La banda dei giudici corrotti: l’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

La banda dei giudici corrotti: l'inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

Giustizia corrotta, ai massimi livelli. Con una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della nostra democrazia. Un’inchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.

Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.

L’antefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.

L’esistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».

Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.

L’inchiesta riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.

Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.

A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.

Amara, come avvocato siciliano dell’Eni, è anche l’artefice della corruzione di un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, che in cambio di almeno 88 mila euro e vacanze di lusso a Dubai aprì una fanta-inchiesta giudiziaria ipotizzando un inesistente complotto contro l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Un depistaggio organizzato per fermare le indagini della procura di Milano sulle maxi-corruzioni dell’Eni in Nigeria e Congo. Dopo l’arresto, Longo ha patteggiato una condanna a cinque anni. Ma la sua falsa inchiesta ha raggiunto il risultato di spingere alle dimissioni gli unici consiglieri dell’Eni, Luigi Zingales e Karina Litwak, che denunciavano le corruzioni italiane in Africa.

Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. Giuseppe Mineo è un docente universitario nominato giudice del Consiglio siciliano dalla giunta dell’ex governatore Lombardo. Nel 2016 vuole ascendere al Consiglio di Stato. A trovargli appoggio politico sono gli avvocati Amara e Calafiore, che versano 300 mila euro al senatore Denis Verdini, che invece nega tutto. L’ex ministro Luca Lotti però conferma che proprio Verdini gli chiese di inserire Mineo tra le nomine decise dal governo Renzi. Alla fine il giudice raccomandato perde la poltrona solo perché risulta sotto processo disciplinare per troppi ritardi nelle sue sentenze siciliane.

Tra i legali ora indagati c’è un altro illustre avvocato, Stefano Vinti, accusato di aver favorito un suo cliente, l’imprenditore Alfredo Romeo, con una tangente mascherata da incarico legale: un “arbitrato libero” (un costoso verdetto privato) affidato guarda caso al padre del solito Russo. Proprio lui, l’ex giudice che sta cercando di usare lo squadrone delle toghe sporche, ancora ignote, per fermare i magistrati anti-corruzione.

Rif:http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/02/18/news/giudici-corrotti-1.331753?refresh_ce

Csm, Rossi non confermato alla Procura di Arezzo. Pesa la consulenza col governo Renzi

Un incarico aveto con il governo Letta ma poi proseguito con il nuovo esecutivo, anche dopo che i pm della sua Procura stavano indagando sul caso della Banca Etruria, nel cui consiglio di amministrazione c’era Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministro Maria Elena Boschi

on confermato nel suo ruolo alla guida della procura di Arezzo Roberto Rossi. In plenum al Csm passa con 16 voti, contro 4, e con un astenuto, la proposta di maggioranza della commissione per gli incarichi direttivi. Secondo la delibera – il relatore è Piercamillo Davigo – Rossi avrebbe compromesso «il requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti», almeno «sotto il profilo dell’immagine».

In base alle norme sull’ordinamento giudiziario i ruoli di vertice in un ufficio devono, dopo 4 anni, essere confermati, per altrettanti anni, dal Csm. La Quinta Commissione, dunque, aveva formulato due proposte al plenum: una per la non conferma di Rossi – votata in Commissione dai togati Davigo (A&I), Miccichè (MI), Suriano (Area) e dai laici Gigliotti (M5s) e Basile (Lega) – e una a favore della permanenza del magistrato nelle funzioni di capo della procura, sostenuta in Commissione dal solo togato di Unicost (la stessa corrente a cui appartiene Rossi) Marco Mancinetti.

Stando a quanto risulta, l’ostacolo sarebbe stato dipeso dall’aver proseguito l’incarico di consulenza con la Presidenza del Consiglio dei ministri, che gli era stato conferito con il governo Letta e confermato dal successivo esecutivo Renzi, anche dopo l’apertura dell’indagine su Banca Etruria. Un procedimento, questo, che riguardava il Cda di cui faceva parte Pierluigi Boschi, padre dell’allora ministro Maria Elena.

Nella stessa proposta di maggioranza, passata in plenum, si sottolineava che la vicenda dell’incarico con Palazzo Chigi avrebbe «compromesso il requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti, quantomeno sotto il profilo dell’immagine». Per questi fatti era stato avviato un procedimento disciplinare, concluso con l’archiviazione, tanto che nell’estate del 2016 il Csm decise di non avviare la procedura di trasferimento per incompatibilità.

Anche il Guardasigilli Alfonso Bonafede non aveva dato il suo «concerto» per la riconferma del magistrato nell’incarico di vertice dell’ufficio giudiziario aretino. Rossi lunedì aveva inviato al Palazzo dei Marescialli una memoria in cui parlava di un «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti».

Rif:https://www.ilsole24ore.com/art/csm-rossi-lascia-procura-arezzo-pesa-consulenza-col-governo-renzi-AC8YANu

Etruria: Csm non conferma Rossi a guida procura Arezzo

(ANSA) – ROMA, 24 OTT – Non confermato nel suo ruolo alla guida della procura di Arezzo Roberto Rossi. In plenum al Csm passa con 16 voti, contro 4, e con un astenuto, la proposta di maggioranza della commissione per gli incarichi direttivi.
    Secondo la delibera – il relatore è Piercamillo Davigo – Rossi avrebbe compromesso “il requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti”, almeno “sotto il profilo dell’immagine”. E questo per aver proseguito l’incarico di consulenza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che gli era stato conferito con il governo Letta e confermato dal successivo esecutivo, anche dopo l’apertura dell’indagine su Banca Etruria del cui consiglio di amministrazione faceva parte Pierluigi Boschi, padre dell’allora ministro Maria Elena. 

rif:http://www.ansa.it/toscana/notizie/2019/10/24/etruria-csm-non-conferma-rossi-a-guida-procura-arezzo_d7d7556a-c58d-4455-a62f-ae7882df6a5b.html

Omissioni su Etruria e Chigi costano il posto al pm Rossi

Omissioni su Etruria e Chigi costano il posto al pm Rossi

oberto Rossi non è più procuratore di Arezzo. La mancata comunicazione al Csm della sua consulenza a Palazzo Chigi anche con il governo Renzi, mentre indagava su banca Etruria, dove nel Cda sedeva Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministra Maria Elena (che a fine 2015 gli era valsa l’apertura di una pratica per incompatiblità ambientale […]

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/10/25/omissioni-su-etruria-e-chigi-costano-il-posto-al-pm-rossi/5531935/

Arezzo, via il capo della Procura «Condotta non trasparente»

La decisione del Csm. Il caso dell’inchiesta Banca Etruria. Lui: «Ingiusto e infondato»

Arezzo, via il capo della Procura «Condotta non trasparente»

La delibera, approvata a larga maggioranza dal Csm (relatore Piercamillo Davigo), non dà adito a interpretazioni. Roberto Rossi, procuratore di Arezzo, il magistrato che ha coordinato le indagini su Banca Etruria, avrebbe compromesso «almeno sotto il profilo dell’immagine il necessario requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti» tenendo «una condotta non trasparente» anche «nelle informazioni rese al Csm». Un giudizio durissimo quello dell’organo di autogoverno dei giudici che ha determinato la non conferma di Rossi alla guida della procura aretina. La decisione è stata presa con 16 voti favorevoli, 4 contrari e con un astenuto. 

La difesa

Rossi, che ha sempre negato ogni contestazione, farà ricorso al Tar chiedendo la sospensiva del provvedimento. Ma intanto da oggi resterà ad Arezzo come semplice sostituto procuratore. Al suo posto il pm più anziano in servizio, Elisabetta Iannelli, che resterà procuratore in pectore sino al concorso e alla nomina del nuovo procuratore. 

L’accusa

Ma qual è l’episodio che, secondo il Consiglio superiore della magistratura, avrebbe compromesso il requisito dell’indipendenza? Quello di essere stato consulente del dipartimento Affari giuridici e legislativi della Presidenza del consiglio mentre indagava per bancarotta su Banca Etruria e su Pier Luigi Boschi, padre di Elena, allora ministro. Insomma secondo il Csm, Rossi avrebbe proseguito l’incarico di consulenza al dipartimento della Presidenza del Consiglio anche dopo l’apertura dell’indagine su Banca Etruria del cui consiglio di amministrazione faceva parte il padre di Maria Elena Boschi. Un comportamento dunque che avrebbe compromesso l’imparzialità del pm secondo il parere della maggioranza del Csm, condiviso anche dal ministero della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, che in un documento aveva anche espresso un giudizio negativo sulle immagini della procura aretina su Banca Etruria. Una contestazione che Rossi respinge. «Ritengo la decisione del Csm ingiusta e infondata per più motivi — spiega al Corriere della Sera il magistrato —. Intanto perché la mia consulenza, come quella di altri colleghi, si era conclusa prima che io iniziassi le indagini su Banca Etruria. E poi perché né io né gli altri colleghi che avevano la consulenza con il Dipartimento affari costituzionali avevano riferimenti con figure politiche ma con un magistrato, capo del dipartimento, che chiedeva a noi pareri tecnici su alcune proposte di legge». Rossi ricorda inoltre che «la prima commissione del Csm luglio 2016 aveva avviato un primo procedimento conoscitivo finito con un’archiviazione».

Rif: https://www.corriere.it/cronache/19_ottobre_24/condotta-non-trasparente-arezzo-via-capo-procura-a83291f6-f69c-11e9-852d-8d5c113e41ca.shtml

Il Consiglio superiore della Magistratura non conferma Roberto Rossi alla guida della Procura

Il Consiglio superiore della Magistratura non conferma Roberto Rossi alla guida della Procura

Il procuratore Roberto Rossi non sarà più alla guida della Procura di Arezzo. Il suo incarico non è stato confermato.

“Il plenum del Consiglio superiore della magistratura – spiega in un lancio l’agenzia Adn Kronos – ha infatti, approvato a maggioranza, con 16 voti, la proposta della quinta commissione, relatore il togato Piercamillo Davigo contraria alla riconferma di Rossi”.

In quattro hanno votato a contro e uno – il vice presidente Davide Ermini – si è astenuto.

La proposta si basava sulla tesi che Rossi avrebbe compromesso “almeno sotto il profilo dell’immagine” il requisito “dell’indipendenza da impropri condizionamenti“. Come? Mantenendo l’incarico presso il Dipartimento affari giudiziari della Presidenza del Consiglio dei ministri nonostante fosse stata avviata un’inchiesta su Banca Etruria, nella quale Rossi avrebbe potuto indagare sul padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi.

Secondo Davigo, in questa situazione non sarebbe stata tenuta  condotta “trasparente”. A Rossi è stato contestato anche il fatto che nelle informazioni rese al Csm su quella circostanza, non ci sarebbero state spiegazioni o accenni all’argomento.

In plenum la quinta commissione aveva portato anche un’altra proposta, favorevole alla riconferma di Rossi nell’incarico di procuratore, relatore il togato di Unicost Marco Mancinetti, che ha avuto solo quattro voti.

Rossi aveva anche depositato una sua memoria, di alcune pagine, nella quale ha cercato di dare risposte punto per punto alle tesi avanzate nella proposta. Un documento che non sarebbe stato sufficiente a smontare quanto sostenuto da Davigo.“

rif:http://www.arezzonotizie.it/cronaca/csm-non-conferma-rossi.html

Il Csm ha bocciato Roberto Rossi 16 voti contro il Procuratore

Il plenum del Consiglio superiore della magistratura si è espresso sul caso del Procuratore della repubblica Roberto Rossi. La maggioranza ha deciso che non deve essere più lui il Procuratore capo di Arezzo. Sedici i voti contrari, quattro quelli favorevoli. Il vice presidente David Ermini si è astenuto.

La decisione è giunta prima delle 15 dopo la trattazione della pratica, rinviata mercoledì 23 ottobre per approfondire la memoria presentata dal magistrato. E’ passata quindi la linea sostenuta da Pier Camillo Davigo nella quinta commissione e cioè che le condotte di Rossi, in relazione alla vicenda Banca Etruria, avrebbero fatto venir meno i requisiti per continuare nella funzione di Procuratore capo.

Adesso il dottor Roberto Rossi, 60 anni, di Assisi, dal 1997 ad Arezzo, procuratore dal 2014, può fare ricorso al Tribunale amministrativo regionale. La Procura di Arezzo va verso una reggenza con il sostituto procuratore più anziano come servizio, la dottoressa Elisabetta Iannelli.

Secondo Davgo “almeno sotto il profilo dell’immagine” sarebbe venuto meno il requisito “dell’indipendenza da impropri condizionamenti” da parte del dottor Rossi. Rossi aveva replicato con puntualità e riscontri oggettivi alle accuse, ma questo non è bastato a smuovere la linea, rigidissima, del Csm.

Rif:https://corrierediarezzo.corr.it/news/cronaca/1213423/il-csm-ha-votato-contro-roberto-rossi-16-voti-contro-non-sara-piu-il-procuratore.html

Etruria, il Csm non conferma il pm del caso Boschi Sr

Etruria, il Csm non conferma il pm del caso Boschi Sr

Roberto Rossi non è stato confermato alla guida della procura di Arezzo

Etruria: Csm non conferma Rossi a guida procura Arezzo

Roberto Rossi non e’ stato confermato alla guida della procura di Arezzo. Lo ha deciso il plenum del Csm, a maggioranza: sedici i voti a favore della non conferma nell’incarico direttivo, 4 per la proposta sulla riconferma, mentre si e’ astenuto il primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone. Nella delibera approvata in plenum, si ponevano in rilievo i fatti, risalenti al 2015, quando Rossi aveva in essere una consulenza giuridica con la presidenza del Consiglio e, nello stesso tempo, aveva assunto il coordinamento delle indagini su Banca Etruria, del cui Cda faceva parte Pier Luigi Boschi, padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi. Anche il Guardasigilli Alfonso Bonafede non aveva dato il suo ‘concerto’ per la riconferma del magistrato nell’incarico di vertice dell’ufficio giudiziario aretino.

In base alle norme sull’ordinamento giudiziario, infatti, i ruoli di vertice in un ufficio devono, dopo 4 anni, essere confermati, per altrettanti anni, dal Consiglio superiore della magistratura. La Quinta Commissione, dunque, aveva formulato due proposte al plenum: una per la non conferma di Rossi – votata in Commissione dai togati Davigo (A&I), Micciche’ (MI), Suriano (Area) e dai laici Gigliotti (M5s) e Basile (Lega) – e una a favore della permanenza del magistrato nelle funzioni di capo della procura, sostenuta in Commissione dal solo togato di Unicost (la stessa corrente a cui appartiene Rossi) Marco Mancinetti. Nella proposta di maggioranza, oggi passata in plenum, si sottolineava che la vicenda dell’incarico con Palazzo Chigi avrebbe “compromesso il requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti, quantomeno sotto il profilo dell’immagine”. Per questi stessi fatti, era stata avviata un’indagine disciplinare, conclusa con l’archiviazione, e il Csm, nell’estate del 2016, aveva deciso di non avviare la procedura di trasferimento per incompatibilita’.

Rif:http://www.affaritaliani.it/cronache/etruria-il-csm-non-conferma-il-pm-del-caso-boschi-sr-633404.html

Il Csm non conferma Roberto Rossi alla guida della Procura di Arezzo

Per aver proseguito l’incarico di consulenza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche dopo l’apertura dell’indagine su Banca Etruria del cui cda faceva parte Pierluigi Boschi, padre dell’allora ministro Maria Elena

Non confermato nel suo ruolo alla guida della procura di Arezzo Roberto Rossi. In plenum al Csm passa con 16 voti, contro 4, e con un astenuto, la proposta di maggioranza della commissione per gli incarichi direttivi. Secondo la delibera – il relatore è Piercamillo Davigo – Rossi avrebbe compromesso «il requisito dell’indipendenza da impropri condizionamenti», almeno «sotto il profilo dell’immagine». E questo per aver proseguito l’incarico di consulenza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che gli era stato conferito con il governo Letta e confermato dal successivo esecutivo, anche dopo l’apertura dell’indagine su Banca Etruria del cui consiglio di amministrazione faceva parte Pierluigi Boschi, padre dell’allora ministro Maria Elena. Rossi lunedì aveva inviato al Palazzo dei Marescialli una memoria in cui parla di un «clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti».

Rif:https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/19_ottobre_24/csm-non-conferma-roberto-rossi-guida-procura-arezzo-f6e740e4-f660-11e9-8ac8-30ed6067f179.shtml

Procura Arezzo, Csm non conferma Rossi: tenne incarico di governo durante inchiesta su Etruria (dove poteva indagare su Boschi)

Procura Arezzo, Csm non conferma Rossi: tenne incarico di governo durante inchiesta su Etruria (dove poteva indagare su Boschi)

l plenum del Consiglio superiore della magistratura ha approvato la proposta della quinta commissione, relatore il togato Piercamillo Davigo, contraria alla riconferma. Il motivo? Il magistrato ha compromesso “almeno sotto il profilo dell’immagine” il necessario requisito “dell’indipendenza da impropri condizionamenti” per avere mantenuto l’incarico al Dipartimento affari giudiziari della Presidenza del Consiglio anche dopo l’avvio dell’indagine nella quale Rossi avrebbe potuto indagare sul padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi

Roberto Rossi, procuratore capo di Arezzo, non è stato confermato nel suo incarico. Con una netta maggioranza il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha infatti approvato la proposta della quinta commissione, relatore il togato Piercamillo Davigo, contraria alla riconferma di Rossi. Il motivo? Il magistrato ha compromesso “almeno sotto il profilo dell’immagine” il necessariorequisito “dell’indipendenza da impropri condizionamenti” per avere mantenuto l’incarico al Dipartimento affari giudiziari della Presidenza del Consiglio dei ministri anche dopo l’avvio dell’indagine su Banca Etruria, nella quale Rossi avrebbe potuto indagare sul padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi. Una situazione rispetto alla quale avrebbe tenuto una condotta “non trasparente” anche nelle informazioni rese al Csm su quella circostanza. In plenum la quinta commissione aveva portato anche un’altra proposta, favorevole alla riconferma di Rossi nell’incarico di procuratore, relatore il togato di Unicost Marco Mancinetti, che ha avuto solo quattro voti.

Il voto era originariamente previsto per ieri, mercoledì 23 ottobre, ma poi è slittato a oggi per la proposta avanzata dal laico di Forza Italia Michele Cerabona, motivata dalla necessità di approfondire la memoria che Rossi ha inviato al Consiglio. Nel documento, il procuratore ha fornito la sua versione dei fatti e cercato di chiarire ogni punto di contestazione sollevato nei suoi confronti. In otto pagine Rossi definisce “clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti” ciò che gli viene contestato, ovvero aver svolto un incarico al Dipartimento affari giudiziari e legislativi (Dagl) della Presidenza del consiglio mentre indagava sul crac di Banca Etruria e quindi, potenzialmente, su Pierluigi Boschi, padre dell’allora ministro in carica Maria Elena Boschi. Nella memoria il procuratore Rossi ha spiegato di esser uscito dal Dagl il 31 dicembre 2015, prima dunque del fallimento della banca, che è datato 11 febbraio 2016. Rossi ha anche respinto le accuse di essersi auto-assegnato in questo periodo le prime indagini sul dissesto di Banca Etruria, e di non aver chiesto, dopo aver ricevuto la relazione del terzo ispettore di Bankitalia Giordano Di Veglia, l’insolvenza della banca. Inoltre, nella stessa memoria il procuratore Rossi ha definito “gravissima ingerenza del potere politico su quello giudiziario” il parere negativo espresso dal ministro Bonafede laddove ha negato il cosiddetto concerto sulla conferma. Spiegazioni, quelle di Rossi, che non gli sono servite a convincere il Csm a prolungarli l’incarico per altri 4 anni.

rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/24/procura-arezzo-csm-non-conferma-rossi-tenne-incarico-di-governo-durante-inchiesta-su-etruria-dove-poteva-indagare-su-boschi/5531469/