Il papà Giuseppe Fanfani è al Csm e giudica il PM Rossi ed il figlio di Fanfani difende l’ex banchiere Boschi

Non uno studio legale qualsiasi. È lo storico studio Fanfani in uno dei più antichi palazzi del centro cittadino. Quello nel quale ha esercitato per una vita Giuseppe Fanfani, 69 anni, nipote del cinque volte presidente del Consiglio Amintore, ex segretario provinciale della Dc (fondata ad Arezzo da suo padre Ameglio), ex sindaco della città della Giostra e attuale membro laico in quota renziana del Csm.Quando Beppe si è votato, a tempo pieno, alla causa politica (deputato per l’Ulivo nel 2001) ha lasciato lo studio legale in mano al figlio Luca, 39 anni, bis nipote di Amintore. È lui che oggi segue gli interessi della famiglia Boschi, e in particolare di papà Pier Luigi. Per esempio ha seguito, passo passo, tutta la losca storia della compravendita della Fattoria di Dorna a Civitella Val di Chiana, quella per la quale il babbo della ministra è stato indagato dal procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, per turbativa d’asta, estorsione e evasione di 250mila euro riscossi in nero.

Boschi Pier Luigi

Dopo l’8 febbraio, giorno della prima udienza del collegio fallimentare al tribunale di Arezzo che finalizzerà l’insolvenza di Banca Etruria, probabilmente verrà affidato a lui (insieme ad altri legali romani) il gravoso incarico di difendere l’ex vice presidente dell’istituto dall’accusa di bancarotta, semplice o fraudolenta, che il procuratore Rossi avvierà nei suoi confronti.L’aspetto più curioso, che configura anche un velato conflitto di interessi, è proprio il fatto che il padre di Luca, Giuseppe, faccia parte dello stesso Csm che ha interrogato il procuratore Rossi in audizione a fine dicembre e che ha messo in dubbio la sua correttezza professionale. Per questo, adesso, l’organo di autogoverno sta verificando se il pm avesse l’obbligo di astenersi dalle indagini circa il fallimento di Banca Etruria e se si possano configurare gli estremi per sanzioni disciplinari o per un trasferimento per incompatibilità ambientale. Probabilmente Giuseppe ha fatto parte della stessa commissione che ha assistito all’audizione di Rossi, in servizio alla procura di Arezzo dal 2007. Giuseppe Fanfani è stato eletto al Csm il 9 settembre 2014, in quota Pd. Renzi era premier da appena sette mesi.In ogni vicolo di Arezzo si respira aria di Fanfani e di Democrazia cristiana. Non c’è uno che alla voce «Fanfani» non si giri e non ti racconti leggende su quella famiglia, più o meno veritiere. È la città dei Fanfani e dei loro eredi. Anche di quelli che non portano quel pesante cognome ma che da loro hanno fatto scuola. Come Pier Luigi Boschi che di Fanfani ha tutto, dal modo di fare e di distribuire aiuti e favori (in cambio di piaceri e di voti), allo studio legale che ha scelto. Quello del bis nipote del due volte segretario della Dc, del tre volte presidente del Senato e del cinque volte presidente del consiglio. Ironia della sorte.

Rif:http://www.ilgiornale.it/news/politica/pap-csm-figlio-difende-lex-banchiere-boschi-1216343.html

Csm: la “bomba” Consip colpisce in pieno Fanfani

Il “casino” Consip ha investito il plenum del Csm. Ieri, infatti, c’è stato un fuori programma che ha messo nero su bianco come il verbale della procuratrice di Modena Lucia Musti sia uscito ad arte per dare manforte ai complottisti renziani. È stato il consigliere laico di Fi Pierantonio Zanettinad aprire un dibattito al vetriolo: “Se è stata desecretata Consip, allora è opportuno desecretare tutte le pratiche politicamente sensibili, compresa quella sul pm Roberto Rossi di Arezzo per l’indagine su Banca Etruria(vedi papà Boschi, ndr) altrimenti vuol dire che le pratiche vengono desecretate a seconda del gradimento del governo di turno”.

Il cecchino – Giuseppe Fanfani –  Ansa
Giuseppe Fanfani

Delle “strumentalizzazioni politiche” del verbale Musti e delle responsabilità del Consiglio parlano i togati di Area (sinistra) Piergiorgio Morosini e Antonello Ardituro, ex pm di Napoli. “So per certo che non è stata la Procura di Roma a dare alla stampa il verbale” ha detto Ardituro. “La scorsa settimana è stata imbarazzante, sono rimasto in attesa, sperando che qualcuno sottolineasse il fatto gravissimo” che sia uscito su alcuni quotidiani. E analizza: “La pubblicazione di questo verbale ha destato perplessità e confusione mettendo il Csm al centro dell’agone politico”. Morosini finisce di mettere il dito nella piaga: “È venuta fuori l’idea di desecretazione mentre si mandavano gli atti alla Procura di Roma. Bisogna stare molto attenti al momento di ostensibilità di certi atti perché quando vanno in mano alla stampa, in particolare solo a una parte”, come nel caso Musti, “possono esporre a campagne di stampa magistrati impegnati in inchieste importanti”. Morosini scende nel particolare: “Diverse testate hanno fatto credere la responsabilità di pm sulla fuga di notizie dell’intercettazione Renzi-Adinolfi (contenuta nel fascicolo Cpl-Concordia, ndr) ma abbiamo sentito dai lavori della Prima Commissione che è radicalmente da escludere la responsabilità del pm Woodcock”. Gli ha risposto visibilmente risentito Luca Palamara, togato di Unicost (centrista) e relatore, insieme ad Aldo Morgigni della pratica: “Non è rispettoso del lavoro della Prima annunciare l’esito sulla divulgazione delle intercettazioni”, come se non fosse già noto che Il Fattoquell’intercettazione, pubblicata il 10 luglio 2015, l’ha avuta dal mondo forense.

Sulla difensiva il presidente della Prima che ha proposto la desecretazione degli atti e l’invio alla Procura di Roma, con decisione, però, unanime. Giuseppe Fanfani, laico renziano della prima ora, nega ogni responsabilità sull’uscita del verbale Musti: “Abbiamo ritenuto opportuno desecretare circa 30 pratiche per l’ampia conoscenza che c’era già stata da parte della stampa e con il sereno convincimento del fatto che questo non incidesse sul dovere di riservatezza dei consiglieri che, sono certo, è stato rispettato da tutti”. Fanfani, poi, rivendica la scelta di aver trasmesso il verbale Musti alla Procura di Roma pur non essendoci elementi penalmente rilevanti e pur andando contro la prassi secondo la quale gli atti si mandano alla fine dell’istruttoria. “L’obbligo non c’era perché non c’erano notizie di reato, ma abbiamo ritenuto utile far conoscere quelle carte ai pubblici ministeri che indagano sull’ipotesi di scorrettezze da parte degli ufficiali che si sono occupati di Consip (il riferimento è al maggiore Giampaolo Scafarto, indagato per falso, ndr)”.

Proprio Fanfani, in un momento dell’audizione della Musti, dopo che un consigliere aveva fatto un riferimento sbagliato, ha messo insieme Cpl-Concordia e Consip: “De Caprio ha detto ‘Ha una bomba in mano’. Scafarto: ‘Succederà un casino, arriveremo a Renzi’”. Di Caprio aveva parlato con la Musti nel 2015 dell’inchiesta Cpl contro le coop rosse e il mondo dalemiano e Scafarto, improvvidamente, nel 2016, con la Musti aveva fatto un riferimento all’inchiesta Consip in cui era coinvolto Tiziano Renzi. Sono due cose diverse.

Ha parlato anche il vicepresidente Giovanni Legnini: “Non condanno la desecretazione degli atti ma bene ha fatto la Procura di Roma ad aprire un’indagine per violazione del segreto istruttorio”. Un colpo al cerchio e uno alla botte.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2017/09/21/csm-la-bomba-consip-colpisce-in-pieno-fanfani/3868598/