In carcere 22 anni da innocente, Gulotta: ‘devolverò il risarcimento alla mia fondazione per le vittime malagiustizia’

In carcere 22 anni da innocente, Gulotta: “Ho chiesto risarcimento ma non so quanto valga una vita rovinata da 18 a 55 anni. Se arriverà lo devolverò alla fondazione che ho costituito con i miei legali che ha l’obiettivo di aiutare chi è rimasto vittima di casi di malagiustizia. Fiducia nella giustizia? La ferita è sempre aperta, ma non ce l’ho con i giudici e le forze dell’ordine

Ha scontato in carcere 22 anni da innocente. Adesso chiede allo Stato un risarcimento di oltre 66 milioni di euro. Protagonista della storia è Giuseppe Gulotta, ex muratore di Certaldo (Firenze), vittima di un errore giudiziario. Venne arrestato nel gennaio del 1976 per l’omicidio di due carabinieri della stazione di Alcamo Marina (Trapani), Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo. Allora diciottenne, venne condannato all’ergastolo, ma dopo nove processi e 22 anni di carcere ingiusto, nel marzo 2012 fu assolto dalla corte d’appello di Reggio Calabria che stabilì come la confessione venne estorta con sevizie e torture da parte dei militari dell’Arma dei carabinieri.

Giuseppe Gulotta è intervenuto ai microfoni de “L’Italia s’è desta” condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.

“Qualcuno ancora è convinto della mia colpevolezza, malgrado ci sia una sentenza che parla chiaro: un’assoluzione per non aver commesso il fatto –ha affermato Gulotta-. Purtroppo sono stato condannato per una dichiarazione falsa rilasciata ai carabinieri sotto tortura. La condanna si è basata solo sulla confessione. Purtroppo sotto tortura ho detto che sono stato io. La svolta è arrivata nel 2007 in una trasmissione televisiva, è stato detto che i presunti colpevoli erano stati tutti assolti, quando in realtà io ero ancora in carcere. Una persona, tramite internet, ha scritto che era disposto a dire la verità. Era un ex carabiniere, che fu interrogato dalla procura di Trapani e raccontò le stesse cose che raccontai io su quella vicenda. La speranza non si era mai spenta, avevo attorno a me la mia famiglia, avevo la fede e mi reggevo sulla consapevolezza della mia innocenza. Le sentenze purtroppo, giuste o sbagliate, bisogna accettarle, io ho scelto la via del carcere, altri invece se ne sono andati e sono rimasti latitanti. Adesso ho 61 anni. Ho una famiglia che ho ritrovato quando sono uscito dal carcere. Io sono stato dichiarato innocente quando ormai la pena l’avevo scontata tutta, perché mi era stata concessa la libertà condizionata, ma io lotto comunque per la giustizia perché voglio che vengano trovati i responsabili di questo omicidio. Risarcimento di 66 milioni? La richiesta sicuramente verrà fatta. Io non so quanto valga una vita rovinata da 18 a 55 anni. Io ho ricevuto una somma dallo Stato per ingiustizia detenzione, il risarcimento è un’altra cosa. Se arriverà lo devolverò alla fondazione che ho costituito con i miei legali che ha l’obiettivo di aiutare chi è rimasto vittima di casi di malagiustizia. Fiducia nella giustizia? La ferita è sempre aperta, però mi consola il fatto che se dei giudici hanno condannato indotti dagli errori nelle indagini, altri giudici mi hanno assolto. Non ce l’ho con le istituzioni e con le forze dell’ordine”.

Rif: https://www.ilcorrieredellacitta.com/news/in-carcere-22-anni-da-innocente-gulotta-devolvero-il-risarcimento-alla-mia-fondazione-per-le-vittime-malagiustizia.html

Accusata di lucrare sugli immigrati, ma era falso: «La mia vita distrutta»

Alla funzionaria della prefettura di Catanzaro Nerina Renda fu contestato il reato di corruzione. Prima che il procedimento venisse archiviato sono passati due anni durante i quali ha subito l’umiliazione della gogna pubblica e la sua famiglia si è sgretolata. Ecco il suo racconto.

Era la fine del luglio 2017 quando la funzionaria della prefettura di Catanzaro, Nerina Renda, si vide arrivare all’alba in caso gli uomini della Polizia di Stato con un mandato di arresto per lei e per il compagno Salvatore Lucchino, gestore di un centro di accoglienza a Feroleto Antico.

L’accusa era tra le più infamanti: corruzione. La donna, secondo l’ipotesi accusatoria poi caduta, avrebbe favorito il compagno nelle ispezioni che venivano fatte nel suo centro e in cambio avrebbe da questo ricevuto dei benefici.

Quindici i giorni trascorsi ai domiciliari, poi lentamente lo smantellamento dell’impianto accusatorio, fino ad arrivare in poco meno di due anni all’archiviazione del caso.

Oggi che l’incubo è finito rimangono le ferite. Due anni di sospensione dal lavoro, la relazione con Lucchino sgretolata sotto il peso del sospetto e delle accuse, sbattuta su tutte le testate nazionali come esempio del business dell’accoglienza.

Eppure, secondo Nerina Renda che ha affrontato la sua odissea giudiziaria con gli avvocati Aldo Ferraro e Antonella Pagliuso, sin da subito ci sarebbero state le condizioni per archiviare il caso. Sarebbe bastato incrociare dati e date per appurare che quanto le veniva pesantemente imputato altro non erano che menzogne, “calunnie” le definisce Renda che hanno però attraversato la sua vita da lato a lato.

Schiacciato dal peso di quell’ingiusta gogna, ci racconta la funzionaria, Salvatore Lucchino avrebbe avuto un infarto, così come il fratello. Anche sua madre ne avrebbe risentito pesantemente, spirando prima di avere potuto gioire per quell’archiviazione in cui aveva sempre confidato.


Eppure durante il primo sopralluogo effettuato nel centro di accoglienza di Lucchino, spiegano i giudici del Riesame, Renda e Lucchino non si conoscevano neppure el’ispezione avvenne «unitamente al Comandante del Comando Compagnia Carabinieri di Lamezia Terme e a personale del Comune di Feroleto Antico, la cui presenza e sottoscrizione si pone inevitabilmente come attestazione della (piena) corrispondenza tra la descrizione della struttura contenuta nel verbale e le effettive condizioni della struttura ritenuta come idonea ad ospitare fino a 100 persone».

Ci sono poi i sopralluoghi in cui la funzionaria fu solo segretario verbalizzante e le dichiarazioni degli altri membri delle commissioni che avrebbero detto più volte di non avere mai ricevuto pressioni affinché si esprimessero favorevolmente.


C’è ancora quel trattamento di favore spiegato secondo l’accusa dal fatto che Lucchino avrebbe ceduto alla funzionaria un bene a soli due mila euro per ricambiare le benevolenze riceteti. “Scambi” che cozzano, sottolinea la funzionaria, con un legame sentimentale e che sfumano alla luce del fatto che l’immobile fu acquistato dallo stesso Lucchino a quel prezzo.

Amarezze, dubbi, veleni che non impediscono però ora Nerina Renda di guardare avanti. «Qualunque sia la cifra che otterrò come risarcimento danni, ne investirò la maggior parte per la costituzione di una Fondazione per le vittime di malagiustizia».

(Capo Procuratore che ordino’ l’arresto: Nicola Gratteri)

rif:https://lacnews24.it/cronaca/malagiustizia-la-mia-vita-distrutta_90031/