Scandalo Csm, nuove intercettazioni gettano un’ombra sul procuratore generale della Cassazione

Dalle intercettazioni pubblicate dal settimanale Espresso emerge un quadro inquietante che vede il potente magistrato rivelare informazioni riservate all’amico indagato Luca Palamara

Riccardo Fuzio, procuratore generale della Cassazione, è stato una delle voci più critiche nei confronti dei principali protagonisti dello scandalo che ha travolto il consiglio superiore della Magistratura, partito da un’inchiesta per corruzione su Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, gettando una luce sui tentativi da parte di lobbisti, politici e magistrati di influenzare importanti nomine e di indirizzare l’esito di inchieste.

Era stato proprio Fuzio a chiedere la sospensione facoltativa di Luca Palamara e ad aver attaccato l’ex ministro per lo Sport (governo Gentiloni), Luca Lotti, insieme all’ex sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri (entrambi del Partito democratico), frequentatore delle cene carbonare organizzate da Palamara.

Rif:https://www.open.online/2019/07/01/scandalo-csm-nuove-intercettazioni-gettano-unombra-sul-procuratore-generale-della-cassazione/

Caos procure, intercettazioni: pg della Cassazione Fuzio parlò con Palamara dellʼindagine

Diversi media avevano già dato conto di un presunto incontro tra lo stesso Fuzio e Palamara, avvenuto il 27 maggio

Caos procure, intercettazioni: pg della Cassazione Fuzio parlò con Palamara dell'indagine

Ci stanno le cose con Adele… e il viaggio a Dubai..”. Così, secondo quanto riportato sul sito on line dell’Espresso, il procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio informava l’ex numero uno dell’Anm, Luca Palamara, dell’inchiesta a Perugia a suo carico. Fuzio faceva riferimento ad Adele Attisani, l’amica di Palamara a cui Fabrizio Centofanti, secondo l’impianto accusatorio, avrebbe comprato un anello e regalato alcuni soggiorni.

Ai brogliacci della guardia di finanza che ha inviato al Csm su disposizione dei pm umbri, emergono le trascrizioni integrali dei colloqui avvenuti il 21 e 22 maggio tra Fuzio e lo stesso Palamara durante i quali l’alto magistrato svela al collega indagato le notizie sull’inchiesta di Perugia. 

I due inoltre parlano anche del futuro capo dell’ufficio di Roma che dovrà succedere a Pignatone: “Il problema è lavorare sui numeri”, sottolinea Fuzio. I due discutono, inoltre, dell’esposto del pm di Roma Stefano Fava contro i colleghi Paolo Ielo e Giuseppe Pignatone e affrontano il tema delle nomine dei procuratori capo della Capitale e di Perugia.

Da uno colloquio captato dal trojan installato nel cellulare di Palamara, emerge che Fuzio informa il pm di Roma dell’arrivo al Csm delle carte di Perugia ed in particolare dell’informativa redatta dalla Gdf in cui si descrivono i pagamenti effettuati dall’imprenditore Centofanti in favore di Palamara.

Palamara afferma: “Perché almeno l’unico modo per controbattere l’informativa è poter darle l’archiviazione, se no che cazzo faccio giusto? Pero’ rimane l’informativa che mi smerda… nessuno gli dice questa cosa qui, questo è gravissimo… qualcuno glielo deve dire, cioè o gli dici chiaro, sennò veramente io perdo la faccia… mi paga il viaggio, l’informativa non l’ho mai letta, non si sa di che importo si parla… qual è l’importo di cui si parla? Si può sapere. Cioè io non so nemmeno quanto è l’importo di cui parliamo”.

Fuzio risponde: “Sì ci stanno le cose con Adele… e il viaggio a Dubai…”. Palamara: “Viaggio a Dubai…Quant’è? Ma quanto c…o è se io… allora… e di Adele… cioè in teoria… vabbè me lo carico pure io… quanto… quant’è, a quanto ammonta?”. Allora Fuzio chiosa: “Eh… sarà 2mila euro”.

In una parte del colloquio intercettato i due discutono anche delle nomine per i nuovi procuratori, in particolare per quella di Roma. “Il problema – sintetizza Fuzio a Palamara – è lavorare sui numeri. Questo è il problema”.

rif: https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lazio/caos-procure-intercettazioni-pg-della-cassazione-fuzio-parlo-con-palamara-dell-indagine_3217760-201902a.shtml

Csm, le soffiate a Palamara del procuratore di Cassazione

Csm, le soffiate a Palamara del procuratore di Cassazione

Le nuove intercettazioni: “A Perugia ti indagano per le cose con Adele e il viaggio a Dubai”. Così Fuzio invece di esercitare l’azione disciplinare informa il pm di Roma delle indagini su di lui

ROMA – L’inchiesta della Procura di Perugia sul mercato delle nomine al Csm non sembra aver insegnato nulla alla magistratura italiana. L’abisso in cui sta precipitando la sua reputazione torna infatti a spalancarsi sotto la spinta di nuove intercettazioni che documentano due circostanze.

La prima: Riccardo Fuzio, Procuratore generale della Cassazione, e in quanto tale membro di diritto del Csm e titolare dell’azione disciplinare promossa nei confronti di Luca Palamara (oggi in Consiglio si terrà la prima udienza), era nella manica dello stesso Luca Palamara. Diciamo pure una sua appendice di corrente (entrambi appartengono ad Unicost). Al punto da incontrarlo, il 21 maggio scorso, per discutere dell’operazione e dei voti che avrebbero dovuto eleggere il Procuratore generale di Firenze Marcello Viola Procuratore di Roma e per metterlo al corrente di alcuni dettagli dell’inchiesta per corruzione nei suoi confronti a Perugia.

La seconda, figlia della prima: per due settimane, dal 16 giugno scorso, quando Repubblica e altri quotidiani avevano reso noto l’esistenza di quell’intercettazione, Fuzio ne ha dissimulato il contenuto, degradandolo a banali “discussioni sulla vita interna della corrente”. E quindi, proteggendosi dietro l’appello rivolto al Capo dello Stato al plenum il 21 giugno (“Si volti pagina”) e scommettendo sul silenzio complice del Consiglio (che il testo di quella intercettazione conosce da quindici giorni), ha confidato che il “segreto” tenuto artificialmente in vita sul suo contenuto avrebbe consentito di sollevarlo da una decisione non procrastinabile. Quella di dover rassegnare le proprie dimissioni, come le più elementari ragioni di responsabilità e decoro istituzionale avrebbero dovuto e dovrebbero a maggior ragione oggi suggerirgli di fare. L’intercettazione del 21 maggio, dunque.

L’amico “Riccardo”

Mancano due minuti alle 22. E Fuzio, che per Palamara è semplicemente “Riccardo” e che Palamara cerca ossessivamente dal 15 maggio, da quando sa di essere indagato a Perugia per corruzione, discute di ciò di cui non dovrebbe. Vale a dire di quello che il Paese in quel momento ancora ignora. Di un’inchiesta a carico del magistrato che ha di fronte (Palamara), di cui è stata data comunicazione al suo ufficio e che dunque lui, Pg di Cassazione, potrebbe trovarsi a dover perseguire disciplinarmente (cosa che farà solo il 14 giugno a scandalo ormai deflagrato). Non solo. Gliene svela i dettagli, rassicurandolo sui buoni uffici spesi con il vicepresidente del Csm David Ermini affinché quell’indagine non sia un problema nella corsa che Palamara ha lanciato per ottenere dal Csm la nomina a procuratore aggiunto di Roma. Di più: Fuzio discute con Palamara dell’alchimia correntizia che deve assicurare la nomina di Viola, di quale potrebbe essere il suo voto e quello dello stesso Ermini e di quanto ha saputo delle raccomandazioni del Quirinale. Fa anche domande sul dossieraggio che deve deturpare l’immagine del procuratore uscente Giuseppe Pignatone (“il fratello pigliava i soldi da Amara?” ) e sull’esposto del magistrato (Stefano Fava) che deve saldare i conti con lo stesso Pignatone e il suo procuratore aggiunto Paolo Ielo.

“Ho rassicurato Ermini”

L’intercettazione che il Trojan, lo spyware nello smartphone di Palamara, registra è disturbata da rumori di fondo. Spesso monca. Fuzio confessa a Palamara che non ha capito bene come debba regolarsi sulla nomina del nuovo Procuratore di Roma: “Mi avete detto prima di farlo presto… poi si sono spaventati di questo fatto che può venire fuori uno sputtanamento su di te e nessuno mi ha detto di questa storia di Fava”. Quindi, lo stesso Fuzio sembra voler rassicurare Palamara riferendogli quanto lui stesso avrebbe riferito al vicepresidente del Csm Ermini proprio a proposito dell’inchiesta di Perugia: “Io a lui l’ho rassicurato, perché gli ho detto che quando questa cosa è venuta fuori, a settembre, tu me l’hai detta”. Il Pg aderisce all’idea che si tratti di un’iniziativa a orologeria e riferisce a Palamara quanto avrebbe detto in proposito ad Ermini: “È chiaro che l’informativa è partita e poi è stata bloccata (…) E tu mi devi dire, come mai dopo un anno non esce nulla? Non solo. Come pensate di gestire questa tempistica voi che ritenente che sia contro Luca?”. Fuzio non si contiene. Perché a Palamara spiega che anche sul conto di Fabrizio Centofanti, il lobbysta che gli ha pagato alberghi, viaggi e regali, ha fatto sapere che non ci si debba preoccupare: “Te sto a dì che era uno conosciuto da un sacco di gente. Frequentava i palazzi. Non bisogna confondere”. Confida poi le indicazioni che sono arrivate dal Quirinale sulla procedura da tenere per la nomina del Procuratore di Roma: “Qualche indicazione da Mattarella. Ma perché non fate le audizioni? Perché dovete dare l’impressione del pacchetto? Perché cominciare dall’ultimo (dei procuratori scaduti, ndr)?”

I due passano dunque a fare i conti del “teatro” – lo chiama così Fuzio – che, in plenum, deve eleggere Viola. E concordano su come annichilire la mossa con cui Giuseppe Cascini, della corrente Area, vuole provare a far saltare il tavolo. Se – concordano – Area, una volta compresa che il candidato Lo Voi non avrà i voti, appoggerà la candidatura di Giuseppe Creazzo, non bisognerà far altro che lui, Fuzio, ed Ermini si astengano per far mancare a Creazzo la maggioranza.

“I viaggi di Adele”

È tuttavia poco prima di congedarsi, che Fuzio dimentica anche solo l’opportunità del “dover essere” di un giudice. Palamara lo sollecita sull’informativa della Guardia di Finanza a Perugia che riguarda gli omaggi ricevuti da Centofanti. “L’unico modo per controbattere l’informativa è poter darle l’archiviazione, se no che cazzo faccio giusto? Però rimane l’informativa che mi smerda… non l’ho mai letta… qual è l’importo di cui si parla? Si può sapere?”. Fuzio non si fa remore: “Si…ci stanno le cose con Adele… (l’amica Adele Attisani, ndr)… e il viaggio a Dubai…” . Palamara insiste: “Viaggio a Dubai…Quant’è? Ma quanto cazzo è se io… allora… e di Adele…cioè in teoria…va bè me lo carico pure io… quanto… quant’è, a quanto ammonta?” . Fuzio lo tranquillizza: “Eh…sarà duemila euro”.

Rif: https://www.repubblica.it/cronaca/2019/07/01/news/csm_le_soffiate_a_palamara_del_procuratore_di_cassazione-230103760/

Csm, l’intercettazione tra Palamara e il pg della Cassazione Fuzio

Csm, l'intercettazione tra Palamara e il pg della Cassazione Fuzio

Agli atti dell’inchiesta le conversazioni sull’inchiesta di Perugia e le nomine per Roma

ffrontano due problemi, il pm romano indagato per corruzione Luca Palamara e il procuratore generale della cassazione Riccardo Fuzio, nel lungo dialogo avvenuto la sera del 21 maggio scorso e intercettato dagli investigatori della Guardia di finanza. Da un lato l’inchiesta su Palamara, di cui il pg è venuto a sapere per il suo doppio ruolo di titolare dell’azione disciplinare e membro di diritto del Csm; dall’altro la nomina del prossimo procuratore di Roma. 

«L’unico modo per controbattere l’informativa — dice Palamara riferendosi alle accuse di corruzione — è poter darle l’archiviazione, se no che cazzo faccio, giusto? Però rimane l’informativa che mi smerda… Nessuno gli dice questa cosa qui, questo è gravissimo… Qualcuno glielo deve dire, cioè o gli dici chiaro, sennò veramente io perdo la faccia… Mi paga il viaggio (l’imprenditore Fabrizio Centofanti, presunto corruttore, ndr) , l’informativa non l’ho mai letta, non si sa di che importo si parla…qual è l’importo di cui si parla? Si può sapere?». 
Risponde Fuzio: «Ci stanno le cose con Adele… (l’amica di Palamara destinataria di regali, soggiorni e viaggi, secondo l’accusa, ndr)… e il viaggio a Dubai…». 
Palamara: «Viaggio a Dubai…Quant’è? Ma quanto cazzo è se io…allora…e di Adele…cioè in teoria…va bè me lo carico pure io…quanto… quant’è, a quanto ammonta?».
Fuzio: «Eh…sarà duemila euro». 

Poi i due si dilungano sulla battaglia interna al Csm per la nomina del nuovo procuratore di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone, per cui erano in corsa il procuratore generale di Firenze Marcello Viola e i procuratori di Palermo, Franco Lo Voi, e di Firenze, Giuseppe Creazzo. 
Palamara: «Ermini (vice-presidente Csm, ndr) che fa, si astiene?».
Fuzio: «Ermini si dovrebbe astenere…».
Palamara: «Almeno quello, visto che mo’ è scandalizzato da me… Allora se tu ti astieni non può mai vincere Creazzo».
Fuzio: «Siamo a nove più Cerabona (laico del Csm, ndr) dieci, giusto».
Si va avanti con i conteggi, prevedendo uno scontro tra Viola e Creazzo che dovrebbe risolversi all’ultimo voto, 13 contro 12 o viceversa. 
Palamara: «Ma la Grillo (consigliera di Unicost, la corrente dei due interlocutori, ndr) sta facendo veramente la pazzia per Creazzo? In maniera… allora sarebbe meschina…». 
Fuzio: «Lasciamo perdere… allora il problema è lavorare sui numeri, questo è il problema».

Rif: https://www.corriere.it/cronache/19_luglio_01/csm-l-intercettazione-palamara-pg-cassazione-fuzio-5e8b2fb4-9c37-11e9-90e0-91eb5f4a6d20.shtml

Caso Palamara-Csm: chi di intercettazioni ferisce…

8 anni fa Palamara si schierò contro una nuova normativa sulle intercettazioni. Chissà cosa pensa oggi…

Chissà se nei giorni scorsi Luca Palamara, il pm nella bufera per i tentativi di condizionamento dei vertici delle Procure di Roma e Perugia, ha ripensato all’estate di otto anni fa. Si era nel pieno dello scandalo delle cosiddette cene eleganti, ovvero negli ultimi mesi di governo Berlusconi. E, proprio sull’onda dell’inchiesta che aveva svelato una serie di fatti privati di poca rilevanza penale, Angelino Alfano, all’epoca ministro della Giustizia, ritirò fuori il progetto di una legge che vietasse la pubblicazione delle intercettazioni, punendo gli editori e i giornalisti che avessero pubblicato stralci degli atti giudiziari prima che si celebrasse un regolare processo. Ovviamente gran parte della stampa, che dalle indiscrezioni carpite in tribunale trae molte delle notizie con cui riempie i giornali, insorse. Repubblica lanciò una campagna contro il provvedimento del governo, chiedendo ai propri lettori di inviare i loro selfie con un post-it appiccicato in fronte o sulla bocca, a simboleggiare il bavaglio. La Fnsi, ossia il sindacato dei giornalisti, organizzò addirittura una manifestazione pubblica di protesta. 

Era il periodo in cui andava di moda lo slogan «Intercettateci tutti», una sintesi per dire che chi non avesse commesso reati non aveva nulla da temere dalle intercettazioni. Ovviamente Luca Palamara, allora rampante quarantenne pronto per la scalata al potere delle toghe, non si tirò indietro. Da presidente dell’Associazione magistrati, il giovane pm si schierò al fianco dell’iniziativa, esprimendo solidarietà nei confronti dei giornalisti colpiti dalla censura. Lo fece con un lungo comunicato, per sostenere il diritto all’informazione sui processi anche quando l’informazione non risultasse essenziale ai fini di giustizia, ma solo a quelli di spettacolo. All’epoca, il presidente dell’Anm fu protagonista anche di un botta e risposta con Fabrizio Cicchitto, capogruppo di Forza Italia. All’ex socialista diventato forzista che accusava i pm di fare un «uso del tutto indebito delle intercettazioni, dandole in pasto ai media per scopi politici e facendo strame di ogni diritto alla privacy» (dopo il caso del deputato ed ex pm Alfonso Papa, poi arrestato, si discuteva delle intercettazioni riguardanti un altro onorevole del Pdl, Marco Milanese), Palamara replicò tagliando corto: «Le intercettazioni sono uno strumento investigativo indispensabile per scoprire chi commette reati, per garantire e assicurare alla giustizia i criminali ed evitare che ci sia impunità nel nostro Paese».

Il decreto Alfano, grazie alla forte opposizione di cronisti e pubblici ministeri, non passò e il «bavaglio alla stampa», come venne ribattezzato dai giornali di sinistra, non ci fu. Nemmeno venne imposta una limitazione al potere della magistratura di disporre intercettazioni a carico di persone sospettate di commettere reati. Anzi. Con l’arrivo dei Cinque stelle al governo, otto anni dopo, l’uso delle microspie e dei sistemi di captazione fu esteso, consentendone l’impiego contro chiunque fosse indiziato di corruzione o di reati equiparabili. Certo, quando era il numero uno dei sindacati e difendeva a spada tratta l’uso e l’abuso delle intercettazioni, Palamara non immaginava che un giorno quegli stessi strumenti investigativi avrebbero potuto essere usati anche contro di lui. Per il giovane turco che dava l’assalto alla politica dall’alto della sua poltrona di capo dell’Anm, le critiche rivolte alla magistratura sul tema delle intercettazioni erano «solo volgari strumentalizzazioni». 

A quei tempi, le toghe come Palamara denunciavano i «gravissimi rischi per la sicurezza dei cittadini e la libertà di informazione». «Questa riforma»spiegava sempre il leader dei giudici nei talk show e nelle numerose interviste rilasciate, «limita drasticamente la possibilità per le forze dell’ordine e per la magistratura di individuare gli autori di reati di particolare allarme sociale e pregiudica in modo inaccettabile il diritto dei cittadini di essere informati su fatti di interesse pubblico». 

Non so se adesso, dopo che le sue chiacchiere notturne sono state spiattellate su tutti i giornali d’Italia grazie a un virus che ha trasformato il suo telefono in una microspia, Palamara la pensi ancora come otto anni fa. Non so neppure se continui a ritenere che le intercettazioni debbano essere disposte sempre e comunque e non solo per i reati gravi come terrorismo, mafia e criminalità organizzata. So però una cosa e cioè che ogni tanto la legge del contrappasso funziona meglio della legge che si applica nei tribunali. E forse, di questo, chiunque faccia il giudice dovrebbe tenerne conto. 

Caso Palamara-Csm: toghe sporche Decine di magistrati sono sotto inchiesta per corruzione, con effetti devastanti sulla giustizia italiana

«Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra» avvertiva il giurista Piero Calamandrei. Qualche decennio dopo, è la corruzione ad aver sfondato quell’uscio. Le trame romane, esacerbate dall’ultima sfornata di intercettazioni, sono lo sgradevole rumore di fondo. Il vero frastuono è un altro: le inchieste che stanno travolgendo giudici e inquisitori. Un florilegio investigativo mai visto prima. Abusi, falsi, favori e mercimoni. Che stanno sconquassando tribunali e procure di mezza Italia. E rischiano di ferire a morte la nostra magistratura. 

La bomba è detonata nella capitale. La procura di Perugia indaga per corruzione sul pm romano Luca Palamara, riverito simbolo delle toghe nostrane: ex membro del Csm, già presidente dell’Associazione nazionale magistrati, leader di Unicost. Avrebbe beneficiato di «varie e reiterate utilità, consistenti in viaggi e vacanze» per lui, amici e conoscenti. E poi, dettaglia ancora l’avviso di garanzia, un «anello non meglio individuato del valore di 2 mila euro in favore dell’amica Adele Attisani». Regalie. Per agevolare nomine e danneggiare magistrati ostili. Il burattinaio sarebbe l’avvocato siracusano Pietro Amara. Uno abituato a intrecciare, oliare e mistificare. Nel gorgo ha trascinato una decina di toghe. Le sue supposte gesta corruttive hanno figliato deflagranti fascicoli. Nella rete investigativa finisce anche Palamara. E poi, a strascico, un altro blasonato pm romano: Stefano Rocco Fava. È indagato per concorso in rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. Avrebbe aiutato Palamara «a eludere le investigazioni a suo carico». Così come a screditare l’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, e il suo fido aggiunto, Paolo Ielo. Anche Luigi Spina, consigliere dimissionario del Csm, viene coinvolto: per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. 

Le intercettazioni svelano pure il rimestio di toghe. Chi va a guidare la procura di Roma? Meglio un sodale che un Robespierre. Giusto. Magari mette anche una pietra sopra l’indagine che fastidia gli amici. Come quella sugli appalti Consip, che coinvolge Luca Lotti: ex ministro turborenziano allo Sport, più interessato alle liane giudiziarie che alle funi delle palestre. Così, una telefonata via l’altra, Lotti s’è autosospeso dal partito. Pochi giorni dopo, il 20 giugno 2019, viene però ascoltato a Messina: nell’ennesimo procedimento nato dalle prodezze di Amara. L’ex ministro è difatti testimone nel processo contro l’ex giudice amministrativo, Giuseppe Mineo, imputato per corruzione in atti giudiziari assieme a Denis Verdini, a sua volta accusato di finanziamento illecito ai partiti. Ossia: aver ricevuto 300 mila euro dall’avvocato siciliano per il suo defunto gruppo politico Ala. È stato ancora il disinvolto legale a tirare in ballo Lotti, che ammette di aver ricevuto una mail da Verdini per spingere la nomina di Mineo, mai avvenuta, al Consiglio di Stato. Il giudice, proprio mentre il suo nome viene caldeggiato, avrebbe ricevuto 115 mila euro: per sovvertire due sentenze, care ad Amara e al collega Giuseppe Calafiore. 

Attorno ai due legali si sviluppano altri robusti tronconi investigativi. Come l’inchiesta sulle sentenze pilotate, ancora al Consiglio di Stato. Una settimana fa è cominciato il processo per tre magistrati: il già presidente del Consiglio di giustizia amministrativo siciliano, Raffaele Maria De Lipsis; l’ex giudice della Corte dei conti, Luigi Pietro Maria Caruso; un altro togato, ora sospeso, Nicola Russo. Sono accusati di corruzione in atti giudiziari. Per la Procura di Roma i tre sarebbero stati il fulcro di un rodato meccanismo truffaldino: sentenze benevole in cambio di mazzette. Il procuratore aggiunto Ielo, lo stesso avversato da Palamara e Fava, contesta cinque episodi. Una delle tangenti, da 30 mila euro, l’avrebbe consegnata un politico: il deputato regionale siciliano, Giuseppe Gennuso, eletto dopo un rocambolesco ricorso. La decisione sarebbe stata aggiustata da De Lipsis. I due, assieme a Caruso, il 18 giugno 2019 chiedono di patteggiare. 

L’ex giudice Russo, invece, è accusato di aver alterato gli appaltoni pubblici Consip. Sentenze per cui sono indagati anche due presidenti di sezione del Consiglio di Stato. Uno è Sergio Santoro. L’altro, ora in pensione, è Riccardo Virgilio: gli contestano 751 mila euro su conto svizzero. Denaro, ipotizzano gli inquirenti, da ripulire. E dunque girato a una società maltese dei tentacolari Amara e Calafiore. 

La giustizia, invece, comincia a fare il suo corso in un ulteriore filone marchiato Amara: il cosiddetto «sistema Siracusa». Che ha già portato alla condanna di un pm del capoluogo siciliano: Giancarlo Longo. Amara, legale anche dell’Eni, gli avrebbe dato sottobanco 88 mila euro. E si sarebbe prodigato per pagare lussuose vacanze a Dubai. In cambio il magistrato, dettaglia la sentenza di primo grado, aveva aperto un’inchiesta dall’ardita ipotesi investigativa: un complotto ai danni di Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni. Già, ma perché? Per depistare, rimestare, confondere. Sperando infine di fiaccare le indagini della Procura di Milano sulla corruzione in Congo e Nigeria del colosso petrolifero italiano. Longo, lo scorso dicembre, patteggia cinque anni. E lascia la toga. Due settimane fa stessa sorte è toccata a un suo vecchio collega, rimosso dal Csm: Maurizio Musco, già pm di Siracusa, poi a Sassari. Sprofondato in un’inchiesta cui gli contestano, tra le altre cose, d’aver violato «consapevolmente e reiteratamente» l’obbligo di astenersi da un procedimento su familiari e clienti di un intimo amico. Ovvero: l’immancabile Amara. In attesa di giudizio, Musco però è già stato condannato a 18 mesi, in via definitiva, per abuso d’ufficio. Stessa sorte per il suo vecchio capo, l’ex procuratore di Siracusa, Ugo Rossi. 

Un anno fa, invece, viene radiata dalla magistratura l’ormai mitologica Silvana Saguto: ex potentissima e ossequiatissima presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Finisce sotto inchiesta nel 2015, per associazione a delinquere. È accusata di aver creato un prolifico cerchio magico attorno alla gestione dei beni confiscati alla mafia: figli, mariti, amici e colleghi. Tutti beneficiati, è l’ipotesi della Procura di Caltanissetta, da rigide regole spartitorie nell’assegnazione di amministrazioni giudiziarie e incarichi vari. Il processo all’ex presidente è in corso, tra appassionanti colpi di scena. Intanto lo scorso febbraio, in uno stralcio del fascicolo, è condannato a due anni e quattro mesi il giudice Fabio Licata. Per falso materiale. Più prosaicamente: avrebbe firmato tre provvedimenti illeciti di Saguto. Nella gloriosa compagine della sezione fallimentare palermitana sono però indagati altri due togati: Raffaella Vacca e Giuseppe Sidoti. 

E qui si spalanca un nuovo precipizio. Che nel capoluogo siciliano, ancora una volta, rischia di trascinare giù influentissimi magistrati. È l’inchiesta sul Palermo calcio. Sidoti è accusato di concorso in corruzione, abuso d’ufficio e rivelazione di notizie riservate. In parole povere: avrebbe contribuito a salvare la malmessa compagine dal fallimento. Con una sentenza pilotata ad arte. In cambio di un posto per un’amica nell’organismo di vigilanza della società. Lo scorso novembre, Sidoti viene sospeso per un anno. Ma le traversie dei rosanero, due settimane fa, coinvolgono pure il capo dei gip del tribunale, Cesare Vincenti. Per un altro supposto caso di familismo amorale. È indagato per rivelazione di notizie riservate e corruzione assieme al figlio Andrea, avvocato e presidente del comitato etico della squadra di calcio. Incarico che avrebbe ottenuto in cambio degli spifferi paterni sull’ex patron del Palermo, Maurizio Zamparini, oggetto di una richiesta d’arresto per falso in bilancio e riciclaggio. Informazione, ipotizzano i pm di Caltanissetta, poi girata all’interessato. Che, un anno fa, si dimette provvidenzialmente dalle cariche societarie. Gesto che, sostiene un gip dell’ufficio di Vincenti, fa venir meno le esigenze cautelari. 

Il 12 giugno 2019, negli stessi giorni in cui scoppia quest’ultimo bubbone, a Palermo esplode un’altra granata giudiziaria. Anche stavolta, le verifiche riguardano un magistrato di riconosciuto prestigio: Anna Maria Palma, avvocato generale nel capoluogo. Viene indagata per concorso in calunnia, aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. Così come Carmelo Petralia, procuratore aggiunto a Catania. I fatti sono di un decennio fa. Quando i due, allora pm a Caltanissetta, si occupano della strage di via D’Amelio: quella in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. I magistrati sono accusati di aver imbeccato un falso pentito: Vincenzo Scarantino. Suggerendo di attribuire l’attentato a incolpevoli estranei. Depistaggio definito «clamoroso» nella sentenza di primo grado del processo Borsellino quater, costato l’ergastolo a sette innocenti. E che adesso coinvolge i due ex pm nisseni. 

Per favoreggiamento alla mafia indaga anche la Procura di Salerno. Ma l’inchiesta riguarderebbe pure presunte corruzioni, rivelazioni di segreto d’ufficio e abusi vari. Sarebbero coinvolti almeno 15 magistrati calabresi, tra cui procuratori e aggiunti. Le accuse nascono da una faida interna. La denuncia sarebbe partita da un esposto di Nicola Gratteri, capo della Procura di Reggio Calabria. E adesso i colleghi salernitani, competenti sul distretto calabrese, starebbero verificando le supposte violazioni. Un procedimento su cui, per ora, regna tombale riserbo. 

Anche in Puglia, continuano le indagini sulle «Toghe sporche» alla Procura di Trani. Il 7 giugno 2019 il gip del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo, dispone altri tre mesi di custodia cautelare per l’ex pm Antonio Savasta e il gip Michele Nardi, già arrestati lo scorso gennaio. L’accusa ai due è gigantesca: associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e falso. Reati che sarebbero stati commessi tra il 2014 e il 2018, mentre erano in servizio nell’ufficio giudiziario pugliese. Solita, drammatica, solfa: mazzette, in cambio di sentenze pilotate. Savasta sta collaborando. S’è dimesso dalla magistratura. E ha ammesso di aver chiesto 300 mila euro a un imprenditore barese per archiviare un’indagine farlocca: avviata solo per ottenere denaro dal malcapitato. «Era stato letteralmente spolpato» racconta al gip. Sarebbe andata ancora peggio a un altro imprenditore: Flavio D’Introno. Riferisce di aver pagato 2 milioni di euro per evitare di scontare una condanna per usura. Diventato il principale accusatore a Trani, l’uomo continua a vuotare il sacco. E adesso c’è un terzo ex pm pugliese coinvolto: Luigi Scimè, ora in servizio alla Corte d’appello di Salerno. I colleghi di Lecce gli contestano tre mazzette: 75 mila euro in totale. Soldi che sarebbero servizi per aggiustare procedimenti penali a favore dell’imprenditore. 

Decisioni pilotate, assoluzioni prezzolate, persecuzioni su commissione. Per la giustizia penale è una Caporetto. Ma anche i tribunali fallimentari vacillano sotto i colpi di scandali e inchieste. Il 1° aprile 2019 è finito agli arresti domiciliari Enrico Caria, ex giudice a Napoli, adesso a Bologna. È al centro di un’inchiesta di Fava, uno dei pm indagati a Perugia. Caria è accusato di aver veicolato nomine e consulenze in cambio di favori. Come gli incarichi che avrebbe affidato alla compagna. Un altro giudice con gloriosi trascorsi nella fallimentare è indagato dalla procura di Ancona: Giuseppe Bersani, già a Piacenza. Il copione, stavolta, sarebbe differente: affidamenti ad amici avvocati in cambio di mazzette. Ma Bersani è sotto inchiesta anche a Venezia per corruzione in atti giudiziari assieme all’amico Tito Ettore Preioni, presidente della sezione civile a Lodi. Una storia assonante con le beghe romane. Avrebbero brigato per far ottenere a uno, Preioni, l’ambita poltrona di presidente del Tribunale di Cremona. Dov’era in servizio l’altro: cioè Bersani. Viene scoperto persino un incontro a Roma con un membro laico del Csm, grazie ai buoni uffici di un avvocato. Che avrebbe pure pagato il viaggio nella capitale dei due magistrati. In cambio, ipotizzano gli inquirenti, dei soliti incarichi. 

Così torniamo all’inizio, come nel gioco dell’oca. Al mercato delle toghe. Alla giustizia lottizzata e carrierista. Ma che ora s’è intersecata con corruzioni e favori. Una pletora di mercimoni e scorrettezze. Troppi per derubricare o autoassolversi. L’incendio è divampato. E le fiamme, stavolta, non smettono di avanzare.

Rif: https://www.panorama.it/news/cronaca/caso-palamara-csm-toghe-sporche/

Csm, ecco le intercettazioni che inguaiano il procuratore generale Riccardo Fuzio

Csm, ecco le intercettazioni che inguaiano il procuratore generale Riccardo Fuzio

iccardo Fuzio è uno dei più importanti magistrati italiani. Procuratore generale della Cassazione, e dunque membro di diritto del Consiglio superiore della magistratura, è intervenuto duramente nello scandalo che ha travolto l’organismo di autogoverno delle nostre toghe.
È Fuzio, capo della sezione disciplinare, che qualche giorno fa ha infatti chiesto la sospensione facoltativa dalle funzioni (e dallo stipendio) di Luca Palamara, il pm di Roma indagato dalla procura di Perugia per corruzione e protagonista dei dopocena carbonari con alcuni giudici del Csm e politici del Pd (Luca Lotti e Cosimo Ferri). Incontri organizzati per discutere (e orientare) sia le nomine dei capi delle procure italiane (in primis quella di Roma) sia dei dossieraggi contro i magistrati che avevano causato guai giudiziari a Palamara.

È ancora Fuzio, nell’atto di incolpazione a carico di cinque togati del Csm, che ha attaccato il renziano Lotti, imputato nella Capitale per il caso Consip, affermando che «si è determinato l’oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell’ufficio di procura deputato a sostenere l’accusa nei suoi confronti».

Lo tsunami che si è abbattuto sulla giustizia italiana, però, è pieno di paradossi. E così adesso lo stesso accusatore rischia di finire trascinato nello scandalo.

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I giornali due settimane fa avevano già dato conto di un incontro tra lo stesso Fuzio e Palamara, avvenuto il 27 maggio, e di un’intercettazione tra Palamara e Luigi Spina, ex membro del Csm in cui il secondo spiegava al primo che Riccardo Fuzio, in un sms mandato dall’estero, gli aveva detto di riferire a Luca «di non fare niente…quando torno lo chiamo».

Fuzio non s’è scomposto, ed è rimasto al suo posto. Ora però l’Espresso ha letto le trascrizioni integrali di un altro rendez vous tra Fuzio e Palamara. In cui il procuratore generale della Cassazione sembra svelare all’amico pm notizie riservate sull’inchiesta di Perugia che lo riguarda, e discutere dell’esposto di Stefano Fava (pm amico di Palamara e adesso indagato per favoreggiamento) contro i colleghi Paolo Ielo e Giuseppe Pignatone. Non solo.

Fuzio e Palamara ragionano anche del risiko delle nomine dei procuratori capo della Capitale e di Perugia. Come membro del Csm, il procuratore generale della Cassazione nei giochi di Palamara conta molto: il suo voto (o la sua astensione, come ipotizza di fare all’amico il magistrato indagato) nel plenum del Csm può essere decisivo.

Così i due discutono nei dettagli delle preferenze che i candidati più forti (Viola, Creazzo e Lo Voi) potrebbero prendere nel plenum. E di quali strategie migliori usare per accordare le varie correnti. «Il problema sintetizza Fuzio a Palamara – è lavorare sui numeri. Questo è il problema».

OSSESSIONE PIGNATONE
Andiamo con ordine, partendo dal principio. Sono le 22 del 21 maggio scorso. Il Gico della Guardia di Finanza ascolta, tramite il trojan inoculato nel cellulare di Palamare la conversazione  tra Palamara e “Riccardo”, che gli investigatori identificano con Fuzio. Quest’ultimo accenna con l’indagato dell’esposto di Fava appena arrivato al Csm contro Ielo e Pignatone, parla senza remore dei guai giudiziari del magistrato, e di presunti conflitti d’interesse del fratello di Pignatone con Piero Amara.

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«Non ho capito» comincia Riccardo «Mi avete detto prima di farlo presto, ora che facciamo presto…perché si sono spaventati di questo fatto che può venire fuori uno sputtanamento su di te…nessuno me l’ha detta questa storia di Fava, perché Fava è fermo…»

PALAMARA: «E cioè mi devi fare capire, ora fammi capire tutto…Perché io…se c’ho da preoccuparmi…ma tu l’hai letto? Le carte che dicono?»
RICCARDO: «Per questa cosa che ho detto…è una cosa che invece era nota a tutti perché non solo…ma era…a patto che la nota è indirizzata a quattro persone della procura e quindi tra questi sta Cascini (Giuseppe, membro del Csm ndr) e lui sa bene di questa cosa qua…però se ne tiravano fuori…“no, ma io non sapevo”…
PALAMARA: «Ma chi cazzo ohhh»
RICCARDO: «Però io a lui (presumibilmente Cascini, o altro membro del Csm ndr) l’ho rassicurato, gli ho detto guarda…e lui mi ha rassicurato…quando dicono, ma l’informativa…è chiaro che l’informativa è partita, poi bloccata… “non si può”…»
PALAMARA: «Su Pignatone gli ho detto pure: “Ma che sta a dì oh…ma che cazzo sta a dì?”…ma lui…ma che il fratello di Pignatone prende i soldi da lui (Amara, ndr) questo non lo sconvolge fammi capì? Si preoccupa solo di me lui…ma che cacchio di ragionamento è?»
RICCARDO: «Ma il fratello di Pignatone pigliava i soldi da Amara?»
PALAMARA: «Eh»
RICCARDO: «Cioè, ma lui gli atti…»
PALAMARA: «Eh ho capito ma bisogna spiegargli la situazione se no così che facciamo? Oggi è venuto Bianconi a dirmi che sono arrivate le carte da Perugia…chi glielo ha detto oh? E lui non può fa così…cioè, quando gli servono i voti…»

Fuzio ascolta attentamente l’amico indagato per corruzione. Dice di aver spiegato a qualche collega del Csm che la storia di Palamara è diversa da come la raccontano i pm perugini, «…“perché non conoscete la realtà…» ecita Fuzio «”Guarda i passaggi sono questi e quindi tu mi devi dire come un anno non esce nulla…la mossa della tempistica come pensate di gestire? Voi ritenete che questa tempistica sia contro Luca?” Evidentemente non sappiamo come vogliono gestire questa cosa…se vuole essere un condizionamento…poi non potevo dire chiaramente Viola non Viola…».

«NOTIZIE DA PERUGIA?»

Palamara è assai preoccupato dell’informativa dei pm di Perugia. Come è noto, al centro delle accuse di corruzione ci sono i suoi rapporti con Fabrizio Centofanti. Quest’ultimo avrebbe fatto favori di vario tipo a Palamara, che in cambio di viaggi e altre utilità avrebbe venduto all’imprenditore la sua funzione di magistrato.

PALAMARA: «Perché almeno l’unico modo per controbattere l’informativa è poter darle l”archiviazione, se no che cazzo faccio giusto? Però rimane l’informativa che mi smerda…nessuno gli dice questa cosa qui, questo è gravissimo…qualcuno glielo deve dire, cioè o gli dici chiaro, sennò veramente io perdo la faccia…mi paga il viaggio, l’informativa non l’ho mai letta, non si sa di che importo si parla…qual è l’importo di cui si parla? Si può sapere?
RICCARDO: «mahhh»
PALAMARA: «Cioè io non so nemmeno quanto è l’importo di cui parliamo»
RICCARDO: «Si…ci stanno le cose con Adele (cara amica di Palamara a cui, secondo le accuse, Centofanti compra un anello, e regala soggiorni ndr)
PALAMARA: «Cioè…almeno tu…ma le cose con Adele…»
RICCARDO: «E il viaggio a Dubai…»
PALAMARA: «Viaggio a Dubai…Quant’è? Ma quanto cazzo è se io…allora…»
PALAMARA: «E di Adele…cioè in teoria…va bè me lo carico pure io…quanto..quant’è, a quanto ammonta?»
RICCARDO: «Eh…sarà duemila euro».

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Le nuove rivelazioni choc dell’inchiesta. Il pm indagato per corruzione: «Ho parlato di Roma, di Lo Voi, di Creazzo: possono dire che sono quello che fa le nomine». Le mire dei congiurati: «Ridimensionare» la procura di Napoli e ricattare Pignatone. «È un matto vero, uno stronzo. Tu devi solo fargli capì che finisce male». Il pm Sirignano a Palamara: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti» 

Duemila euro. Esattamente la cifra contestata dai pm umbri per l’acquisto di un presunto anello da parte di Centofanti per Adele Attisani. I due poi parlano delle relazioni pericolose tra lo stesso Palamara, gli imprenditori Pietro Amara e Giuseppe Calafiore e il pm corrotto Giancarlo Longo (che ha detto a verbale come Palamara avrebbe avuto 40 mila euro da Amara e Calafiore per favorire la sua nomina a procuratore di Gela).

PALAMARA: «Io che cazzo ne so Riccà…ma io non ho assolutamente…che c’entro io…»
RICCARDO: «..era Longo o…»
PALAMARA: «A sì certo…e ma io…l’abbiamo condannato…cioè, ma io non ho…»
RICCARDO: «E Longo l’avete condannato?»
PALAMARA: «Certo…non ha mai fatto…certo gli ho detto, che faccio? Le faccio. Non le ho mai fatte perché la mia linea è stata quella di fare il processo a Scavoli, di fare il processo alla Righini, li ho fatti tutti…quindi non mi sono mai accanito…cioè non è che sono andato…cioè tu dici che non dovevo proprio vedè le carte lì…
RICCARDO: «No no no»
PALAMARA: «Eh..ero consigliere…»
RICCARDO: «Da quelle carte…che Longo le spulciava…»
PALAMARA: «Il collegamento Centofanti-Longo, sì, ma io…cioè…era un rapporto…io dovevo giudicare Longo non…(incomprensibile, ndr) se avessi favorito Longo!»
RICCARDO: «Sì, ti arrestavano»
PALAMARA: «Allora mi arrestavano».

AL SUK DELLE NOMINE
Il procuratore generale della Cassazione e Palamara parlano poi delle nomine. Leggendo le trascrizioni, sembra di essere a un suk, un mercato delle vacche. Con Fuzio che dà più di un consiglio, e con la coppia che si mette a fare i conti sulle possibili decisioni del plenum del Csm in merito alle votazioni finali. Ipotizzando scenari diversi e alleanze tra Unicost, la corrente di centro di cui Palamara è re indiscusso, Magistratura indipendente, quella più spostata a destra, e Area, la corrente di sinistra.

RICCARDO: «…Cascini a un certo punto…non vuole…non vuole Lo Voi»
PALAMARA: «Ma è chiaro…sa che ci sto io sopra…»
RICCARDO: «Perché neanche loro…allora dice…a questo punto sono iniziati di teatri, ma alla catanese…io gli ho spiegato…dico guarda…il problema è questo, che loro mettono subito…calano le braghe su Creazzo…però, se tiene, è chiaro che…si può anche non sfidare…»
PALAMARA: «Unicost…Area o Uni…cioè tu dici…»
RICCARDO: «no: Unicost – MI»
PALAMARA: «E come fai? Se non…»
RICCARDO: «Portano…portano Creazzo, dopo vogliono Viola»
PALAMARA: «E Area?»
RICCARDO: «A quel punto Area si toglie…può anche votare…ti dirò di più…»
PALAMARA: «Lo Voi?»
RICCARDO: «No…può votare Creazzo, ma a questo punto se loro sono d’accordo con i movimenti (intende verosimilmente la corrente Movimento per la Giustizia, ndr)…questa cosa, cioè il ritardo può anche…questo, che anche se votano Creazzo pure quattro noi, cinque e quattro nove…MI, Area e…e i tre grillini votano Viola, si va in plenum e a quel punto non esce…
PALAMARA: «Appunto»
RICCARDO: «Oppure devono entrare…devono rimanere in tre per fare il ballottaggio»
PALAMARA: «Ma noi dobbiamo…c’abbiamo il consenso, è l’unica cosa, come al solito a quel punto, per salvare il gruppo, cade su di te…ma pure, puoi tenere su Creazzo? In plenum? Come fai? Ce la potresti fare, diglielo a Crini, ma succede un macello se perde con l’astensione tua e vince Viola, è peggio ancora…perché se io dico, non hai capito..se io dico…noi facciamo Viola a Roma tramite l’astensione di Riccardo…va bene, è il gioco delle parti, loro lo sanno e stiamo a posto e tu, io…potresti fare»
RICCARDO: «Cinque e quattro nove»
PALAMARA: «Vanno 5 di Unicost…quattro i Ara…e sono nove, Cerabona dieci…bisogna vedè che cosa fa Ermini…Si astiene giusto?
RICCARDO: «Ermini si dovrebbe astenere»
PALAMARA: «Ermini si dovrebbe astenere, almeno quello…visto che mo’ è scandalizzato da me, dalla cosa e tutto quanto che fa? Allora se tu ti astieni non può mai vincere Creazzo…»

Palamara e Fuzio continuano a fare calcoli. Il procuratore generale della Cassazione dice che «Giglioti è quello che mi ha fatto tradire la Grillo», e che «il problema è lavorare sui numeri, questo è il problema». Palamara è ottimista, e chiude dicendo che «da stasera, cambia tutto».

Rif: http://espresso.repubblica.it/inchieste/2019/07/01/news/csm-intercettazioni-procuratore-generale-riccardo-fuzio-1.336472