Tangenti per favorire le scarcerazioni, l’ex giudice De Benedictis e l’avvocato Chiariello condannati a 9 anni e 8 mesi

La Procura aveva chiesto 8 anni e 9 mesi per l’ex gip e 8 anni e 5 mesi per il legale. Erano accusati di corruzione in atti giudiziari. Condannato anche il figlio del penalista

Tangenti per favorire le scarcerazioni: sono stati condannati a 9 anni e 8 mesi l’ex gip Giuseppe De Benedictis e l’avvocato Giancarlo Chiariello, interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, dichiarati “incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione” e in stato di interdizione legale per cinque anni. A 4 anni di reclusione è stato condannato anche il figlio del penalista Alberto Chiariello (anche lui interdetto in perpetuo), mentre 3 anni e 8 mesi sono stati inflitti al pregiudicato, oggi collaboratore di giustizia, Danilo Pietro della Malva. Assolti invece l’avvocatessa Marianna Casadibari e il carabiniere Vito Nicola Soriano, nonché l’avvocato foggiano Michele Pio Gianquitto e i pregiudicati Roberto Dello Russo e Antonio Ippedico.

Chiariello e De Benedictis (che si trovano agli arresti domiciliari) sono stati condannati per quattro presunti episodi di corruzione in atti giudiziaria – relativi alle scarcerazioni di Della Malva, Gianquitto, Ippedico e Dello Russo – e assolti solo da un capo di imputazione ovvero la rivelazione di atti coperti da segreto, che la Procura ipotizzava avessero commesso insieme a Casadibari e Soriano. Gli imputati condannati hanno usufruito dello sconto di pena, legato al rito abbreviato con cui hanno scelto di essere giudicati.

La giudice Laura Liguori ha ritenuto sussistente l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, contestata dai pm Roberta Licci e Alessandro Prontera, insieme al procuratore Leonardo Leone de Castris. Le pene inflitte per alcuni imputati vanno al di là delle richieste degli inquirenti, che avevano sollecitato 8 anni e 9 mesi per De Benedictis; 8 anni e 5 mesi invece per l’avvocato Giancarlo Chiariello; 4 anni per Alberto Chiariello e per l’avvocatessa Marianna Casadibari. Tre anni e otto mesi erano stati chiesti per i pregiudicati Roberto Dello Russo, Antonio Ippedico e Danilo Della Malva (oggi collaboratore di giustizia); 4 anni e 8 mesi per il carabiniere Nicola Soriano. Solo per l’avvocato foggiano Michele Pio Gianquitto era stata chiesta l’assoluzione.

Giancarlo e Alberto Chiariello sono stati condannati anche al risarcimento dei danni nei confronti dell’Ordine degli avvocati di Bari, costituitosi parte civile nel procedimento giudiziario. E’ stata inoltre disposta la confisca di 30.500 euro nei confronti di De Benedictis e di 1,2 milioni nei confronti di Chiariello. Si tratta del denaro che fu trovato durante le perquisizioni contestuali all’arresto del 24 aprile dello scorso anno, in casa di Chiariello junior. Le banconote erano nascoste in tre zaini.

I due Chiariello, De Benedictis e Della Malva sono stati condannati a pagare 30mila euro in favore del ministero della Giustizia.

Nel processo era costituito parte civile l’Ordine degli avvocati di Bari mentre la Presidenza del Consiglio e i ministeri (della Giustizia e della Difesa) avevano rinunciato dopo la scelta del rito abbreviato da parte degli imputati. Sia nei confronti dell’Ordine che della Presidenza del Consiglio e dei ministeri, De Benedictis e Chiariello avevano proposto offerte reali di risarcimento, con l’obiettivo di ottenere le attenuanti del risarcimento del danno.

“E’ una sentenza molto dura dal punto di vista sanzionatorio, soprattutto per il conoscimento dell’aggravante mafiosa. La rispettiamo ma non la condividiamo ed è per questo che, dopo il deposito delle motivazioni, proporremo appello”. Sono le dichiarazioni degli avvocati Saverio Ingraffia e Gianfranco Schirone, difensori di De Benedictis

Intanto sempre oggi si è saputo che l’ex gip sarà processato con il rito abbreviato a partire dal 28 giugno a conclusione dell’inchiesta in cui è accusato – in concorso con il caporal maggiore capo scelto dell’Esercito Antonio Serafino e l’imprenditore agricolo Antonio Tannoia – di traffico e detenzione di armi ed esplosivi, anche da guerra, del relativo munizionamento e di ricettazione.

Il procedimento nasce dal ritrovamento nel deposito sotterraneo di una villa di Andria di un arsenale da guerra composto da più di 200 pezzi tra fucili mitragliatori, fucili a pompa, mitragliette (tra cui 2 kalashnikov, 2 fucili d’assalto AR15, 6 mitra pesanti Beretta MG 42, 10 MAB, 3 mitragliette UZI), armi antiche e storiche, pistole di vario tipo e marca, esplosivi, bombe a mano ed una mina anticarro, oltre a circa 100mila munizioni.

Rif: https://bari.repubblica.it/cronaca/2022/03/29/news/processo_ex_giudice_de_benedictis-343208836/

“Ho speso 30mila euro e mi sono comprato il giudice a Bari”

Tre zaini con all’interno 1,2 milioni di euro in contanti sono stati scoperti e sequestrati dai carabinieri durante una perquisizione in casa del figlio dell’avvocato che ha corrotto De Benedictis

Ho speso 30mila euro e mi sono comprato il giudice a Bari”: parlava così Pietro Danilo Della Malva – esponente della criminalità organizzata foggiana dedito al narcotraffico – dopo avere ottenuto gli arresti domiciliari, grazie a un provvedimento del giudice barese Giuseppe De Benedictis. Nel giugno 2020 raccontava alla sua fidanzata come tramite l’avvocato Giancarlo Chiariello avesse corrotto il magistrato. Della Malva, De Benedictis e Chiariello sono stati portati in carcere, su disposizione del gip di Lecce, al termine di un’inchiesta per corruzione in atti giudiziari della Dda salentina.

“Dalle indagini emerge un collaudato sistema di svendita delle pubbliche funzioni – scrive la gip Giulia Proto – un costante mercimonio della giurisdizione, piegata e asservita a scopi illeciti, per un arco temporale che ve ben oltre quello dell’indagine”. I primi campanelli d’allarme su episodi di corruzione nel tribunale di Bari risalgono al 2012, quando il collaboratore di giustizia Matteo Tulimiero aveva spiegato ai pm della Dda di Bari che esponenti del clan Parisi-Palermiti di Japigia erano stati scarcerati dopo aver pagato De Benedictis.

Già all’epoca, le segnalazioni erano state inoltrate alla Procura di Lecce, che non gli aveva dato seguito. Nel 2020, però, un altro pentito ha ripetuto le stesse cose e di nuovo l’antimafia barese ha messo per iscritto i suoi sospetti e li ha comunicati ai colleghi salentini. Questa volta la pm Roberta Licci e il procuratore Leonardo Leone de Castris sono andati fino in fondo. Gravissime e circostanziate erano infatti le dichiarazioni di Domenico Milella (ex braccio destro del boss di Japigia Eugenio Palermiti) oggi collaboratore di giustizia, che ha raccontato di fatti risalenti a un decennio fa ma anche di episodi attuali, legati alle scarcerazioni di boss baresi e di esponenti della criminalità foggiana. Dalle intercettazioni delle loro conversazioni, sono emerse le prove delle attività corruttive.

“La sistematicità, le modalità e la frequenza degli accordi corruttivi – ha scritto la giudice nell’ordinanza – sono tali da configurare lo stabile asservimento del pubblico ufficiale a interessi personali di terzi”. Il tutto sarebbe reso ancora più grave dalla qualifica di De Benedictis: “un giudice per le indagini preliminari, che ha il potere sulla liberà degli individui, che mette al servizio di uno scaltro avvocato per favorire personaggi di elevata caratura criminale, in quanto partecipi di organizzazioni criminali di stampo mafioso o comunque a essa collegati”. 

Rif: https://bari.repubblica.it/cronaca/2021/04/24/news/ho_speso_30mila_euro_e_mi_sono_comprato_il_giudice_a_bari_-297850623/

Giudice Luca Palamara di nuovo indagato: la dolce vita pagata dai «corruttori»

  • Gli regalavano potenti scooter, notti in alberghi cinque stelle a Capri, quote societarie, gli pagavano persino le multe per centinaia di euro. 
  • Chiuse le indagini su Luca Palamara, di nuovo indagato per corruzione a Perugia. In cambio dei regali offerti dagli imprenditori, l’ex magistrato sarebbe intervenuto su procedimenti penali, amministrativi e civili per garantire l’esito favorevole desiderato dai suoi presunti corruttori. 
  • Oltre a uno scooterone X-Max 300, Aureli avrebbe offerto a Palamara le quote di un società che gestisce uno stabilimento balneare a Olbia, Kando Beach: l’ex pm non avrebbe versato alcunché, le quote le avevano intestate al commercialista Andrea De Giorgio, amico di lunga data di Palamara nonché suo commercialista.

Rif https://www.editorialedomani.it/fatti/luca-palamara-indagato-processo-corruzione-csm-lobby-en5v33bj

Corruzione in Corte d’Appello, in aula il nodo sul video dello scambio di denaro tra Manna e Petrini

Il giudice si è riservato di decidere sull’utilizzabilità di quelle immagini e delle intercettazioni. Il sindaco di Rende e l’ex magistrato sono accusati di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose

Nuova udienza preliminare del procedimento a carico del sindaco di Rende, Marcello Manna, e dell’ex magistrato della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini, entrambi accusati di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose. Questa mattina sono state affrontate in aula alcune questioni preliminari riguardanti l’utilizzabilità delle intercettazioni e del video che ritrarrebbe Manna mentre consegna la busta contenente denaro a Marco Petrini. Il giudice si è riservato la decisione. 

Rito abbreviato

Marco Petrini, assistito dal suo avvocato di fiducia Francesco Calderaro, ha optato per il rito abbreviato mentre Marcello Manna (difeso dagli avvocati Federico Olivo e Nicola Carratelli) si è riservato ancora di decidere. Entrambi dovranno rispondere del reato di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose. In particolare Manna è accusato di aver corrotto l’ex magistrato per ottenere una sentenza favorevole al suo assistito: l’assoluzione di Francesco Patitucci, già in primo grado condannato a 30 anni di carcere per il delitto di Luca Bruni, ma assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. Nel maggio del 2019 Marco Petrini avrebbe ricevuto dalle mani dell’avvocato Marcello Manna la somma di 5mila euro in contanti quale corrispettivo dell’assoluzione.

Il caso del lungometraggio

Secondo la ricostruzione della Procura il denaro contante sarebbe stato contenuto in una busta da lettera e consegnata al giudice nel suo ufficio in Corte d’Appello. Il magistrato avrebbe poi accettato di ricevere ulteriori utilità a vantaggio di Mario Vitale, cugino di Stefania Gambardella e compagna di Marco Petrini. In tal senso, l’avvocato Marcello Manna si sarebbe posto quale intermediario con Giuseppe Citrigno, ex presidente della Fondazione Calabria Film Commission, per far ottenere al giovane un finanziamento per la realizzazione di un lungometraggio: 175mila con la stipula di una convenzione avvenuta nell’ottobre del 2019.

La cosca Lanzino Patitucci

Il magistrato per favorire la posizione dell’imputato Patitucci avrebbe posto in essere «un atto contrario ai doveri di ufficio consistito nell’alterare la dialettica processuale inquinando metodologicamente l’iter decisionale della Corte d’Assise d’Appello da lui presieduta con sentenze contaminate in radice dagli eventi corruttivi». Il reato è aggravato dalle modalità mafiose per aver agevolato la cosca Lanzino Patitucci. Tuttavia, lo scorso febbraio il Tribunale di Salerno ha archiviato la posizione di Francesco Patitucci.

Rif: https://www.lacnews24.it/cronaca/corruzione-in-corte-d-appello-la-procura-chiede-il-processo-per-marcello-manna-e-marco-petrini_154380/

Il magistrato corrotto nascondeva il denaro negli interruttori della luce

Numerose mazzette di importo variabile tra i 2.000 ed i 16.000 euro così occultate, per un totale di 60.000 euro, sono state trovate dai carabinieri del Nucleo investigativo di Bari

Bari – Il giudice barese Giuseppe De Benedictis, arrestato oggi dai carabinieri al culmine di una indagine su delega della Procura di Lecce, nascondeva il denaro contante frutto di presunta corruzione nelle prese delle derivazioni elettriche del suo appartamento. Numerose mazzette di importo variabile tra i 2.000 ed i 16.000 euro così occultate, per un totale di 60.000 euro, sono state trovate dai carabinieri del Nucleo investigativo di Bari durante una perquisizione.

De Benedictis, magistrato presso l’ufficio gip di Bari, è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari di Lecce su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia del capoluogo salentino. Il giudice De Benedictis, insieme all’avvocato Giancarlo Chiariello, del foro di Bari, anche lui arrestato oggi nella stessa operazione, avrebbe dato vita ad un accordo corruttivo in base al quale emetteva provvedimenti favorevoli agli assistiti del legale, ricevendo compensi in denaro dai beneficiari.

Le intercettazioni: “Che vergogna quando uscirà su tutti i giornali”

“Mi sono dimesso per evitare il carcere, però la misura la devo fare, sono a casa ad aspettare se mi fanno i domiciliari, speriamo che mi fanno i domiciliari. Mi sono dimesso, vediamo quando mi devono prendere, comunque considerando che per questo reato il minimo sono 6 anni, 4 anni me li devo prendere sicuro”.
E’ lo stralcio di una conversazione intercettata il 12 aprile 2021 tra il giudice di Bari Giuseppe De Benedictis e un amico. Nella telefonata il giudice, arrestato oggi dalla magistratura salentina per corruzione in atti giudiziari in concorso con l’avvocato barese Giancarlo Chiariello, fa riferimento alla perquisizione subita il 9 aprile. “Venerdì Chiariello mi dette una cosa da studiare e mi dette qualche soldo – racconta il giudice all’amico – , come scesi dallo studio stavano i carabinieri, perquisito…  perquisizione, corruzione. Che vergogna quando uscirà su tutti i giornali”.

Rif: https://www.ilsecoloxix.it/italia/2021/04/24/news/il-magistrato-corrotto-nascondeva-il-denaro-negli-interruttori-della-luce-1.40193481

Giustizia, l’assurda sentenza: il magistrato “turbato” può accedere agli atti che lo riguardano

“Non integra l’illecito disciplinare” si legge in una sentenza (ma ci sono molti precedenti) che riguarda un magistrato che aveva sfruttato la propria posizione per accedere alle carte di un processo che lo riguardava. Concesso perché era “turbato” dalla situazione.

Non finiscono mai di sorprendere i privilegi della magistratura italiana: questa volta tocca a Enrico Costa, Vicesegretario di Azione, svelarne altri. È la storia, pubblicata da Libero, di un magistrato che ha avuto modo, semplicemente, di recarsi in cancelleria del tribunale e di accedere alle carte di un processo che lo riguardava. Nelle motivazioni del giudice, il gesto del diretto interessato “non integra l’illecito”. Cioè non aggrava il carico penale pendente già presente. Questo perché il magistrato avrebbe agito in stato di “turbamento”: una condizione che secondo il giudice svincola l’imputato da qualsiasi responsabilità. Inoltre quest’ultimo si sarebbe impegnato a restituire le carte in questione. Tutto regolare insomma.

Rif: https://www.ilgiornaleditalia.it/news/cronaca/400977/giustizia-sentenza-magistrato-turbato.html

Palermo, ex giudice Silvana Saguto condannata per corruzione

L’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, che nel corso del processo è stata radiata dalla magistratura, avrebbe gestito illecitamente le nomine degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati alla mafia scegliendo solo professionisti a lei fedelissimi

Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, è stata condannata dalla Corte d’Appello di Caltanissetta a 8 anni e 10 mesi. L’ex magistrata è accusata di corruzione, concussione e abuso d’ufficio. L’ex giudice, che nel corso del processo è stata radiata dalla magistratura, avrebbe gestito illecitamente le nomine degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati alla mafia scegliendo solo professionisti a lei fedelissimi. In cambio avrebbe ricevuto da loro favori e regali.

Le altre condanne

La sentenza conferma sostanzialmente, con lievi modifiche, quella di primo grado. Nel processo erano imputati a vario titolo anche personaggi ritenuti appartenenti al “cerchio magico” dell’ex presidente. Tra loro l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, considerato il “re” degli amministratori giudiziari, che è stato condannato a 7 anni e 7 mesi, il marito dell’ex giudice, l’ingegnere Lorenzo Caramma, condannato, come in primo grado, a 6 anni e due mesi, il figlio di Silvana Saguto, Emanuele Caramma, condannato a 4 mesi. Confermata la pena di 3 anni per l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo e per il professore della Kore di Enna ed ex amministratore giudiziario Carmelo Provenzano, che in primo grado aveva avuto 6 anni e 10 mesi. Condannati anche a un anno e 4 mesi Walter Virga, figlio del giudice Tommaso Virga, processato separatamente e assolto col rito abbreviato, messo alla guida, questa la tesi dei pm, dell’impero sequestrato agli imprenditori Rappa, senza avere alcuna esperienza. A 4 anni e 2 mesi è stato condannato l’amministratore giudiziario Roberto Santangelo, a 2 e 8 mesi il tenente colonnello della Guardia di finanza Rosolino Nasca, a un anno e dieci mesi il preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna Roberto Di Maria. Condanne a 2 anni e 8 mesi per Maria Ingrao, la moglie di Provenzano e Calogera Manta, la cognata.

Rif: https://tg24.sky.it/palermo/2022/07/20/silvana-saguto-sentenza





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Corruzione, chiuse le indagini sull’ex pm di Salerno Roberto Penna

Corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio. La sezione Reati contro la Pubblica amministrazione Procura di Napoli ha chiuso le indagini sull’ex sostituto procuratore di Salerno, Roberto Penna, l’avvocato Maria Gabriella Gallevi, sua compagna, gli imprenditori Francesco Vorro Fabrizio Lisi, quest’ultimo ex generale della Guardia di Finanza, l’imprenditore e immobiliarista Eugenio Rainone, e il mediatore d’affari Umberto Inverso.

Le accuse

L’indagine condotta dai pubblici ministeri Antonella Fratello e Antonello Ardituro riguarda una serie di presunti illeciti compiuti dal magistrato per agevolare la sua compagna. “Abusando della sua funzione e in cambio della promessa del conferimento di incarichi di consulenza professionale all’avvocato a cui era sentimentalmente legato, il magistrato Roberto Penna avrebbe promesso e in alcuni casi anche fornito, agli imprenditori arrestati, aderenti a un consorzio, notizie coperte da segreto investigativo su indagini potenzialmente pregiudizievoli per le loro attività lavorative“, si legge nel capo di imputazione. 

Rif: https://www.salernotoday.it/cronaca/corruzione-chiusura-indagini-penna-rainone-salerno-2-aprile-2022.html

Potenza, giudice del tribunale di Brindisi a processo con altre 19 persone: è accusato di corruzione in atti giudiziari

Comincerà il prossimo 27 giugno il processo nei confronti di Gianmarco Galiano, giudice del tribunale civile di Brindisi arrestato a gennaio 2021 e accusato, a vario titolo con altri 19 imputati, di aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, riciclaggio, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e auto riciclaggio. In tre hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato, mentre il magistrato – che non si è mai dimesso e continua a professare la sua estraneità – si difenderà in dibattimento.

Secondo quanto emerso dalle indagini della Guardia di finanza di Brindisi, coordinata dal procuratore di Potenza Francesco Curcio e dal sostituto Sarah Masecchia, il giudice Galiano avrebbe richiesto per sé parte dei risarcimenti del danno concessi dalle assicurazioni in due cause civili: una del 2007, che si era occupata della morte di una ragazza di 23 anni, e un giudizio su bambino nato con traumi permanenti per colpa medica. Nel primo caso 300mila euro sarebbero stati messi nella disponibilità del giudice attraverso il conto intestato alla suocera. Nel secondo, l’importo ricevuto ammonterebbe a 150mila euro.

Dall’ordinanza che lo portò in carcere, emersero le dichiarazioni rese dai genitori dopo la visita a casa del magistrato: “Vi dico la verità, ora che vi ho detto queste cose ho paura. Ho ancora paura che questo Galiano possa farci qualcosa di brutto”, aveva confessato il padre agli investigatori ricordano le richieste che il magistrato aveva avanzato nel 2015. Secondo l’accusa, ai genitori del bambino disabile, che chiedevano un risarcimento per via delle conseguenze subite dal neonato in ospedalela causa si chiuse con un accordo transattivo con l’assicurazione da 2 milioni di euro e pochi giorni dopo si sarebbero presentati a casa il giudice Galiano e sua moglie: il magistrato avrebbe chiesto di versare 150mila euro.

Ma le indagini avrebbero portato alla luce anche un presunto giro di sponsorizzazioni che ruotava intorno a una barca a vela, la Kemit. “Di proprietàdel magistrato – era scritto nelle carte d’inchiesta – ma di fatto mantenuta a partire dal 2012 e per oltre un quinquennio, grazie ai proventi generati da un congegno criminogeno in seno al quale si combinavano condotte corruttive, false fatturazioni ed evasione fiscale”. Per il gip di Potenza Lucio Setola, il giudice Galiano “allo scopo di arricchirsi e di poter mantenere un elevato tenore di vita ha sistematicamente sfruttato le funzioni e i poteri inerenti la sua carica abusandone e facendone a seconda dei casi, moneta di scambio o strumento di indebita pressione”. Sotto chiave finirono beni per 1,2 milioni di euro tra denaro e proprietà oltre a orologi di lusso, un’automobile, contanti e polizze assicurative.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/28/potenza-giudice-del-tribunale-di-brindisi-a-processo-con-altre-19-persone-e-accusato-di-corruzione-in-atti-giudiziari/6574192/

Ha adescato centinaia di ragazzine in chat, condannato un giudice minorile

Il magistrato, in servizio al Tribunale di Napoli, contattava le sue vittime via social mandando loro messaggi a sfondo sessuale. Per lui dieci mesi di carcere e interdizione dai pubblici uffici legati ai minori

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Contattava le ragazzine via social inviando loro messaggi espliciti a sfondo sessuale.

Utilizzando un profilo fake, un giudice onorario del Tribunale dei minori di Napoli ha così adescato per anni centinaia di giovanissime vittime e per questo è stato condannato a dieci mesi di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici legati ai minori dal giudice monocratico di Roma, che ha esaminato il procedimento per competenza territoriale. 

Profilo fake – Il magistrato, 47 anni, utilizzava sempre lo stesso modus operandi, secondo quanto accertato dagli inquirenti. Per abbordare virtualmente le ragazzine si presentava con il nome di Cristiano esordendo con un “sei bellissima e sexy” per passare poi a proposte sessualmente esplicite. 

Nove contatti al giorno – I fatti risalgono agli anni 2016-2017 e, secondo gli inquirenti, i dialoghi avvenivano con differenti utenze (non è stato possibile risalire all’identificazione di tutti i profili, che non compaiono nel capo d’imputazione). L’uomo aveva una media di nove contatti al giorno per un totale di quasi 20mila messaggi. Si trattava, hanno accertato le indagini, di un comportamento ossessivo, tanto che l’uomo non si fermava neanche quando le ragazzine cercavano di fermare e allontanare quelle illecite attenzioni affermando di essere minorenni. 

Identificate solo due tra le decine di vittime – Il giudice onorario cercava da anni le sue prede in rete e solo l’intervento degli investigatori ha evitato che riuscisse a incontrare realmente le vittime. Nei suoi confronti è quindi scattata l’accusa di adescamento di minori. L’analisi dei dispositivi che utilizzava ha permesso di identificare solo due vittime ma gli inquirenti sono convinti che decine di giovanissime siano finite nella sua rete. 

La onlus anti-pedofilia: “Reato odioso” – “Quando siamo venuti a conoscenza di tale condotta – dice Roberto Mirabile, presidente della onlus La Caramella Buona -, abbiamo valutato quanto in nostro possesso e deciso di costituirci parte civile al processo, perché combattiamo la pedofilia da 25 anni e lo facciamo con ancora più forza quando a macchiarsi di questo reato sia un soggetto che dovrebbe proteggere i bambini e non importunarli. Grazie al lavoro del nostro avvocato Monica Nassisi, siamo riusciti a confermare con forza il quadro accusatorio e il giudice ha condannato l’imputato nonostante il pm d’aula ne avesse richiesto l’assoluzione”. 

Il giudice ha disposto anche un risarcimento in favore della parte civile. “E’ una soddisfazione in quanto questo procedimento, inizialmente, era diretto verso l’archiviazione – chiarisce la legale Nassisi -. Pertanto la condanna segna un grande risultato; non parliamo di successo poiché sappiamo bene che, quando le vittime sono bambini, è la società tutta a perdere, ma noi restiamo in prima linea per garantire loro tutela e restituire giustizia”.