Csm, il pm corrotto (Longo) ha incontrato la presidente del Senato Casellati per una raccomandazione

Csm, il pm corrotto ha incontrato la presidente del Senato Casellati per una raccomandazione

Giuseppe Longo parla degli incontri con la presidente di Palazzo Madama «per una promozione». E spunta il ruolo chiave del suo consigliere. Nei verbali anche il nome di Legnini, ex numero 2 del Csm: «L’ho visto nel suo ufficio»

Lo scandalo che ha investito i vertici della magistratura italiana, mutilato il Csm, colpito esponenti di peso del Partito democratico è esploso, lo sappiamo, grazie alle intercettazioni effettuate dalla procura di Perugia sul cellulare di Luca Palamara, il pm che temeva – fossero venute alla luce le sue manovre sulle procure – di essere poi considerato il regista «della P5, quello delle nomine» .

In pochi ricordano che lo tsunami è partito da lontano. Da una piccola procura siciliana, quella di Siracusa. Il frangente ha preso origine dal minuscolo ufficio al secondo piano di un misconosciuto pubblico ministero, Giuseppe Longo. Buon amico di Palamara, il cinquantenne appassionato di fitness ha venduto – come lui stesso ha ammesso patteggiando una condanna a cinque anni di carcere – la sua funzione pubblica agli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore. I due imprenditori, elargendo mazzette e favori, hanno pilotato le sentenze del pm, che proteggeva i loro interessi e quelli dei loro clienti. Gli obiettivi erano plurimi: mettere le mani su appalti importanti, evitare ostacoli giudiziari, e persino aprire inchieste farlocche (come quella su presunti ricatti ai vertici dell’Eni) per mettere i bastoni tra le ruote all’istruttoria della procura di Milano, che da anni sta conducendo una delicata inchiesta per corruzione internazionale sul colosso petrolifero.

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Le nuove rivelazioni choc dell’inchiesta. Il pm indagato per corruzione: «Ho parlato di Roma, di Lo Voi, di Creazzo: possono dire che sono quello che fa le nomine». Le mire dei congiurati: «Ridimensionare» la procura di Napoli e ricattare Pignatone. «È un matto vero, uno stronzo. Tu devi solo fargli capì che finisce male». Il pm Sirignano a Palamara: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti» 

È dunque da Longo (che collabora da tempo con gli inquirenti, dai quali è considerato attendibile) e dal cosiddetto “Sistema Siracusa” scoperto nel 2017 che parte l’onda destinata, due anni dopo, a travolgere i vertici della magistratura italiana.

La storia, però, non è finita. E ogni giorno ha il suo colpo di scena. L’Espresso ha adesso scoperto che il pm corrotto nei suoi verbali ha fatto il nome anche del presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. E quello dell’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini.

Longo ha infatti raccontato ai magistrati di Messina (e poi a quelli di Perugia) che lui – nella primavera del 2016 – sarebbe riuscito a incontrare sia la Casellati, allora potente membro del Csm in quota Forza Italia, sia l’allora numero due di Palazzo Marescialli, esponente del Pd. E che a entrambi ha chiesto una raccomandazione per essere promosso a capo di una procura. Non di Gela, ma di Ragusa.

ERAVAMO TRE AMICI AL BAR
Andiamo con ordine, partendo dall’incontro con l’avvocato berlusconiano sedutasi un anno fa sulla poltrona più prestigiosa di Palazzo Madama. «L’incontro è avvenuto nel bar fuori al Csm», conferma Longo all’Espresso, spiegando di voler parlare solo di contenuti «attinenti» ai suoi interrogatori. «Ho parlato con la Casellati della mia candidatura a Ragusa. Lei ha preso copia della mia domanda con i pareri di professionalità».

Ma come ha fatto Longo a entrare in contatto con la Casellati? Il pm ha raccontato che all’appuntamento non andò da solo. Ma che fu accompagnato da un uomo assai vicino all’attuale presidente del Senato. Si tratta di Filippo Paradiso, un dirigente della polizia di Stato che – come vedremo – ha rapporti di alto livello con il mondo della magistratura italiana. E qualche guaio con la giustizia. Fu lui, secondo Longo, a organizzare il meeting tra i tavolini del bar. E fu sempre Paradiso, e questa è una certezza, che riuscì a entrare nell’ottobre 2018 nello staff del gabinetto della presidente del Senato.

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Per ottenere l’appoggio della Casellati – sostiene Longo – «sono andato insieme a Paradiso, che mi era stato presentato un paio di settimane prima da Giuseppe Calafiore. Con la Casellati, (Paradiso) era in ottimi rapporti… lei comunque non mi ha garantito nulla». E al cronista che gli chiede se davvero non fu preso alcun impegno per la sua sponsorizzazione per la promozione a Ragusa, Longo chiarisce secco: «Guardi, è evidente che promesse esplicite non ne sono state fatte. Ma se organizzo un incontro con dei consiglieri (del Csm, ndr) attraverso persone considerate a loro vicine, diciamo che qualche aspettativa poteva essere implicita».
Le speranze di promozione naufragarono presto, visto che Longo subì di lì a qualche tempo un procedimento disciplinare per il caso Eni, mentre ipotesi su una sua incompatibilità ambientale bloccarono sul nascere qualsiasi salto di carriera. Non sapremo mai, dunque, se l’incontro con la Casellati (e quello con Legnini) avrebbe dato i frutti sperati.

Fosse confermato il resoconto dell’ormai ex magistrato, però, bisognerebbe capire come mai, e a che titolo, la Casellati si fidasse di Paradiso – che non aveva alcun incarico nel Csm – tanto da incontrare il pm che il “mediatore” voleva farle conoscere.

Anche perché il dirigente del ministero dell’Interno che lei stessa ha voluto al Senato come suo consulente risulta, almeno a leggere altri verbali, assai vicino alla cricca di Siracusa. Il 6 luglio del 2018, ai pm messinesi e romani che gli domandavano di quali fossero «altre realtà istituzionali permeate da attività di lobbying illecita» posta dal gruppetto capeggiato da Amara, Calafiore chiarisce: «Una cosa del genere la faceva Amara con Paradiso, funzionario che lavorava presso il ministero dell’Interno. Egli svolgeva funzioni di pubbliche relazioni per conto di Amara, che lo dotava di una carta di credito e in un’occasione gli ha dato anche dei soldi, 2100 euro».

Dichiarazioni da verificare (Paradiso ha ammesso di conoscere Amara, ma di non aver mai ricevuto somme di denaro), ma all’Espresso risulta che il dirigente del ministero di Salvini sia ancora indagato a Roma. Non per corruzione, ma per traffico di influenze. Il sospetto degli inquirenti capitolini, dunque, è che Amara e i suoi volessero sfruttare le sue conoscenze nel mondo della politica e della magistratura. Vedremo se le ipotesi di reato verranno confermate.

IL PARADISO DELLA CASELLATI
Come mai Casellati ha scelto proprio un poliziotto come suo consulente a Palazzo Madama? «Paradiso è vicepresidente del comitato esecutivo del “Salone della Giustizia” e avrebbe dovuto occuparsi di organizzare eventi in materia di sicurezza», spiegano dallo staff della presidente del Senato, citando l’ente presieduto da Carlo Malinconico e che nel comitato scientifico vanta, come presidente, Guido Alpa, il mentore del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «L’incarico di Paradiso in Senato si è concretizzato dopo il Salone dell’anno scorso, a cui partecipò anche la Casellati».

Se il magistrato corrotto sostiene di aver incontrato l’allora componente del Csm grazie a Paradiso già nel 2016, in Senato sottolineano come il dirigente abbia comunque lavorato con loro per pochi mesi, e a titolo del tutto gratuito. Inoltre, affermano che «l’incarico stesso non è mai stato di fatto svolto». Dall’1 novembre 2018, infatti, la presidente del Senato ha voluto come suo consigliere giuridico l’ex membro togato del Csm, Claudio Maria Galoppi. «La gestione degli eventi è passata a lui», concludono dallo staff della Casellati. «Tanto che a gennaio 2019 Paradiso ha risolto il rapporto in maniera formale con noi». Gennaio non è un mese qualunque: è allora che i giornali accennano per la prima volta al fatto che Paradiso (che veniva indicato dagli articoli solo come collaboratore della segreteria del gabinetto di Matteo Salvini) è coinvolto in un’inchiesta della procura di Roma.
Al netto dell’opportunità di incontrare un pm che cercava una spintarella in un bar usando i buoni uffici del suo amico Paradiso, Casellati poteva certamente essere all’oscuro delle attività corruttive di Longo, Amara e Calafiore, e del fatto che l’ex poliziotto avesse rapporti cordiali con la cricca. Però il motivo per cui la presidente del Senato – nonostante la notizia dell’arresto di Longo campeggiasse sulle pagine di tutti i giornali già all’inizio del 2018 – abbia ugualmente nominato lo scorso ottobre Filippo Paradiso (cioè l’uomo che gli aveva presentato Longo due anni prima) come suo consigliere e consulente di fiducia resta un mistero.

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Sappiamo solo che il poliziotto, oltre alla vicepresidenza del Salone della giustizia, ha eccellenti rapporti con molti magistrati di peso, che conosce bene il potente capo di gabinetto del presidente di Palazzo Madama (il magistrato Nitto Palma, con cui ha collaborato quando era sottosegretario all’Interno), che ha lavorato al dicastero dell’Agricoltura ai tempi del ministro Saverio Romano (che lo mise nel cda di una società partecipata, la Agecontrol), e che ha pubblicato un libro intitolato “La nuova normativa in materia di corruzione e concussione”.

Torniamo ai verbali di Longo. Il pm conferma all’Espresso che chiese aiuto, per la sua carriera, anche a Palamara, che oggi è indagato dai pm di Perugia con l’accusa di aver intascato 40 mila euro da Amara e Calafiore, denaro a lui girato per agevolare e favorire, come membro del Csm, la promozione del pm a capo della procura di Gela.

Gli avvocati degli indagati hanno smentito con forza, e a oggi non sappiamo se l’accusa troverà riscontri. «Palamara non mi promise nulla», aggiunge adesso Longo. «Mi diede solo qualche consiglio sulle successive domande. Ovvero puntare su procure piccole del centro Nord, considerata la mia giovane età… pur avendo ottimi pareri»

Ma c’è di più. Longo ci conferma che, per ottenere i buoni uffici di pezzi grossi del Csm e farsi promuovere capo della procura di Ragusa, ha chiesto sostegno non solo alla Casellati, ma anche a Legnini. Cioè all’ex vicepresidente del Csm in quota Pd, che ha guidato Palazzo dei Marescialli dal 2014 al 2018, e che qualche mese fa è stato il candidato (sconfitto) del centrosinistra alle elezioni regionali abruzzesi.

Legnini – secondo quanto ha raccontato l’ex pm – avrebbe incontrato l’uomo di Amara «nel suo ufficio al Csm». Anche in questo caso Longo non si è mosso da solo: a preparare il rendez-vous con l’allora vertice del Consiglio superiore della magistratura è stato un altro intermediario. «Ha organizzato l’incontro il professor Dell’Aversana», ribadisce oggi Longo.

Siamo sempre nella primavera del 2016. I tre, stavolta, si incontrano non in un bar, ma in una sede ufficiale. «Neppure Legnini mi ha garantito alcunché. A lui e alla Casellati ho parlato di Ragusa perché Gela era stata assegnata».

LEGNINI E IL PROFESSORE
Il “professore” che ha portato il magistrato al soldo di Calafiore e Amara davanti alla scrivania di Legnini per sponsorizzare la sua candidatura sarebbe, dice Longo, Pasquale Dell’Aversana. Un vecchio dirigente dell’Agenzia delle entrate (dove lo chiamano «dottore», mai professore), da oltre vent’anni fondatore e presidente di un’associazione culturale chiamata “Aprom” (acronimo di Associazione per il progresso del Mezzogiorno, un anno fa ha cambiato nome e logo nel complicato “Eur.a.pro.mez”).

Rif: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/06/28/news/csm-elisabetta-casellati-giovanni-legnini-1.336400

Dossier contro i pm nemici e viaggi regalati al pm corrotto, così agiva il clan dei Corvi siciliani

A guardarli dall’esterno, a vederli sorridenti e abbracciati nei frame dei video ripresi dai finanzieri che indagavano su di loro, a sentire le battute al vetriolo contro i magistrati “nemici”, a osservarli mentre trovavano e smontavano microspie e telecamere puntate su di loro, si percepisce che le stagioni dei Corvi siciliani non finiscono mai. Rispetto ai tempi di Giovanni Falcone, però, quella che viene fuori adesso, dall’inchiesta coordinata dalle Procure di Messina, Roma e Milano, è un’organizzazione molto affiatata e determinata, che aveva un solo obiettivo: fare soldi, il più possibile, tanti, tantissimi soldi. Pilotando processi e inchieste a favore dei clienti degli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, il primo finito in carcere su ordine dei Gip di Roma e Messina, l’altro attualmente all’estero ma atteso, al rientro, dalla cella.

IL CASO Avvocati e pm coalizzati per insabbiare inchieste: 15 arresti. Nel mirino era finita anche l’Eni

CHI SONO GLI ARRESTATI

La doppia operazione dei Nuclei di polizia economico-finanziaria, già tributaria, di Messina e Roma, con la collaborazione dei colleghi di Palermo (Milano, dove l’ad di Eni Claudio Descalzi è già stato rinviato a giudizio per le tangenti Nigeria, non ha eseguito misure cautelari, solo perquisizioni) ha portato in carcere pure l’ex pm Giancarlo Longo e gli imprenditori Alessandro Ferraro e Fabrizio Centofanti. Ai domiciliari Ezio Bigotti, imprenditore già coinvolto nell’inchiesta romana sulla Consip (in cui è indagato anche il padre di Matteo Renzi); e poi Luciano Caruso, Giuseppe “Pino” Guastella, 73 anni, giornalista pubblicista originario di Vittoria (Ragusa), Davide Venezia, Mauro Verace, Salvatore Maria Pace, Gianluca De Micheli, Vincenzo Naso, Francesco Perricone, detto Corrado, e Sebastiano Miano. Respinta la richiesta dei pm romani di arrestare il magistrato amministrativo in pensione Riccardo Virgilio, già presidente del Consiglio di giustizia amministrativa siciliano e di una sezione del Consiglio di Stato.

PROCESSI PILOTATI

Virgilio risponde di corruzione in atti giudiziari: nel 2013, quando era al Cga (organo di appello rispetto al Tar siciliano), il collegio da lui presieduto accolse il ricorso della Open Land, società della compagna dell’avvocato Calafiore, Concetta Rita Frontino, assegnandole un risarcimento milionario ai danni del Comune di Siracusa. Il suo nome era venuto fuori pure in relazione ad alcune operazioni finanziarie, dell’importo di 750 mila euro, che avrebbe compiuto all’ombra della Investment Eleven Ltd., società di diritto maltese, “investimenti in qualche modo riconducibili alla cosiddetta operazione Teletouch”, una compagnia telefonica di cui è socio anche l’avvocato Amara.

DOSSIER CONTRO I PM NEMICI

Nelle indagini c’è di tutto: gente abituata alla bella vita, come Davide Venezia, 33 anni, prestanome in varie aziende, controllato dai carabinieri, nell’arco di qualche anno, a Palermo e a Siracusa, a bordo di una Bmw serie 7, di una Maserati e di una Porsche Cayenne. Gente pronta a tutto per difendere lo status quo: anche a parlare in maniera sibillina con un pm uomo e con un giudice donna, lasciando intendere che le loro vite private erano al centro dell’attenzione del “gruppo”, che aveva fatto una “prima sintesi” su di loro. In altre parole, un dossier.

VIAGGI E BENEFIT REGALATI

Longo, molto amico di Amara e Calafiore e della compagna di quest’ultimo, l’imprenditrice Concetta Frontino, detta Rita, erede di aziende che valgono una fortuna e che vincono appalti dappertutto, non si sarebbe fatto problemi, nell’accettare doni e denaro. «Totalmente asservito», lo definiscono i pm messinesi, ai due avvocati siracusani, che lo avrebbero comprato con denaro contante, viaggi, benefit: 88.100 euro in contanti, versati sui propri conti dal pm quasi subito dopo che erano stati fatti prelievi di somme quasi esattamente corrispondenti – sempre in contanti – da dipendenti di aziende o emissari dei due avvocati. In più, secondo quanto era emerso da un filone dell’indagine svolto dalla Procura di Roma, erano stati spesi per Longo circa 12 mila euro per un viaggio a Dubai con tutta la famiglia (assieme a Calafiore e Amara e relative famiglie) e, per il Capodanno 2016, all’hotel Vanvitelli di Caserta. A pagare, l’imprenditore di Colleferro Centofanti.

MANI SUGLI AFFARI LOCALI

Il clan agiva, sostiene l’accusa, sul fronte Eni, ma anche per mettere le mani su grossi affari che si svolgevano in sede locale. Con metodi pirateschi, come quelli di inventarsi del tutto verbali e incarichi a consulenti compiacenti. Longo si sarebbe prestato a tutte le esigenze di Amara e Calafiore, dalle autoassegnazioni dei fascicoli, per controllare le indagini dei colleghi, alle verbalizzazioni fasulle. Accadde per la già ricordata controversia tra il Comune di Siracusa e la società Open Land, oggetto la realizzazione del centro commerciale Fiera del Sud: dopo il primo intervento – nel 2013 – del Cga, presieduto dal giudice Virgilio, due anni dopo la quantificazione del risarcimento a carico dell’amministrazione comunale, prima 20 milioni, poi due milioni e ottocentomila euro, fu affidata da un altro collegio dello stesso Consiglio di giustizia (stavolta presieduto da Raffaele Maria De Lipsis, già indagato in altre vicende di Palermo) al perito Salvatore Maria Pace. Il commercialista, benché fosse stato legato da rapporti professionali ed economici col consulente di parte – nella stessa causa – Giuseppe Cirasa, aveva ottenuto l’incarico in virtù di sue pregresse quanto presunte “esperienze di consulente della Procura di Siracusa”. In effetti aveva avuto un solo incarico, ma neppure quello: i pm messinesi hanno scoperto che il verbale con cui Longo glielo aveva affidato era del tutto falso, perché il relativo file sarebbe stato creato circa otto mesi dopo. Per la cronaca, passato di mano il procedimento e cambiata ancora la composizione del Cga, l’organo di appello era tornato sui propri passi, revocando il risarcimento. Sul presunto favore a Frontino e Calafiore c’è un filone d’indagine a Palermo.

UN GIORNALISTA COINVOLTO

Nella storia è coinvolto anche il pubblicista Pino Guastella, solo omonimo del giornalista del Corriere: scrivono gli inquirenti messinesi, basandosi sulle indagini dei finanzieri, che il suo lavoro non sarebbe stato «disinteressato». Nei suoi articoli, pubblicati su un periodico locale, il «Diario», Guastella avrebbe più volte criticato i pm Marco Bisogni e Tommaso Pagano, che indagavano sui clienti degli avvocati Calafiore e Amara. E quest’ultimo, in particolare, sarebbe stato generoso, versando a Guastella (accusato pure lui di associazione per delinquere) somme che arrivavano fino a 35 mila euro in un anno, per attività – fra l’altro – di «internet reputation».

rif:https://www.lastampa.it/cronaca/2018/02/06/news/dossier-contro-i-pm-nemici-e-viaggi-regalati-al-pm-corrotto-cosi-agiva-il-clan-dei-corvi-siciliani-1.33976605?refresh_ce

Arrestato a Fiumicino il magistrato Longo

Arrestato a Fiumicino il magistrato Longo

Già condannato nel primo troncone del processo per il cosiddetto “sistema Amara” dal nome dell’avvocato siracusano al centro di un vasto sistema di corruttela al Consiglio di Stato, ma che ha portato anche all’apertura del filone d’inchiesta che vede indagato il pm di Roma Luca Palamara.

Arrestato all’aeroporto di Fiumicino il magistrato Giancarlo Longo, l’ex pm di Siracusa già condannato nel primo troncone del processo per il cosiddetto “sistema Amara” dal nome dell’avvocato siracusano al centro di un vasto sistema di corruttela al Consiglio di Stato, ma che ha portato anche all’apertura del filone d’inchiesta che vede indagato il pm di Roma Luca Palamara.

Longo e’ stato fermato dagli uomini della Guardia di finanza mentre stava per imbarcarsi su un aereo per Catania dopo che la Cassazione aveva reso definitiva la condanna a 5 anni patteggiata davanti al giudice di Messina.

Longo era uno dei magistrati sui quali l’avvocato Amara poteva contare per aprire procedimenti paralleli con i quali controllare o inquinare fascicoli d’inchiesta di altre procure italiane, ad esempio quelli sul caso Eni aperti a Milano, che gli interessavano per suoi clienti eccellenti. Ha confessato di aver ricevuto somme e regali e ha patteggiato la pena che ora dovra’  scontare in carcere,

Rif: https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2019/07/04/192612003-6cc8f967-8455-4ea3-93b1-06993790ed10.jpg

Csm, le manovre per le raccomandazioni. Il pm corrotto: «Ho incontrato Casellati e Legnini»

Csm, le manovre per le raccomandazioni. Il pm corrotto: «Ho incontrato Casellati e Legnini»

Longo, che ha patteggiato 5 anni, tira in ballo il presidente del Senato: «La incontrai in un bar nel 2016. Volevo diventare capo della procura di Ragusa». Il ruolo di Filippo Paradiso, ex consigliere di Palazzo Madama, oggi indagato. «Da Legnini mi portò un altro intermediario». Anche lui vicino ad Amara e Calafiore. I verbali in esclusiva sull’Espresso

n pochi ricordano che l’inchiesta della procura di Perugia che ha travolto il Csm, il pm Luca Palamara, i Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri, è partita da lontano. In particolare, da una piccola procura siciliana, quella di Siracusa. Dove lavorava un pm, Giuseppe Longo. Accusato di aver venduto – come lui stesso ha ammesso patteggiando una condanna a cinque anni di carcere – la sua funzione pubblica agli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore. I due imprenditori, elargendo mazzette e favori, come è noto hanno pilotato le sentenze del pm, che proteggeva i loro interessi e quelli dei loro clienti.

La storia dello scandalo giudiziario, però, ogni giorno ha il suo colpo di scena. L’Espresso nel numero in edicola da domenica 30 giugno e già online su Espresso+ha adesso scoperto che il pm corrotto nei suoi verbali ha fatto il nome anche del presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. E quello dell’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini.

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Giuseppe Longo parla degli incontri con la presidente di Palazzo Madama «per una promozione». E spunta il ruolo chiave del suo consigliere. Nei verbali anche il nome di Legnini, ex numero 2 del Csm: «L’ho visto nel suo ufficio»

Longo ha raccontato ai magistrati di Messina (e poi a quelli di Perugia) che lui – nella primavera del 2016 – sarebbe riuscito a incontrare sia la Casellati, allora potente membro del Csm in quota Forza Italia, sia l’allora numero due di Palazzo Marescialli, esponente del Pd. E che a entrambi ha chiesto una raccomandazione per essere promosso a capo di una procura. Non di Gela (per raccomandare Longo in quella sede, secondo, i pm di Perugia, Palamara – allora membro del Csm – avrebbe ottenuto da Calafiore e Amara 40 mila euro). Ma quella di Ragusa.

«L’incontro è avvenuto nel bar fuori al Csm», conferma Longo all’Espresso, spiegando di voler parlare solo di contenuti «attinenti» ai suoi interrogatori. «Ho parlato con la Casellati della mia candidatura a Ragusa. Lei ha preso copia della mia domanda con i pareri di professionalità».

Ma come ha fatto Longo a entrare in contatto con la Casellati? Il pm ha raccontato che all’appuntamento non andò da solo. Ma che fu accompagnato da un uomo assai vicino all’attuale presidente del Senato. Si tratta di Filippo Paradiso, un dirigente della polizia di Stato che ha rapporti di alto livello con il mondo della magistratura italiana. E qualche guaio con la giustizia: Calafiore – in altri verbali consultati da L’Espresso – ha dichiarato che aveva in uso la carta di credito di Amara. Oggi il poliziotto risulta indagato a Roma per traffico di influenze.

Fu Paradiso, dice dunque Longo, a organizzare il meeting tra i tavolini del bar tra lui e la Casellati. E fu sempre Paradiso, e questa è una certezza, che riuscì a entrare nell’ottobre 2018 nello staff del gabinetto della presidente del Senato. Le dimissioni, spiegano dal Senato, sono arrivate a gennaio 2019. In concomitanza con le prime notizie su un’inchiesta di di lui.

Per ottenere l’appoggio della Casellati «sono andato insieme a Paradiso, che mi era stato presentato un paio di settimane prima da Giuseppe Calafiore. Con la Casellati, (Paradiso) era in ottimi rapporti… lei comunque non mi ha garantito nulla», chiosa Longo. E al cronista che gli chiede se davvero non fu preso alcun impegno dalla Casellati e da Legnini per la sua sponsorizzazione per la promozione, Longo chiarisce: «Guardi, è evidente che promesse esplicite non ne sono state fatte. Ma se organizzo un incontro con dei consiglieri (del Csm, ndr) attraverso persone considerate a loro vicine, diciamo che qualche aspettativa poteva essere implicita».

Legnini – secondo quanto ha raccontato l’ex pm – avrebbe incontrato l’uomo di Amara «nel suo ufficio al Csm». Anche in questo caso Longo non si è mosso da solo: a preparare il rendez-vous con l’allora vertice del Consiglio superiore della magistratura è stato un altro intermediario. «Ha organizzato l’incontro il professor Dell’Aversana», ribadisce. Siamo sempre nella primavera del 2016. Legnini, Longo e Pasquale Dell’Aversana, stavolta, si incontrano non in un bar, ma in una sede ufficiale. «Neppure Legnini mi ha garantito alcunché. A lui e alla Casellati ho parlato di Ragusa perché Gela era stata assegnata».

Un associazione presieduta da Dell’Aversana ha avuto stretti rapporti con i sodali di Longo Amara e Calafiore.

«Il coacervo di manovre nascoste» di cui parla Mattarella parte da lontano.

rif: http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/06/28/news/csm-raccomandazioni-casellati-legnini-1.336451

Sistema Siracusa, Mattarella bloccò la nomina del Pm Giancarlo Longo

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in persona bloccò la nomina di Giancarlo Longo alla guida della procura di Gela. È questa la versione proprio dell’ex Pm di Siracusa durante un interrogatorio reso alla Procura di Messina e “omissato” ma riportato nel decreto di perquisizione eseguito ieri, dalla Procura di Perugia, nei confronti di Luca Palamara, ex segretario dell’Anme e consigliere del Csm, indagato per corruzione.

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Quaranta mila euro per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela. Secondo quanto dichiarato nel luglio dello scorso anno dall’ex pm di siracusa Longo ai magistrati di Messina, Calafiore e Amara “spinsero” con 40 mila euro la nomina di Longo a Gela così che l’ex pm potesse mettere mano ad alcune indagini su Eni. Insomma i due legali siracusani speravano di avere un uomo di fiducia a Gela così da poter tutelare il cane a sei zampe di cui Amara era legale. Almeno questa è la ricostruzione di Perugia. Ma a stoppare tutto, sempre secondo quanto riferito da Longo sarebbe stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Siracusa. Caso Palamara, si capovolge la vicenda di corruzione: Amara e Calafiore negano di aver dato 40 mila euro

Si tinge di giallo la vicenda della presunta corruzione dei quarantamila euro per fare eleggere l’ex pubblico ministero Giancarlo Longo dal Csm come capo della Procura della Repubblica di Gela. Gli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara prendono le distanze dal loro «amico» ed ex pubblico ministero Giancarlo Longo, il quale lo scorso anno ad agosto, alcuni giorni prima di chiedere il patteggiamento, aveva chiesto di essere sentito dai Pubblici Ministeri di Messina per accusare tre consiglieri togati del Csm di corruzione.

Siracusa. Caso Palamara, si capovolge la vicenda di corruzione:  Amara e Calafiore negano di aver dato 40 mila euro

Nella dichiarazione Longo aveva fatto riferimento ai suoi «amici» Calafiore e Amara i quali avevano pagato quarantamila euro per farlo eleggere dal Csm come capo della Procura della Repubblica di Gela. L’ex pm aveva fatto i nomi dei tre consiglieri togati del Csm, dei quali il più noto è l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, sostenendo di averlo anche incontrato a Roma per sapere come mai non avesse ancora ricevuto la nomina: «Il collega Palamara mi rispose dicendo che la mia nomina a capo della Procura di Gela era stata bloccata personalmente dal presidente del Csm, il Capo dello Stato Sergio Mattarella».

I verbali contenenti la dichiarazione di Giancarlo Longo, sono stati riportati nei decreti notificati all’ex pubblico ministero Palamara, indagato per corruzione dalla Procura della Repubblica di Perugia.

Tale dichiarazione resa da Longo però viene smentita dagli avvocati siracusani. Calafiore ha affermato di «smentire il suo amico Giancarlo Longo, ma io non ho pagato i quarantamila euro di cui lui parla per chiedere al consigliere Palamara di farlo nominare dal Csm procuratore capo alla Procura di Gela. Piuttosto ho chiesto all’amico Fabrizio Centofanti di parlare con i suoi amici magistrati di Roma per dare una mano d’aiuto a Longo ma non risponde al vero che abbiamo pagato 40 mila euro per farlo nominare procuratore capo alla Procura di Gela».
A sua volta l’avvocato Piero Amara ha negato di essersi adoperato per la promozione dell’ex pubblico ministero Longo e ha preferito non entrare nel merito della vicenda Palamara. E’ caustico il suo commento sull’ex magistrato in servizio alla Procura di Siracusa, affermerebbe: «Longo è fuori di testa. Il mio commento mi pare chiaro su questa storia raccontata da Longo. Ripeto: Longo è totalmente fuori di testa».
Longo, che poi ha avuto applicata la pena di cinque anni di reclusione, con la richiesta di cedere il Tfr per risarcire le parti civili costituitesi contro di lui e di presentare la lettera di dimissioni dal Corpo della Magistratura, tentò di convincere i magistrati della Procura di Messina di mitigare la pena a quattro anni e sei mesi di reclusione in modo che lui potesse usufruire del beneficio di legge di espiare il residuo di quattro anni all’affidamento in prova, ma non ottenne lo sconto di pena che chiedeva.

Adesso l’ex pm Longo rischia di essere incriminato dai magistrati di Perugia per il reato di calunnia ai danni di Luca Palamara e degli altri due consiglieri togati del Csm che lui ha chiamato in causa per la sua mancata promozione a capo della Procura di Gela. Se non lo incriminano d’ufficio i magistrati di Perugia l’ex pm Longo potrebbe essere denunciato da Palamara il quale ha negato di avere ricevuto quarantamila euro dalla coppia Amara-Calafiore nè dall’imprenditore romano Fabrizio Centofanti e per dimostrare la veridicità della sua dichiarazione ha messo a disposizione degli inquirenti tutti i conti correnti bancari da lui aperti in vari istituti di credito. Per la cronaca l’ex pm Giancarlo Longo per vivere ha aperto una palestra a Napoli.

Sistema Siracusa, il silenzio di Ferraro: “nessuna collaborazione con i magistrati”. E il Csm, a pezzi, ricorda gli “anticorpi”: “tutto inizia con gli 8 PM”

Il 17 giugno la Cassazione dovrebbe omologare il patteggiamento di Amara e Calafiore a Roma, mentre il 20 giugno i due dovrebbero essere ascoltati a Messina e il 25 puntano anche al patteggiamento in continuazione

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Il Consiglio superiore della magistratura è a pezzi. Quello che una volta era il Sistema Siracusa, adesso si è esteso così tanto da aver toccato forse uno dei momenti più bui della giustizia italiana. Il Csm è ridotto di un terzo dei togati e attende con timore le rivelazioni dell’inchiesta di Perugia. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo che avrebbe bloccato la nomina dell’ex Pm di Siracusa Giancarlo Longo a Gela, all’ultima riunione ha mandato il suo vice David Ermini, che esce bene dalle intercettazioni contro Lotti (secondo cui il magistrato non risultava sufficientemente collaborativo), Ferri e Palamara.

Dimissioni e sospensioni. Martedì altri due consiglieri – Gianluigi Morlini di Unicost e presidente della commissione che nomina i capi degli uffici e Paolo Criscuoli di Magistratura indipendente — si sono autosospesi e si aggiungono alle dimissioni di Luigi Spina di Unicost e alle sospensioni di lunedì sera di Antonio Lepre e Corrado Cartoni di Mi. Il vicepresidente del Csm, Ermini, alla fine lo dice chiaramente: questo Csm può andare avanti “purché la reazione a condotte non compatibili sia chiara, rapida, senza fraintendimenti”.

C’è anche Lotito. Le carte sembrano gettare un’ombra sulle nomine del Csm e in particolare su quella del procuratore di Roma, di cui Palamara parlava in un incontro con i deputati del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti e con 5 consiglieri togati. Le riunioni per scegliere il nuovo procuratore di Roma si sarebbero svolte a tarda sera in un albergo romano e oltre a Palamara, Ferri e Lotti c’erano i consiglieri del Csm Luigi Spina, Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Gianluca Morlini e Paolo Criscuoli. E a queste rimpatriate notturne avrebbe preso parte anche il presidente della Lazio Claudio Lotito, che avrebbe omaggiato Palamara di biglietti da distribuire agli amici.

Quei magistrati coraggiosi. E mentre sono volati gli stracci tra il presidente dell’Anm Pasquale Grasso (“i magistrati coinvolti si dimettano“) e i togati del Csm sospesi (che hanno definito priva di fondamento la richiesta di dimissioni), durante la calda seduta del plenum un magistrato siciliano – catanese di nascita ma siracusana d’adozione, e di residenza – Concetta “Cochita” Grillo ha preso parola per ricordare a tutti da dove è partita la genesi dell’indagine, dall’esposto che 8 sostituti di Siracusa denunciarono a Messina la situazione in cui si trovava la Procura della Repubblica aretusea e che portò anche all’arresto del Pm Longo: “il ringraziamento va a questi 8 colleghi, molti anche di prima nomina, e a tutti quelli che senza paura danno la possibilità di andare a fondo in questa vicenda”.

Ferraro silente. Al momento la vicenda scaturita dal Sistema Siracusa investe le Procure di Perugia, Milano, Roma, Catania, Trani, Taranto, Matera e Messina passando per il Csm e la spinosa vicenda Eni. Da più parti si indica in Alessandro Ferraro, ritenuto per anni il braccio destro di Amara e che venerdì sarà ascoltato dai Pm milanesi proprio sull’affare Eni, uno dei possibili depositari di informazioni da parte degli avvocati Amara e Calafiore. Finora Ferraro ha deciso di difendersi nei processi e di non parlare con i magistrati (di Messina, Roma o Perugia…). E oggi l’imprenditore si limita a confermare la propria indisponibilità mandando un velato messaggio a qualcuno…: “non c’è alcuna collaborazione con i Pm, perché non avrei cos’altro aggiungere rispetto a quanto detto da Amara e Calafiore”. 

Giugno caldo. Ancora silenzio da parte sua, mentre le parole di tutti gli altri hanno aperto una voragine sulla credibilità della giustizia italiana. Mentre il 17 giugno la Cassazione dovrebbe omologare il patteggiamento di Amara e Calafiore a Roma, mentre il 20 giugno i due dovrebbero essere ascoltati a Messina (quando potrebbero emergere altre novità) e il 25 nuova udienza sempre al Tribunale peloritano con i due che puntano anche al patteggiamento in continuazione. Mentre… in questo momento sembra si stia giocando una partita a carte, con i giocatori seduti al tavolo (o al banco degli imputati) che di volta in volta danno le carte a piacimento. Una brutta partita, dove a perdere sono in tanti, in troppi.

Rif: http://www.siracusanews.it/sistema-siracusa-silenzio-ferraro-nessuna-collaborazione-magistrati-csm-pezzi-ricorda-gli-anticorpi-inizia-gli-8-pm/

La figura del giudice Longo trascina la Procura di Roma nella bufera

Il magistrato arrestato mentre era in servizio alla sezione distaccata di Ischia. Dall’inchiesta della Procura di Perugia emerge che i suoi presunti amici avvocati si erano interessati affinché Longo venisse nominato procuratore della Repubblica di Gela. Coinvolgendo l’allora membro del Csm Luca Palamara, che è stato anche presidente dell’Anm e attualmente in servizio all’ufficio inquirente di Roma. Si parla di una mazzetta per favorire la promozione dell’ex magistrato dell’ufficio giudiziario ischitano.

 L’inchiesta giudiziaria che coinvolse il giudice civile della sezione distaccata di Ischia Giancarlo Longo tiene ancora banco, creando una vera e propria bufera nell’ambito della magistratura. Come si ricorderà, Longo venne tratto in arresto dalla Guardia di Finanza su ordine del giudice per le indagini preliminari di Messina per corruzione nell’ambito delle funzioni da lui stesso detenute qualche anno prima presso la procura della Repubblica di Siracusa. I militari delle fiamme gialle giunti dalla città dello Stretto vennero accompagnati dai colleghi della tenenza di Ischia per prelevare il magistrato e condurlo in carcere, ove rimase fino all’udienza del riesame, ottenendo gli arresti domiciliari. La sua vicenda processuale si è chiusa qualche mese fa con una richiesta di patteggiamento accolta dal tribunale a cinque anni di reclusione, le dimissioni dall’ordine giudiziario e con la riparazione parzialmente del danno allo Stato.
Sembrava che tutto si fosse concluso “agevolmente”, ma così non è stato, in quanto i suoi due amici di un tempo, gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, che hanno patteggiato anche loro le pene per i reati contestati, hanno collaborato con la giustizia. E si è appreso da fonti giudiziarie della Procura di Roma che uno dei due avrebbe riferito ai magistrati che sarebbe stata promessa una dazione di 40.000 euro ad un magistrato importante della stessa Procura della capitale, Luca Palamara, affinché spingesse per promuovere il loro amico, il giudice Giancarlo Longo, per la nomina a procuratore della Repubblica di Gela. Nomina che non è mai arrivata e che tutti gli interessati respingono. L’operazione si sarebbe potuta perfezionare per il tramite di Fabrizio Centofanti, amico del Palamara. Magistrato di un certo spessore e di rilevanza nazionale, per aver ricoperto la carica di presidente dell’Associazione nazionale magistrati e successivamente membro del Consiglio superiore della magistratura. E’ grazie soprattutto a quest’ultimo incarico che si sarebbe dovuto architettare questa promozione. Rimasta nel cassetto, anche perché esplose oltre un anno e mezzo fa la famosa inchiesta della Procura di Messina che portò all’arresto sia del Longo che dei due avvocati che avevano una capacità innata di relazionarsi con il bel mondo dell’alta finanza e anche con altri rappresentanti istituzionali. Ognuno in quella fase cercò di respingere l’accusa, ma gli elementi raccolti furono tali da consigliare i diretti interessati ad avere un atteggiamento ben diverso, in quanto oltre a Messina indagava Roma, attirando quegli stessi avvocati nella sfera investigativa per aver avuto rapporti finanche con qualche personaggio della giustizia amministrativa intervenuto per favorire i loro interessi o quantomeno dei clienti che rappresentavano. Un peso accusatorio di dimensioni tali da costringere i due professionisti a cambiare strategia difensiva. Collaborando, tant’è vero che la loro richiesta di patteggiamento venne accordata dai pubblici ministeri in tre anni di reclusione. E nell’ambito dei verbali acquisiti e in parte secretati, gli atti vennero trasmessi per competenza alla procura della Repubblica di Perugia nelle indagini nei confronti dei magistrati capitolini. Tant’è vero che si parla anche di una iniziativa che non trovò pieno consenso da parte di un magistrato della pubblica accusa di Roma, non collimando con le conclusioni con cui erano giunti il procuratore Pignatone e il suo aggiunto Ielo, che decisero che non vi erano le condizioni per proseguire nelle indagini nei confronti di uno degli avvocati che aveva ammesso alcune circostanze che avevano poi indotto a trasmettere gli atti ad altra autorità giudiziaria. Tanto da essere sollevato dall’inchiesta. Il magistrato in questione non si diede per vinto e segnalò l’accaduto anche al Consiglio superiore della magistratura.

L’INCHIESTA DELLA PROCURA DI PERUGIA
Poi la situazione è completamente esplosa con l’iniziativa dei pubblici ministeri di Perugia di procedere alla perquisizione nell’abitazione del sostituto procuratore di Roma Palamara. Il quale si è dichiarato estraneo, di non aver ricevuto un becco di un centesimo dando la massima disponibilità a verificare i suoi movimenti bancari e le risorse finanziarie da lui possedute negli ultimi anni. Ammettendo solo di avere dal 2008 un rapporto di amicizia con il Centofanti, che all’epoca era uno stimato imprenditore e che non era stato mai coinvolto nelle indagini. Lo stesso Centofanti, sentito dagli inquirenti, ha escluso categoricamente di aver fatto da tramite per convincere il suo amico magistrato a sponsorizzare nell’ambito del Csm la nomina di Giancarlo Longo a procuratore capo di Gela. Lo stesso indagato ha dichiarato ai magistrati che lo hanno interrogato in queste ultime ore di non aver mai fatto parte della commissione per gli incarichi direttivi del Csm e che quella nomina non è stata mai presa in considerazione dall’organo di autogoverno della magistratura. Tutto sarebbe una vera e propria montatura.
Ma cosa c’è dietro questa inchiesta che sta sconquassando la magistratura italiana? Alcuni ritengono che vi sia una vera e propria contrapposizione in relazione alla nomina del nuovo procuratore capo di Roma, essendo il Pignatone in quiescenza e si sarebbe dovuto discutere anche della promozione del Palamara a procuratore aggiunto. Quest’ultimo ha titoli per ricoprire tale incarico, anche per essere uno degli esponenti di rilievo della corrente Unicost, tra le più rappresentative nel panorama dei giudici. Avendo ricoperto ruoli di livello nazionale prima come presidente dell’Anm e poi consigliere del Csm.

LE NOMINE
Lo sconquasso coinvolge altri aspetti che sono all’attenzione del plenum. Soprattutto le nomine dei capiufficio di Procure importanti. Oltre Roma, di cui abbiamo fatto cenno poc’anzi, c’è quella di Perugia, che indaga sui fatti accaduti nell’ufficio romano e come si sa i concorrenti sono numerosi. Tra cui magistrati di provata esperienza come Raffaele Cantone, a capo dell’Anticorruzione, o come Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Entrambi aspirano a sedersi sulla poltrona più importante della Procura di Perugia insieme ad altri due autorevoli magistrati che siedono attualmente negli uffici della Procura generale.
Tutta questa storia è partita da una piccola Procura siciliana, quella di Siracusa. Dove Giancarlo Longo era uno dei sostituti di punta e che aveva rapporti con gli avvocati Amara e Calafiore, che rappresentavano gli interessi in alcune indagini dell’Eni. Una multinazionale italiana che si occupa di idrocarburi, le cui attività erano sottoposte al vaglio dell’ufficio inquirente di Milano. Siracusa contestualmente apriva una nuova indagine sempre riferita alle attività dell’Eni e si chiedevano informazioni ai magistrati milanesi, ma non per approfondire taluni filoni aperti, ma solo per conoscere quali fossero gli elementi raccolti per giungere a dei “favori”. Un intreccio mostruoso che, come evidenziano gli ultimi sviluppi, ha interessato la Procura più importante del nostro Paese. Per le amicizie, le conoscenze e gli interessi che ruotano in determinate strutture finanziarie ed imprenditoriali. Rendendosi a questo punto necessario un intervento del Consiglio superiore della magistratura e delle alte sfere dell’Ufficio Ispezioni del Ministero e del procuratore generale presso la Cassazione affinché vengano dissipate storture e coinvolgimenti di personaggi che rappresentano le Procure più importanti italiane.

Rif:http://www.ildispariquotidiano.it/it/la-figura-del-giudice-longo-trascina-la-procura-di-roma-nella-bufera/