Lo squallore dei casi di mala giustizia

Tutti abbiamo letto e a tutti sono tremati i polsi.
Pensavamo che una parte della magistratura fosse malata, come aveva già detto durante una bella trasmissione anche il bravo Bruno Vespa, contestando a Davigo che, non solo gli imprenditori sono dei furbastri, ma anche taluni magistrati. Ma non avevamo affatto compreso la reale portata della questione.

Non vogliamo dilungarci troppo sulle ormai arcinote questioni nazionali, che hanno colpito la ANM e addirittura la prestigiosa Cassazione, o della vergognosa intercettazione nella quale Palamara candidamente ammette di aver fatto carriera sol perché ha fatto fuori Berlusconi.
Ma invece riflettere di quanto sta succedendo in Puglia, al netto dello scandalo, davvero incredibile, che ha riguardato i magistrati di Trani.
Nella nostra regione davvero troppi e pesantissimi sono gli errori giudiziari. Il corto circuito tra ‘pm e giudici’, gip e gup, ci pare sia segno di un sistema di potere ben collaudato. E che deve essere urgentemente modificato.

Ma basterà la separazione delle carriere? Come si può infatti pensare che colui che con te condivide l’ufficio o lo stesso piano del palazzaccio, poi all’atto pratico, ti bocci l’impianto
accusatorio? A quali tentazioni dovrebbe resistere il gip?
Le statistiche ci dicono che quasi mai il gip dia torto ai pm e non parliamo poi dei giudici del riesame, che sono gli stessi gip passati ad altro ruolo. Un team.
Insomma alla fine i pm diventano giudici e viceversa. Come si fa ad avere fiducia?

Guarda caso questi team ben oliati, sono partecipati a rotazione quasi sempre dalle stesse persone che quasi sempre confermano le tesi della Procura, al fine di vedere sempre confermati i teoremi, spesso suggestivi e basati sul nulla, della Procura. Una falange macedone inscalfibile solo a danno dei malcapitati.
La clamorosa sentenza del tribunale di Milano con la quale è stato assolto Fabio Riva dell’Ilva dalla accusa di bancarotta perché il fatto non sussiste spiega bene quel sistema di cui abbiamo testé detto.
Adesso si scopre infatti che il crac dell’Ilva che ha portato la famiglia Riva al disastro a causa dell’esproprio dell’azienda, è frutto di un errore della Procura di Taranto. Autore di questo capolavoro il procuratore Sebastio che aveva sequestrato l’impianto.
Uscito dalla magistratura Sebastio si era candidato a sindaco di Taranto nelle file di Rifondazione (dove sennò?). Era stato bocciato ma aveva comunque ottenuto la carica di assessore su indicazione di chi? Ovviamente del padrone della Puglia, Michele Emiliano. 

Possiamo dire che una parte della magistratura faccia business dopo tutto quello che abbiamo letto in questi giorni? Secondo noi sì. Grave è utilizzare per raggiunger lo scopo la falange macedone sempre a disposizione del padrone. 
L’Ilva nel 2016 a seguito del sequestro degli impianti era stata dichiarata insolvente e posta in
amministrazione straordinaria. Nessun telegiornale, figurarsi Sky, che più a sinistra di così si muore, ha dato la giusta enfasi su questo ennesimo caso di un imprenditore, di una famiglia, di una azienda che vale l’1% del PIL nazionale spazzati via dai vari Palamara che ci pare siano mossi solo da una sete di potere mai soddisfatta. I giornalisti sono funzionali alla falange.
Per i vari Palamara la legge non esiste, la legge sono loro. La opinione pubblica è obnubilata dalla voglia neogiustizialista e questi Torquemada mossi da una invidia sociale obbrobriosa, stanno asfissiando il Paese e ogni giorno perdiamo i nostri valori fondanti. 
È proprio vero che giustizia non c’è.

Rif:https://www.metropolinotizie.it/lo-squallore-dei-casi-di-mala-giustizia/

Media, innocenti alla gogna: non è giustizia

Media, innocenti alla gogna: non è giustizia

Sos malagiustizia: solo nel 2018 i casi di ingiusta detenzione sono stati ben 895 I risarcimenti hanno pesato sulle casse dello Stato per 33,3 milioni di euro. Su tv, web e giornali è prassi consolidata la delegittimazione del presunto colpevole

Sos malagiustizia: il caso Palamara si allarga a macchia d’olio. Il Vaso di Pandora è stato ormai scoperchiato, mettendo a nudo (presunte, al momento) logiche spartitorie nelle nomine ai vertici delle Procure e gettando inevitabilmente un’ombra sull’integrità morale di una parte della magistratura.

Aiutare le persone vittime di ingiustizie giudiziarie, offrendo loro assistenza e sostegno morale, anche attraverso i suoi consociati, nelle azioni giurisdizionali rivolte ad ottenere la riabilitazione morale e giudiziale: è questa la mission dell’Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia.

Fondata dal commercialista siciliano, trapiantato a Milano, Mario Caizzone dopo le vicende che lo videro coinvolto in una querelle giudiziaria durata più di vent’anni, l’Aivm si propone l’obiettivo di tutelare “quanti subiscono documentate ingiustizie e vessazioni nel nome di una legge che non è uguale per tutti”.

Perché casi di malagiustizia come il suo e quelli di tanti altri “siano sempre più rari e vengano denunciati e comunicati correttamente ai media”. Tanto è vero che – si legge sul sito aivm.it – il primo compito che l’associazione si è prefissato è quello di “rompere il silenzio”.

Del resto non è una novità che il sistema giustizia presenti numerose storture: ingiusta detenzione, errori giudiziari, durata irragionevole dei processi, uso distorto delle intercettazioni, fuga di notizie coperte dal segreto istruttorio, ma anche la “spiccata autoreferenzialità” – per usare le parole dell’ex il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio – di alcuni Pubblici ministeri, sono tutte facce di una stessa medaglia, la malagiustizia. E contribuiscono ad alimentare un tritacarne mediatico che inghiotte indistintamente tutti, colpevoli ma anche, e soprattutto, innocenti.

I numeri parlano chiaro: secondo gli ultimi dati resi noti da errorigiudiziari.com, i casi di ingiusta detenzione sono stati 895 nel 2018 e i risarcimenti hanno pesato sulle casse dello Stato per 33.373.830 euro. Guardando a più ampio raggio, quei numeri lievitano vertiginosamente: sulla base dei dati – che vanno dal ‘92 alla fine dell’anno scorso – recuperati dai fondatori (Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone) del primo e più grande archivio online con tutti i casi di ingiusta detenzione, si contano oltre 27.200 casi, per i quali lo Stato ha speso fino a oggi più di 700 milioni di euro.

Proprio a supporto di gente ingiustamente detenuta ma anche persone che ritengono di essere state danneggiate da ritardi, superficialità, malintesi, interpretazioni errate, lungaggini e comportamenti arbitrari posti in essere da chi amministra giustizia, interviene l’Aivm, che dal 2012 ad oggi ha aiutato gratuitamente ben 7.863 vittime di malagiustizia provenienti da tutta Italia.

Le informazioni richieste, oltre ai dati personali, sono quelle relative alla propria vicenda giudiziaria: data di inizio, parti in causa, tipologia della procedura e situazione attuale.
I professionisti che collaborano in forma volontaria con l’associazione, dopo aver analizzato e approfondito la vicenda, consiglieranno gratuitamente su quali azioni intraprendere e se e come proseguire.

I DATI PARLANO

895

sono i casi in Italia di ingiusta detenzione registrati nel 2018

33 mln di €

è quanto lo Stato ha sborsato nel 2018 a titolo di risarcimento per ingiusta detenzione

27.200

sono i casi di ingiusta detenzione registrati in Italia dal 1992 al 2018

700 mln di €

è quanto lo Stato ha sborsato per i risarcimenti dei casi di ingiusta detenzione dal 1992 al 2018

236 €

è l’indennizzo percepito in media da un innocente per ogni giorno trascorso in custodia cautelare in carcere

118 €

è l’indennizzo percepito mediamente da un innocente per ogni giorno trascorso in custodia cautelare agli arresti domiciliari

Rif: https://qds.it/media-innocenti-alla-gogna-non-e-giustizia/?refresh_ce

Toghe sporche, “invertire la rotta”

Il procuratore generale di Torino Saluzzo chiede la convocazione di un congresso straordinario della corrente di Magistratura Indipendente che prepari le assise dell’Anm. “Esiste una questione morale che deve interrogarci tutti”

È inaccettabile che coloro che rivestono cariche istituzionali intrattengano interlocuzioni improprie per orientare deliberazioni che hanno una sede costituzionalmente definita e trovano la loro naturale regolamentazione nella normativa primaria e secondaria”. Inizia così la lettera aperta a Magistratura Indipendente del procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, sottoscritta anche da altri magistrati, che tra le varie richieste chiedono “l’immediata convocazione di un congresso straordinario di Magistratura Indipendente”, perché “per prima inverta la rotta”, e “un congresso nazionale straordinario” della Associazione Nazionale Magistrati. Nella lunga lettera aperta, Saluzzo e gli altri magistrati sottolineano la necessità “di recuperare immediatamente la più rigorosa etica nell’esercizio delle funzioni”, perché – dicono – “esiste una questione morale e culturale su cui tutta la magistratura deve interrogarsi”. “Ferme dunque le innegabili responsabilità individuali”, per il procuratore generale di Torino esiste anche “una questione di sistema cui nessun gruppo associativo può pretendere di essere estraneo”.

La lettera aperta vuole essere “un contributo di riflessione – si legge – che scaturisce dai recenti gravissimi avvenimenti”. Secondo Saluzzo e gli altri magistrati che l’hanno sottoscritta, “è inaccettabile che coloro che rivestono cariche istituzionali intrattengano interlocuzioni improprie per orientare deliberazioni che hanno una sede costituzionalmente definita e trovano la loro naturale regolamentazione nella normativa primaria e secondaria”. “L’alterazione delle procedure previste dall’ordinamento produce – si legge ancora – un risultato gravemente negativo”, perché “mina la credibilità delle istituzioni, la fiducia del cittadino verso la giurisdizione, l’indipendenza e l’imparzialità di questa”. E, nel contempo, “provoca disaffezione del magistrato dal proprio organo di governo autonomo”. Ne consegue, prosegue la lettera, “che va riaffermato che chiunque svolga funzioni di rilievo istituzionale debba farlo con onore e dignità, con l’intento esclusivo di rendere un servizio, rifuggendo da qualsiasi logica di potere”.

Rif:https://lospiffero.com/ls_article.php?id=46563

Corruzione Tribunale di Napoli: 20mila euro per non far abbattere due edifici abusivi

Immagine di repertorio

Le indagini che hanno portato alla operazione San Gennaro (5 arrestati, tra cui il gip di Ischia) sono partite dopo la denuncia di un fabbro, che aveva detto di essere stato contattato con la proposta di pagare 20mila euro per bloccare l’ abbattimento di due suoi edifici abusivi. L’uomo aveva rifiutato ma poi aveva trovato un altro accordo e il tramite sarebbe stato Antonio Di Dio.

Le indagini che hanno portato all’operazione San Gennaro sono partite nel novembre 2018, quando un fabbro aveva denunciato un tentativo di concussione. Diceva di aver ricevuto, il 7 maggio 2018, la visita di due funzionari dell’Antiabusivismo (Uote) della Polizia Municipale per le misurazioni di due manufatti da demolire: dopo anni di stasi stava per arrivare l’abbattimento. Qualche giorno dopo, aveva continuato l’uomo, era stato contattato dal suo avvocato, Elio Bonaiuto, che gli aveva proposto una scappatoia: c’era un tale Antonio Di Dio, ben ammanigliato, che avrebbe potuto fare da tramite col magistrato incaricato e far bloccare tutto.

L’incontro c’era stato, ed era stato proposto l’accordo: 20mila euro da dare all’intermediario, che li avrebbe girati al magistrato, e tutto si sarebbe sistemato. Il fabbro, però, aveva rifiutato e il 23 ottobre era arrivato il provvedimento di sgombero. Gli atti in seguito alla denuncia erano stati trasmessi a Roma, in quanto coinvolgono un magistrato del distretto di Napoli, e mentre le indagini erano in corso, il 16 novembre, era arrivata un’altra denuncia, anche questa girata a Roma: il difensore del fabbro affermava che l’avvocato Bonaiuto lo aveva contattato per dirgli che gli abbattimenti non erano stati fermati perché l’uomo non aveva voluto pagare uno dei due funzionari.

L’avvocato Bonaiuto era stato convocato dal Pubblico Ministero e aveva negato ogni coinvolgimento, dicendo di conoscere Antonio Di Dio come “faccendiere intorno al tribunale” e di essersi rivolto a lui per cercare un nuovo appartamento dove trasferire il suo studio legale. Poco dopo, però, l’avvocato aveva telefonato a un conoscente comune, proprietario della ditta dove lavora il figlio del fabbro, e non sapendo di essere intercettato aveva confermato tutto, tangente compresa, che sarebbe stata esplicitamente richiesta dal funzionario.

L’accelerazione della pratica come vendetta

Ma perché le pratiche di abbattimento, ferme per anni, hanno subìto una brusca accelerazione? su questo aspetto, dalle intercettazioni degli indagati, emergono due versioni. Secondo il fabbro e il suo avvocato, è stato Antonio Di Dio a pilotare le pratiche per conto del magistrato della Procura Generale che non ha ricevuto la tangente. Secondo Bonaiuto, invece, c’entra un altro avvocato napoletano, editore di fatto di una televisione locale e attualmente agli arresti domiciliari per altre vicende: avrebbe corrotto il magistrato della Procura Generale per vendicarsi del suocero del fabbro, la cui moglie era stata sua socia in una società poi sequestrata e a cui avrebbe dovuto restituire 25mila euro consegnati a lui e ad Antonio Di Dio.

E anche in quella storia c’entrava la corruzione: quella somma, aveva poi spiegato l’editore al suocero del fabbro, era stata consegnata allo stesso magistrato della Procura Generale per liberare i titoli della società sotto sequestro. Quando la donna aveva chiesto la restituzione, l’editore avrebbe risposto che l’avrebbe “mandata in galera” o le avrebbe fatto “buttare giù la casa dei figli” tramite il magistrato.

L’avvocato e l’accento svedese alla Fantozzi
I rapporti tra Bonaiuto e Di Dio vengono evidenziati nel corso delle indagini. Subito dopo essere stato ascoltato, il legale aveva telefonato al consigliere municipale per concordare la versione da riferire ai magistrati: nessun accordo illecito, tra loro solo un incontro per affittare un appartamento. Chiamava dal telefono di un amico per sfuggire alle intercettazioni, ma non sapeva che l’interlocutore era già sotto controllo. E fingeva di essere un amico che voleva incontrarlo.

Ma, quando Di Dio sembra proprio non capire, è stato costretto a svelarsi: “sono l’avvocato Bonaiuto”. Gli aveva detto che erano stati entrambi denunciati e che, nel caso venisse chiamato, avrebbe dovuto confermare la versione dell’appartamento. I due si erano accordati per vedersi il giorno successivo. “Bonaiuto, evidentemente appassionato di grossolani travestimenti per eludere le investigazioni – scrive il gip nell’ordinanza – fingendo stavolta di essere “Lello il carrozziere” dava appuntamento al Di Dio per parlare di “quella macchina””.

Il fabbro cambia idea: ora vuole pagare per corrompere il giudice
Dopo aver inizialmente rifiutato, il fabbro nel novembre 2018 aveva richiamato Bonaiuto e si era detto “a disposizione” nel caso Antonio Di Dio fosse riuscito a fermare l’abbattimento. Ma era ormai troppo tardi: il consigliere gli aveva risposto che ha perso tempo e che non si poteva più fare nulla. A questo punto il fabbro e il suo avvocato avevano denunciato Di Dio.

Il fabbro però non si era fermato e, non immaginando di essere anche lui intercettato, aveva cercato un altro aggancio. Lo aveva trovato in un imprenditore edile suo amico, che avrebbe già avuto dei favori dal giudice Alberto Capuano, come autorizzazioni per proseguire in alcuni lavori e che avrebbe ripagato con ristrutturazioni nel centro estetico della moglie del magistrato.

Rif: https://napoli.fanpage.it/corruzione-tribunale-di-napoli-20mila-euro-per-non-far-abbattere-due-edifici-abusivi/

Nocera Inferiore. Operazione “San Gennaro”, arrestato un nocerino e un giudice corrotto, colluso con camorra

Nocera Inferiore. Operazione "San Gennaro", arrestato un nocerino e un giudice corrotto, colluso con camorra

Dalle prime ore di questa mattina e’ in corso un’operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, nei confronti di un giudice napoletano ed altri quattro soggetti indagati, a vario titolo, per corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, traffico di influenze illecite, millantato credito, tentata estorsione, favoreggiamento personale.n Al termine di un’articolata attivita’ investigativa coordinata dalla locale Procura della Repubblica. Sono finiti in manette: Alberto Capuano, nato a Napoli il 3.03.1959, Gip presso il Tribunale di Napoli – sezione distaccata Ischia (Napoli); Antonio Di Dio, nato a Napoli il 25.11.1953, consigliere circoscrizionale della X municipalita’ di Bagnoli (Napoli); Valentino Cassini, nato a Nocera Inferiore (Salerno) il 24.09.1967 libero professionista nel commercio al dettaglio di prodotti via internet; Giuseppe Liccardo, nato a Napoli il 4.12.1989 pregiudicato appartenente al clan Mallardo di Giugliano). I quattro sono stati condotti in carcere. E’ finito agli arresti domiciliari Elio Bonaiuto, nato a Napoli il 2.04.1948, avvocato del Foro di Napoli. I particolari dell’operazione saranno illustrati alle ore 12 presso la Procura della Repubblica di Roma alla presenza del Procuratore aggiunto Paolo Ielo.

Rif: https://www.puntoagronews.it/media/k2/items/cache/nocera-inferiore-operazione-san-gennaro-arrestato-un-nocerino-e-un-giudice-corrotto-colluso-con-camorra_XL.jpg

“Ora ti dico io cosa devi fare”: così il giudice aiutava Lucano

l sindaco di Riace indagato per il suo sistema d’accoglienza, il magistrato gli dava consigli: “Non parlare al telefono”

Ascoltami cazzo… non perdiamo tempo… nella cosa della prefettura non c’è niente che possa fare ipotizzare una concussione… io l’ho letta…”. A parlare al telefono con Mimmo Lucano è il magistrato Emilio Sirianni

Il “modello Riace” era a rischio e bisognava fare di tutto per salvarlo. Anche mettere in pericolo la propria professione, come ha fatto la toga amica di Lucano. Fummo i primi a scrivere della relazione di amicizia tra Lucano e Sirianni, che consigliava al sindaco (indagato) di “non parlare al telefono” durante le indagini. Indagini lunghe e scrupolose portate avanti dai finanzieri di Locri. Indagini che hanno portato prima all’arresto di Mimmo Lucano e, poi, al divieto di dimora nel comune di Riace.

Dopo la nostra indiscrezione il Csm ha aperto una pratica sul giudice della Corte di appello di Catanzaro. Un’indagine interna che, pare, non abbia portato a nulla. Ma per il Pm di Locri, che segue le indagini, il magistrato (indagato per favoreggiamento a Mimmo Lucano) ha usato un atteggiamento “poco consono a una persona appartenente all’ordinamento giudiziario, la quale peraltro era consapevole di parlare con una persona indagata”.

Oggi siamo in grado di fornirvi ulteriori informazioni e dettagli sul rapporto tra l’ex sindaco di Riace e il giudice. Le intercettazioni parlano chiaro, il tono tra i due è amicale. Il giudice dà consigli e suggerimenti su cosa fare. Sirianni appare come una figura a metà tra il consulente di immagine e l’avvocato difensore di Lucano.

In una telefonata fiume di oltre 19 minuti, di cui noi de Il Giornale siamo entrati in possesso in maniera esclusiva, i finanzieri intercettano il 9 ottobre del 2017 il magistrato Sirianni che suggerisce a “Mimì” la linea difensiva da seguire (ascolta i punti salienti). “Non c’è niente che possa far ipotizzare una concussione…, quindi questa concussione devono o se la sono proprio inventata o devono averla tirata fuori da qualche altra cosa quindi c’è qualcuno che potrebbe avere fatto una cosa del genere anche in piccolo?” chiede il giudice a Lucano, che divaga. Sirianni avverte: “ascolta … Mimmo allora bisogna prepararsi… perché l’ispezione è una puttanata… quindi queste associazioni dovete eh contattarle tutte… tutti i responsabili di queste associazioni e chiedergli se sono disposti a dichiarare per iscritto all’avvocato, perché queste si chiamano indagini difensive, come sono andate le cose e cioè che tu non gli hai chiesto i soldi per metterteli in tasca…” dice il giudice che, grazie al proprio bagaglio di esperienza, è in grado di suggerire bene a “Mimì” cosa fare. “Ora ti dico io cosa devi fare”: così il giudice aiutava Lucano

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ora-ti-dico-io-cosa-devi-fare-cos-giudice-aiutava-lucano-1727669.html

Giudice corrotto, mister preferenze di Scafati Alfonso Di Massa pagò 10mila euro per aiutare una parente a superare il concorso da carabiniere

Favori, pastiere, sentenze aggiustate e concorsi pilotati per giovani magistrati o allievi carabinieri: la longa manus della cricca del giudice Alberto Capuano e di Antonio Di Dio, consigliere della X Municipalità di Napoli (Bagnoli) passa anche per Scafati. Coinvolto nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Capuano, ex gip del Tribunale di Napoli poi trasferito nella sede distaccata di Ischia, anche il politico-imprenditore scafatese Alfonso Di Massa, l’uomo più votato alle ultime amministrative con oltre 700 voti, eletto nella lista Fratelli d’Italia a sostegno del neo sindaco Cristoforo Salvati. Del neo consigliere Di Massa si parla nell’ordinanza firmata dal Gip romano Costantino De Robbio per uno dei capitoli di accusa contestati ad Antonio Di Dio, l’uomo ritenuto il tramite tra esponenti del clan Mallardo e il giudice ‘corrotto’. Anche nel caso di Di Massa emerge un episodio di corruzione: lo scafatese fa da tramite presso Di Dio per ‘agevolare’ il superamento del concorso come allievo carabiniere di una sua parente. A far emergere l’episodio nell’indagine curata dai poliziotti della Squadra mobile una conversazione intercettata tra Di Massa e Di Dio in cui si parla di un accordo, evidentemente preso prima dell’avvio delle intercettazioni, per ‘aiutare’ la parente a superare il concorso. Diecimila euro per un aiuto che sarebbe partito dopo il superamento dei quiz. E’ il 28 marzo scorso, quando Di Massa chiama Antonio Di Dio per sapere qual è l’esito della richiesta di raccomandazione e il consigliere della municipalità spiega: “Allora io ho parlato per quanto riguarda questa storia dei carabinieri. Nei carabinieri ci sono due prove lo scritto e poi un’altra cosa che… . Allora mi hanno detto che non ci sono problemi. Devono fare i quiz. Una volta passati i quiz può stare tranquilla al 100% però deve passare i quiz. Poi viene da me le faccio conoscere questa persona ed è garantita al mille per mille”.
Di Dio pattuisce con Alfonso Di Massa il prezzo di questo interessamento: 5mila euro nel momento dell’iscrizione al concorso e 5mila euro dopo il concorso. Il contenuto di quell’intercettazione viene provato pochi giorni dopo quando Di Massa e Di dio si incontrano per il primo scambio di danaro. Cinquemila euro in contanti e la restante parte con un assegno a garanzia della restante parte del ‘debito’. Ricevuti i soldi, ad aprile scorso, Di Dio – lo stesso giorno – chiama Di Massa mentre è in compagnia del comandante della capitaneria di Porto Giuseppe Menna che ringrazia il politico scafatese per delle ‘regalie’ Pasquali e per parlare direttamente con l’aspirante carabiniere. E’ proprio il comandante Menna ad indirizzare la ragazza verso il segretario particolare di un alto ufficiale dell’Arma per presentarsi come ‘quella persona del comandante Menna”. Una frase che le ‘avrebbe cambiato la vita’. Secondo il Gip De Robbio che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Di Dio i dialoghi intercettati sono di una chiarezza estrema, e questo sarebbe l’ennesimo caso di un accordo corruttivo concluso dal consigliere della X municipalità di Napoli che ha ricevuto danaro in cambio della sua intermediazione tra un privato – Alfonso Di Massa – e un pubblico funzionario.

Foggia, la giudice «furbetta del cartellino» condannata dalla Corte dei conti

Per 8 anni la donna «risultava sempre in servizio o assente giustificata per ragioni di servizio (con permessi retribuiti)», mentre durante le udienze avrebbe dovuto risultare assente dal servizio per poi recuperare le ore perse

BARI – Dal 2006 al 2013 nel Tribunale di Foggia ha operato un magistrato onorario «assenteista», che ha prima svolto funzioni giudicanti e quindi – dal 2010 al 2016 – quelle di vice-procuratore onorario. Dimenticandosi però, una volta cambiato incarico, di chiedere l’autorizzazione alla Provincia di Foggia di cui è dipendente. «Chi ha occultato l’assenza dal servizio e si è procurato un ingiusto profitto è lo stesso soggetto che ha amministrato la Giustizia in nome del Popolo italiano», hanno scritto i giudici della Corte dei conti pugliese condannando Lucia Calderisi, 50 anni, avvocato nell’ufficio legale dell’ente, a risarcire circa 67mila euro.

La decisione della magistratura contabile (presidente Raeli, relatore Iacubino) arriva dopo una indagine della Finanza che due anni fa aveva già portato il Tribunale di Lecce a condannare la Calderisi per truffa aggravata a due anni con interdizione dai pubblici uffici: condanna appellata e a rischio di prescrizione. Anche la Corte dei conti ha dovuto ridurre per prescrizione le richieste dell’accusa, rappresentata dal vice-procuratore contabile Antonio D’Amato (il fascicolo era stato aperto dal collega Pierpaolo Grasso), che aveva quantificato il danno in circa 97mila euro.
L’indagine, nata da una denuncia, ha infatti accertato – è detto in sentenza – che la donna «risultava sempre in servizio o assente giustificata per ragioni di servizio (con permessi retribuiti, il che, sostanzialmente, è la stessa cosa)», mentre invece durante le udienze avrebbe dovuto risultare assente dal servizio per poi recuperare le ore perse. Da qui la condanna a restituire 4.230 euro, pari agli stipendi da funzionaria della Provincia che avrebbe ottenuto attestando «in modo fraudolento la presenza in ufficio o lo svolgimento di attività d’ufficio».

Nel 2010 la Calderisi ha partecipato al bando del ministero della Giustizia per vice-procuratore onorario, risultando vincitrice e prendendo servizio (nel 2011) in Procura a Foggia. Dimenticando però – secondo l’accusa – di chiedere l’autorizzazione alla Provincia: quella che le era stata concessa nel 2001 come giudice onorario, quando era ancora una semplice impiegata, per la Corte dei conti non è infatti valida. Dal 2013 al 2015, peraltro, la funzionaria era in aspettativa per frequentare un dottorato all’Università di Bari, e anche in questo caso avrebbe «dimenticato» di rendere noto l’incarico giudiziario. La legge in questi casi è chiara: i compensi ricevuti tornano allo Stato. Ed ecco che, tolti gli anni dal 2010 al 2012, ormai prescritti, l’ex magistrato onorario restituirà altri 61mila euro, oltre a 2.500 euro per il danno di immagine causato alla Provincia.

Rif: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/foggia/1158762/foggia-la-giudice-furbetta-del-cartellino-condannata-dalla-corte-dei-conti.html

Sentenze truccate a Trani, 12 indagati: per i magistrati arrestati un giro d’affari di 2 milioni

Sentenze truccate a Trani, 12 indagati: per i magistrati arrestati un giro d'affari di 2 milioni

Nel provvedimento di chiusura delle indagini compaiono i nomi dell’ex gip Michele Nardi, ora in carcere a Taranto e considerato “capo, promotore e organizzatore dell’associazione” e dell’ex pm Antonio Savasta

Sono 12 gli indagati nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla ‘giustizia truccata’ al Tribunale di Trani, con accuse di sentenze pilotate in cambio di mazzette avvenute tra il 2014 e il 2018. Nel provvedimento di chiusura delle indagini a firma dei sostituti procuratori Roberta Licci e Giovanni Gallone compaiono i nomi dell’ex gip di Trani Michele Nardi, ora in carcere a Taranto e considerato “capo, promotore e organizzatore dell’associazione”; dell’ex pm di Trani Antonio Savasta, che ha collaborato ammettendo responsabilità, si è dimesso dalla magistratura e ha ottenuto gli arresti domiciliari; dell’ispettore di polizia del commissariato di Corato (Bari) Vincenzo Di Chiaro, ora in carcere a Lecce.

Tutti e tre sono stati arrestati con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e falso. I magistrati avrebbero ottenuto illecitamente 2 milioni di euro.

Il provvedimento è stato notificato anche all’ex pm di Trani Luigi Scimè, all’imprenditore di Corato Flavio d’Introno, all’immobiliarista Luigi D’Agostino, agli avvocati Simona Cuomo, Ruggero Sfrecola e Giacomo Ragno; indagati anche Gianluigi Patruno, titolare di una palestra, Savino Zagaria (ex cognato di Savasta) e il carabiniere Martino Marancia.

A Savasta e Nardi – in concorso con Di Chiaro, D’Introno e l’avvocatessa Cuomo – viene contestata l’associazione a delinquere perché, si legge nel provvedimento, “si associavano tra di loro al fine di compiere plurimi delitti contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica e contro l’autorità giudiziaria, avvalendosi di volta in volta della collaborazione di soggetti non facenti parte dell’associazione, per la realizzazione di specifici obiettivi mirati finalizzati a conseguire guadagni illeciti a mezzo dello sfruttamento di disponibilità economiche da parte per lo più di soggetti esercenti attività imprenditoriali coinvolti in vicende giudiziarie che venivano gestite secondo modalità operative consolidate nel tempo ed elaborate in particolare dai due magistrati sin da quando entrambi esercitavano le funzioni nel circondario di Trani”

Rif: https://bari.repubblica.it/cronaca/2019/07/13/news/sentenze_truccate_a_trani_12_indagati_-231085359/

PG Fuzio, contro di me accuse ingiuste

Tutelo serenità mio ufficio e posso difendermi”,spiegando addio

 © ANSA

(ANSA) – ROMA, 13 LUG – “Ritengo necessario tutelare, con immediatezza, le delicate funzioni istituzionali affidate alla Procura Generale e la serena funzionalità dell’intero Ufficio senza recare al contempo pregiudizio alla necessità di difendermi, con piena libertà di azione e libero da ogni dovere istituzionale che mi deriva dalla carica, dalle ingiuste accuse che da più fronti in queste ultime settimane mi vengono mosse”.
    Così il Pg della Cassazione Riccardo Fuzio, interpellato dall’ANSA chiarisce la sua decisione di anticipare il suo addio alla magistratura annunciato con una nota.

Rif: http://www.ansa.it/lazio/notizie/2019/07/13/pg-fuzio-contro-di-me-accuse-ingiuste_65864acc-a581-4577-8fba-ecf524fa7a41.html