Toghe sporche, L’Espresso: “Lotti ha ammesso ai pm di aver chiesto all’Eni carte da usare contro pm Ielo”. Ma l’ex ministro: “Non è vero”

Toghe sporche, L’Espresso: “Lotti ha ammesso ai pm di aver chiesto all’Eni carte da usare contro pm Ielo”. Ma l’ex ministro: “Non è vero”

L’ex ministro Pd Luca Lotti è stato interrogato dai magistrati milanesi all’inizio dell’estate e, secondo quanto rivelato da l’Espresso in un articolo che uscirà domenica in edicola, avrebbe ammesso l’esistenza di un tentativo di “complotto” contro il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. Che però l’ex ministro nega con forza annunciando azioni legali.

L’Espresso: “Chiesti documenti da usare contro Ielo” – “L’ex renziano è stato sentito a inizio estate dai magistrati della Procura di Milano in veste di testimone – scrive l’Espresso – E ha ammesso di aver chiesto all’Eni documenti riservati da usare contro la toga romana“. Secondo il settimanale “il deputato Pd tira in ballo Palamara e il collega Ferri, ma discolpa il manager Descalzi e l’azienda: alla fine da loro non ho ottenuto nulla”. Luca Palamara, è il pm di Roma, già presidente dell’Anm ed esponente di Unicost, indagato a Perugia per corruzione che aspirava a diventare aggiunto a Roma, mentre Cosimo Ferri, anche lui indagato nella città umbra per rivelazione di segreto, è deputato del Pd e in passato esponente di un’altra corrente ovvero. Magistratura indipendente. 

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Lotti convocato come teste dai pm di Milano – I pm Laura Pedio e Paolo Storari, coordinati dall’aggiunto Fabio De Pasquale, hanno convocato Lotti come teste per “chiarimenti su alcune frasi ritenute rilevanti dai colleghi di Perugia”. La notizia che stesse indagando anche a Milano è stata diffusa il 20 giugno scorso. La procura umbra ha trasmesso alcune intercettazioni dell’inchiesta in cui è coinvolto Luca Palamara, ovvero dialoghi tra Lotti e lo stesso ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati che è indagato per corruzione. Nelle conversazioni l’ex ministro dice di aver avuto dall’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi alcune carte sul fratello del procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo. Proprio Ielo è il magistrato che ha chiesto il rinvio a giudizio del braccio destro di Matteo Renzi per favoreggiamento, nell’ambito dell’inchiesta sulla Consip. Il 14 giugno, Lotti si è autosospeso dal Partito democratico in seguito allo scandalo sollevato dall’inchiesta nomine. 

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Documenti chiesti ma non ottenuti da Eni – L’ex ministro dello Sport non avrebbe potuto negare le parole intercettate grazie al trojan nel cellulare di Palamara e ha messo a verbale di aver ricevuto dall’ex presidente dell’Anm, e da Ferri il suggerimento di cercare attraverso il gruppo petrolifero documenti che potessero mettere in difficoltà l’avvocato Domenico Ielo per poterli utilizzare contro il fratello Paolo. Lotti, però, ha contemporaneamente dichiarato di aver cercato i contratti del fratello di Ielo, ma invano. Escludendo di fatto l’Eni da questa partita di veleni deflagrata con il caso delle nomine del Csm. A chi indaga risulta un contatto da Lotti e top manager, Claudio Grana (estraneo all’inchiesta). Ma da quel fronte nulla è arrivato.

Vale la pena ricordare che Paolo Ielo, procuratore aggiunto a Roma ha prima indagato e poi chiesto, a fine 2018, il rinvio a giudizio di Lotti per favoreggiamento in merito alla fuga di notizie sul Caso Consip, e che aveva dato il via all’inchiesta contro Palamara e l’imprenditore Fabrizio Centofanti, finita poi a Perugia per competenza. 

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Lotti: “Falso, fuga di notizia. Tutelerò la mia reputazione” – Lotti nega di aver parlato del complotto: “Sono stato sentito dai magistrati come persona informata sui fatti. Al di là del fatto che quell’interrogatorio è stato sottoposto a segreto istruttorio, leggo alcune anticipazioni giornalistiche che, per quanto reso pubblico finora, non corrispondono alla verità. È falso che io abbia confermato l’esistenza di un complotto contro il Procuratore aggiunto dottor Paolo Ielo e non corrisponde al vero che io abbia chiesto all’Eni documenti riservati. Al di là del pieno rispetto del diritto di cronaca – continua Lotti – ho dato mandato ai miei legali affinché vengano chiariti i dettagli di questa ennesima fuga di notizie e perché dopo la pubblicazione di notizie false, venga tutela la mia reputazione”.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/09/27/toghe-sporche-lespresso-lotti-ha-ammesso-ai-pm-di-aver-chiesto-alleni-documenti-riservati-da-usare-contro-il-pm-ielo/5482922/

I pm Ielo e Fava: la vera storia del duello alla Procura di Roma

I pm Ielo e Fava: la vera storia del duello alla Procura di Roma

Il caso – Fava consegnò a Palamara le carte (pubbliche) che potevano mettere in difficoltà il procuratore aggiunto che aveva innescato l’indagine di Perugia

C’è una conversazione intercettata nell’inchiesta di Perugia che illumina il conflitto tra due pm importanti della Capitale: Paolo Ielo e Stefano Fava. Il 16 maggio, mentre il trojan registra, Fava consegna al collega Luca Palamara le carte (pubbliche) sugli incarichi dell’avvocato Domenico Ielo, fratello del pm. Sono le consulenze ottenute dalla società in amministrazione straordinaria Condotte. Le carte di Condotte nella conversazione sono messe in relazione a quelle su una causa che vedeva contrapposto il pm Paolo Ielo con Brunella Bruno, sorella del commissario di Condotte, Giovanni Bruno, già imputata di Paolo Ielo, poi assolta. Fava consegna i fogli a Palamara che – secondo i pm di Perugia – vuole usarle contro il pm Ielo perché lo ritiene colpevole di aver trasmesso le carte della Finanza sui suoi rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti che poi porteranno all’inchiesta perugina per corruzione contro di lui.

Fava spiega così il loro contenuto: “Sul fratello di Ielo, la prima pagina che t’ho dato è il sito di Condotte. Tutti gli altri atti che ti ho dato ora (sono, ndr) tutti pubblici: sentenze, rinvio eh … tutto quanto”.

Due mesi prima di quel colloquio, il 12 marzo, Il Fatto aveva pubblicato la notizia che lo studio di Domenico Ielo aveva ottenuto, con altri avvocati, da Condotte, sottoposta a vigilanza del Mise, un incarico di consulenza legale del valore di 251 mila euro all’anno (“con progressive riduzioni del 15 per cento in caso di rinnovo”) per assistenza giudiziale e stragiudiziale per cause del valore di 484 milioni.

L’incarico risulta dal sito di Condotte, dove però non è precisato, nonostante l’articolo del Fatto lo abbia chiarito, che l’80 per cento del compenso va allo studio Ielo-Mangialardi. Gli altri avvocati si spartiscono solo il 20 per cento.

Fava consegna a Palamara le carte del sito di Condotte insieme a quelle del processo partito dal solito pm Henry John Woodcock e concluso a Roma con un’assoluzione già in primo grado per il magistrato amministrativo Brunella Bruno e solo in appello per il generale co-imputato Walter Cretella. Fava mette in relazione l’incarico del 2018-19 a Domenico Ielo con il processo del pm Ielo a Brunella del 2016. Perché Giovanni e Brunella sono fratelli e Giovanni è – tra i tre commissari di Condotte – quello che segue di più le cause legali.

Questa è la ricostruzione che fa Fava il 16 maggio del procedimento Bruno-Cretella: “È arrivato da Woodcock al solito impacchettato, Ielo lo ha preso, lo ha trattato come tratta quei processi e alla fine Cretella condannato a una pena bassissima e la Brunella Bruno,(…) e lui non ha impugnato e il fratello di Brunella Bruno al fratello di Ielo gli da quell’incarico pazzesco” (…) “nei confronti di Brunella Bruno (…) che tu trovi qua, poi conclude lui e chiede l’assoluzione per un reato di calunnia e per l’altro reato chiede una pena minima. Poi viene assolta e lui non fa impugnazione”. A prescindere dall’uso scorretto che ne voleva fare Palamara, la questione posta merita un approfondimento. Ielo ha chiesto la condanna per rivelazione di segreto e l’assoluzione nei confronti di Brunella Bruno per la presunta calunnia nel 2016. Poi non ha appellato l’assoluzione piena. Passano due anni e nel 2018 il fratello di Paolo Ielo, avvocato affermato, viene scelto da Condotte, guidata anche da Giovanni Bruno, fratello di Brunella. Certo sono passati due anni, ci sono altri due commissari, un comitato di sorveglianza più un giudice delegato e il ministero che vigila. Certo, Ielo è un pm che non appella quasi mai le assoluzioni. Però è sensato porre domande all’avvocato Ielo su rapporto con Bruno e Condotte. “Ho conosciuto prima il giudice amministrativo Brunella Bruno e poi – spiega con trasparenza l’avvocato Ielo – il fratello. Nel giugno del 2017 ho partecipato a un convegno al quale partecipava in una giornata diversa anche Brunella Bruno. Poi ne ho fatto uno nel 2018 in cui c’era la dottoressa e l’ultimo nel maggio scorso, stavolta come relatore-moderatore insieme a lei. Alla fine di agosto del 2018 mi ha contattato il fratello Giovanni – prosegue l’avvocato Ielo – telefonicamente. Mi ha detto che era uno dei tre commissari di Condotte e che conoscevo sua sorella. Poi mi ha chiesto se avevo conflitti di interessi rispetto a Condotte. Gli ho detto di no e a quel punto mi ha chiesto se il nostro studio poteva assistere Condotte in un contenzioso. Dopo un secondo piccolo incarico, l’avvocato Bruno mi ha richiamato a settembre per chiedermi se volevamo partecipare a una procedura di selezione per un incarico più importante. Così siamo stati selezionati”.

L’assoluzione di Brunella Bruno diventa definitiva per il mancato appello di Ielo il 23 settembre 2016. La nomina per sorteggio di Bruno a commissario Condotte è dell’agosto 2018. Il primo convegno tra l’ex imputata Brunella e il fratello dell’inquisitore risale a 9 mesi dopo la mancata impugnazione. Spiega Domenico Ielo. “Né Brunella né Giovanni Bruno mi hanno mai parlato di mio fratello. Non sapevo che era stato pm contro Brunella”. Imbarazzo per la coincidenza? “Nessuno. Difendo colossi come Eni, Mediaset, Iliad. Non ho visto nulla di strano nella proposta di Condotte”.

Domenico Ielo è stato socio del grande studio Erede-Pappalardo e da un paio di anni si è messo in proprio con Giovanni Mangialardi. Visto che il sito non riporta tutti gli incarichi, approfittiamo per fare un po’ di trasparenza: “Oltre a quello da 250 mila euro, ci sono tre incarichi extra. Il primo incarico – spiegano dallo Studio Ielo-Mangialardi – vale 12 mila euro, il secondo 3 mila, il terzo 18.200, più Iva”. I compensi non sono stati ancora pagati da Condotte. Più ridotta la quota del gruppo Eni sul fatturato milionario dello studio. Nel biennio 2018-2019 Eni Spa vale 10.075 euro, Agi ha pagato 26 mila euro, Syndial 18.795 e Eni servizi solo 5mila euro.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/06/26/i-pm-ielo-e-fava-la-vera-storia-del-duello-alla-procura-di-roma/5282112/

Sentenze pilotate, due giudici del Consiglio di Stato vogliono patteggiare. Dall’indagine è nato l’esposto del pm Fava contro Ielo che ha dato il via alla guerra tra le toghe romane

PAOLO IELO

Vincere un ricorso davanti al Consiglio di Stato non era affatto difficile. Bastava sapere a chi rivolgersi, sganciare una mazzetta e attendere la sentenza tanto desiderata. Uno scandalo per il quale ieri hanno chiesto di patteggiare l’ex presidente del Consiglio di Giustizia amministrativa (Cga) della Sicilia Raffaele Maria De Lipsis, l’ex magistrato della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso e, in ultimo, il deputato dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso.

I tre sono accusati dalla Procura di Roma di aver messo in piedi una cricca specializzata nella compravendita di verdetti amministrativi capace, tra il 2014 e il 2015, di incassare ben 150mila euro. Una richiesta di patteggiamento su cui, il 26 giugno, dovrà esprimersi il gup di Roma, Costantino De Robbio. La quarta persona coinvolta in questa inchiesta, il giudice in pensione del Consiglio di Stato Nicola Russo, ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario che inizierà il prossimo 15 luglio.

Questa vicenda, di per sé molto importante, si intreccia con i recenti problemi interni al Csm. Si tratta del procedimento su cui lavoravano il procuratore aggiunto Paolo Ielo (nella foto) e il pm Stefano Fava, quest’ultimo poi spogliato dell’inchiesta, e in cui figuravano gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore. Un’indagine che convinse Fava a scrivere il famoso esposto contro Ielo e Giuseppe Pignatone da cui, di fatto, ha preso il via la cosiddetta guerra delle toghe.

Rif: http://www.lanotiziagiornale.it/sentenze-pilotate-due-giudici-del-consiglio-di-stato-vogliono-patteggiare-da-indagine-e-nato-esposto-pm-fava/

Csm, ora indagano anche i pm di Milano: nelle manovre di Lotti contro Pm Paolo Ielo spunta l’Eni

Si allarga l’inchiesta sulle cene carbonare di giudici e politici con nuove intercettazioni ritenute rilevanti. Quelle, ancora segrete, in cui l’ex ministro renziano – mentre parla di un dossier contro il pm romano che lo ha rinviato a giudizio – dice a Palamara che avrebbe alcune carte sul fratello del magistrato anticorruzione. E che gli sarebbero state date da Descalzi, amministratore delegato del colosso petrolifero

Csm, ora indagano anche i pm di Milano: nelle manovre di Lotti contro Ielo spunta l’Eni

Aggiornamento 20 giugno ore 20: La replica dell’Eni al nostro articolo

Lo tsunami che sta investendo la magistratura scoperchia ogni giorno un nuovo scandalo. Le intercettazioni che hanno coinvolto Luca Palamara, Cosimo Ferri, Luca Lotti e membri del Csm stanno terremotando non solo la giustizia italiana, ma anche molti palazzi del potere.  «Diranno che sono la P5, che sono quello delle nomine» , ragiona Palamara senza sapere di essere ascoltato dai pm della Procura di Perugia che lo indagano per corruzione. Sappiamo già che al centro delle cene riservate della compagine c’è il risiko dei nuovi capi degli uffici giudiziari di primo livello, come le procure di Roma, Firenze, Perugia e Torino. Ed è noto che le trascrizioni del Gico della Guardia di Finanza sono analizzate al microscopio sia dai magistrati umbri, sia dalla commissione disciplinare del Csm che ne ha avuti una parte.

L’Espresso, nell’inchiesta esclusiva in edicola da domenica 23 giugno e n anteprima per gli abbonati di Espresso +  adesso ha scoperto che, da qualche giorno, anche la procura di Milano sta lavorando su alcuni colloqui segreti. I pm di Perugia hanno infatti trasmesso ai colleghi meneghini alcuni passaggi ritenuti rilevanti. Quelli, in particolare, in cui Lotti e Palamara discutono di un dossier per screditare Paolo Ielo, cioè il magistrato che ha chiesto il rinvio a giudizio sul caso Consip.

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Esclusivo: Lotti, l’Eni e il dossier segreto 

Nuove intercettazioni sul Csm rivelano le manovre dell’ex ministro per colpire il pm Ielo. E spunta il nome di Descalzi. Così ora indaga anche la procura di Milano  

Un dossier basato su alcune consulenze che il fratello del pm anticorruzione, Domenico, ha con l’Eni, il nostro colosso petrolifero. Come mai questi documenti sono state trasmessi a Milano? Perché in un’intercettazione (omissata nella prima informativa della polizia giudiziaria) Lotti confiderebbe a Palamara che lui è in possesso di alcune carte sul fratello di Ielo. E che queste carte gli sarebbero state date da Claudio Descalzi, l’amministratore delegato dell’Eni. L’intercettazione, è bene sottolinearlo, è in fase preliminare, di riscontro.

A Milano Descalzi è imputato in un processo per corruzione internazionale. E sempre la procura di Milano sta indagando sul dossieraggio fatto da Piero Amara (l’ex legale dell’Eni specializzato nella compravendita di sentenze che ha dato il via anche all’inchiesta su Palamara) insieme ad alcuni pm da lui corrotti. L’obiettivo era quello di provare (con esposti fasulli in cui l’Eni e Descalzi apparivano vittime di un fanta-complotto) a mettere il bastone tra le ruote ai magistrati che lavorano alle presunte tangenti in Nigeria.

Rif: http://espresso.repubblica.it/inchieste/2019/06/18/news/lotti-csm-1.336114?refresh_ce


Nuovi guai per Lotti, nell’intreccio Csm spunta anche l’Eni

Nelle intercettazioni le mosse per colpire il pm Ielo: «Contatti con Descalzi». Indaga la procura di MilanoPaolo Colonnello, Milano21 GIUGNO 2019

C’è un passaggio dell’inchiesta di Perugia sul magistrato capitolino Luca Palamara e l’ex ministro Luca Lotti che riguarda l’Eni e il suo attuale amministratore delegato Descalzi, già imputato a Milano in un processo per corruzione internazionale. Lo scrive in un’anticipazione il settimanale «L’Espresso». Si tratta di un’intercettazione ora agli atti di un più ampio fascicolo dell’inchiesta milanese aperta sui depistaggi dell’Eni e che vede iscritto, tra gli altri, sul registro degli indagati l’ex capo dell’ufficio legale del colosso petrolifero, l’avvocato Massimo Mantovani.  

Nella registrazione ambientale, tutt’ora segretata e captata con l’ormai famoso Trojan inserito nel cellulare di Palamara, l’ex ministro del Pd avrebbe confidato al magistrato romano di essere in possesso di alcune carte sul fratello avvocato del pm Paolo Ielo, ricevute nientemeno che dall’ad di Eni, Claudio Descalzi. Circostanza che, in una nota, ieri l’Eni ha smentito con decisione, dichiarandosi comunque parte lesa anche nell’inchiesta sui depistaggi. 

I documenti di cui parla Lotti nell’intercettazione avrebbero rivelato nel dettaglio le consulenze svolte dall’avvocato Domenico Ielo, socio di un importante studio legale, anche per il gruppo Eni e per una società di costruzioni, Condotte, avvalorando le accuse contenute nell’esposto mandato poi al Csm contro Ielo da un altro magistrato, Giuseppe Fava, ora indagato per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento. Nella intricatissima ragnatela, la circostanza, tutta da verificare, che sarebbe stato De Scalzi a far trasferire queste informazioni a Lotti e quindi a Palamara e poi a Fava, ha fatto scattare l’allarme tra i magistrati umbri che hanno deciso di trasmettere le intercettazioni ai colleghi milanesi Laura Pedio e Paolo Storari, titolari da tempo di un’indagine su una incredibile operazione di depistaggio che voleva raffigurare De Scalzi al centro di un complotto di oscure forze straniere, ordita con la complicità dall’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, a libro paga di due avvocati siciliani dell’Eni, Piero Amara e Giuseppe Calfiore, ora tutti arrestati. L’operazione, avvenuta tra il 2015 e il 2016, aveva come scopo quello di sottrarre ai magistrati milanesi l’inchiesta sulle tangenti Eni-Nigeria, ora a processo con il nome dell’ormai celebre giacimento petrolifero Opl245, conquistato, secondo le accuse, grazie a un complesso passaggio di denaro verso le autorità nigeriane di cui, al solito, alcuni milioni di euro sarebbero rimasti incollati anche a manager nostrani. Dopo l’arresto, l’avvocato Amara ha ammesso di essere l’autore dei dossier sull’Eni sostenendo di aver fatto tutto da solo, così come il magistrato Longo ha ammesso di aver intascato tangenti per inventare la falsa indagine che rappresentava Descalzi come vittima. Ma i magistrati milanesi ritengono si tratti di versioni «reticenti» e non a caso hanno indagato l’ex capo dell’ufficio legale Eni, l’avvocato Mantovani, considerato un fedelissimo di Descalzi. Ora bisognerà capire se quella di Lotti è stata o meno una millanteria. Di certo l’ex ministro aveva risentimenti verso il pm Ielo, essendo stato indagato per la vicenda Consip . Di sicuro i dettagli delle consulenze del fratello di Ielo con l’Eni potevano essere noti solo a qualcuno interno alla multinazionale. E di certo c’è che il pm Fava, autore dell’esposto contro Ielo al Csm, ha cercato anche di togliere ai colleghi milanesi l’inchiesta Amara-Eni.  

Rif:https://gazzettadimodena.gelocal.it/italia-mondo/cronaca/2019/06/21/news/nuovi-guai-per-lotti-nell-intreccio-csm-spunta-anche-l-eni-1.34679491

Sentenze pilotate, due giudici del Consiglio di Stato vogliono patteggiare. Dall’indagine è nato l’esposto del pm Fava contro Ielo che ha dato il via alla guerra tra le toghe romane

Vincere un ricorso davanti al Consiglio di Stato non era affatto difficile. Bastava sapere a chi rivolgersi, sganciare una mazzetta e attendere la sentenza tanto desiderata. Uno scandalo per il quale ieri hanno chiesto di patteggiare l’ex presidente del Consiglio di Giustizia amministrativa (Cga) della Sicilia Raffaele Maria De Lipsis, l’ex magistrato della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso e, in ultimo, il deputato dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso.

I tre sono accusati dalla Procura di Roma di aver messo in piedi una cricca specializzata nella compravendita di verdetti amministrativi capace, tra il 2014 e il 2015, di incassare ben 150mila euro. Una richiesta di patteggiamento su cui, il 26 giugno, dovrà esprimersi il gup di Roma, Costantino De Robbio. La quarta persona coinvolta in questa inchiesta, il giudice in pensione del Consiglio di Stato Nicola Russo, ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario che inizierà il prossimo 15 luglio.

Questa vicenda, di per sé molto importante, si intreccia con i recenti problemi interni al Csm. Si tratta del procedimento su cui lavoravano il procuratore aggiunto Paolo Ielo (nella foto) e il pm Stefano Fava, quest’ultimo poi spogliato dell’inchiesta, e in cui figuravano gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore. Un’indagine che convinse Fava a scrivere il famoso esposto contro Ielo e Giuseppe Pignatone da cui, di fatto, ha preso il via la cosiddetta guerra delle toghe.

Rif:http://www.lanotiziagiornale.it/sentenze-pilotate-due-giudici-del-consiglio-di-stato-vogliono-patteggiare-da-indagine-e-nato-esposto-pm-fava/

Tra i magistrati è tutti contro tutti

Il punto sul caso iniziato con un’indagine per corruzione e che ha fatto emergere meccanismi molto consolidati e noti da anni sui rapporti tra politica e magistratura.

Lo scandalo che sta coinvolgendo il Consiglio Superiore della Magistratura – l’organo di autogoverno dei magistrati che decide promozioni, sanzioni disciplinari e trasferimenti – si sta trasformando in uno scontro tutti-contro-tutti nel quale stanno emergendo comportamenti e meccanismi molto consolidati e noti da anni agli addetti ai lavori, e scambi di attacchi e accuse tra le varie correnti organizzate della magistratura, una sorta di partiti dei magistrati. Tutto è cominciato in seguito all’indagine per corruzione sul magistrato Luca Palamara, le cui intercettazioni telefoniche hanno rivelato un’estesa rete di colloqui e trattative tra magistrati e politici per la scelta degli incarichi più importanti nella magistratura (qui trovate una sintesi della vicenda).

L’ultimo episodio di questa storia è avvenuto sabato, quando “Magistratura Indipendente” – la corrente dei magistrati considerata “moderata” o di centrodestra – ha chiesto ai tre componenti che esprime nel CSM e che si erano autosospesi per aver incontrato e discusso di incarichi con l’ex ministro dello Sport Luca Lotti (che è sotto processo proprio a Roma per il caso CONSIP e, secondo i magistrati, avrebbe cercato di influenzare la nomina del procuratore della città) di ritirare la loro sospensione, restare al loro posto senza dimettersi e tornare al lavoro.

In risposta al documento le altre tre correnti organizzate della magistratura – “Area”, di centrosinistra; “Unicost”, centrista divisa tra un’ala di centrosinistra e una più di centrodestra; “Autonomia e Indipendenza”, cosiddetta “giustizialista”, nata da una scissione di “Magistratura Indipendente” e guidata da Piercamillo Davigo – hanno chiesto una riunione degli organi direttivi del sindacato dei magistrati, l’Associazione Nazionale Magistrati, per ritirare la fiducia alla giunta e al presidente dell’ANM, Pasquale Grasso, membro di “Magistratura Indipendente”. La riunione dovrebbe svolgersi il prossimo 16 giugno.

A complicare ulteriormente la vicenda c’è il fatto che domenica il presidente Grasso ha annunciato le sue dimissioni dalla corrente “Magistratura Indipendente”. «Sono giorni che cerco di convincere il mio gruppo a non suicidarsi», ha spiegato in un’intervista a Repubblica. «Soggetti che hanno trattato con un imputato per trattare il destino della procura di Roma devono dimettersi», ha detto riferendosi ai tre colleghi che hanno incontrato Lotti (sulla mozione che ha generato le sue dimissioni, però, si era solo astenuto), e sostenendo che il problema non sia aver discusso e trattato con i politici – cosa che avviene da sempre – ma averlo fatto con un politico inquisito. In tutto sono quattro i consiglieri autosospesi: Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli di “Magistratura Indipendente”, e Gianluigi Morlini di “Unicost”.

Fa parte di “Unicost” anche Luca Palamara, il magistrato indagato per corruzione la cui vicenda ha dato via al caso di questi giorni (qui avevamo spiegato l’indagine). Palamara, influente magistrato della procura di Roma, ex membro del CSM ed ex presidente dell’ANM, è sospettato di aver ottenuto denaro ed altri favori da un faccendiere che ha a lungo lavorato per il costruttore romano Francesco Bellavista Caltagirone. Intercettando Palamara e altri giudici, i magistrati di Perugia hanno scoperto le trattative tra correnti della magistratura ed esponenti politici per nominare i capi di alcune delle principali procure italiane. In questo secondo filone dell’inchiesta, quello sulle trattative che ha coinvolto Lotti, al momento non ci sono indagati.

Le trattative sulle nomine tra politica e magistratura non sono un fenomeno nuovo né particolarmente sorprendente. In un lungo e documentato articolo sulla Stampa a proposito della storia delle correnti e del CSM, Giuseppe Salvaggiulo ricorda oggi un episodio avvenuto nel 2012, quando un importante magistrato inviò per errore a migliaia di suoi contatti una mail destinata a pochi intimi in cui si scusava per avere aiutato a fare in alcune procure nomine di persone “poco adatte” e di averle fatte per ragioni di “opportunità politica”.

Le correnti all’interno del CSM, spiega Salvaggiulo, esistono dagli anni Sessanta. Oltre a quelle storiche, come “Unicost” e “Magistratura Indipendente”, negli anni sono nate “Area”, corrente di centrosinistra uscita dall’alleanza dei “Movimenti per la Giustizia” e della corrente “Magistratura Democratica”, e più di recente “Autonomia e Indipendenza”, la corrente di Davigo considerata vicina al Movimento 5 Stelle. Per anni le correnti hanno gestito in totale autonomia la distribuzione di incarichi all’interno della magistratura, come facevano i grandi partiti con gli incarichi pubblici. Oggi però sono diventate più “liquide”, racconta Salvaggiulo, cioè meno organizzate e meno in grado di orientare il consenso della categoria, un potere perso a scapito dei singoli magistrati più influenti. Palamara, per esempio, fa parte di “Unicost” ma appoggiava per la nomina a procuratore di Roma un candidato di “Magistratura Indipendente”, poiché lo considerava più utile ai suoi scopi.

È accaduto raramente in passato che un’inchiesta della magistratura rivelasse queste dinamiche con tanti dettagli. Ha fatto scalpore in particolare che negli incontri fosse coinvolto Luca Lotti, ex ministro dello Sport, amico e stretto collaboratore di Matteo Renzi, rinviato a giudizio a Roma per lo scandalo CONSIP. Negli incontri, registrati grazie ad alcune microspie inserite nel telefono di Palamara, si parlava di sostituire il procuratore di Roma con l’attuale procuratore di Firenze, e Palamara faceva capire a Lotti che i due avevano entrambi lo stesso nemico a Roma: il sostituto procuratore Paolo Ielo, che portava avanti sia il processo a Lotti che l’indagine su Palamara. Le intercettazioni mostrano che Palamara avrebbe cercato di screditare Ielo con l’aiuto di alcuni colleghi.

Il ruolo politico di Lotti e la sua importanza hanno attirato molta attenzione. Matteo Renzi lo ha difeso in diverse interviste, dicendo che il suo comportamento rappresenta la normale amministrazione e che da sempre i politici parlano con i magistrati per discutere le nomine. Renzi ha accusato i giornali di puntare l’attenzione sul suo ruolo soltanto perché Lotti è notoriamente suo amico e alleato. Altri hanno ricordato che Lotti è imputato e stava discutendo di nomine che riguardavano la procura dalla quale sarebbe stato processato e lo stava facendo con un magistrato che stava attivamente cercando di screditare il suo stesso accusatore, il sostituto procuratore Ielo.

Un altro parlamentare del PD è coinvolto in questo caso, e mostra quanto possano essere fluidi e girevoli i rapporti tra magistratura e politica. Il deputato Cosimo Ferri, ex sottosegretario alla Giustizia, è anche magistrato ed ex leader di “Magistratura Indipendente” (diversi giornali scrivono che esercita ancora una forte influenza all’interno della corrente). Ferri è entrato in politica nel 2013, quando durante il governo Letta fu nominato sottosegretario al ministero della Giustizia in quota Forza Italia, incarico rinnovato poi nel corso del governo Renzi.

Ferri – che è stato poi candidato ed eletto nelle liste del PD alle politiche del 2018 – risulta presente agli incontri di Lotti con i magistrati in cui si discuteva della nomina del procuratore di Roma (il procuratore di Firenze che avrebbe dovuto sostituirlo secondo Palamara e Lotti è un esponente di “Magistratura Indipendente”, la stessa corrente di Ferri). I giornali scrivono che il segretario del PD Nicola Zingaretti avrebbe chiesto a Ferri di dimettersi dal suo incarico in commissione Giustizia alla Camera. Ferri, che è deputato del PD ma non iscritto al partito, avrebbe risposto di no, minacciando di iscriversi al gruppo misto e di rimanere in commissione se il partito dovesse espellerlo dal gruppo.

Rif:https://www.ilpost.it/2019/06/10/csm-palamara-anm-dimissioni/

Eni,PM Paolo Ielo e Pignatone

l Fatto Quotidiano scrive di un presunto conflitto tra l’attività inquirente di due magistrati con quella professionale dei loro fratelli, entrambi avvocati di grido. Repubblica rivela che Perugia indaga sull’ex presidente Anm Palamara per corruzione e rapporti con Centofanti e Amara

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Una vera e propria bufera investe la Procura di Roma. Al centro, come accade ormai da oltre un anno, la posizione e le conoscenze dell’avvocato siracusano Piero Amara e la collaborazione dello stesso con Eni.

La Procura di Perugia su Palamara. La Procura perugina, competente per le indagini sui magistrati di Roma, sta indagando per corruzione Luca Palamara, ex consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm, l’organo di autogoverno della magistratura) ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm). Secondo Repubblica, Palamara è sospettato di aver sviluppato rapporti inopportuni con Fabrizio Centofanti (ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone) arrestato nel febbraio 2018 per frode fiscale e in affari con Piero Amara, avvocato coinvolto nell’inchiesta della Procura di Roma (oltre che Messina e Milano) per il suo ruolo nelle sentenze “aggiustate” della magistratura amministrativa. L’obiettivo dell’intera operazione, sostiene Repubblica, sarebbe prendere il controllo del Csm, organo responsabile di scegliere il nuovo procuratore di Roma, incarico rimasto vacante l’8 maggio scorso con il pensionamento di Giuseppe Pignatone per raggiunti limiti di età.

“Apprendo dagli organi di stampa di essere indagato per un reato grave e infamante per la mia persona e per i ruoli da me ricoperti – dice – Sto facendo chiedere alla Procura di Perugia di essere immediatamente interrogato perché voglio mettermi a disposizione per chiarire, nella sede competente a istruire i procedimenti, ogni questione che direttamente o indirettamente possa riguardare la mia persona”.

Esposto del Pm Fava a Roma contro i colleghi. E intanto Il Fatto Quotidiano scrive di un presunto conflitto tra l’attività inquirente di due magistrati con quella professionale dei loro fratelli, entrambi avvocati di grido, che sta spaccando la Procura di Roma. Roberto Pignatone, 61 anni, professore associato di Diritto tributario con studio a Palermo, ha ottenuto nel 2014 un incarico da Piero Amara, poi destinatario di una richiesta di arresto della Procura di Roma.

Il sostituto procuratore di Roma Stefano Rocco Fava, 52 anni, ha scritto al Csm per segnalare il comportamento del suo ex capo Giuseppe Pignatone, da poco andato in pensione, che non si è astenuto. Nell’esposto di Fava è citato anche il caso dell’aggiunto Paolo Ielo, tuttora a capo del pool reati amministrativi della Capitale. Domenico Ielo, 49 anni, titolare di un suo studio associato con sede a Milano, ha fatto (legittimamente) il consulente per l’Eni, società finita nel mirino della Procura perché i Pm hanno scoperto pagamenti per decine di milioni da Eni a una società di nome Napag.

Secondo il pm Fava quella società sarebbe stata riferibile allo stesso Amara ma il titolare di Napag – Francesco Mazzagatti – e Amara negano. All’esposto sono allegate le carte, provenienti da altre indagini di Siracusa, che documentano i rapporti del fratello minore di Pignatone. Fava – si legge sul Fatto – voleva proseguire le indagini su Amara (nonostante il patteggiamento a 3 anni con l’assenso della Procura) convinto che la storia non fosse finita lì e l’aveva puntato per i presunti affari tra Napag ed Eni. Amara è indagato per induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria e per autoriciclaggio perché avrebbe stipulato un “fittizio contratto di compravendita” di 25 milioni di euro tra l’Eni e la Napag, società a lui riconducibile, in cambio del silenzio sul “coinvolgimento dei vertici Eni nell’attività di inquinamento probatorio”.

Fava voleva proseguire su questo filone (poi finito a Milano) ma Pignatone, confortato da Ielo e da altri aggiunti, ha stoppato il sostituto prima negando il suo assenso alle richieste e poi togliendogli il fascicolo. Al centro dell’esposto di Fava c’è una riunione del 5 marzo scorso convocata da Pignatone nel suo ufficio per discutere dell’eventuale sua astensione in ragione dei rapporti professionali del fratello, che riferisce di non aver mai conosciuto Amara, con Eni.

Una storia che continua a evolversi sempre più e che non pare avere una conclusione, piena di intrecci e di personaggi di spicco che lasciano un alone di sospetto su ogni cosa. Una storia infinita, che vede al centro sempre lui: l’avvocato Piero Amara.

Rif: http://www.siracusanews.it/siracusa-eni-amara-intrecci-infiniti-bufera-sulla-procura-roma/