Sentenze vendute, indagato il giudice del Tar di Catania Dauno Trebastoni


La Guardia di finanza ha perquisito i suoi uffici della sezione etnea. E’ accusato di corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta che vede coinvolti anche gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore (che collaborano con gli inquirenti)

l giudice del Tar di Catania Dauno Trebastoni è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Catania. Il magistrato è indagato per corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta che vede già coinvolti gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore che, come è noto, stanno collaborando con gli inquirenti. La notizia è emersa dopo che in mattinata i finanzieri avevano effettuato una perquisizione negli uffici del Tar di Catania. Notizia che era stata rivelata da Live Sicilia Catania e che la Procura etnea ha confermato.

Due lettere, una destinata al Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, e l’altra al Presidente del Tar Catania Pancrazio Savasta sono partite – a quanto si apprende – da Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato a Roma. Le lettere sono volte ad ottenere elementi utili per l’adozione di eventuali iniziative di competenza del Presidente del Consiglio di Stato o dell’Organo di autogoverno della magistratura amministrativa (Cpga), in relazione alle notizie di stampa sull’indagine e la perquisizione a carico di Trebastoni.

rif:https://www.lasicilia.it/news/catania/216223/sentenze-vendute-indagato-il-giudice-del-tar-di-catania-dauno-trebastoni.html

Inchiesta di Firenze, indagati ex pm Duchini e Colaiacovo: le accuse

Inchiesta di Firenze, indagati Duchini e Colaiacovo: le accuse

Avviso di conclusione delle indagini a 7 persone tra cui l’ex pm di Perugia | Tra i reati contestati, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio

La Procura di Firenze ha chiuso l’inchiesta sull’ex procuratore aggiunto di Perugia Antonella Duchini, indagata per corruzione, abuso d’ufficio, rivelazione di segreto istruttorio e peculato.

Tra gli indagati (l’avviso di conclusione delle indagini è arrivato a sette persone) anche Carlo Colaiacovo, patron Colacem ed ex presidente di Confindustria Umbria, gli ex sottufficiali del Ros, Orazio Gisabella e Costanzo Leone, e l’imprenditore Valentino Rizzuto.

Secondo la procura di Firenze, Colaiacovo avrebbe istigato i concorrenti nella commissione dei reati di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto. I fatti risalgono agli anni tra il 2016 e il 2017, quando Duchini, che indagava su un procedimento penale relativo alla famiglia Colaiacovo, “comunicava – si legge nelle carte – a Gisabella, e per suo tramite a Leone, notizie relative alla tempistica del compimento di atti di indagine del procedimento”.

Violando i loro doveri di ufficio”, sarebbero state fatte visionare a un dipendente delle consulenze tecniche e le trascrizioni di conversazioni telefoniche intercettate e una nota della guardia di finanza di Perugia. Inoltre, a Carlo Colaiacovo sarebbe stata “comunicata l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza della quota della società Financo di proprietà della Franco Colaiacovo Gold”, fatto – secondo l’accusa – concordando contenuti e tempistica dell’emissione, al solo scopo di “impedire l’erogazione di finanziamenti in favore di Giuseppe e Franco Colaiacovo”, favorendo quindi Carlo Colaiacovo nel suo progetto di acquistare quote.

Tesi che il diretto interessato respinge: contattato dal Corriere dell’Umbria, fa sapere di non aver commesso i fatti contestati, tra cui l’acquisto delle quote che non si è mai verificato.

Accuse respinte al mittente, in passato, anche dagli avvocati del magistrato, Nicola Di Mario e Michele Nannarone, che a metà luglio 2018 definivano gli addebiti “privi di fondamento giuridico”.

Tesi ribadita con una nota oggi, con cui Duchini, insieme a Gisabella e per tramite dei legali Di Mario e Nannarone, scrivono che “la lettura delle evidenzia delle criticità di contenuto, che riguardano da un lato l’inquadramento giuridico della vicenda e dall’altro la ricostruzione del suo profilo storico-fattuale”. I legali in particolare segnalano un “assoluto difetto degli elementi costitutivi dei reati” e che “le contestazioni di peculato riguardano decreti di liquidazione compensi per attività di consulenze tecniche svolte in modo effettivo e corretto e perciò doverosamente retribuite”.

Duchini è inoltre indagata, insieme a Gisabella, all’imprenditore Valentino Rizzuto per corruzione. Nel mirino della Procura i 108mila euro che Rizzuto avrebbe dato a Gisabella, “insieme ad altre utilità, consistenti nel pagamento di viaggi all’estero, per avere Duchini, d’intesa con l’avvocato Pietro Gigliotti (che non è indagato) compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio, quali, tra gli altri, avere definito favorevolmente il procedimento contro Rizzuto”.

A Gisabella, Duchini e altre due persone viene anche contestato il peculato (ma le accuse sono prescritte, in quanto risalgono a prima del 2011) e, nello specifico, di essersi appropriati di parte delle somme liquidate in favore di consulenti della procura, circa 400.000 euro.

Rif: https://tuttoggi.info/inchiesta-di-firenze-indagati-duchini-e-colaiacovo-le-accuse/538882/

La Cassazione conferma: Saguto radiata dalla magistratura

Confermata la sanzione disciplinare della rimozione dalla magistratura per Silvana Saguto,ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, accusata a Caltanissetta di aver gestito illecitamente le procedure di designazione degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. 

Le Sezioni Unite civili della Cassazione hanno respinto il ricorso della giudice e accolto in parte quello del ministero della Giustizia, che ha presento reclamo contro l’assoluzione, da parte della sezione disciplinare del Csm, da una serie di contestazioni disciplinari.

Saguto contestava tra l’altro la violazione del suo diritto di difesa, poiché non avendo potuto recarsi a palazzo dei Marescialli a Roma per l’udienza disciplinare era stato disposto il video-collegamento e non il rinvio. E che non fosse stata disposta la sospensione del procedimento disciplinare in attesa dell’esito del processo penale.

Due obiezioni respinte dalla Cassazione, perché non vi era “assoluta impossibilità a comparire” e perché “la pendenza di un processo penale relativo agli stessi fatti non determina la necessaria sospensione del procedimento disciplinare”, visto che “i criteri di accertamento della responsabilità sono diversi”.

Visto che la Cassazione ha in parte accolto il ricorso del ministero, il caso dovrà tornare nuovamente alla sezione disciplinare del Csm.

rif:http://www.ilsicilia.it/la-cassazione-conferma-saguto-radiata-dalla-magistratura/

Procura Arezzo, Csm non conferma Rossi: tenne incarico di governo durante inchiesta su Etruria (dove poteva indagare su Boschi)

Procura Arezzo, Csm non conferma Rossi: tenne incarico di governo durante inchiesta su Etruria (dove poteva indagare su Boschi)

l plenum del Consiglio superiore della magistratura ha approvato la proposta della quinta commissione, relatore il togato Piercamillo Davigo, contraria alla riconferma. Il motivo? Il magistrato ha compromesso “almeno sotto il profilo dell’immagine” il necessario requisito “dell’indipendenza da impropri condizionamenti” per avere mantenuto l’incarico al Dipartimento affari giudiziari della Presidenza del Consiglio anche dopo l’avvio dell’indagine nella quale Rossi avrebbe potuto indagare sul padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi

Roberto Rossi, procuratore capo di Arezzo, non è stato confermato nel suo incarico. Con una netta maggioranza il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha infatti approvato la proposta della quinta commissione, relatore il togato Piercamillo Davigo, contraria alla riconferma di Rossi. Il motivo? Il magistrato ha compromesso “almeno sotto il profilo dell’immagine” il necessariorequisito “dell’indipendenza da impropri condizionamenti” per avere mantenuto l’incarico al Dipartimento affari giudiziari della Presidenza del Consiglio dei ministri anche dopo l’avvio dell’indagine su Banca Etruria, nella quale Rossi avrebbe potuto indagare sul padre dell’allora ministro Maria Elena Boschi. Una situazione rispetto alla quale avrebbe tenuto una condotta “non trasparente” anche nelle informazioni rese al Csm su quella circostanza. In plenum la quinta commissione aveva portato anche un’altra proposta, favorevole alla riconferma di Rossi nell’incarico di procuratore, relatore il togato di Unicost Marco Mancinetti, che ha avuto solo quattro voti.

Il voto era originariamente previsto per ieri, mercoledì 23 ottobre, ma poi è slittato a oggi per la proposta avanzata dal laico di Forza Italia Michele Cerabona, motivata dalla necessità di approfondire la memoria che Rossi ha inviato al Consiglio. Nel documento, il procuratore ha fornito la sua versione dei fatti e cercato di chiarire ogni punto di contestazione sollevato nei suoi confronti. In otto pagine Rossi definisce “clamoroso e sconcertante travisamento dei fatti” ciò che gli viene contestato, ovvero aver svolto un incarico al Dipartimento affari giudiziari e legislativi (Dagl) della Presidenza del consiglio mentre indagava sul crac di Banca Etruria e quindi, potenzialmente, su Pierluigi Boschi, padre dell’allora ministro in carica Maria Elena Boschi. Nella memoria il procuratore Rossi ha spiegato di esser uscito dal Dagl il 31 dicembre 2015, prima dunque del fallimento della banca, che è datato 11 febbraio 2016. Rossi ha anche respinto le accuse di essersi auto-assegnato in questo periodo le prime indagini sul dissesto di Banca Etruria, e di non aver chiesto, dopo aver ricevuto la relazione del terzo ispettore di Bankitalia Giordano Di Veglia, l’insolvenza della banca. Inoltre, nella stessa memoria il procuratore Rossi ha definito “gravissima ingerenza del potere politico su quello giudiziario” il parere negativo espresso dal ministro Bonafede laddove ha negato il cosiddetto concerto sulla conferma. Spiegazioni, quelle di Rossi, che non gli sono servite a convincere il Csm a prolungarli l’incarico per altri 4 anni.

rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/24/procura-arezzo-csm-non-conferma-rossi-tenne-incarico-di-governo-durante-inchiesta-su-etruria-dove-poteva-indagare-su-boschi/5531469/

BIBBIANO, C’È UN MOSTRO: È IL TRIBUNALE DEI MINORI

Bibbiano, c’è un mostro: è il Tribunale dei Minori

Se c’è qualcosa di assurdo nell’inchiesta giudiziaria sui falsi rapporti dei Servizi sociali per ottenere il “rapimento” dei bambini ai genitori per destinarli ad un “commercio” degli affidamenti, questo è rappresentato dal fatto che a condurre l’indagine è la stessa Autorità giudiziaria, lo stesso Tribunale, che sono responsabili della mostruosa vicenda.

Il difetto sta nel manico”. In questo caso come in tanti altri, il “manico” è il sistema che permette e favorisce gli abusi. Perché quanto è avvenuto a Bibbiano e dintorni è la naturale conseguenza di un sistema assurdo, nonché della deformazione di esso che, prodottasi con gli anni (e con il non voler vedere la realtà dei risultati), ha reso il sistema stesso capace di mostruosità ancor più evidenti.

Prima assurdità: il Tribunale dei Minori ha una giurisdizione troppo vasta, corrispondente a quella della Corte d’Appello (quella di Bologna comprende tutta l’Emilia-Romagna). Ed è un Tribunale con competenze varie, che vanno da quella penale alla cosiddetta “volontaria giurisdizione” che è, appunto, quella delicatissima funzione che dovrebbe, nientemeno, vegliare sull’esercizio stesso delle funzioni genitoriali. A ciò si aggiunge che il carattere, in gran parte “semi-amministrativo” delle funzioni del Tribunale dei Minori e le norme relative alla sua composizione con l’intervento di “esperti” e con sostanziali deleghe di indagini (che non dovrebbero essere, ma sono, “sostitutive” di quelle della stessa Autorità giudiziaria, ai famigerati “Servizi sociali”); delega che tende a diventare sempre più completa e sempre meno controllata e soggetta alla critica.

Ecco quindi che in un sistema giudiziario in cui nemmeno una fitta quantità di norme riescono a rendere equa e chiara l’assunzione delle prove, proprio per l’esercizio di uno dei più delicati e difficili compiti si ricorre al trasferimento al potere incontrollato di organismi di discutibile formazione e mancanti di ogni controllo efficace sulla loro discrezionalità, con una effettiva rinunzia alla funzione che il Tribunale dovrebbe considerare come propria e non delegabile. È l’anticamera dell’abuso e addirittura l’anticamera del crimine.

Ecco il vero mostro. Che non è “di Bibbiano”. Ho già scritto delle malefatte del Tribunale dei Minori proprio di quello di Bologna, di molti anni fa. Malefatte dei Servizi sociali, malefatte del ministro della Giustizia che allora, di fronte ad un caso in cui l’abuso si tingeva addirittura di ridicolo, alzò le spalle per il fastidio di quel ficcanaso di deputato.

Manca, tra l’altro, uno studio serio e severo, sulla corrispondenza (che in realtà è vera “dipendenza”) dei provvedimenti del Tribunale rispetto all’operato ed alle “proposte” dei Servizi sociali. Ecco il mostro! Rimediare tardivamente agli episodi di Bibbiano, lasciando intatto il sistema, fa sì che la mostruosità si estenda al potere legislativo. Altro che mostri di Bibbiano!

Rif:http://www.opinione.it/editoriali/2019/07/31/mauro-mellini_bibbiano-inchiesta-giudiziaria-falsi-rapporti-servizi-sociali-bambini-genitori-affidamenti/

“Sistema Siracusa”, indagato a Messina il procuratore di Taranto Capristo

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C’è un altro indagato eccellente nell’inchiesta sul “sistema Siracusa” gestita dalla Procura di Messina retta da Maurizio De Lucia, che s’è ormai allargata a tutta Italia. Ed è un altro magistrato.

Si tratta dell’attuale procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo, che è stato iscritto nel registro degli indagati dai magistrati di Messina con l’ipotesi di reato di abuso d’ufficio. Di lui ha parlato in un verbale l’avvocato Piero Amara, il regista del “sistema Siracusa”, che ha raccontato di aver inviato a Trani, quando Capristo era a capo di quella procura, uno degli esposti anonimi che sarebbero dovuti servire ad inscenare il falso complotto ai danni dell’Eni, per sviare le “vere” indagini di Milano sul colosso petrolifero.

L’abuso d’ufficio contestato a Capristo si sarebbe concretizzato secondo i magistrati di Messina proprio con l’invio del fascicolo “strumentalmente” da Trani a Siracusa e non alla Procura di Milano, che in quel periodo stava indagando su tutta la vicenda Eni.

Secondo quanto ha riferito l’avvocato Amara ai magistrati messinesi lui conosceva bene Capristo. Un esposto anonimo dello stesso tenore Amara lo inviò all’epoca alla procura di Siracusa dal suo “amico”, ora ex pm, Giancarlo Longo. E proprio l’ex pm, che ha patteggiato la pena di 5 anni di reclusione nell’ambito del processo aperto a Messina, chiese al collega Capristo l’invio degli atti al suo ufficio. Atti che vennero in effetti inviati da Trani a Siracusa.

“Sono stato già interrogato dai colleghi di Messina – ha spiegato Capristo all’Ansa – e ho rappresentato loro la correttezza del mio operato”. “Quando giunsero gli anonimi a Trani – ha aggiunto – furono assegnati a due sostituti che si occuparono dei doverosi accertamenti sulla loro fondatezza”. “Successivamente – ha rilevato – venne formalizzata una articolata richiesta del fascicolo dal Pm di Siracusa. La richiesta fu analizzata dai due Pm che con apposita relazione mi rappresentarono che gli atti potevano essere trasmessi. Vistai la relazione e disposi la trasmissione del fascicolo al Procuratore di Siracusa. Nessuno poteva immaginare all’epoca alcun preordinato depistaggio”.

Rif: https://messina.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2019/07/02/sistema-siracusa-indagato-a-messina-il-procuratore-di-taranto-capristo-048164d7-772e-446b-a938-13a1efe4ff48/