Giudice corrotto al tribunale di Latina: un’associazione di cittadini ha deciso di dire basta

I fallimenti delle aziende sono determinati da fattori economici, finanziari e imprenditoriali che, in una economia capitalistica “normale”, dipenderebbero dalle cosiddette regole del mercato. In questo caso, invece, tali regole non hanno avuto ragion d’esistere perché i fallimenti venivano pilotati da una cricca affaristica con a capo un giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Latina, Antonio Lollo, che si avvaleva del suo potere per stabilire chi poteva essere “condannato” al fallimento e chi no. Lo avrebbe ormai accertato un’inchiesta della locale Procura della Repubblica che ha trasmesso gli atti per competenza a Perugia. Dalle cronache risulta che alcuni di questi fallimenti sarebbero stati decretati a causa di momentanei problemi di liquidità delle aziende interessate, pur in presenza di una loro ampia solvibilità dal punto di vista patrimoniale. Il meccanismo di funzionamento della cricca era semplicemente diabolico: prevedeva che il giudice (dimessosi dalla carica dopo essere stato arrestato dalla Squadra Mobile di Latina che ha condotto le indagini) individuasse tra gli atti giudiziari della sua sezione quelle aziende che potevano essere “spolpate” prima che avessero accesso al patrimonio i creditori riconosciuti dalle sentenze. Avendo il potere di decretare lo stato di insolvenza, il togato nominava come curatori fallimentari suoi amici commercialisti e avvocati, ai quali riconosceva laute parcelle di liquidazione, sempre in danno delle aziende dichiarate fallite. Il “malloppo” così costituito veniva poi spartito dal capo della cricca (lo stesso ex giudice) in base a regole accettate dall’intero gruppo. Ad essere truffati in pratica erano dunque tutti: imprenditori, lavoratori, creditori ed erario.

Allo stato delle indagini, infatti, risulta che la continuità dell’attività aziendale, la sua redditività produttiva (spesso presente pur tra mille difficoltà), il futuro dei dipendenti e dell’imprenditore interessato, siano state subordinate a questo tipo di interessi. Ma la sensazione generale, visto che l’inchiesta di Latina sembra aver mostrato solo la punta di un immenso iceberg, è che la vicenda nasconda molti e più importanti interessi sui quali sarebbe utile un impegno della politica nazionale ai massimi livelli e un dibattito pubblico più approfondito.

Tra coloro che a Latina vogliono chiarezza e giustizia sull’intera vicenda si annovera, in primis, l’associazione onlus Giusta-Mente, formata da imprenditori e singoli cittadini di Latina che hanno vissuto in prima persona il meccanismo della cricca appena descritto. Sembra, infatti, che queste procedure fallimentari siano state avviate spesso a seguito di accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e dei relativi procedimenti di riscossione da parte di Equitalia (quella dove fino all’anno scorso era Vicepresidente Esecutivo Antonio Mastrapasqua, per intenderci). Ciò avveniva nello stesso tempo in cui le banche chiudevano improvvisamente le linee di credito decennali con questi clienti, mentre faccendieri-avvocati, molto noti a Latina, si proponevano per operazioni di svendita non solo del patrimonio sociale, ma persino dell’intera storia imprenditoriale della malcapitata azienda. Dal meccanismo però sembra sino rimaste escluse alcune società sulle quali sono già emerse gravi irregolarità amministrative e patrimoniali: uno per tutti è il caso della Aviointeriors di Tor Tre Ponti – Latina, di proprietà dell’imprenditore napoletano Alberto Veneruso. I lavoratori in quel caso hanno dovuto persino organizzare un sit-in davanti alla sede della Guardia di Finanza di Latina per poter esporre le incredibili anomalie che si erano ritrovati in busta paga. Le altre aziende invece sono finite nel tritacarne e con loro anche centinaia di lavoratori e lavoratrici insieme alle loro famiglie. Che si trattasse di una catena di supermercati, di un complesso immobiliare mai ultimato, di un caseificio, di un pastificio, di un’industria tessile, di un’attività commerciale o di un’azienda agricola, non importa. Ogni azienda era un’occasione di arricchimento per la cricca. Non si contano i casi in cui queste attività sono state spinte dall’intero sistema in una crisi irreversibile, anche se avevano margini per potersi risollevare. Presso la sezione fallimentare di Latina i fascicoli di fallimento sono più che raddoppiati negli ultimi anni e solo in parte ciò sembrerebbe dovuto alla crisi.

Gli aderenti all’Associazione Giusta-Mente vogliono ora capire perché in tutti questi casi si è arrivati alla dichiarazione fallimentare e come è stata gestita l’intera procedura. Già sono emerse precise indicazioni, anche rispetto ad anomale carriere politiche che sempre più spesso salgono alla ribalta della cronaca nel capoluogo pontino. Sono indicazioni che per motivi di opportunità al momento non possono essere divulgate. Ai cronisti comunque spetta di segnalare il caso di un’alta funzionaria dell’Agenzia delle Entrate, moglie di uno dei commercialisti arrestati insieme al giudice Lollo. Il soggetto è stato Assessore alle attività produttive al Comune di Formia e risultata esser stato multato dalla Banca d’Italia per gravi inadempienze amministrative della società di cui era Consigliere di Amministrazione: la società finanziaria Finworld ,che la stessa Banca d’Italia ha cercato di espellere per la seconda volta in pochi anni dall’albo degli intermediatori finanziari: il provvedimento è stato sospeso a luglio di quest’anno dal TAR del Lazio. Proprio nei giorni scorsi la signora in questione è stata nominata invece componente del Consiglio di Amministrazione di Acqualatina per volere del Senatore di Forza Italia, Claudio Fazzone. I membri dell’associazione ora intendono portare il tutto all’attenzione della Commissione Parlamentare Antimafia, che pare essere assai sensibile a quanto accade in provincia di Latina e alle losche trame di potere e di denaro che da decenni la governano.

Dalle intercettazioni risulta che l’ex giudice Antonio Lollo, diceva di non si sentirsi “sporco” quando commetteva i reati di cui si è già dichiarato colpevole. Forse perché riteneva e ritiene di non essere il solo nel suo ambiente ad agire contro i suoi doveri d’ufficio. Infatti, quasi due anni fa, una vicenda identica aveva portato in carcere la giudice del Tribunale di Roma “più mafiosa dei mafiosi” (testuali parole sue) Chiara Schettini. Probabilmente per questo, in seguito all’inchiesta, il Presidente del Tribunale di Latina ha deciso di affidare tutti i procedimenti fallimentari in corso ai consulenti iscritti negli albi professionali provinciali di Napoli. Una decisone che la scorsa settimana, con un ritardo di alcuni mesi rispetto allo scoppio dello scandalo, ha portato l’Ordine degli avvocati di Latina a chiedere una nuova ispezione presso il Tribunale di Latina da parte del Ministero di Grazia e Giustizia: Ministero che nel mese di aprile di quest’anno aveva già commissariato l’intera sezione fallimentare dello stesso Tribunale. Un provvedimento che aveva suscitato sgomento nell’opinione pubblica non tanto per il fatto che fosse stato adottato: in realtà era atteso da decenni, non solo dalle vittime di questo sistema, ma anche da tutti i professionisti onesti. Lo sgomento era determinato dal fatto che da molto tempo a Latina questa ingiustizia si è trasformata in un sistema: ancora oggi tanta gente ne paga le conseguenze. Ed è esattamente contro questo sistema che da ieri sono scesi in campo i volontari di Giusta-Mente.

Rif:https://www.articolo21.org/2015/12/la-legge-dei-fallimenti-pilotati-al-tribunale-di-latina-unassociazione-di-cittadini-ha-deciso-di-dire-basta/

Sì al sequestro dei beni della giudice sotto processo per aver pilotato i fallimenti

(Fotogramma)

Via libera alla confisca per 1 milione e mezzo di euro sui beni dell’ex giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Roma ,Chiara Schettini, imputata nel processo per peculato, con l’accusa di essersi appropriata di oltre 1.115.000 euro del fallimento della Srl Tecnoconsult. L’allora giudice delegato, ora sotto processo a Perugia, era stata rinviata a giudizio dal Gup del Tribunale umbro, che riteneva esistente il fumus del reato, messo a punto, in almeno quattro procedure fallimentari, con l’aiuto di curatori, commercialisti e avvocati, per appropriarsi del denaro destinato al pagamento dei creditori. Un meccanismo che consisteva nel nominare curatori fallimentari infedeli e nel redigere, con l’aiuto di avvocati, falsi atti di insinuazione al passivo.

Rif: https://www.ilsole24ore.com/art/si-sequestro-beni-giudice-sotto-processo-i-fallimenti-pilotati-ACc2Gtw

Avvocato e Giudice arrestati, puntavano a fare i soldi con i fallimenti

“Vedi che possiamo arrivare dappertutto se ci mettiamo, grazie a uno e grazie all’altro, ci arriviamo sempre dove vogliamo arrivare”. E’ il 9 ottobre scorso e Mauro Bertoldi in una conversazione intercettata con la collega di studio, Nicoletta Pompei, finita come lui ai domiciliari per corruzione e traffico illecito di influenze si compiace dell’obiettivo raggiunto. Sono soprattutto i fallimenti (“lì si guadagnano i soldi con la motopala”) a interessare l’avvocato tuderte, finito nell’inchiesta dei carabinieri di Todi che hanno indagato un giudice di Spoleto. Intanto il legale di Bertoldi, l’avvocato Luca Maori, respinge qualsiasi accusa. Dalle intercettazioni insomma sembra che le mire del legale originario di Todi, Mauro Bertoldi iscritto all’albo dal 2018, siano abbastanza chiare. Ma intanto, oltre a farsi inserire nelle liste dei delegati alle vendite anche “se egli stesso afferma di non essere particolarmente qualificato” cerca favori anche per la causa che vuole intentare contro l’assicurazione per la morte del fratello, deceduto per un infortunio sul lavoro a fine 2018. L’inchiesta dei carabinieri di Todi, del maggiore Luigi Salvati Tanagro, inizia lì: per quella morte qualcosa non torna e allora scattano degli accertamenti.

rif:https://corrieredellumbria.corr.it/news/home/1357123/avvocato-arresti-domiciliari-giudice-fallimenti-soldi-giustizia-indagini-.html

Indagato il giudice anticamorra D’Onofrio: “Pressioni per riparazioni gratis alla barca”

Indagato per concussione il giudice anticamorra Vincenzo D’Onofrio: il procuratore aggiunto di Avellino è coinvolto nella medesima indagine che riguarda l’ex capo degli ispettori del Ministero della Giustizia Andrea Nocera, al quale viene contestata anche la corruzione in concorso. Per la medesima accusa, sono coinvolti anche l’ex senatore di Forza Italia Salvatore Lauro (ischitano ed armatore noto per essere il figlio di Agostino Lauro, fondatore dell’Alilauro e che proprio al padre subentrò nel 1989), nonché Salvatore Di Leva, anch’egli armatore. Proprio sul cellulare di quest’ultimo gli inquirenti, durante l’indagine principale, hanno infiltrato un virus “trojan” (i cosiddetti virus “cavallo di troia”, ovvero file apparentemente innocui ma che una volta aperti “iniettano” il virus vero e proprio) che ha permesso loro di intercettare una conversazione ritenuta fondamentale per il proseguo delle indagini.

Per competenza, gli accertamenti su Vincenzo D’Onofrio sono stati passati a Roma: le indagini hanno riguardato una presunta pressione esercitata sull’armatore di Leva da parte di D’Onofrio affinché riparasse una barca usata per le gite nel Golfo di Napoli e di proprietà di Pasquale D’Aniello, vicesindaco di Piano di Sorrento. Nella stessa indagine risulta coinvolto anche un ufficiale della Guardia di Finanza, Gabriele Cesarano. Vincenzo D’Onofrio, tra l’altro candidato nei prossimi mesi per il ruolo di reggente nella Procura di Avellino, ovvero quando l’attuale capo Rosario Cantelmo lascerà la conduzione dell’ufficio per raggiunti limiti di età (nel 2020 Cantelmo compirà infatti 70 anni), è persona molto stimata nell’ambiente giudiziario, e volto noto delle inchieste anticamorra, tanto da essere stato tra i principali artefici delle indagini che portarono, tra l’altro, allo smantellamento del clan Sarno, ad inizio anni Novanta uno dei clan più potenti di Napoli.

rif:https://napoli.fanpage.it/indagato-il-giudice-anticamorra-donofrio-pressioni-per-riparazioni-gratis-alla-barca/

Corruzione, arrestati due avvocati e indagato un giudice

Per la procura di Firenze il magistrato di Spoleto avrebbe favorito il socio della compagna. I due legali ai domiciliari

Il giudice Tommaso Sdogati indagato per corruzione in concorso con l’avvocato Mauro Bertoldi e la collega di studio Nicoletta Pompei, che invece sono stati arrestati e ristretti ai domiciliari. Terremoto al tribunale di Spoleto per l’inchiesta della procura di Firenze sulla presunta corruzione legata agli incarichi di delegato alle vendite che Bertoldi avrebbe ricevuto nell’ambito delle esecuzioni immobiliari. Le misure cautelari sono state firmate dal gip Angelo Antonio Pezzuti che ha accolto le richieste formulate dal pm Luca Tescaroli a carico dei due professionisti, riservandosi la decisione sulla misura interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio nei confronti del giudice Sdogati all’esito dell’interrogatorio di garanzia, fissato per il 20 dicembre. Tutto sarebbe partito da un’indagine della procura di Perugia per sfruttamento della prostituzione che coinvolge l’avvocato e una cittadina di nazionalità romena. Ci sarebbe anche un terzo filone di indagine per peculato legato all’utilizzo di marche da bollo negli uffici della questura di Perugia.

Arrestati due avvocati e indagato un giudice In base a quanto emerge dall’ordinanza di 65 pagine, Bertoldi si sarebbe accordato con la Pompei, che aveva una relazione sentimentale con il giudice, per erogarle il 50 per cento della remunerazione ottenuti con gli incarichi di delegato alle vendite. Secondo l’accusa, il giudice Sdogati «avrebbe messo a disposizione dei due avvocati i suoi poteri e la sua funzione di magistrato, compiendo anche atti contrari ai doveri del proprio ufficio e intervenendo reiteratamente alla cancelleria del tribunale di Spoleto, «per verificare indebitamente l’inserimento di Bertoldi negli elenchi dei delegati alle vendite nell’ambito delle procedure di esecuzione immobiliare, per appurare l’iter dello sviluppo della procedura necessaria al perfezionamento dell’iscrizione dell’avvocato negli stessi elenchi e per far nominare Bertoldi delegato alle vendite». Per la procura di Firenze, che per competenza procede su indagini che coinvolgono magistrati, Sdogati avrebbe anche manifestato la disponibilità a farsi assegnare la causa civile per il risarcimento del danno che Bertoldi voleva intentare nei confronti di una compagnia assicurativa.

Traffico illecito di influenze I due avvocati, nello stesso fascicolo, sono indagati anche per traffico di influenze illecite perché, questa l’accusa, si sarebbero fatti consegnare 11.500 euro da due coniugi, che difendevano legalmente, per la mediazione verso un delegato alle vendite nominato dal tribunale di Perugia vantando di avere con lui relazioni in realtà inesistenti. In particolare, secondo la procura di Firenze, i due avvocati avrebbero incassato in quattro tranche la somma per far posticipare dal luglio scorso fino all’autunno la vendita all’asta della abitazione della coppia e per impedire l’alienazione dell’immobile così da far ribassare il prezzo d’asta e consentire ai coniugi di procurarsi il denaro necessario all’acquisto.

Rif:https://www.umbria24.it/cronaca/corruzione-arrestati-due-avvocati-e-indagato-un-giudice

Corruzione: arrestati due avvocati, indagato magistrato

Il tribunale civile di Perugia

Il giudice avrebbe affidato incarichi al socio della legale, con la quale aveva una relazione. L’avvocato agli arresti anche per prostituzione.

Firenze, 16 dic. – Due avvocati di Perugia sono finiti agli arresti domiciliarinell’ambito di un’indagine condotta, per competenza, dalla procura di Firenze. Si tratta di due avvocati civilistiun quarantenne e una trentasettenne, con studio legale nel capoluogo umbro, accusati di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e di traffico di influenze illecite, nell’ambito di un’articolata indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Firenze avviata agli inizi di quest’anno. Il reato di corruzione è contestato anche a un magistrato del Tribunale di Civile di Spoleto, legato sentimentalmente alla donna. Il magistrato è accusato di aver messo a disposizione i suoi poteri e la sua funzione, compiendo anche atti contrari ai doveri del proprio ufficio, affinché venissero, fra l’altro, conferiti incarichi di delegato alle vendite nell’ambito di procedure di esecuzioni immobiliari al legale socio di studio della propria compagna. Quest’ultimo avrebbe successivamentespartito i guadagni con la collega.

Nei confronti del giudice  richiesta l’applicazione della misura interdittiva dellasospensione da un pubblico ufficio. Il gip di Firenze si è riservato, in base agli esiti dell’interrogatorio fissato. A eseguire la misura sono stati i carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Firenze.

Le indagini hanno, poi, consentito di ipotizzare come i due avvocati abbiano commesso il reato di traffico di influenze illecite – vantando relazioni privilegiate, in realtà inesistenti, con un soggetto terzo delegato alla vendita di un’abitazione sottoposta a pignoramento dal Tribunale di Perugia – e si siano fatti consegnare indebitamente da una coppia di persone, alle quali l’immobile medesimo era stato pignorato, la somma di  11.500 euro quale prezzo della propria mediazione per poter pilotare la relativa asta.

La Procura di Perugia, in coordinamento con quella di Firenze, ha richiesto un’altra misura cautelare, emessa dal Gip di Perugia, eseguita simultaneamente, nei confronti dell’avvocato quarantenne per il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.

rif: https://www.lanazione.it/umbria/cronaca/perugia-corruzione-traffico-influenze-arresti-domiciliari-a-due-avvocati-indagato-magistrato-1.4941712

Aste giudiziarie, arrestati 2 avvocati | Carabinieri in tribunale a Spoleto, indagato pure un giudice

Aste giudiziarie, arrestati 2 avvocati | Carabinieri in tribunale a Spoleto, indagato pure un giudice | Aggiornamenti

Sono accusati di corruzione, il giudice avrebbe favorito l’avvocato socio della sua compagna. Tutto è nato da un’inchiesta sullo sfruttamento della prostituzione

Due avvocati, un uomo ed una donna, agli arresti domiciliari ed un giudice indagato a piede libero, tutti accusati di corruzione. E’ il fulcro dell’indagine aperta dalla Procura della Repubblica di Firenze e condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo della città toscana, che lunedì mattina intorno alle 8 si sono presentati al Tribunale di Spoleto.

Qui infatti è in servizio il giudice Tommaso Sdogati, compagno dell’avvocatessa arrestata, Nicoletta Pompei, così come in manette è finito il suo socio dello studio legale, situato a Perugia, l’avvocato Mauro Bertoldi.

Le accuse, a vario titolo, sarebbero di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e di traffico di influenze illecite, nell’ambito di alcune procedure di esecuzioni immobiliari

Gli incarichi per le aste giudiziarie

Secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, il giudice spoletino, nonostante non si occupi direttamente di aste giudiziarie, si sarebbe speso affinché venissero affidati incarichi di delegato alle venditeall’avvocato Bertoldi, socio dello studio legale della sua fidanzata. I guadagni ottenuti da tali incarichi, poi, sarebbero stati spartiti con la socia, Pompei. 

Tra le accuse mosse ai due giovani avvocati c’è anche quello di aver vantato relazioni privilegiate (che in realtà sarebbero state inesistenti) con un altro delegato alla vendita di una casa pignorata, facendosi consegnare dagli ex proprietari 11.500 euro con l’assicurazione di poter pilotare quell’asta giudiziaria presso il tribunale di Perugia.

Carabinieri al tribunale di Spoleto

Come detto, i militari dell’Arma lunedì mattina in borghese si sono presentati all’apertura del Tribunale di Spoleto per notificare al giudice Sdogati l’avviso di garanzia. Per il momento nei suoi confronti non sono stati presi provvedimenti, ma i pm fiorentini hanno chiesto per lui la sospensione del pubblico ufficio. Il gip, però, si è riservatol’applicazione della misura interdittiva in attesa dell’interrogatorio di garanzia. 

Tutto nato da un’altra inchiesta, 2 arresti per sfruttamento della prostituzione

L’inchiesta che nella giornata di lunedì ha creato scalpore negli ambienti forensi e giudiziari è nata mentre la Procura della Repubblica di Perugia indagava su un’altra vicenda

Si tratta di un’indagine per il reato di sfruttamento della prostituzioneche ha portato all’arresto, sempre nella stessa giornata di 2 persone. In realtà una delle misure cautelari è stata emessa nei confronti dello stesso avvocato Bertoldi poi finito ai domiciliari per corruzione. Sarebbe stato dalle intercettazioni nei suoi confronti che sarebbe emersa l’altra vicenda che ha coinvolto l’avvocatessa sua socia ed il giudice compagno di lei. Per competenza, essendo interessato un magistrato, il fascicolo sui presunti incarichi pilotati è stato poi trasmesso alla Procura della Repubblica di Firenze.

Quanto all’inchiesta sulla prostituzione, i dettagli sono stati forniti dai carabinieri martedì mattina: qui l’articolo.

(aggiornato alle ore 9.25 del 17/12/2019)

Rif:https://tuttoggi.info/aste-giudiziarie-arrestati-2-avvocati-carabinieri-in-tribunale-a-spoleto-indagato-pure-un-giudice/546968/

I DOMICILIARI 2 AVVOCATI DI PERUGIA E INDAGATO UN GIUDICE DI SPOLETO

AI DOMICILIARI 2 AVVOCATI DI PERUGIA E INDAGATO UN GIUDICE DI SPOLETO

Due avvocati di Perugia si trovano agli arresti domiciliari  e un giudice civile del Tribunale di Spoleto risulta indagato nell’ambito di una indagine condotta dalla procura di Firenze che ne ha chiesto la sospensione interdittiva dalla funzione.

I due avvocati , un uomo di 40 anni e una donna di 37, dello stesso studio legale, sono accusati di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio e per traffico di influenze illecite. Il giudice indagato è legato sentimentalmente all’avvocatessa. E’ accusato di aver messo a disposizione poteri e funzione  compiendo atti contrari ai doveri di ufficio affinché venissero, fra le altre cose,  dati incarichi di delegato alle vendite in procedure di esecuzioni immobiliari al legale socio di studio della fidanzata.

rif:http://www.terninrete.it/notizie-di-terni-ai-domiciliari-2-avvocati-di-perugia-e-indagato-un-giudice-di-spoleto/

La banda dei giudici corrotti: l’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

La banda dei giudici corrotti: l'inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

Giustizia corrotta, ai massimi livelli. Con una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della nostra democrazia. Un’inchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.

Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.

L’antefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.

L’esistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».

Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.

L’inchiesta riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.

Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.

A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.

Amara, come avvocato siciliano dell’Eni, è anche l’artefice della corruzione di un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, che in cambio di almeno 88 mila euro e vacanze di lusso a Dubai aprì una fanta-inchiesta giudiziaria ipotizzando un inesistente complotto contro l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Un depistaggio organizzato per fermare le indagini della procura di Milano sulle maxi-corruzioni dell’Eni in Nigeria e Congo. Dopo l’arresto, Longo ha patteggiato una condanna a cinque anni. Ma la sua falsa inchiesta ha raggiunto il risultato di spingere alle dimissioni gli unici consiglieri dell’Eni, Luigi Zingales e Karina Litwak, che denunciavano le corruzioni italiane in Africa.

Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. Giuseppe Mineo è un docente universitario nominato giudice del Consiglio siciliano dalla giunta dell’ex governatore Lombardo. Nel 2016 vuole ascendere al Consiglio di Stato. A trovargli appoggio politico sono gli avvocati Amara e Calafiore, che versano 300 mila euro al senatore Denis Verdini, che invece nega tutto. L’ex ministro Luca Lotti però conferma che proprio Verdini gli chiese di inserire Mineo tra le nomine decise dal governo Renzi. Alla fine il giudice raccomandato perde la poltrona solo perché risulta sotto processo disciplinare per troppi ritardi nelle sue sentenze siciliane.

Tra i legali ora indagati c’è un altro illustre avvocato, Stefano Vinti, accusato di aver favorito un suo cliente, l’imprenditore Alfredo Romeo, con una tangente mascherata da incarico legale: un “arbitrato libero” (un costoso verdetto privato) affidato guarda caso al padre del solito Russo. Proprio lui, l’ex giudice che sta cercando di usare lo squadrone delle toghe sporche, ancora ignote, per fermare i magistrati anti-corruzione.

Rif:http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/02/18/news/giudici-corrotti-1.331753?refresh_ce

Saguto, si aggrava la posizione dell’ex magistrato. Arriva l’accusa di concussione

Il pm di Caltanisetta Maurizio Bonaccorso chiederà l’assoluzione di Aulo Gigante, amministratore giudiziario delle imprese Niceta, tra gli imputati del processo sul “Sistema Saguto” . Lo ha annunciato oggi in aula lo stesso magistrati. Al contrario si aggrava la posizione di Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, protagonista principale del caso giudiziario. Per il capo di imputazione che riguardava Gigante, accusato di corruzione in concorso, la contestazione, per l’ex presidente, passa da corruzione a concussione. Il giudice avrebbe costretto il legale a fare un incarico.

L’episodio nasce da un’intercettazione ambientale effettuata nell’ufficio del magistrato. Dalla conversazione si evinceva che l’imputata aveva invitato l’avvocato Gigante, che si occupava dell’amministrazione del gruppo imprenditoriale Niceta, a  sostituire un collaboratore con un altro da lei suggerito. La sostituzione, però, non fu mai fatta.

Gigante, difeso dagli avvocati Giacomo Butera e Enrico Tignini, è stato rinviato a giudizio per corruzione.  Dal processo, però, è emerso che l’ex amministratore si limitò a raccogliere l’indicazione del magistrato senza darvi seguito. Per questo il pm ha annunciato che chiederà l’assoluzione di Gigante, mentre la Saguto si trova ora a rispondere, per questo episodio, di concussione anziché di corruzione. Il processo proseguirà il 9 gennaio. A metà gennaio comincerà la requisitoria del pm.

rif:https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/12/11/news/saguto_si_aggrava_la_posizione_dell_ex_magistrato_arriva_l_accusa_di_concussione-243203222/