Un Altro Caso Di Malagiustizia Al Tribunale Fallimentare Di Milano

Un caso di malagiustizia al tribunale fallimentare di Milano | aivm.it

Il commercialista Mario Caizzone è coinvolto in una querelle giudiziaria che dura da circa 20 anni.

La procura di Milano aveva indagato Caizzone come sindaco della fallita società Imprenori S.p.A., nonostante egli non avesse mai ricoperto alcuna carica nella suddetta società, come facilmente dimostrabile attraverso visura della Camera di Commercio (qui in allegato, mentre l’intera vicenda giudiziaria è su www.mariocaizzone.it).

Come E’ Partito Il Caso Di Malagiustizia Di Mario Caizzone  

17 novembre 2009

Caizzone presenta un esposto al Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano, Dott. Filippo Lamanna (cfr esposto 17/11/2009), che ha come oggetto:

“Esposto sulla gestione delle procedure fallimentari del Gruppo Imprenori/CIS da parte della curatela – R.G. N.57959 del 10/12/1993 – G.D. Alida Paluchowski – Curatore Dott. Giuseppe Ugo” (cfr fallimento gruppo Imprenori/CIS).

Con il documento, Caizzone intende fare chiarezza sulla situazione complessa in cui è stato coinvolto e ottenere giustizia che fino a quel momento risulta pregiudicata dalla mancata disponibilità della Curatela a prendere in considerazione le informazioni fornite da Caizzone e ad accogliere le sue ripetute richieste di essere sentito a verbale (qui trovi l’Interrogatorio del Dr. Ugo durante l’udienza del Tribunale Fallimentare).

Per supportare le sue dichiarazioni, Caizzone evidenzia nell’esposto le anomalie riscontrate circa il profilo gestionale e patrimoniale del fallimento del Gruppo Imprenori, relativamente alla condotta della Curatela. Caizzone fornisce una dettagliata documentazione al fine di sollecitare il giudice della Fallimentare a svolgere indagini sulla gestione del gruppo, sulla condotta del Curatore Dott. Giuseppe Ugo e sui rapporti dello stesso con soci e manager delle società fallite.

Non avendo ricevuto alcuna risposta all’esposto di cui sopra, nel 2010Caizzone presenta un sollecito al Presidente della Sezione Fallimentare Dott. Filippo Lamanna, (cfr sollecito 9/3/2010) dove chiede di essere informato sull’esito dell’esposto inviato nel 2009 e di essere sentito personalmente.

Nessun riscontro, ma molti colpevoli silenzi

Aprile 2010

Non avendo avuto alcun riscontro, Caizzone incontra il Presidente della Sezione Fallimentare Dott. Filippo Lamanna, il quale lo rinvia al Giudice Delegato, Dott.ssa Caterina Macchi. Dopo una breve discussione, il Giudice Delegato Macchi riferisce a Caizzone che non è sua intenzione discutere con lui dell’argomento, ma che predisporrà una relazione scritta all’attenzione del Presidente della Sezione Fallimentare Dott. Filippo Lamanna, che, con fax compilato a mano, con l’intestazione Tribunale Civile e Penale di Milano, replica così (cfr fax 20/4/2010):

Risposta a nota esposto dott. Caizzone

Oggetto Rapporto G.D. Dott.ssa Macchi su esposto Dott. Caizzone

Risposta al dott. Caizzone:

In relazione alle sue richieste di svolgimento di indagini sull’operato del Dott. Ugo in relazione al fallimento Imprenori (e altri fallimenti del gruppo), allego la relazione depositata dal G.D. su mia richiesta.

Alla luce di quanto riferitomi, non vi è luogo ad esserci alcun provvedimento sulla sua istanza.

Cordiali Saluti

Si allega relazione scritta del Giudice Delegato Caterina Macchi (cfr relazione Dott.ssa Macchi).

Mario Caizzone Incontra Il Presidente Della Sezione Fallimentare.

28 aprile 2010

Il Dott. Caizzone incontra nuovamente il Presidente della Sezione Fallimentare Dott. Filippo Lamanna confutando per punti la relazione scritta del Giudice Delegato Dott.ssa Caterina Macchi:

1)     non corrisponde al vero che Caizzone sia stato membro nel consiglio di amministratore della fallita società Imprenori S.p.A.;

2)     non corrisponde al vero che Caizzone sia stato ammesso né come creditore chirografario,  né come creditore privilegiato;

Caizzone fa inoltre presente che non vi è stato alcun approfondimento in merito alle circostanze ed ai fatti concreti citati sottolineando 5 gravi inadempienze:

  1. Le contraddittorie dichiarazioni del curatore in merito all’attivo ante fallimento e post fallimento.
  1. L’ammissione da parte dello stesso GD di un consistente risultato patrimoniale, in evidente contrasto con la previsione del curatore in merito al realizzo.
  1. Il silenzio circa la cessione per 1 (un) euro della società Edilizia srl e le cessioni di beni a favore di soggetti coinvolti nel fallimento.
  1. Il silenzio sulla mancata attrazione nella procedura di diverse società con consistente patrimonio.
  2. Il silenzio circa le diverse transazioni e compensazioni operate dal curatore nell’ambito delle varie società del gruppo.

In attesa di replica, il 29 aprile 2010

Caizzone deposita, sempre all’attenzione del Presidente della Sezione Fallimentare Dott. Filippo Lamanna, una memoria per ribadire quanto già precisato in precedenza (cfr memoria 29/4/2010). Non avendo ricevuto alcuna risposta, nel febbraio 2011 Caizzone presenta ulteriore esposto  al Dott. Filippo Lamanna (cfr esposto 21/2/2011), ribadendo quanto già affermato negli esposti precedenti e precisando che le affermazioni della Dott.ssa Caterina Macchi, come già riferito al Presidente della Fallimentare, possono ritenersi del tutto false. Chiede inoltre di conoscere quali siano le fonti da cui il Giudice Delegato dott.ssa Caterina Macchi abbia dedotto tali affermazioni non veritiere.

Caizzone auspica che il Presidente della Sezione Fallimentare, il Dott. Filippo Lamanna, fornisca un riscontro oggettivo alle sue richieste e che agisca allo scopo di chiarire la strana e inquietante commistione realizzatasi fra curatori e manager delle società fallite, nonché la superficialità nella condotta dei vari giudici delegati.

Come si vede leggendo queste note, Caizzone, nonostante questa disavventura ventennale e le scorrettezze di alcuni magistrati distratti o negligenti, ha tuttora fiducia nella magistratura.

E’ auspicabile che il Dott. Filippo Lamanna, Presidente della Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano, funzionario chiamato a doveri di tale responsabilità, sia in grado di motivare o giustificare i ritardi e le leggerezze, nonché ristabilire le reali responsabilità in una vicenda persecutoria che si trascina da 20 anni, mentre i veri responsabili godono di dorata impunità.

Copia del presente documento è stata inoltrata anche al Presidente del Tribunale di Milano, Dott.ssa Livia Pomodoro, al Presidente del Tribunale di Brescia, alla Procura della Repubblica di Brescia e al Ministro di Grazia e Giustizia.

28 marzo 2014

Ho dovuto aspettare 21 anni per riavere il certificato penale immacolato (certificato casellario giudiziario), ma il mistero è rimasto.

Rif:https://aivm.it/un-altro-caso-di-malagiustizia-al-tribunale-fallimentare-di-milano/

Si uccise in carcere da innocente: «Ancor nessun colpevole»

Si uccise in carcere da innocente: «Ancor nessun colpevole»

Aldo Scardella fu accusato di aver rapinato un supermercato e ucciso l’esercente. Ma era innocente. I familiari aiutati dall’Associazione italiana vittime di malagiustizia

Sono abituato alle ingiustizie, mi sento sconfitto come uomo e come cittadino». Con queste parole Cristiano Scardella commenta il suicidio del fratello Aldo, suicida in carcere 33 anni fa e vittima di malagiutsizia. La vicenda è quella di Aldo Scardella, 24enne studente universitario a Cagliari. E’ il 23 dicembre 1985. Due criminali derubano il supermercato di proprietà di Giovanni Battista Pinna. Camuffati con dei passamontagna, irrompono nel negozio ed esplodono colpi d’arma da fuoco. L’esercente muore nella sparatoria e i due malviventi scappano dal luogo del delitto attraverso una via che porta al complesso residenziale dove vive Scardella, che verrà ingiustamente incarcerato. Lo studente fu arrestato su ordine del pm Sergio De Nicola, nonostante l’esito negativo di una perquisizione in casa sua. Il giovane Scardella fu trovato morto per impiccagione nella sua cella il 2 luglio, dopo 185 giorni di durissima prigionia con lunghi giorni di isolamento. 

«Dopo 33 anni dalla morte di mio fratello, nessuno ha pagato, non sono emerse le responsabilità degli inquirenti, non si è dato risposta concreta alla sua morte». Cristiano trova analogie col caso Cucchi: «La vicenda di mio fratello è simile, soprattutto per quanto riguarda il mistero che aleggia sopra la sua morte, non si capisce se si è ucciso o se è stato ucciso». L’associazione Aivm (Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia) offre sostegno gratuito alle persone che si ritengono vittime di malagiustizia ed errori giudiziari. In occasione dell’anniversario della morte di Scardella, ha intervistato il fratello Cristiano Scardella. «Coloro che si occuparono della vicenda di Aldo sapevano che era innocente, perché sapevano in quale mondo era maturato il delitto del commerciante – ha detto Cristiano – Volevano lui come colpevole per non disturbare qualcuno che in quel momento faceva comodo». Secondo Cristiano, quella vicenda «ha sensibilizzato l’opinione pubblica ed anche le coscienze nell’ambiente sardo: l’isolamento adesso può durare al massimo 15 giorni». 

Anche il giornalista Enzo Tortora, vittima anche lui di malagiustizia, si occupò del caso e fece la sua prima uscita pubblica dopo la sua definitiva assoluzione il 23 settembre 1986, andando a rendere omaggio alla tomba di Scardella, morto due mesi e mezzo prima. In quell’occasione, Tortora disse: «Capisco profondamente che cosa l’ha spinto a uccidersi. È stata la disperazione, il dolore per un’accusa ingiusta». Prima del suicidio, Scardella scrisse un biglietto con su scritto: «Vi chiedo perdono, se mi trovo in questa situazione lo devo solo a me stesso, ho deciso di farla finita. Perdonatemi per i guai che ho causato. Muoio innocente». Il caso fu chiuso soltanto nel 2002, con la condanna di Walter Camba e Adriano Peddio, facenti parte della «banda di Is Mirrionis» e già noti alle forze dell’ordine per precedenti penali.

Avvocato Taormina choc: “Nei tribunali per minori corruttela dilagante, il Ministro di Giustizia intervenga”

Avvocato Taormina choc: “Nei tribunali per minori corruttela dilagante, il Ministro di Giustizia intervenga”

Con i recenti casi di cronaca che hanno travolto la magistratura, vedi caso Palamara e inchiesta di Bibbiano, che hanno scosso anche l’opinione pubblica del Veneziano e generato preoccupazione anche in Veneto, il noto avvocato Carlo Taormina, intervistato dai nostri microfoni, ha rilasciato alcune dichiarazioni al vetriolo a proposito del sistema giudiziario italiano: «Bibbiano come Palamara oggi sono la punta di un iceberg. Il sistema è spalmato su tutto il territorio nazionale anche in termini di corruzione e sotto il sistema si giocano altre schifezze: partiti negli uffici giudiziari, sotto le scelte dei capi disposti al favoreggiamento, circolazione di soldi, interessi e compravendita di processi e di favori giudiziari».

I tribunali dei minori

Nell’occhio del ciclone in particolare alcuni tribunali dei minori: «I tribunali per minorenni sono semplicemente da abolire perché vi giungono magistrati che non hanno capacità o non hanno voglia di far nulla. Vengono mandati lì dalle correnti dell’ANM perché ritenuti lo scarto della magistratura. Il problema serio è che in realtà la magistratura minorile, per non fare niente e per non avere fastidi, ha appaltato tutte le sue funzioni alle varie figure di ausiliari nei settori dell’affidamento dei minori, delle adozioni, dell’esistenza sociale, delle professionalità specifiche, delle indagini e dei controlli psichiatrici e psicologici, delle case famiglia, dei casi di violenza. Ognuno di questi referenti fa quello che vuole e i magistrati minorili firmano quello che queste persone dicono loro di firmare. Il fatto è che ciascuno di questi riferimenti ausiliari corrisponde a grossi interessi economici per cui la corruttela è la caratteristica dilagante in tutti i Tribunali dei minorenni”. 

Ministro di Giustizia

Una soluzione secondo l’avvocato Taormina dovrebbe arrivare dal Ministro di Giustizia: «Da tempo chiedo al Ministero di fare ispezioni a tappeto su tutti, nessuno escluso, i tribunali dei minorenni, ma nulla accade».“

Rif:https://www.veneziatoday.it/cronaca/bibbiano-tribunali-minori-avvocato-taormina-28-luglio-2019.html

Csm, ribaltone in commissione: no alla conferma del procuratore Rossi

Roberto Rossi

Arezzo, 28 luglio 2019 – Colpo di scena al Csm. La commissione direttivi, a larga maggioranza (4-1) ha proposto al plenum di non confermare Roberto Rossi a capo della procura di Arezzo. Il ribaltone arriva dopo il parere negativo del ministro Bonafede alla conferma, il cosiddetto «concerto», che pure inizialmente era stato accordato dal Guardasigilli. E’ quest’ultimo il terzo pronunciamento della commissione: il primo favorevole a Rossi, il secondo interlocutorio e adesso il terzo negativo. 
Ma il voto non significa affatto che il siluro arrivi a segno: a favore di Roberto Rossi è infatti schierato il consiglio giudiziario di distretto, senza dimenticare il giudizio positivo scaturito dall’ispezione ministeriale sull’organizzazione degli uffici. E non per ultime ci sono le statistiche che indicano il buon funzionamento della procura e il dimezzamento dei tempi per istruire le pratiche. Risulterà dunque decisivo il plenum del Csm che a settembre potrebbe presumibilmente ignorare la proposta della commissione e confermare Rossi, andando a un giudizio sul merito ed evitando di cadere in politica.
La vicenda che riguarda il procuratore è infatti politica, a lui contrari sono i membri laici della commissione, appartenenti alle forze che contro Rossi si erano schierate sulla gestione del caso Etruria e Pier Luigi Boschi , il punto nodale di una questione che si trascina da tempo e che ha fatto la spola tra plenum del Csm e Commissione. Di diverso c’è adesso la posizione dei magistrati di Area, finora a favore della conferma, per «leale collaborazione» tra il Csm e il ministro.

Rif:https://www.lanazione.it/arezzo/cronaca/csm-ribaltone-in-commissione-no-alla-conferma-del-procuratore-rossi-1.4714193

Omicidio Uva, confermata la sanzione al pm Abate

Per la Cassazione il Pm doveva indagare sugli agenti.  Giuseppe Uva morì in ospedale dopo essere stato portato in caserma. Il pm trascurò la denuncia dell’amico dell’uomo, interrogato poi in modo «aggressivo»

l trasferimento del pm Agostino Abate alla sezione civile di Como è definitivo. Lo ha deciso la Cassazione, che ha respinto il ricorso del pubblico ministero varesino contro la sanzione disciplinare inflitta dal Csm per la sua condotta nel caso Giuseppe Uva, il 43enne morto la notte fra il 14 e il 15 giugno 2008 dopo essere stato portato prima alla caserma dei carabinieri di Varese e da lì in ospedale per un Tso. Il caso si è chiuso senza alcun colpevole: la Corte d’appello di Milano ha infatti confermato l’assoluzione di due carabinieri e sei poliziotti, accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona, sentenza contro la quale la procura ha presentato ricorso in Cassa- zione. 

Il Csm aveva sanzionato Abate con la perdita di anzianità di due mesi con trasferimento al Tribunale di Como per aver trascurato la denuncia presentata da Alberto Bigioggero, quella sera in compagnia di Uva, che aveva raccontato di aver visto i carabinieri percuoterlo prima di caricarlo in macchina e di averlo sentito urlare in caserma. Il pm, nonostante la testimonianza, non ha assunto «alcuna determinazione in ordine all’esercizio dell’azione penale», anche dopo la trasmissione degli atti disposta dal Tribunale di Varese per verificare «gli accadimenti occorsi tra l’intervento dei Carabinieri e l’ingresso di Uva al pronto soccorso». Inoltre, aveva assunto una condotta «aggressiva e intimidatoria» nei confronti di Bigioggero nel corso del suo esame testimoniale, «con modalità tali da indurre quest’ultimo a mantenere una condizione di timore e soggezione per tutta la durata ( circa quattro ore) dell’incombente istruttorio». Secondo la Cassazione, il Csm avrebbe agito correttamente: il pm, afferma la sentenza,avrebbe dovuto subito «provvedere all’iscrizione della notitia criminis», senza alcun «potere discrezionale al riguardo». 

Una necessità accertata dal giudice disciplinare «in piena aderenza alla dimensione fattuale della vicenda esaminata». Inoltre, la Suprema Corte ha evidenziato come il giudice disciplinare abbia visionato i video dell’interrogatorio, dai quali sono emersi «toni sovente aggressivi» e «affermazioni che tendevano a denigrare il teste al fine di sminuire la portata delle sue dichiarazioni». Abate, in una nota, ha dichiarato di non condividere la decisione, pur rispettandola. «La contestazione fattami – ha affermato – è quella di non aver voluto accusare, come pretendeva una campagna mediatica e politica, di gravi reati servitori dello Stato che le prove indicavano invece come del tutto innocenti. Essere sanzionato per non aver ceduto ad alcuna pressione non è un disonore, e continuerò a svolgere il lavoro di magistrato difendendo sempre la mia autonomia». 

Soddisfatta, invece, la sorella della vittima, Lucia Uva, che ha ringraziato l’ex ministro Anna Maria Cancellieri «per aver fatto emergere la verità su Abate mandando gli ispettori alla procura di Varese. Sono trascorsi 10 anni – ha aggiunto – e Giuseppe non ha ancora avuto giustizia».

Rif: http://www.osservatoriorepressione.info/omicidio-uva-confermata-la-sanzione-al-pm-abate/

Dossier contro i pm nemici e viaggi regalati al pm corrotto, così agiva il clan dei Corvi siciliani

A guardarli dall’esterno, a vederli sorridenti e abbracciati nei frame dei video ripresi dai finanzieri che indagavano su di loro, a sentire le battute al vetriolo contro i magistrati “nemici”, a osservarli mentre trovavano e smontavano microspie e telecamere puntate su di loro, si percepisce che le stagioni dei Corvi siciliani non finiscono mai. Rispetto ai tempi di Giovanni Falcone, però, quella che viene fuori adesso, dall’inchiesta coordinata dalle Procure di Messina, Roma e Milano, è un’organizzazione molto affiatata e determinata, che aveva un solo obiettivo: fare soldi, il più possibile, tanti, tantissimi soldi. Pilotando processi e inchieste a favore dei clienti degli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, il primo finito in carcere su ordine dei Gip di Roma e Messina, l’altro attualmente all’estero ma atteso, al rientro, dalla cella.

IL CASO Avvocati e pm coalizzati per insabbiare inchieste: 15 arresti. Nel mirino era finita anche l’Eni

CHI SONO GLI ARRESTATI

La doppia operazione dei Nuclei di polizia economico-finanziaria, già tributaria, di Messina e Roma, con la collaborazione dei colleghi di Palermo (Milano, dove l’ad di Eni Claudio Descalzi è già stato rinviato a giudizio per le tangenti Nigeria, non ha eseguito misure cautelari, solo perquisizioni) ha portato in carcere pure l’ex pm Giancarlo Longo e gli imprenditori Alessandro Ferraro e Fabrizio Centofanti. Ai domiciliari Ezio Bigotti, imprenditore già coinvolto nell’inchiesta romana sulla Consip (in cui è indagato anche il padre di Matteo Renzi); e poi Luciano Caruso, Giuseppe “Pino” Guastella, 73 anni, giornalista pubblicista originario di Vittoria (Ragusa), Davide Venezia, Mauro Verace, Salvatore Maria Pace, Gianluca De Micheli, Vincenzo Naso, Francesco Perricone, detto Corrado, e Sebastiano Miano. Respinta la richiesta dei pm romani di arrestare il magistrato amministrativo in pensione Riccardo Virgilio, già presidente del Consiglio di giustizia amministrativa siciliano e di una sezione del Consiglio di Stato.

PROCESSI PILOTATI

Virgilio risponde di corruzione in atti giudiziari: nel 2013, quando era al Cga (organo di appello rispetto al Tar siciliano), il collegio da lui presieduto accolse il ricorso della Open Land, società della compagna dell’avvocato Calafiore, Concetta Rita Frontino, assegnandole un risarcimento milionario ai danni del Comune di Siracusa. Il suo nome era venuto fuori pure in relazione ad alcune operazioni finanziarie, dell’importo di 750 mila euro, che avrebbe compiuto all’ombra della Investment Eleven Ltd., società di diritto maltese, “investimenti in qualche modo riconducibili alla cosiddetta operazione Teletouch”, una compagnia telefonica di cui è socio anche l’avvocato Amara.

DOSSIER CONTRO I PM NEMICI

Nelle indagini c’è di tutto: gente abituata alla bella vita, come Davide Venezia, 33 anni, prestanome in varie aziende, controllato dai carabinieri, nell’arco di qualche anno, a Palermo e a Siracusa, a bordo di una Bmw serie 7, di una Maserati e di una Porsche Cayenne. Gente pronta a tutto per difendere lo status quo: anche a parlare in maniera sibillina con un pm uomo e con un giudice donna, lasciando intendere che le loro vite private erano al centro dell’attenzione del “gruppo”, che aveva fatto una “prima sintesi” su di loro. In altre parole, un dossier.

VIAGGI E BENEFIT REGALATI

Longo, molto amico di Amara e Calafiore e della compagna di quest’ultimo, l’imprenditrice Concetta Frontino, detta Rita, erede di aziende che valgono una fortuna e che vincono appalti dappertutto, non si sarebbe fatto problemi, nell’accettare doni e denaro. «Totalmente asservito», lo definiscono i pm messinesi, ai due avvocati siracusani, che lo avrebbero comprato con denaro contante, viaggi, benefit: 88.100 euro in contanti, versati sui propri conti dal pm quasi subito dopo che erano stati fatti prelievi di somme quasi esattamente corrispondenti – sempre in contanti – da dipendenti di aziende o emissari dei due avvocati. In più, secondo quanto era emerso da un filone dell’indagine svolto dalla Procura di Roma, erano stati spesi per Longo circa 12 mila euro per un viaggio a Dubai con tutta la famiglia (assieme a Calafiore e Amara e relative famiglie) e, per il Capodanno 2016, all’hotel Vanvitelli di Caserta. A pagare, l’imprenditore di Colleferro Centofanti.

MANI SUGLI AFFARI LOCALI

Il clan agiva, sostiene l’accusa, sul fronte Eni, ma anche per mettere le mani su grossi affari che si svolgevano in sede locale. Con metodi pirateschi, come quelli di inventarsi del tutto verbali e incarichi a consulenti compiacenti. Longo si sarebbe prestato a tutte le esigenze di Amara e Calafiore, dalle autoassegnazioni dei fascicoli, per controllare le indagini dei colleghi, alle verbalizzazioni fasulle. Accadde per la già ricordata controversia tra il Comune di Siracusa e la società Open Land, oggetto la realizzazione del centro commerciale Fiera del Sud: dopo il primo intervento – nel 2013 – del Cga, presieduto dal giudice Virgilio, due anni dopo la quantificazione del risarcimento a carico dell’amministrazione comunale, prima 20 milioni, poi due milioni e ottocentomila euro, fu affidata da un altro collegio dello stesso Consiglio di giustizia (stavolta presieduto da Raffaele Maria De Lipsis, già indagato in altre vicende di Palermo) al perito Salvatore Maria Pace. Il commercialista, benché fosse stato legato da rapporti professionali ed economici col consulente di parte – nella stessa causa – Giuseppe Cirasa, aveva ottenuto l’incarico in virtù di sue pregresse quanto presunte “esperienze di consulente della Procura di Siracusa”. In effetti aveva avuto un solo incarico, ma neppure quello: i pm messinesi hanno scoperto che il verbale con cui Longo glielo aveva affidato era del tutto falso, perché il relativo file sarebbe stato creato circa otto mesi dopo. Per la cronaca, passato di mano il procedimento e cambiata ancora la composizione del Cga, l’organo di appello era tornato sui propri passi, revocando il risarcimento. Sul presunto favore a Frontino e Calafiore c’è un filone d’indagine a Palermo.

UN GIORNALISTA COINVOLTO

Nella storia è coinvolto anche il pubblicista Pino Guastella, solo omonimo del giornalista del Corriere: scrivono gli inquirenti messinesi, basandosi sulle indagini dei finanzieri, che il suo lavoro non sarebbe stato «disinteressato». Nei suoi articoli, pubblicati su un periodico locale, il «Diario», Guastella avrebbe più volte criticato i pm Marco Bisogni e Tommaso Pagano, che indagavano sui clienti degli avvocati Calafiore e Amara. E quest’ultimo, in particolare, sarebbe stato generoso, versando a Guastella (accusato pure lui di associazione per delinquere) somme che arrivavano fino a 35 mila euro in un anno, per attività – fra l’altro – di «internet reputation».

rif:https://www.lastampa.it/cronaca/2018/02/06/news/dossier-contro-i-pm-nemici-e-viaggi-regalati-al-pm-corrotto-cosi-agiva-il-clan-dei-corvi-siciliani-1.33976605?refresh_ce

Sesso e favori, il pm Emilio Arnesano sospeso dal Csm

Il pubblico ministero Emilio Arnesano

Sospeso dalle funzioni di pubblico ministero e dallo stipendio, con collocazione fuori dall’organico, il pubblico ministero della Procura di Lecce, Emilio Arnesano, arrestato il 6 dicembre con le accuse di corruzioni in atti giudiziari, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, falso ed abuso di ufficio.

Il provvedimento è stato depositato dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, a seguito della procedura avviata dal procuratore generale della Corte di Cassazione, Riccardo Fuzio, dopo l’arresto del magistrato salentino nell’inchiesta della Procura di Potenza e della Guardia di finanza di Lecce.

I giudici del Csm hanno rilevato la violazione dei principi deontologici per quanto attengono ai fatti contestati. Quella “vendita delle funzioni giudiziarie” contestata per il disssequestro della piscina del neurologo Giorgio Trianni; per l’acquisto di una barca di quasi undici metri con uno sconto di 17mila euro dal dottore Carlo Siciliano per chiedere poi, l’assoluzione del direttore generale della Asl, Ottavio Narracci; per essersi interessato di due procedimenti penali del primario di Ortopedia, Giuseppep Rollo, in cambio di una corsia preferenziale per una visita specialistica in un centro del Nord Italia; per le raccomandazioni che avrebbe dispensato all’avvocatessa Federica Nestola all’esame di ammissione alla professione forense, su sollecito dell’avvocatessa Benedetta Martina, per ottenere di diventare il suo amante, e coivolgendo anche l’avvocato Mario Ciardo quale presidente della Commissione esaminatrice; ed infine per raccomandare l’avvocatessa Manuela Carbone al presidente della sezione di Lecce del collegio di disciplina, Augusto Conte, per un procedimento in cui rischia la sospensione.

Lecce, favori e prestazioni sessuali: arrestato il pm Emilio Arnesano. Ai domiciliari il direttore generale dell’Asl

Lecce, favori e prestazioni sessuali: arrestato il pm Emilio Arnesano. Ai domiciliari il direttore generale dell’Asl

Corruzione in atti giudiziari, induzione a dare o promettere utilità a pubblico ufficiale e abuso di ufficio. Con queste accuse, sono state arrestate sei persone a Lecce in un’inchiesta della Procura di Potenza, competente sui magistrati del distretto della Corte d’Appello del capoluogo salentino. Perché tra gli arrestati c’è anche Emilio Arnesano, sostituto procuratore della procura leccese. Due persone, il pm Arnesano e il dirigente della Asl di Lecce Carlo Siciliano, sono finiti in carcere; altre quattro ai domiciliari: sono il direttore generale della Asl di Lecce, Ottavio Narracci, due dirigenti dell’Asl (Giorgio Trianni e Giuseppe Rollo) e l’avvocato Benedetta Martina. Disposto anche un divieto di dimora nei confronti dell’avvocato Salvatore Antonio Ciardo. Le misure cautelari sono state firmate dal gip del tribunale di Potenza e le indagini sono state effettuate dalla Guardia di Finanza di Lecce. Sotto sequestro una piscina, oggetto di un procedimento penale, e un’imbarcazione ritenuta profitto del reato del delitto di corruzione. L’inchiesta della Procura lucana verte anche su favori e prestazioni sessuali ottenuti dal magistrato.

Arnesano è accusato di “delitti commessi con abuso e vendita delle proprie funzioni” di magistrato. Durante indagini durate circa quattro mesi sono emersi, a carico del pm di Lecce, “episodi di corruzione in atti giudiziari, di induzione a dare o promettere utilità e di abuso di ufficio“. Arnesano avrebbe “venduto, in più procedimenti, l’esercizio della sua funzione giudiziaria in cambio di incontrisessuali ed altri favori”. Tre gli episodi contestati. In particolare è finito sotto la lente investigativa della Procura della Repubblica di Potenza il “rapporto corruttivo, consolidato e duraturo”, con l’avvocato Benedetta Martina (agli arresti domiciliari): il pm “pilotava procedimenti in cui gli indagati erano assistiti dall’avvocato Martina, ottenendo in cambio prestazioni sessuali” dal legale. In uno dei casi contestati dall’accusa, il pm intervenne presso il presidente del collegio di disciplina dell’Ordine degli avvocati di Lecce, Augusto Conte, su richiesta dell’avvocato Manuela Carbone. Anche in tal caso ci fu un incontro fra Arnesano e Conte, durante il quale “la richiesta veniva avanzata e accettata“: il pm, poi, chiese all’avvocato Carbone, “in cambio del suo intervento, delle prestazioni sessuali“.

Secondo l’accusa, Emilio Arnesano agevolò anche l’esame orale di avvocato di una “giovane collega” dell’avvocato Martina. Arnesano contattò l’avvocato Ciardo, componente della commissione d’esame, e l’avvocato Federica Nestola superò la prova. Nell’ufficio del pm ci fu un incontro (fra Arnesano, Ciardo e Nestola) in cui furono “definite le domande” da porre alla candidata. Infine, sempre stando alle indagini, il pm avrebbe chiesto prestazioni sessuali ad un’altra avvocata che gli aveva chiesto di intervenire in suo favore con il presidente del collegio di disciplina costituito presso l’Ordine degli avvocati di Lecce. Per quanto riguarda gli arresti domiciliari decisi dal gip per i tre dirigenti della Asl di Lecce, Arnesano avrebbe garantito loro “l’esito positivo di procedimenti giudiziari a carico”, ottenendo in cambio una barca di 12 metri (sequestrata) pagata in contanti ad un prezzo ritenuto dagli inquirenti di gran lunga inferiore al prezzo di mercato. Oltre all’imbarcazione, per l’accusa il pm ha ottenuto soggiorni gratuiti e interventi medici agevolati, nella prenotazione di visite mediche, nella prenotazione di interventi per familiari, nelle visite a persone di sua conoscenza.

Sotto la lente degli investigatori è finito il dissequestro di una piscina di un altro dirigente Asl (Giorgio Trianni, pure arrestato) da parte del pm Arnesano, titolare del procedimento penale di cui lo stesso ha poi chiesto l’archiviazione, che sarebbe avvenuto in cambio di un soggiorno con annesse battute di caccia. Le indagini che hanno portato all’arresto di Emilio Arnesano sono cominciate con una “singola e specifica notizia di reato” a carico del magistrato da parte della Procura salentina, inviata alla Procura della Repubblica di Potenza. La segnalazione riguardava proprio il dissequestro della piscina del dirigente Asl Giorgio Trianni, “con successiva richiesta di archiviazione della notizia di reato”. Oggi il gip ha disposto il sequestro della piscina “risultata oggetto di mercimonio” fra Arnesano e Trianni, di una barca e di 18.400 euro del magistrato, “in quanto profitto del reato di corruzione“.

rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/12/06/lecce-favori-e-prestazioni-sessuali-arrestato-il-pm-emilio-arnesano/4816948/

Bufera Procure, pm corrotto con una Smart.

Bufera Procure, pm corrotto con una Smart. Spunta Ermini (che va al Colle)

Procura Roma: atti Perugia al Csm, nelle carte spunta Ermini. E lui va al Quirinale

Sono arrivati a Palazzo dei Marescialli gli atti dell’inchiesta della procura di Perugia che coinvolge i pm di Roma Luca Palamara e Stefano Rocco Fava e il togato dimissionario del Csm Luigi Spina. A chiedere gli atti ai pm umbri era stato, sabato scorso, il Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli, che per oggiha convocato un plenum straordinario. Ieri, inoltre, il vicepresidente del Csm David Ermini si e’ recato al Quirinale. Il nome di Ermini tra l’altro, secondo quanto racconta il Fatto Quotidiano, appare nelle carte dell’inchiesta. Esisterebbe una conversazione con protagonista il Pd Luca Lotti che sostiene come il numero due del Csm non risultava “collaborativo” nella questione del ballo delle poltrone giudiziarie. 

“Un magistrato corrotto con una Smart”

Non solo. Sempre dalle carte emerge anche la tesi che un magistrato di Roma sia stato corrotto con l’acquisto di una Smart, in cambio dell’aggiustamento di un processo. Un filone d’inchiesta nato dalla deposizione dell’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo.

Procura Roma: Csm, chiesta autosospensione togati coinvolti

Non ci sara’ solo la “presa d’atto” delle dimissioni di Luigi Spina, l’esponente di Unicost indagato a Perugia, ma all’attenzione del plenum di domani potrebbe arrivare anche la richiesta di autosospensione, magari temporanea, per gli altri togati coinvolti, mentre oggi pomeriggio, a gran voce, dall’assemblea dell’Anm Milano e’ giunta l’istanza di dimissioni: il dibattito quindi potrebbe affrontare la questione del futuro di Antonio Lepre e Corrado Cartoni, i togati di Magistratura Indipendente che avrebbero partecipato agli incontri di Luca Palamara con i deputati Pd Lotti e Ferri. A Palazzo dei Marescialli, infatti, c’e’ chi auspica un “atto di responsabilita'” dopo la ‘bufera’ che ha sconvolto la magistratura negli ultimi giorni. Al Csm intanto sono arrivate le carte dell’inchiesta di Perugia, che, pero’, non sarebbero state messe a disposizione di consiglieri e commissioni ma visionate solo dal Comitato di presidenza. Nel plenum straordinario di domani – che, allo stato, non vedra’ presiedere il Capo dello Stato Sergio Mattarella ma il vicepresidente David Ermini – si affrontera’ ancora, a 360 gradi, il tema delle nomine per i vertici degli uffici giudiziari, uno dei compiti piu’ delicati tra quelli di competenza del Consiglio. Intanto, tutto resta ‘congelato’ sulla scelta del nuovo capo della procura di Roma: il 23 maggio scorso la Quinta Commissione aveva concluso i suoi lavori decidendo di formulate 3 proposte al plenum (Viola favorito con 4 voti, Lo Voi e Creazzo con una preferenza ciascuno). 

rif: http://www.affaritaliani.it/cronache/bufera-procure-pm-corrotto-con-una-smart-spunta-ermini-608484.html

Caso Palamara, il pm Fava trasferito su richiesta a Latina

Lascia la Procura di Roma per fare il giudice a Latina il pm Stefano Rocco Fava, indagato dalla procura di Perugia per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Quest’ultimo, anch’egli pm a Roma, è indagato per corruzione ed è attualmente sospeso dalle funzioni e dallo stipendio nell’ambito del […]

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/07/25/caso-palamara-il-pm-fava-trasferito-su-richiesta-a-latina/5348500/