Magistrati, ogni anno vengono archiviati 1200 procedimenti disciplinari ma nessuno sa perché

Magistrati, ogni anno vengono archiviati 1200 procedimenti disciplinari ma nessuno sa perché

Con il tacito consenso del ministro della Giustizia, ogni anno il Pg presso la Suprema Corte emette mediamente oltre 1200 provvedimenti d’archiviazione disciplinare, ma neppure il Csm li può leggere.

di Rosario Russo*

Lo scandalo delle Toghe Sporche è oggetto di procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Perugia. Inoltre, tutte le condotte dei magistrati inquisiti o coinvolti a diverso titolo dalle intercettazioni pubblicate dalla stampa sono – o saranno – oggetto di indagine disciplinare da parte del Procuratore generale della Suprema Corte di Cassazione.

Per legge, il Pg ha l’obbligo di esercitare l’azione disciplinare, per prevenire che egli possa agire pro amico vel contra inimicum, mentre il ministro della Giustizia ne ha soltanto la facoltà, che esercita in base a valutazioni sostanzialmente politiche.

Tuttavia, ricevuta una notizia disciplinare, con motivato provvedimento il Pg può discrezionalmente archiviare se il ministro non si oppone. Questo per effetto della riforma Mastella (2006) con cui è stata abrogata la disposizione che riservava al Csm la declaratoria di non luogo a procedere richiesta dal Pg al Csm, titolare del potere sanzionatorio nei confronti dei magistrati ordinari. Al Consiglio pervengono quindi soltanto le notizie disciplinari discrezionalmente non archiviate dal Pg.

Non è l’unica grave anomalia del sevizio disciplinare: malis mala succedunt. Con sentenza 6 aprile 2020 n. 2309 – in netto contrasto con lo spirito dell’Adunanza Plenaria 2 aprile 2020, n. 10 – il C.D.S. ha statuito che l’archiviazione del Pg è accessibile soltanto al ministro della Giustizia, restando perciò interamente opacaper l’autore della segnalazione disciplinare e perfino per il magistrato indagato e il Csm

Perché sono importanti questi rilievi? Perché nel periodo 2012-2018 (sette anni) risultano iscritte mediamente ogni anno 1380 notizie d’illecito disciplinare(segnalazioni con cui avvocati o cittadini denunciano abusi dei magistrati). Ogni anno il 91,6% di tali notizie (cioè 1264) è stato archiviato dal Pg e quindi soltanto per 116 di esse è stata esercitata l’azione disciplinare. Consegue che mediamente ogni anno oltre 1260 archiviazioni sono destinate al definitivo oblio, sebbene conoscerne la motivazione è tanto importante quanto apprendere le ragioni (a tutti accessibili) per cui le sanzioni vengono disposte dal Csm.

La ‘casa’ della funzione disciplinare, pilastro e primo avamposto della legalità, è dunque velata senza alcuna concreta ragione. Non è così infatti per altre archiviazioni. In ambito penale, se sia stata emessa l’archiviazione, qualunque interessato (indagato, terzo, denunciante o querelante) normalmente ha diritto di averne copia (art. 116 c.p.p.), essendo venute meno le ragioni della segretezza. Le archiviazioni disciplinari nei confronti degli avvocati sono d’ufficio notificate al denunciante; anche quelle nei confronti dei magistrati amministrativi sono ostese a chiunque ne abbia interesse. La segretezza delle archiviazioni disciplinari del Pg è quindi un inquietante unicum, specialmente a volere considerare che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo “l’abbandono di schemi obsoleti… secondo cui la miglior tutela del prestigio dell’ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare” (sent. n. 497/ 2000). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha sposato il principio generale della trasparenza (delibera del 5.3.2014).

e indagini penali nei confronti di taluni magistrati membri del Csm, coinvolti nello scandalo delle Toghe sporche, inevitabilmente hanno avuto – o avranno – anche un risvolto disciplinare. Se in qualche caso il Pg archiviasse – com’è in suo potere – non ne sapremo mai la ragione; eventuali archiviazioni in sede penale sarebbero invece accessibili. Absurdissimum, se si considera che, in sede disciplinare (come in sede penale), per il magistrato indagato l’archiviazione rappresenta l’esito più fausto e ambito (una… medaglia al valore giudiziario), anche rispetto alla sentenza di assoluzione emessa dal Csm o dalle Sezioni Unite (a tutti accessibile).

Introdotta finalmente la legge sulla trasparenza (D. lgs. n. 33/2013), è tempo che – specialmente in questa grave contingenza storica – anche la ‘casa’ dell’archiviazione disciplinare cessi di essere opaca senza alcuna plausibile ragione. Se la decisione amministrativa o giurisdizionale si distingue da “un pugno sul tavolo” soltanto in virtù della motivazione, non è ormai accettabile che al cittadino che abbia segnalato qualche abuso dei magistrati si risponda dicendo: archivio perché… archivio!

La rinascita della Giurisdizione, disfatta dal recente scandalo delle Toghe sporche, ne presuppone la piena e completa trasparenza.

* già sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte. Classe 1947, catanese, si laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti e la lode. Vincitore di borsa di studio, è professore a contratto presso l’Istituto di diritto privato etneo, diretto dal prof. G. G. Auletta. Nominato magistrato ordinario, presso i Tribunali di Caltagirone e Catania si occupa di diritto civile ma anche di maxiprocessi in Corte di Assise d’appello. Ha fatto parte dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia. Prima del pensionamento, ha svolto per oltre diciotto anni le funzioni (civili, penali e disciplinari) di sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte. Si è occupato dell’informatizzazione del sistema giudiziario e dei maxiprocessi. È autore di articoli e monografie di carattere prevalentemente giuridico. Scrive abitualmente sul sito Judicium.it, diretto dal prof. B. Sassani.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/07/10/magistrati-ogni-anno-vengono-archiviati-1200-procedimenti-disciplinari-ma-nessuno-sa-perche/5862432/

Rinascita Scott, Petrini e le promesse di danaro di Pittelli per aggiustare processi

petrini-pittelli

Nella cospicua mole di atti consegnati dalla Dda di Catanzaro al gip Claudio Paris nel corso dell’udienza preliminare su Rinascita Scott, l’inchiesta che ha fatto tremare le famiglie di ‘ndrangheta del Vibonese, compaiono i verbali di interrogatorio del magistrato Marco Petrini resi nell’ambito dell’inchiesta della distrettuale di Salerno, nome in codice “Genesi”, che svela un sistema corruttivo tra toghe sporche, legali e professionisti, un “patto” finalizzato ad “aggiustare processi in cambio di soldi”. In questi interrogatori emerge il nome di Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia, in arresto dal 19 dicembre dell’anno scorso, quando i carabinieri del Ros gli misero le manette ai polsi, nell’ambito della maxi operazione Rinascita Scott, coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri.

“L’omicidio Gentile e le promesse di Pittelli”

Il carteggio comprende l’interrogatorio di Petrini datato 5 febbraio 2020, in parte omissato, in cui il magistrato riferisce di conoscere il noto legale catanzarese, in quanto difensore di imputati in procedimenti da lui decisi come presidente del collegio di Corte di appello. Petrini confessa di aver ricevuto la promessa della dazione di una somma di denaro di 2.500 euro in cambio dell’esito favorevole di un processo a carico di un imputato da lui difeso, condannato in primo grado, collocando l’episodio in epoca successiva alla sua cessazione dalla carica parlamentare. “Dico ciò anche perchè durante il suo mandato parlamentare l’avvocato Pittelli aveva di fatto smesso di esercitare la professione di avvocato e comunque non era più presente in udienza, come prima di diventare parlamentare. La proposta corruttiva fattami personalmente dall’avvocato Giancarlo Pittelli avvenne nei locali della Corte di appello” e risale al 2016, ammettendo di aver accettato la promessa di ricevere il danaro in cambio dell’assoluzione dell’imputato da lui assistito. “L’imputato venne assolto dalla Corte di assise di appello se ben ricordo”. Il magistrato non rammenta in quella sede il fatto omicidiario che vedeva coinvolto l’imputato difeso da Pittelli, ma sarà più chiaro nell’interrogatorio del 25 febbraio  quando, dopo aver riferito di non aver ricevuto, nonostante l’esito favorevole, alcuna somma da Pittelli e dopo aver precisato di non aver avuto un buon rapporto con lui, parla del processo riguardante l’omicidio Gentile, ucciso nei pressi dei giardini di San Leonardo e che ha come imputato Nicholas Sia. I ricordi si fanno più nitidi ricordando che la Corte ridusse all’imputato la pena su sua proposta.  “Ribadisco che io ero relatore e la somma promessami da Pittelli non mi fu poi consegnata. Poi parla del  procedimento di Rocco Delfino: “mi fu promesso denaro ugualmente da Pittelli, si trattava di un procedimento di prevenzione patrimoniale per il quale si chiedeva la revocazione di un provvedimento di confisca definitivo emesso dal Tribunale di Reggio Calabria . Ricordo che il processo fu trattato alla presenza dell’avvocato Pittelli e dello stesso Delfino, il giorno precedente l’arresto di entrambi da parte della Dda di Catanzaro il 19 dicembre dell’anno scorso. Per questa vicenda la decisione non è stata adottata per quel che mi risulta.

Il patto da 2.500 euro

La promessa della somma di denaro per revisionare il provvedimento di confisca patrimoniale di Delfino  mi fu fatta da Pittelli nel novembre 2019 in Corte di appello. Ciò lo ricordo perché era in corso di trattazione il processo penale a carico di Nicholas Sia per il quale, come ho detto, ho accettato la promessa di 2.500 euro dallo stesso avvocato Pittelli

Sentenze truccate: niente patteggiamento per giudice Antonio Iannello

SCAFATI – Respinta la richiesta di patteggiamento, l’ex giudice di pace Antonio Iannello ora rischia di finire a processo insieme ad altri sette co-imputati. Il procedimento penale è quello sulle cosiddette “toghe sporche” di Torre Annunziata, fascicolo in mano al pm Anna Chiara Fasano del Tribunale nocerino. Nei giorni scorsi, infatti, il gip ha respinto la richiesta dell’avvocato Iannello, originario di Scafati, personaggio cardine dell’inchiesta, coinvolto nel presunto giro di mazzette e abusi al tribunale di città Oplontina.

L’ex magistrato onorario, sotto accusa per corruzione in atti giudiziari, aveva chiesto di patteggiare la pena al termine della fase preliminare partita con il blitz del 27 settembre 2018, nel quale furono coinvolti altri 22 soggetti accusati a vario titolo sempre di corruzione in atti giudiziari. L’attività investigativa era parte di un più ampio contesto d’indagine sviluppato prima dalla Guardia di Finanza di Torre Annunziata, poi da quella di Roma, e infine dalle Fiamme gialle di Nocera Inferiore. Nel corso delle indagini, a seguito delle diverse verifiche incrociate svolte dalla polizia giudiziaria delle Fiamme gialle, Iannello aveva subito un sequestro penale per il pericolo di reiterazione e inquinamento del quadro indiziario, soprattutto in merito alla ricostruzione di sospette movimentazioni bancarie avvenute dopo la notifica dell’ordinanza cautelare. Nel frattempo l’inchiesta è giunta alle prime condanne, tutte con rito alternativo.

Nel mirino delle Fiamme gialle erano finiti Giudici di Pace, consulenti, avvocati e procacciatori. Alcuni hanno chiuso la pendenza giudiziaria con il patteggiamento. Su Iannello i finanzieri hanno ricostruito operazioni di acquisto di veicoli e immobili intestati alla figlia, depositi in nome di familiari, numerosi versamenti bancari in denaro contante. Operazioni accertate nel periodo tra il 2015 e il 2018. E ancora bonifici dalle causali più svariate che coinvolgono anche le collaboratrici di studio, finite a loro volta nell’inchiesta che fece tanto scalpore.

Gli investigatori hanno intercettato acquisti sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati nonché captato intercettazioni telefoniche con un luogotenente dei carabinieri, a sua volta indagato, sulle preoccupazioni di Iannello sui possibili accertamenti bancari. Anche i social, definite dal gip “fonti di informazioni aperte”, offrirono altri spunti per la ricostruzione del tenore di vita di Ianiello e della sua famiglia ritenuto non confacente con i redditi dichiarati: viaggi e spostamenti dai costi importanti e una crescita patrimoniale quanto mai sospetta. Per la procura costituirebbero variabili illecite, indicatrici preziose.

L’inchiesta è arrivata ora alla fase finale e l’ex giudice rischia il rinvio a giudizio insieme ad altri sette correi. Per quanto riguarda Iannello, l’avvocato di fiducia Francesco Matrone aveva scelto per lui lo scivolo del patteggiamento. Richiesta che aveva incassato anche il parere favorevole del pm Fasano. Il gip del Tribunale dell’Agro, invece, non è stato dello stesso avviso ed ha rigettato la proposta, rinviando a giudizio l’ex magistrato ordinario. Ora si attende la convocazione dell’udienza preliminare che dovrà decidere se Iannello dovrà essere mandato a processo per le gravi accuse di corruzione.

Rif: https://www.lacittadisalerno.it/cronaca/scafati-sentenze-truccate-niente-patteggiamento-1.2502127

Magistratura corrotta, Paese infetto

Il vero obiettivo della politica sembra essere quello di riconquistare il controllo sul sistema giudiziario italiano che viene gestito ormai da tempo da un’associazione di magistrati all’interno della quale si continuano a verificare scontri e guerre intestine senza esclusioni di colpi, al cui confronto la battaglia politica sembra un gioco per educande..

ROMA – Le chat private di alcuni magistrati che esprimevano giudizi pesanti su Matteo Salvini sono state l’ultimo durissimo colpo alla credibilità della giustizia. Claudio Martelli, ex guardasigilli all’epoca del governo Craxi (1991-1993) ha commentato lo scambio di messaggi tra i magistrati Luca Palamara e Paolo Auriemma: “Da Palamara che cosa vuole aspettarsi? In questa situazione bisognerebbe arrivare a un rimedio decisivo. È del tutto evidente che l’Anm è diventata un’organizzazione che parassita lo Stato e permette di condizionare le scelte del Csm, perché influisce sull’elezione dei suoi membri. Si comporta come un partito politico. Contesta le decisioni del Parlamento, del governo e del ministro della Giustizia ogni due minuti. È un organismo che non si capisce più bene che cos’è, ma che comunque sembra votato a mal fare”.

Per Martelli a questo punto c’è solo una cosa da fare: “L’Anm andrebbe sciolta. Fa del male ai magistrati e alle istituzioni, dunque è una minaccia”. Un commento profetico. Adesso l’Anm, l’ Associazione nazionale dei magistrati, o meglio le sue correnti interne, sono state travolte dal grave contenuto delle intercettazioni, cercando di trascinare con sè persino il Consiglio Superiore della Magistratura.

Più di qualcuno adesso chiede al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di sciogliere l’attuale Consiglio Superiore della Magistratura che egli stesso presiede, di mandare a casa il vicepresidente David Ermini e i suoi consiglieri, nonostante il Capo dello Stato in realtà non abbia alcun potere in proposito, e peraltro sia anche prossimo alla scadenza del suo mandato presidenziale. 

Luca Palamara

Pochi ricordano e molti dimenticano che soltanto quasi un anno fa, quando esplose il “caso Palamara” ed il conseguente terremoto che propagò all’interno della magistratura inducendo alle dimissioni dei componenti togati (cioè magistrati) al Csm, era stato lo stesso Mattarella a chiedere un cambio di comportamento, intervenendo in qualità di presidente al plenum del Csm pronunciando parole durissime con le quali chiedeva un “cambio dei comportamenti” sostenendo che “accanto a questo vi è quello di modifiche normative, ritenute opportune e necessarie, in conformità alla Costituzione“. Ruoli diversi, tra magistratura e politica, con quest’ultima che avrebbe dovuto provvedere ad «una stagione di riforme sui temi della giustizia e dell’ordinamento giudiziario». 

Sei mesi dopo attraverso il deposito degli atti d’indagine sul “caso Palamara” al Giudice delle Indagini Preliminari di Perugia trapelano le intercettazioni acquisite grazie al “trojan” inoculato nel cellulare di Palamara, che coinvolgono anche molti giornalisti di importanti quotidiani nazionali come la Repubblica, la Stampa, il Corriere della Sera, e strani collegamenti (peraltro vietati dalla Legge) di alcuni di loro con delle costole dei “servizi” italiani.

“E secondo te io mollo? Mi devono uccidere. Peggio per chi si mette contro“. Con queste parole Luca Palamara la mattina del 23 maggio 2019 contenute nei messaggi inviati al suo collega (anche di corrente) Cesare Sirignano , si mostrava aggressivo e sicuro del fatto suo . La 5a Commissione Incarichi direttivi del Csm aveva appena espresso con il proprio voto i tre candidati per la guida della Procura di Roma, che vedeva in testa Marcello Viola, appoggiato dal gruppo Magistratura Indipendente e reale candidato “occulto” di Palamara, anche se la battaglia finale si sarebbe combattuta al plenum del Csm, e quindi l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (nonché ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura) si “armava” contro i membri togati di Area, il cartello che raduna la sinistra giudiziaria più estremista , decisi ad ostacolare la nomina sponsorizzata da Palamara. il quale li definiva con queste parole: «Sono dei banditi, vergognosi».

Palamara a cena con la sua “amica” del cuore… Adele Attisani 

Questa parte del dialogo intercettato si è rivelato utile per capire quale fosse la reale posta in gioco per la quale l’ex pm della procura di Roma oggi indagato per corruzione si preparava a giocare partita della sua carriera. Tutto questo è diventato “pubblico” la settimana successiva, contenuto nel decreto di perquisizione con il quale la Procura di Perugia rese pubbliche di fatto le trame occulte con cui Palamara stava “manovrando” dall’esterno del Csm la nomina del nuovo procuratore capo di Roma, venendo sostenuto e spalleggiato spalleggiato dai deputati del Pd Cosimo Ferri (giudice in aspettativa e “leader” riconosciuto della corrente di  Magistratura indipendente) e Luca Lotti.

Luca Lotti (Pd) 

La rivelazione di quelle trame oscure provocò un vero e proprio “terremoto” all’interno del Csm, con le dimissioni di tre componenti di Magistratura Indipendente e due di Unicost e contestualmente la prima crisi interna all’Anm. La maggioranza a tre fra AreaMagistratura Indipendente ed Unicost si azzerò allorquando Magistratura Indipendente venne accusata di non aver agito con la necessaria fermezza nei confronti dei propri consiglieri che partecipavano alle “riunioni segrete notturne” organizzate dal “trio” Palamara-Ferri-Lotti, e fu così nacque una nuova maggioranza della giunta dell’ Anm composta da Area, Unicost che aveva «epurato» il suo leader Luca Palamara e i due componenti del Csm dimissionari, ed i togati di Autonomia e indipendenza la corrente guidata da Piercamillo Davigo.

Piercamillo Davigo

Dopo solo un anno siamo punto e capo con la nuova crisi dei nostri giorni. Ma questa volta la rottura fra le correnti della magistratura è avvenuta tra Area e Unicost, a seguito della chiusura dell’indagine nei confronti di Luca Palamara, per la quale la Procura di Perugia (competente sugli uffici giudiziari di Roma) ha depositato tutti gli atti d’inchiesta comprese le “bollenti” ed imbarazzanti intercettazioni.

Ma non soltanto, ci sono anche le chat delle conversazioni su WhatsApp dal 2017 in avanti,  trovate sul cellulare di Palamara che all’epoca delle intercettazioni era componente del Csm, sino al settembre 2018, e di fatto “governava” la magistratura raggiungendo spesso e volentieri accordi e alleanze con i togati di “Area” e i laici di centrosinistra, anche perché tra il 2008 e il 2012 aveva guidato l’Anm proprio al fianco di Area ).

Pietro Argentino e Maurizio Carbone

Un esempio calzante delle manovre dietro le quinte del Csm, fu l’archiviazione del procedimento disciplinare nei confronti del magistrato tarantino Pietro Argentino, accusato dal Tribunale di Potenza e dal Gip di Potenza di aver mentito per coprire le malefatte del collega Matteo Di Giorgio(attualmente in carcere dove sta scontando 8 anni di carcere), il quale subito dopo è diventato procuratore capo a Matera, incarico scambiato a tavolino con la nomina di Maurizio Carbone, ex segretario dell’ ANM, nominato “all’unanimità” (con l’appoggio di Unicost e Palamara) procuratore aggiunto di Taranto al posto proprio di Argentino ! Attualmente nei confronti dei magistrati “scambisti” Argentino e Carbone pende un procedimento dinnanzi alla 1a Commissione del Csm, che qualcuno aveva cercato di insabbiare e fare sparire. Inutilmente.

Gli attacchi a Salvini

Le conversazioni di Palamatra con i colleghi della sua stessa corrente (ma non mancano quelli di Area e di Mi), che rivelano e portano alla luce patti e manovre occulte per piazzare questo o quel magistrato nei vari posti, per poi “fotterne” altri , risalgono a quel periodo. Una vera e propria spartizioni di nomine e incarichi decisi con un bilancino correntizio, «espressive di un malcostume diffuso di correntismo degenerato e carrierismo spinto, fino a pratiche di vera e propria clientela», per usare un comunicato firmato da Area che pretendeva delle prese di posizione più rigide da parte di Unicost, e così ha origine la seconda crisi nel sindacato dei giudici. 

Palamara è stato in realtà un alleato della sinistra giudiziaria sino all’autunno 2018, ed è proprio da questa alleanza inimmaginabile che hanno origine gli attacchi al leader leghista Matteo Salvini in alcune conversazioni private, a cui hanno fatto seguito delle folli aperture di indagini sul leader leghista.

Alla fine agosto 2018 il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma ex membro togato del Csm e compagno di corrente in Unicost di Palamara manifesta il suo dissenso sull’ inchiesta aperta a carico del ministro dell’Interno, per la vicenda dei migranti trattenuti a bordo della nave Diciotti.  Palamara al telefono gli rispondeva: «Hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo». Chi era il mandante ? Probabilmente il PD in cui all’epoca dei fatti militavano Renzi, Ferri e Lotti.

Pochi giorni dopo Palamara manda una foto Francesco Minisci (sempre di Unicost) a quell’epoca presidente dell’Anm, scattata a Viterbo alla festa di Santa Rosalia, che così commenta: «C’è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto». Minisci risponde diplomaticamente «Va dappertutto». Qualche mese dopo proprio Minisci a finire “azzoppato” da Palamara, che così scriveva a Sirignano: “Già fottuto Minisci”.

Saltano gli equilibri: le nuove alleanze

Conclusosi il mandato al Csm a fine settembre cambiano alleanze, equilibri e schieramenti fra le correnti dei magistrati.. Perché nel nuovo plenum di Palazzo dei Marescialli (sede del Csm – n.d.r.) la corrente di Area non è più quell’alleato affidabile come prima e soprattutto Palamara ha intuito che non potrà contare sul loro sostegno per l’ambita poltrona di procuratore aggiunto a Roma , lasciata libera dal collega Giuseppe Cascini, da poco eletto al Csm, proprio grazie all’appoggio dell’ex pm che così manovrando aveva preparato una vera e propria staffetta a tavolino. 

E’ così che ha origine l’alleanza raggiunta da Palamara con la corrente di Magistratura Indipendente guidata dal “nume tutelare” Cosimo Ferri ex magistrato diventato deputato, ben noto per le sue capacità di trasformismo politico, passato dalla corte di Berlusconi , per poi passare con il Pd guidato da Matteo Renzi, che ha recentemente seguito ad Italia Viva). Un’accordo con la politica finalizzato alla nomina del nuovo procuratore capo di Roma e subito dopo di se stesso come procuratore aggiunto. 

Ma l’inchiesta per corruzione a suo carico ha fatto saltare il “banco”. portando alla luce un anno tutte le manovre dietro le quinte del Csm, l’intreccio delle sue imbarazzanti relazioni e vergognose opinioni. Non mancano gli intenti vendicativi (da buon calabrese…) contro i colleghi di Area. “Bisogna sputtanarli”, gli scriveva Sirignano, magistrato che il Csm ha trasferito la settimana scorsa dalla Procura Nazionale Antimafia, a causa di un’altra intercettazione in cui parlando al telefono con recentemente del suo ufficio e della prossima nomina del nuovo procuratore di Perugia, replicava convinto: «Esatto».

Luca Palamara e Cosimo Ferri

L’appello del Capo dello Stato in realtà aggiunge quindi ben poco allo scenario già noto di una continua e mai interrotta spartizione di poltrone ed incarichi in cui il Csm diventa la “centrale operativa” di magistrati eletti che ubbidiscono alle corrente che li hanno candidati ed eletti. Un sistema malato ricordato anche ieri con comunicati e prese di posizione che inducono il Governo e la maggioranza a ricordarsi che così la giustizia non può funzionare, e che occorre intervenire incidendo anche sui meccanismi di nomina del Csm. Qualcuno però dimentica che in questa maggioranza governativa politica siano presenti anche Cosimo Ferri (un magistrato in aspettativa) deputato del Pd ora passato con Italia Viva di Matteo Renzi, e Luca Lotti a lungo il braccio destro dell’ex-premier fiorentino, ora a capo di una propria corrente interna nel Partito Democratico.

Al momento però il vero obiettivo della politica sembra essere quello di riconquistare il controllo sul sistema giudiziario italiano che viene gestito ormai da tempo da un’associazione di magistrati all’interno della quale si continuano a verificare scontri e guerre intestine senza esclusioni di colpi, al cui confronto la battaglia politica sembra un gioco per educande.. 

Alquanto improbabile che si arrivi ad una reale riforma ed alla separazione delle carriere dei giudici come sono tornati a chiedere nuovamente anche ieri gli avvocati. La pubblicazione delle intercettazioni che continuano ad essere pubblicare in questi giorni dimostra che l’uso diabolico delle stesse continua ad essere utilizzato anche da parte di coloro che da tempo lo hanno criticato. Adesso più di qualcuno vorrebbe accompagnare alla porta d’uscita l’avvocato fiorentino Davide Ermini, il vicepresidente del Csm (indicato proprio dal Pd di cui è stato deputato ) , l’unico ad essere uscito a testa alta dallo scandalo scoppiato un anno fa, dimostrando di non aver mai ceduto alle pressioni di Lotti, Ferri e del magistrato Palamara i cui comportamenti gli sono costati in via cautelare la sospensione dalla magistratura senza stipendio ed a breve un processo per corruzione.

il magistrato Nicola Gratteri

Questa nuova stagione di intercettazioni ha colpito e mandato in pezzi l’Anm. I nuovi scandali hanno riguardato il rapporto tra il Guardasigilli Bonafede, i magistrati del suo staff pressochè tutti dimissionari, intercettati e coinvolti in vari scandali, hanno un filo rosso che li collega fra di loro: l’inchiesta sulla famosa “trattativa Stato-Mafia“. E tutto ciò fa capire come mai Renzi fu bloccato dal Quirinale (presidenza Napolitano) quando voleva nominare ministro di Giustizia nel suo Governo il magistrato Nicola Gratteri , e spiega la mancata nomina ai nostri giorni del magistrato antimafia Nino Di Matteo a capo del DAP il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

E dire che questa la chiamano anche “giustizia”…

Rif:https://www.ilcorrieredelgiorno.it/magistratura-corrotta-paese-infetto/

Inchiesta di Firenze, indagati ex pm Duchini e Colaiacovo: le accuse

Inchiesta di Firenze, indagati Duchini e Colaiacovo: le accuse

Avviso di conclusione delle indagini a 7 persone tra cui l’ex pm di Perugia | Tra i reati contestati, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio

La Procura di Firenze ha chiuso l’inchiesta sull’ex procuratore aggiunto di Perugia Antonella Duchini, indagata per corruzione, abuso d’ufficio, rivelazione di segreto istruttorio e peculato.

Tra gli indagati (l’avviso di conclusione delle indagini è arrivato a sette persone) anche Carlo Colaiacovo, patron Colacem ed ex presidente di Confindustria Umbria, gli ex sottufficiali del Ros, Orazio Gisabella e Costanzo Leone, e l’imprenditore Valentino Rizzuto.

Secondo la procura di Firenze, Colaiacovo avrebbe istigato i concorrenti nella commissione dei reati di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto. I fatti risalgono agli anni tra il 2016 e il 2017, quando Duchini, che indagava su un procedimento penale relativo alla famiglia Colaiacovo, “comunicava – si legge nelle carte – a Gisabella, e per suo tramite a Leone, notizie relative alla tempistica del compimento di atti di indagine del procedimento”.

Violando i loro doveri di ufficio”, sarebbero state fatte visionare a un dipendente delle consulenze tecniche e le trascrizioni di conversazioni telefoniche intercettate e una nota della guardia di finanza di Perugia. Inoltre, a Carlo Colaiacovo sarebbe stata “comunicata l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza della quota della società Financo di proprietà della Franco Colaiacovo Gold”, fatto – secondo l’accusa – concordando contenuti e tempistica dell’emissione, al solo scopo di “impedire l’erogazione di finanziamenti in favore di Giuseppe e Franco Colaiacovo”, favorendo quindi Carlo Colaiacovo nel suo progetto di acquistare quote.

Tesi che il diretto interessato respinge: contattato dal Corriere dell’Umbria, fa sapere di non aver commesso i fatti contestati, tra cui l’acquisto delle quote che non si è mai verificato.

Accuse respinte al mittente, in passato, anche dagli avvocati del magistrato, Nicola Di Mario e Michele Nannarone, che a metà luglio 2018 definivano gli addebiti “privi di fondamento giuridico”.

Tesi ribadita con una nota oggi, con cui Duchini, insieme a Gisabella e per tramite dei legali Di Mario e Nannarone, scrivono che “la lettura delle evidenzia delle criticità di contenuto, che riguardano da un lato l’inquadramento giuridico della vicenda e dall’altro la ricostruzione del suo profilo storico-fattuale”. I legali in particolare segnalano un “assoluto difetto degli elementi costitutivi dei reati” e che “le contestazioni di peculato riguardano decreti di liquidazione compensi per attività di consulenze tecniche svolte in modo effettivo e corretto e perciò doverosamente retribuite”.

Duchini è inoltre indagata, insieme a Gisabella, all’imprenditore Valentino Rizzuto per corruzione. Nel mirino della Procura i 108mila euro che Rizzuto avrebbe dato a Gisabella, “insieme ad altre utilità, consistenti nel pagamento di viaggi all’estero, per avere Duchini, d’intesa con l’avvocato Pietro Gigliotti (che non è indagato) compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio, quali, tra gli altri, avere definito favorevolmente il procedimento contro Rizzuto”.

A Gisabella, Duchini e altre due persone viene anche contestato il peculato (ma le accuse sono prescritte, in quanto risalgono a prima del 2011) e, nello specifico, di essersi appropriati di parte delle somme liquidate in favore di consulenti della procura, circa 400.000 euro.

Rif: https://tuttoggi.info/inchiesta-di-firenze-indagati-duchini-e-colaiacovo-le-accuse/538882/

Abusi in chiesa, per il pm il fascicolo è da archiviare: “Dopo i 14 anni era consenziente”

Per la Procura della repubblica di Larino il fascicolo sui presunti abusi sessuali subiti a 14 anni da Giada Vitale da don Marino Genova è da archiviare, in quanto, da quell’età in poi la ragazza sarebbe stata capace di scegliere. L’ex parroco di Portocannone è stato condannato in due gradi di giudizio a 4 anni di carcere per aver abusato sessualmente di Giada, fino al compimento dei 14 anni di età. Da quel momento, infatti, la ragazza è stata considerata responsabile.

Per la Procura della repubblica di Larino il fascicolo sui presunti abusi sessuali subiti a 14 anni da Giada Vitale da don Marino Genova è da archiviare. La richiesta è stata presentata al gip una settimana fa dal pubblico ministero Ilaria Toncini. La situazione, tuttavia, è piuttosto complessa. Don Marino, infatti, ex parroco di Portocannone, in Molise, è stato condannato in due gradi di giudizio a quattro anni di carcere per aver abusato sessualmente di Giada Vitale, nel 2009. Attenzione, però, solo per gli abusi avvenuti fino al compimento del 14esimo anno di età di Giada, quindi, per un periodo di due mesi. Per 60 giorni, dunque, Don Marino è considerato un abusatore e come tale è stato condannato, mentre per i tre anni successivi, ovvero fino ai 17, Giada è considerata dal tribunale consenziente.

La spiegazione si fonda, per la Procura, sull’indagine psicologica riguardante quegli anni. Sono stati ascoltati medici e psicologi che hanno avuto in cura Giada Vitale nel periodo di interesse e l’esame di queste testimonianze e dei documenti per il pm Toncini, non avrebbe fatto emergere “in maniera chiara e univoca una condizione di inferiorità fisica o psichica della parte offesa”. Giada, insomma, pur essendo stata vittima di abusi nei mesi precedenti, per la Procura avrebbe immediatamente acquistato, compiendo 14 anni di età, una tale consapevolezza di sé e della realtà da poter scegliere consapevolmente di proseguire ‘la relazione’ –  perché tale verrà considerata di lì in poi – con il parroco.

“Non è possibile al punto di vista psicologico isolare il vissuto di un soggetto e dividere la sua vita e dei momenti, senza considerare quanto sia accaduto precedentemente – dice Luisa D’Aniello, criminologa, psicologa forense e consulente di Giada Vitale – Il risultato non può essere che distorto e falsato. Il trauma dell’abuso sessuale ha provocato irreversibilmente danni al processo maturativo determinando la successiva vulnerabilità della Vitale a sottostare, dopo i 14 anni, alle violenze sessuali. L’abuso  – spiega – è un evento traumatico che interrompe il normale flusso vitale e introduce nella vittima un prima e un dopo nel quale il tempo viene congelato poiché nulla potrà essere più come prima. L’abusante – conclude – ha conferito ingannevolmente normalità e comportamenti sessualizzati assunti tanto da generare nella ragazzina una confusione permanente. Per questi motivi, la ragazza non poteva prestare consenso”.

Rif:https://www.fanpage.it/attualita/abusi-in-chiesa-per-il-pm-il-fascicolo-e-da-archiviare-dopo-i-14-anni-era-consenziente/

Bellomo e i presunti abusi sulle aspiranti magistrate: i pm chiedono la condanna, l’ex giudice in arresto

Bellomo tra alcune allieve dei suoi corsi

Il “caso” Bellomo arriva al Tribunale di Bari il prossimo 8 settembre  per l’udienza preliminare nei confronti dell’ex giudice del Consiglio di Stato. Francesco Bellomo rischia il processo per i presunti maltrattamenti su quattro donne, tre ex borsiste e una ricercatrice della sua Scuola di Formazione per la preparazione al concorso in magistratura ‘Diritto e Scienza’, alle quali avrebbe imposto anche dress code. Deve rispondere anche di un episodio di estorsione ad un’altra ex corsista, per averla costretta a lasciare il lavoro in una emittente locale; e di calunnia e minaccia nei confronti dell’attuale presidente del Consiglio Giuseppe Conte, all’epoca vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, e di Concetta Plantamura, rispettivamente ex presidente ed ex componente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo quando nel 2017 fu sottoposto a procedimento disciplinare, poi destituito.

La richiesta di condanna

La Procura di Piacenza ha chiesto una condanna a tre anni e quattro mesi per l’ex consigliere di Stato Francesco Bellomo, a processo in abbreviato per stalking e lesioni ai danni di una giovane partecipante alla scuola di formazione ‘Diritto e Scienza’. La ragazza sarebbe stata insultata, minacciata e sottoposta a interrogatori, anche incrociati, sulla vita sessuale. Il pm Emilio Pisante e il procuratore Grazia Pradella hanno chiesto anche un anno e quattro mesi per il coimputato, l’ex pm di Rovigo Davide Nalin. L’avvocato barese Andrea Irno Consalvo, organizzatore dei corsi all’interno della Scuola, è accusato di false informazioni al pm per aver “taciuto quanto a sua conoscenza” sui rapporti tra Bellomo e le corsiste.

Il cosiddetto “addestramento” della borsista

Quello piacentino è il primo processo a Bellomo che si avvicina alla sentenza, prevista in una prossima udienza, dopo le arringhe dei difensori degli imputati, il professor Vittorio Manes e l’avvocato Beniamino Migliucci. Agli atti del processo piacentino ci sono i racconti della giovane borsista che, secondo la ricostruzione accusatoria, ha subito un “addestramento” che l’ha coinvolta in modo totalizzante. Ha dovuto seguire un rigido codice, tra cui il divieto di sposarsi pena la decadenza della borsa, con la richiesta di una tabella con indicazione di luoghi, frequenza e modalità con riguardo alla vita sessuali. Con insulti per il ‘basso punteggio algoritmico’ registrato dagli ex fidanzati, almeno secondo le aspettative degli imputati. La giovane, prima dell’inizio dell’udienza preliminare, aveva ritirato la denuncia-querela e non è costituita in giudizio

Agli arresti domiciliari

Nell’ambito dell’indagine della Procura di Bari, coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dalla pm Daniela Chimienti, Bellomo è attualmente detenuto agli arresti domiciliari. Bellomo fu arrestato la prima volta l’8 luglio 2019. Venti giorni dopo, il 29 luglio, il Tribunale del Riesame revocò la misura cautelare sostituendola con l’interdizione per dodici mesi. La Procura impugnò questa decisione e, dopo la pronuncia favorevole della Cassazione, nuovi giudici del Tribunale della Libertà di Bari, il 10 luglio scorso, hanno ripristinato la misura degli arresti domiciliari, che lui ha nuovamente impugnato in Cassazione.

rif: https://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/processo-bellomo-chiesta-la-condanna/

Corruzione e falso, chiesto il processo per PM Eugenio Facciolla. Rinvio a giudizio per altri

Facciolla vuole tornare al tribunale di Castrovillari | Calabria7

Rinvio a giudizio per tutti gli imputati, accusati di corruzione e falso, ma anche di presunti illeciti nell’affidamento alla Stm del noleggio di apparecchiature per intercettazioni.

Così, ieri, il pm di Salerno Luca Masini ha chiesto il processo per Eugenio Facciolla, sotto inchiesta per corruzione in atti d’ufficio insieme all’agente della polizia stradale Vito Tignanelli e a sua moglie Marisa Aquino, e per una presunta falsificazione di atti d’indagini con il maresciallo dei carabinieri forestali Carmine Greco. 

Facciolla per gli inquirenti campani avrebbe assegnato alcuni incarichi per attività intercettive alla “Stm srl”,un’azienda del settore già sotto inchiesta a Napoli per l’affaire Exodus, il software spia commercializzato proprio dalla ditta Tignanelli-Aquino.

Programma che, oltre a violare in modo abusivo i telefoni di centinaia di persone, avrebbe messo a rischio anche i segreti di numerose Procure italiane che lo usavano.

In merito alla vicenda salernitana, e per l’accusa, a fronte degli incarichi ricevuti dalla Procura di Castrovillari, la Stm avrebbe ricambiato la cortesia con un sistema di videosorveglianza impiantato sotto casa del magistrato Facciollae avrebbe poi messo a sua disposizione una sim card.

L’avvio delle indagini risale al 2018, quando la Procura di Catanzaro ha avviato un’inchiesta sui presunti rapportitra la ‘ndrangheta e il maresciallo Greco che, da ex collaboratore di Facciolla, è oggi sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa.

A seguito degli accertamenti disposti sarebbero emerse delle irregolarità a carico del procuratore del Pollino, come le falsificazioni di atti d’indagini, una delle quali contestate anche a un altro carabiniere, Alessandro Vincenzo Nota.

Per questo l’ufficio di Nicola Gratteri ha inviato tutta la documentazione del caso a Salerno, competente per indagini a carico di magistrati del distretto di Cosenza e Catanzaro.

Da qui l’avvio degli scontri da Gratteri e l’ex procuratore generale della Corte d’Appello, Otello Lupacchini. È stato quest’ultimo a contestare a Gratteri di essersi spogliato in ritardo della competenza sull’inchiesta, continuando così a indagare in modo da lui ritenuto illegittimo.

Tema usato e ripreso dallo stesso Facciolla nel corso della scorsa udienza, quando ha messo in evidenza quelle che secondo lui sarebbero ombre sui criteri di conduzione dell’inchiesta.

Nel corso della sua lunga autodifesa, l’ex procuratore – oggi declassato a giudice civile e trasferito dal Csm a Potenza – si è anche proclamato vittima di “un omicidio professionale”. 

Nel corso dell’udienza di ieri, Facciolla ha reso diverse dichiarazioni, così il giudice, per la necessità di fonoregistrarele sue dichiarazioni, ha deciso di rinviare i lavori al 20 luglio.

L’udienza preliminare, invece, si concluderà il 7 settembre, data in cui il giudice campano deciderà in merito al proscioglimento o al rinvio a giudizio degli imputati.

Rif: http://www.cn24tv.it/news/209645/corruzione-e-falso-chiesto-il-processo-per-facciolla-rinvio-a-giudizio-per-altri.html

Csm, il pm corrotto (Longo) ha incontrato la presidente del Senato Casellati per una raccomandazione

Csm, il pm corrotto ha incontrato la presidente del Senato Casellati per una raccomandazione

Giuseppe Longo parla degli incontri con la presidente di Palazzo Madama «per una promozione». E spunta il ruolo chiave del suo consigliere. Nei verbali anche il nome di Legnini, ex numero 2 del Csm: «L’ho visto nel suo ufficio»

Lo scandalo che ha investito i vertici della magistratura italiana, mutilato il Csm, colpito esponenti di peso del Partito democratico è esploso, lo sappiamo, grazie alle intercettazioni effettuate dalla procura di Perugia sul cellulare di Luca Palamara, il pm che temeva – fossero venute alla luce le sue manovre sulle procure – di essere poi considerato il regista «della P5, quello delle nomine» .

In pochi ricordano che lo tsunami è partito da lontano. Da una piccola procura siciliana, quella di Siracusa. Il frangente ha preso origine dal minuscolo ufficio al secondo piano di un misconosciuto pubblico ministero, Giuseppe Longo. Buon amico di Palamara, il cinquantenne appassionato di fitness ha venduto – come lui stesso ha ammesso patteggiando una condanna a cinque anni di carcere – la sua funzione pubblica agli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore. I due imprenditori, elargendo mazzette e favori, hanno pilotato le sentenze del pm, che proteggeva i loro interessi e quelli dei loro clienti. Gli obiettivi erano plurimi: mettere le mani su appalti importanti, evitare ostacoli giudiziari, e persino aprire inchieste farlocche (come quella su presunti ricatti ai vertici dell’Eni) per mettere i bastoni tra le ruote all’istruttoria della procura di Milano, che da anni sta conducendo una delicata inchiesta per corruzione internazionale sul colosso petrolifero.

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Le nuove rivelazioni choc dell’inchiesta. Il pm indagato per corruzione: «Ho parlato di Roma, di Lo Voi, di Creazzo: possono dire che sono quello che fa le nomine». Le mire dei congiurati: «Ridimensionare» la procura di Napoli e ricattare Pignatone. «È un matto vero, uno stronzo. Tu devi solo fargli capì che finisce male». Il pm Sirignano a Palamara: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti» 

È dunque da Longo (che collabora da tempo con gli inquirenti, dai quali è considerato attendibile) e dal cosiddetto “Sistema Siracusa” scoperto nel 2017 che parte l’onda destinata, due anni dopo, a travolgere i vertici della magistratura italiana.

La storia, però, non è finita. E ogni giorno ha il suo colpo di scena. L’Espresso ha adesso scoperto che il pm corrotto nei suoi verbali ha fatto il nome anche del presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. E quello dell’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini.

Longo ha infatti raccontato ai magistrati di Messina (e poi a quelli di Perugia) che lui – nella primavera del 2016 – sarebbe riuscito a incontrare sia la Casellati, allora potente membro del Csm in quota Forza Italia, sia l’allora numero due di Palazzo Marescialli, esponente del Pd. E che a entrambi ha chiesto una raccomandazione per essere promosso a capo di una procura. Non di Gela, ma di Ragusa.

ERAVAMO TRE AMICI AL BAR
Andiamo con ordine, partendo dall’incontro con l’avvocato berlusconiano sedutasi un anno fa sulla poltrona più prestigiosa di Palazzo Madama. «L’incontro è avvenuto nel bar fuori al Csm», conferma Longo all’Espresso, spiegando di voler parlare solo di contenuti «attinenti» ai suoi interrogatori. «Ho parlato con la Casellati della mia candidatura a Ragusa. Lei ha preso copia della mia domanda con i pareri di professionalità».

Ma come ha fatto Longo a entrare in contatto con la Casellati? Il pm ha raccontato che all’appuntamento non andò da solo. Ma che fu accompagnato da un uomo assai vicino all’attuale presidente del Senato. Si tratta di Filippo Paradiso, un dirigente della polizia di Stato che – come vedremo – ha rapporti di alto livello con il mondo della magistratura italiana. E qualche guaio con la giustizia. Fu lui, secondo Longo, a organizzare il meeting tra i tavolini del bar. E fu sempre Paradiso, e questa è una certezza, che riuscì a entrare nell’ottobre 2018 nello staff del gabinetto della presidente del Senato.

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Per ottenere l’appoggio della Casellati – sostiene Longo – «sono andato insieme a Paradiso, che mi era stato presentato un paio di settimane prima da Giuseppe Calafiore. Con la Casellati, (Paradiso) era in ottimi rapporti… lei comunque non mi ha garantito nulla». E al cronista che gli chiede se davvero non fu preso alcun impegno per la sua sponsorizzazione per la promozione a Ragusa, Longo chiarisce secco: «Guardi, è evidente che promesse esplicite non ne sono state fatte. Ma se organizzo un incontro con dei consiglieri (del Csm, ndr) attraverso persone considerate a loro vicine, diciamo che qualche aspettativa poteva essere implicita».
Le speranze di promozione naufragarono presto, visto che Longo subì di lì a qualche tempo un procedimento disciplinare per il caso Eni, mentre ipotesi su una sua incompatibilità ambientale bloccarono sul nascere qualsiasi salto di carriera. Non sapremo mai, dunque, se l’incontro con la Casellati (e quello con Legnini) avrebbe dato i frutti sperati.

Fosse confermato il resoconto dell’ormai ex magistrato, però, bisognerebbe capire come mai, e a che titolo, la Casellati si fidasse di Paradiso – che non aveva alcun incarico nel Csm – tanto da incontrare il pm che il “mediatore” voleva farle conoscere.

Anche perché il dirigente del ministero dell’Interno che lei stessa ha voluto al Senato come suo consulente risulta, almeno a leggere altri verbali, assai vicino alla cricca di Siracusa. Il 6 luglio del 2018, ai pm messinesi e romani che gli domandavano di quali fossero «altre realtà istituzionali permeate da attività di lobbying illecita» posta dal gruppetto capeggiato da Amara, Calafiore chiarisce: «Una cosa del genere la faceva Amara con Paradiso, funzionario che lavorava presso il ministero dell’Interno. Egli svolgeva funzioni di pubbliche relazioni per conto di Amara, che lo dotava di una carta di credito e in un’occasione gli ha dato anche dei soldi, 2100 euro».

Dichiarazioni da verificare (Paradiso ha ammesso di conoscere Amara, ma di non aver mai ricevuto somme di denaro), ma all’Espresso risulta che il dirigente del ministero di Salvini sia ancora indagato a Roma. Non per corruzione, ma per traffico di influenze. Il sospetto degli inquirenti capitolini, dunque, è che Amara e i suoi volessero sfruttare le sue conoscenze nel mondo della politica e della magistratura. Vedremo se le ipotesi di reato verranno confermate.

IL PARADISO DELLA CASELLATI
Come mai Casellati ha scelto proprio un poliziotto come suo consulente a Palazzo Madama? «Paradiso è vicepresidente del comitato esecutivo del “Salone della Giustizia” e avrebbe dovuto occuparsi di organizzare eventi in materia di sicurezza», spiegano dallo staff della presidente del Senato, citando l’ente presieduto da Carlo Malinconico e che nel comitato scientifico vanta, come presidente, Guido Alpa, il mentore del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «L’incarico di Paradiso in Senato si è concretizzato dopo il Salone dell’anno scorso, a cui partecipò anche la Casellati».

Se il magistrato corrotto sostiene di aver incontrato l’allora componente del Csm grazie a Paradiso già nel 2016, in Senato sottolineano come il dirigente abbia comunque lavorato con loro per pochi mesi, e a titolo del tutto gratuito. Inoltre, affermano che «l’incarico stesso non è mai stato di fatto svolto». Dall’1 novembre 2018, infatti, la presidente del Senato ha voluto come suo consigliere giuridico l’ex membro togato del Csm, Claudio Maria Galoppi. «La gestione degli eventi è passata a lui», concludono dallo staff della Casellati. «Tanto che a gennaio 2019 Paradiso ha risolto il rapporto in maniera formale con noi». Gennaio non è un mese qualunque: è allora che i giornali accennano per la prima volta al fatto che Paradiso (che veniva indicato dagli articoli solo come collaboratore della segreteria del gabinetto di Matteo Salvini) è coinvolto in un’inchiesta della procura di Roma.
Al netto dell’opportunità di incontrare un pm che cercava una spintarella in un bar usando i buoni uffici del suo amico Paradiso, Casellati poteva certamente essere all’oscuro delle attività corruttive di Longo, Amara e Calafiore, e del fatto che l’ex poliziotto avesse rapporti cordiali con la cricca. Però il motivo per cui la presidente del Senato – nonostante la notizia dell’arresto di Longo campeggiasse sulle pagine di tutti i giornali già all’inizio del 2018 – abbia ugualmente nominato lo scorso ottobre Filippo Paradiso (cioè l’uomo che gli aveva presentato Longo due anni prima) come suo consigliere e consulente di fiducia resta un mistero.

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Sappiamo solo che il poliziotto, oltre alla vicepresidenza del Salone della giustizia, ha eccellenti rapporti con molti magistrati di peso, che conosce bene il potente capo di gabinetto del presidente di Palazzo Madama (il magistrato Nitto Palma, con cui ha collaborato quando era sottosegretario all’Interno), che ha lavorato al dicastero dell’Agricoltura ai tempi del ministro Saverio Romano (che lo mise nel cda di una società partecipata, la Agecontrol), e che ha pubblicato un libro intitolato “La nuova normativa in materia di corruzione e concussione”.

Torniamo ai verbali di Longo. Il pm conferma all’Espresso che chiese aiuto, per la sua carriera, anche a Palamara, che oggi è indagato dai pm di Perugia con l’accusa di aver intascato 40 mila euro da Amara e Calafiore, denaro a lui girato per agevolare e favorire, come membro del Csm, la promozione del pm a capo della procura di Gela.

Gli avvocati degli indagati hanno smentito con forza, e a oggi non sappiamo se l’accusa troverà riscontri. «Palamara non mi promise nulla», aggiunge adesso Longo. «Mi diede solo qualche consiglio sulle successive domande. Ovvero puntare su procure piccole del centro Nord, considerata la mia giovane età… pur avendo ottimi pareri»

Ma c’è di più. Longo ci conferma che, per ottenere i buoni uffici di pezzi grossi del Csm e farsi promuovere capo della procura di Ragusa, ha chiesto sostegno non solo alla Casellati, ma anche a Legnini. Cioè all’ex vicepresidente del Csm in quota Pd, che ha guidato Palazzo dei Marescialli dal 2014 al 2018, e che qualche mese fa è stato il candidato (sconfitto) del centrosinistra alle elezioni regionali abruzzesi.

Legnini – secondo quanto ha raccontato l’ex pm – avrebbe incontrato l’uomo di Amara «nel suo ufficio al Csm». Anche in questo caso Longo non si è mosso da solo: a preparare il rendez-vous con l’allora vertice del Consiglio superiore della magistratura è stato un altro intermediario. «Ha organizzato l’incontro il professor Dell’Aversana», ribadisce oggi Longo.

Siamo sempre nella primavera del 2016. I tre, stavolta, si incontrano non in un bar, ma in una sede ufficiale. «Neppure Legnini mi ha garantito alcunché. A lui e alla Casellati ho parlato di Ragusa perché Gela era stata assegnata».

LEGNINI E IL PROFESSORE
Il “professore” che ha portato il magistrato al soldo di Calafiore e Amara davanti alla scrivania di Legnini per sponsorizzare la sua candidatura sarebbe, dice Longo, Pasquale Dell’Aversana. Un vecchio dirigente dell’Agenzia delle entrate (dove lo chiamano «dottore», mai professore), da oltre vent’anni fondatore e presidente di un’associazione culturale chiamata “Aprom” (acronimo di Associazione per il progresso del Mezzogiorno, un anno fa ha cambiato nome e logo nel complicato “Eur.a.pro.mez”).

Rif: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/06/28/news/csm-elisabetta-casellati-giovanni-legnini-1.336400

Catanzaro, l’ex senatore Pittelli denuncia per diffamazione il giudice (sospeso) Petrini

Catanzaro, l’ex senatore Pittelli denuncia per diffamazione il giudice (sospeso) Petrini

L’avvocato Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia e uno dei principali imputati del maxi-processo “Rinascita-Scott”, ha denunciato per diffamazione il giudice sospeso della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro Marco Petrini. Lo comunicano i difensori di Pittelli, gli avvocati Guido Contestabile ed Enzo Galeota, che hanno presentato due esposti alla Procura di Salerno nei confronti del magistrato arrestato per corruzione a gennaio.

Ai pm campani, lo scorso febbraio Petrini ha raccontato di essere stato corrotto dall’avvocato Pittelli, oggi detenuto a Nuoro, nel carcere di Badu e Carros, mentre è in corso il processo in cui è accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta. La scorsa settimana, i verbali di due interrogatori sono stati depositati dalla Procura di Catanzaro nel processo a carico di Pittelli che, stando alla versione di Petrini, avrebbe offerto (e il magistrato avrebbe accettato) la promessa di 2500 euro per ribaltare in appello la sentenza d’appello per l’omicidio di Marco Gentile, un ragazzo il ragazzo accoltellato dal suo coetanneo Nicholas Sia per un debito di droga e per essere stato deriso in pubblico più volte dalla vittima.

“All’imputato, – disse Petrini prima di ritrattare – la Corte ridusse su mia proposta la pena da 18 a 12 anni. Ribadisco che io ero il relatore. La somma promessami da Pitelli non mi fu poi mai consegnata”. Secondo i legali di Pittelli, le dichiarazioni di Petrini sono una “menzogna palese” perché Sia è stato condannato in primo grado a 17 anni e sei mesi di reclusione, con rito abbreviato. La Corte d’Appello (presieduta dalla giudice Reillo), esclusa l’aggravante dei motivi futili e abbietti, ridusse la pena a 16 anni e la Corte di Cassazione annullò successivamente con rinvio la sentenza per difetto di motivazione riguardo alla mancata concessione dell’attenuante dello stato d’ira ed erroneo calcolo della pena da infliggere. Nell’appello bis, con la Corte presieduta da Petrini, la condanna fu riformulata a 12 anni.

Nella denuncia per diffamazione, Pittelli ha allegato tutte le sentenze spiegando che la riduzione della condanna era stata “oggettivamente imposta dal dictum del Supremo Collegio” e che Petrini “non poté fare altro che diminuire la pena, irrogando all’imputato 12 anni di reclusione”. “La riduzione di pena operata dal collegio presieduto da Petrini, pertanto, – aggiunge Pittelli – è frutto esclusivo del portato derivante da plurime pronunce di merito e da una sentenza del Supremo Collegio, e non è stata certamente determinata da un inesistente accordo corruttivo”.

L’avvocato imputato di “Rinascita-Scott”, inoltre, ha denunciato Petrini anche per l’affermazione riportata nei mesi scorsi dal quotidiano Gazzetta del Sud secondo cui il giudice sarebbe affiliato a una loggia massonica “coperta da Pittelli“. Su questo punto, l’ex senatore Pittelli afferma nella propria querela: “Non ho mai dato vita, né partecipato a logge ‘coperte’ o ‘spurie’. Non ho mai invitato il dottore Petrini a farne parte e non ho mai presieduto alcun rito di affiliazione del dottore Petrini con il quale non ho mai avuto alcun rapporto se non quelli necessari dal ruolo rivestito da quest’ultimo presso la Corte d’Assise d’appello di Catanzaro”.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/19/catanzaro-lex-senatore-pittelli-denuncia-per-diffamazione-il-giudice-sospeso-petrini/5937138/