei pochi sono a fine pena. Stesso discorso vale per i permessi premio, per i quali l’ordinamento penale prevede, per i reati comuni, l’accesso al beneficio dopo aver scontato almeno un quarto di pena. In questo istituto, per la maggior parte dei casi, bisogna averne almeno scontato i due terzi per vedere accolta l’istanza, prima sono solo una serie di rigetti, ci sono addirittura caso di detenuti in articolo 21 esterno da parecchio tempo, che si vedono rigettare l’istanza perché ritenuto pericoloso o poco affidabile. 

«Mio figlio era malato, lo Stato lo ha lasciato morire in carcere. Ora voglio la verità»

Vogliamo puntualizzare che chi accede ad una reclusione attenuata ha sicuramente cessato la pericolosità sociale ed associativa e chiede di accedere ad un percorso trattamentale che possa consentire un reinserimento in società. La legge 199, che prevede di scontare gli ultimi 18 mesi di pena a casa propria, viene quasi sempre concessa negli ultimi giorni di pena. Teniamo a precisare che tutte le richieste di beneficio che noi detenuti inviamo, son sempre avallate dall’area trattamentale e dalla direzione, che dopo aver valutato ogni singolo caso, vede vanificare tutto il suo operato. Riteniamo di riscontrare dei magistrati di sorveglianza un atteggiamento che sembra ostile e prevenuto nei nostri confronti, un chiaro modo di fare di chi non crede assolutamente nel reinserimento dei detenuti o ostacola il ricongiungimento famigliare. I colloqui con i magistrati dovrebbero essere quasi mensili, qua non sono più di 2 volte l’anno e nelle poche occasioni, quasi sempre in video conferenza. Il magistrato risponde che non ha il fascicolo a portata di mano e che valuterà in seguito la richiesta. Il giorno 3 giugno 2019 i 2 magistrati assegnati al carcere di Barcaglione sono venuti per controllare le nostre condizioni e se qualche detenuto avesse problemi. Sono a malapena entrati nei reparti detentivo senza neanche darci il buongiorno, sono passati a testa bassa e non hanno controllato né visitato nessuna camera di pernottamento. Alla fine di questa falsa visita, sono andati via senza fare colloqui individuali con noi.  Questo istituto potrebbe essere un fiore all’occhiello, invece  ci sono molte richieste di trasferimento in carceri fuori dalle Marche. 

Abbiamo sbagliato e vogliamo scontrare la nostra condanna, ma vogliamo dignità e speranza e vorremmo che tutti capissero che un detenuto senza speranza è un detenuto morto. Chiediamo un’ispezione da parte degli organi preposti al fine di verificare l’operato dei giudici di Sorveglianza nel caso si configurino comportamenti illegittimi”.“

Rif:https://www.anconatoday.it/cronaca/lettera-detenuti-csm-magistrati-sorveglianza-ancona.html

Csm, Bonafede illustra la riforma in Parlamento: stop ai magistrati in politica e nessun incarico nelle Procure dopo la fine del mandato

Il ministro Alfonso Bonafede

Mai più passaggi diretti dalla politica al Consiglio superiore della magistratura. Il progetto di riforma della legge elettorale del Csm che il governo sta mettendo a punto dopo la bufera che ha investito Palazzo dei Marescialli punta a introdurre uno stop, prevedendo che «i membri laici che si candidano», cioè i professori e gli avvocati di nomina parlamentare, «non debbano aver avuto ruoli politici elettivi nei 5 anni precedenti».

Ad annunciare la stretta il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che parlando alla Camera ha confermato anche l’intenzione di mettere fine al fenomeno delle porte girevoli tra magistratura e politica: «Se un magistrato imbocca la strade della politica sappia che è a senso unico e non si torna indentro».

Bonafede ha risposto al question time a due interrogazioni sulle iniziative con le quali si intende reagire al «mercato delle nomine» tra politici e magistrati che sta emergendo dalle intercettazioni dell’inchiesta di Perugia a carico del pm romano ed ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Una vicenda che, secondo il Guardasigilli, ha portato «ai minimi storici» la credibilità dell’intera magistratura.

Il ministro ha spiegato che quella del Csm non sarà una riforma «punitiva», ma volta invece a «rilanciare il prestigio» del Csm, «depurandolo dal rischio di degenerazioni del correntismo e da possibili condizionamenti delle politica». Per questo non si interverrà solo sul sistema elettorale, che sarà affidato ad una norma ad hoc perchè è un tema su cui «il Parlamento deve avere totale centralità».

Si introdurranno anche limiti stringenti per tutti i componenti: se i laici non potranno più provenire da esperienze politiche elettive, i togati eletti dai magistrati non potranno utilizzare Palazzo dei Marescialli come trampolino di lancio per successivi incarichi direttivi. Dovranno infatti aspettare almeno quattro anni dalla fine del mandato prima di presentare la propria candidatura per il vertice di una procura o di un tribunale. E resta confermato il taglio dei compensi per tutti i consiglieri annunciato nei giorni scorsi.

Intanto il vice presidente del Csm David Ermini ha deciso di astenersi dal procedimento disciplinare a carico di Palamara: non sarà lui a presiedere la camera di consiglio del 2 luglio in cui la Sezione disciplinare deve pronunciarsi sulla richiesta del Pg della Cassazione Riccardo Fuzio di sospendere in via cautelare il pm romano dalle funzioni e dallo stipendio. Sarà un’udienza a porte chiuse alla quale potranno partecipare soltanto Palamara e i suoi difensori.

Rif:https://www.ilmessaggero.it/politica/bonafede_illustra_la_riforma_del_csm-4582242.html

Sentenze pilotate, due giudici del Consiglio di Stato vogliono patteggiare. Dall’indagine è nato l’esposto del pm Fava contro Ielo che ha dato il via alla guerra tra le toghe romane

PAOLO IELO

Vincere un ricorso davanti al Consiglio di Stato non era affatto difficile. Bastava sapere a chi rivolgersi, sganciare una mazzetta e attendere la sentenza tanto desiderata. Uno scandalo per il quale ieri hanno chiesto di patteggiare l’ex presidente del Consiglio di Giustizia amministrativa (Cga) della Sicilia Raffaele Maria De Lipsis, l’ex magistrato della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso e, in ultimo, il deputato dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso.

I tre sono accusati dalla Procura di Roma di aver messo in piedi una cricca specializzata nella compravendita di verdetti amministrativi capace, tra il 2014 e il 2015, di incassare ben 150mila euro. Una richiesta di patteggiamento su cui, il 26 giugno, dovrà esprimersi il gup di Roma, Costantino De Robbio. La quarta persona coinvolta in questa inchiesta, il giudice in pensione del Consiglio di Stato Nicola Russo, ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario che inizierà il prossimo 15 luglio.

Questa vicenda, di per sé molto importante, si intreccia con i recenti problemi interni al Csm. Si tratta del procedimento su cui lavoravano il procuratore aggiunto Paolo Ielo (nella foto) e il pm Stefano Fava, quest’ultimo poi spogliato dell’inchiesta, e in cui figuravano gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore. Un’indagine che convinse Fava a scrivere il famoso esposto contro Ielo e Giuseppe Pignatone da cui, di fatto, ha preso il via la cosiddetta guerra delle toghe.

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