La prova che il sistema Palamara non è un caso isolato ma parte di una corruzione storica

La prova che il ”sistema Palamara ” non sia un caso isolato ma parte di quella corruzione che vede coinvolti i più alti ranghi della magistratura si chiama Nadia Gentilini: ”un sistema marcio che noi vittime di mafia conosciamo da anni: insabbiamenti di cause, depistaggi , anomale archiviazioni,dilatazione dei tempi per portare le pratiche alla prescrizione. Il 6 maggio scorso, ossia prima dello scandalo Palamara, ho depositato presso il Quirinale, il CSM, la DNA, e il Ministero di Giustizia una denuncia nella quale ho denunciato, documentando, la pesante collusione in essere tra alcuni magistrati del Tribunale di Genova e del Tribunale di Biella con un contesto massonico mafiosodel quale sono vittima e dal quale continuo a ricevere pesanti intimidazioni. Ad oggi, sebbene le prove prodotte non lasciano spazio a dubbi, nessuno ha accolto il mio appello ad essere ascoltata assieme al mio legale avv. Gian Mario Balduin”.

No, non tutti i magistrati sono corrotti ma lo sono tutti quelli al potere. Fingiamo di non ricordare il 1992 quando Falcone e Borsellino vengono sbattuti sul banco degli impuntati da una corrente della magistratura chiamata a difendere i clienti finiti nello scandalo di mani pulite.

Federcontribuenti: ”non siamo forse qui a parlare ancora dei depistaggi sulla strage di via d’Amelio? Non siamo forse qui a parlare del potere dell‘ndrangheta in tutto il nord del Paese e oltre confine? Non siamo qui a leggere degli scandali giudiziari nelle aste pubbliche? Non siamo qui a gridare alla commissione Antimafia che a Genova la mafia ha vinto e continua a fare affari al porto con armi, droga e rifiuti? Dal 1992 sappiamo che la Giustizia è diventato un affare politico, opportunistico, per fare carriera velocemente senza correre rischi. L’attuale scandalo che coinvolge tutto il CSM appartiene allo stesso filone conosciuto nel 1992 ma mai concluso.

Nadia Gentilini: da 10 anni la Procura di Genova sta coprendo l’ndrangheta. Federcontribuenti: ”Abbiamo visionato, assieme agli avvocati, tutti gli atti, i documenti, le denunce e non c’è ministro o deputato della commissione antimafia che non li abbia letti e – a detta di molti – nella Procura di Genova servirebbe una indagine interna a spiegare le archiviazioni, i silenzi le indagini mai fatte partire”.

La mafia ha sempre avuto una montagna di soldi liquidi; soldi che hanno fatto impazzire la nuova imprenditoria nata a cavallo tra la morte della vecchia borghesia possidente, dei cavalieri del lavoro e infine delle tute blu. Uomini con l’idea di fare imprenditoria e che hanno trovato nelle mafie i giusti investitori: tanti soldi e nessun problema con i permessi, con la giustizia, con la concorrenza. Qui lo Stato si lega alle mafie, qui nasce la nuova classe politica fondata sul portafoglio e tutti, ma proprio tutti vogliono approfittarne, anche chi vuole fare carriera nella magistratura. Mentre la mafia allungava gli artigli fin dentro i corridoi lustri delle istituzioni, gli uomini politici, i colletti bianchi, le toghe si macchiavano del sangue di chi veniva ucciso; di chi si vedeva portar via il lavoro, le case, la dignità.

Tornare indietro senza ammettere tutto questo è impossibile. Non si può azzerare, ci si deve fare i conti con il passato se vogliamo riprenderci il futuro, se vogliamo urlare onestà dai palchi montati in mezzo al popolo uscito di senno, isterico, scordarello.

Sistema Italia: ”il 42,4% dichiara che nel settore in cui opera succede sempre o spesso di essere obbligati a pagare per ottenere licenze e concessioni o contratti con la P.A. o permessi per l’import e l’export, o per agevolare pratiche fiscali o velocizzare procedure giudiziarie. Il sistema delle raccomandazioni è così ampio, in Italia e non solo, da essere spesso considerato una pratica quasi normale. In ambito lavorativo, nel nostro Paese il canale di intermediazione più utilizzato e anche il più efficace per la ricerca di lavoro è quello informale in ambito familiare e amicale: lo ha utilizzato circa il 60% degli attuali occupati e per oltre il 33% ha rappresentato anche il canale d’ingresso nell’attuale lavoro. Si stima che quasi 12 milioni di italiani conosce personalmente qualcuno che è stato raccomandato: per ottenere un posto di lavoro, una licenza, un permesso o una concessione, per farsi cancellare multe o sanzioni o per essere favorito in cause giudiziarie”.

Falcone e Borsellino mettono a segno Mani Pulite e non Di Pietro. Sono i giudici a legare a doppio filo le bombe e i denari ai politici locali e nazionali per questo quella maledetta corrente della magistratura si impegnò ad attaccare ferocemente, anche sabotandoli emarginandoli e deridendoli, i due giudici; una corrente con uno scopo preciso – far contenti certi amici e accrescere il proprio prestigio con una fulminante carriera. Nelle assise si imponeva e nei plenum di disponeva.

Difficile chiedere un radicale mutamento delle regole che disciplinano le nomine all’interno delle procure quando ancora nel 2019 veniamo sconquassati da nuovi scandali giudiziari.

Una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della democrazia. Un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, organizzato per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado. Sotto accusa i più alti organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato. Sono giudici di secondo e ultimo grado e decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico e decidono su cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. E Salvini cosa fa? Di Maio cosa fa? Come possiamo noi tutti credere di combattere il sistema mafioso, le ingiustizie civili figlie di quel complotto tra toghe e mafia dove la politica fa da collante senza rivoltarci tutti contro chi finge di non sapere?

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Abbiamo rifiutato da sempre i finanziamenti pubblici previsti per le grandi Associazioni perché, la nostra politica, prevede di sedere al tavolo dei cittadini e non dei politici. Oltre all’assistenza e alla tutela in tutte e le sedi per quanto riguarda il diritto bancario, fiscale, tributario, commerciale verso contribuenti, utenti e consumatori il nostro impegno é anche di dotare i nostri iscritti di servizi importanti nel pieno rispetto del Codice del Consumatore.

Rif: http://www.padovanews.it/2019/07/25/la-prova-che-il-sistema-palamara-non-e-un-caso-isolato-ma-parte-di-una-corruzione-storica/

Magistrati corrotti, le dichiarazioni choc del pentito su Seccia.

Il “metodo” Seccia ha radici lontane, risalenti alla fine degli anni ’90. Il magistrato barlettano, ex pm della DDA di Bari e procuratore di Lucera, si occupò di mafia garganica per buona parte della sua carriera prima di finire a Roma presso la Cassazione. Ma nelle ultime settimane sulla testa del magistrato sono comparse nubi oscure. Seccia, infatti, è stato tirato in ballo nella storia dei pm corrotti della Procura di Trani dove anche lui lavorò una decina di anni fa. Mazzette per aggiustare i processi di un imprenditore. “Per spaventarmi diceva che mi avrebbe mandato la mafia del Gargano”, ha raccontato la vittima agli inquirenti parlando di Seccia come di un “uomo pericoloso”.

E facendo un salto indietro di circa un ventennio, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi del 2000, ecco comparire altre vicende che videro il magistrato al centro di intrighi e soprusi. Presunti legami con malavitosi e altri illeciti raccontati dal pentito Michele Dicuonzo, alias ‘il piazzato’, boss mafioso di Barletta del clan Cannito-Lattanzio, a Michele Emiliano, il governatore della Regione Puglia che all’epoca era pubblico ministero. Verbali di interrogatorio in possesso de l’Immediato che gettarono ombre sul pm Seccia. Il tutto arricchito da materiale video molto compromettente per il magistrato barlettano.

Dichiarazioni che fecero emergere un quadro allarmante attorno alla figura di Seccia, il quale avrebbe utilizzato mezzi e personale dei vigili urbani di Trani e Barletta per farsi accompagnare/scortare sul posto di lavoro, in palestra o, addirittura per far consumare i bisogni mattutini al suo cane (nella foto sotto, il comandante dei vigili dell’epoca con il cane del pm)

Rif: https://www.immediato.net/2019/07/27/magistrati-corrotti-le-dichiarazioni-choc-del-pentito-su-seccia-dal-bacio-con-luomo-del-clan-allo-scandalo-corruzione-di-trani-quante-ombre-nella-carriera-del-pm-antimafia/

Lo scandalo dei giudici minorili onorari

“Finalmente liberi” calcola che 211 magistrati su 1.083 hanno interessi nelle case-famiglia dove finiscono i bimbi sottratti alle famiglie

L’amministrazione della giustizia italiana convive (serenamente) con uno scandalo che è insieme sommerso e vergognoso: lo scandalo dei giudici minorili onorari. È sommerso, lo scandalo: perché, malgrado ogni giorno venga violata una serie di norme, è tollerato dagli stessi Tribunali dove avviene; e lo stesso Consiglio superiore della magistratura, che pure ha consapevolmente emanato una serie di circolari per evitarlo, fa finta di non vedere e, soprattutto, non fa nulla per reprimerlo. Ed è anche vergognoso, lo scandalo: perché coinvolge la vita di bambini indifesi e si verifica in un settore con un giro d’affari miliardario.

Lo scandalo nasce infatti nei 29 Tribunali per i minorenni e nelle Corti d’appello minorili. Dove operano 1.082 magistrati onorari, che affiancano i magistrati di carriera. La legge (una norma del 1934 riformata nel ‘56) prevede possano diventare giudici minorili onorari solo “cittadini benemeriti” appartenenti ad alcune categorie professionali, per esempio esperti di psichiatria, psicologia, pedagogia… A nominarli è il ministero della Giustizia, su indicazione dei Tribunali. Il loro lavoro viene retribuito dallo Stato in base all’attività che svolgono: prevalentemente camere di consiglio e udienze camerali. 

Al contrario di quando dichiara l’aggettivo “onorario”, però, ognuno di questi mille giudici ha esattamente lo stesso peso di quello dei magistrati di carriera. Ed è un peso elevato, che incide profondamente sulle decisioni dei Tribunali per i minorenni, perché i collegi giudicanti sono composti da due giudici togati e due onorari, mentre i collegi delle Corti d’appello sono formati da tre togati e due onorari.

Sui giudici onorari ha lungamente indagato “Finalmente liberi onlus”, un’organizzazione che si batte per la tutela dei minori, troppo spesso sottratti alle famiglie d’origine con eccessiva facilità. Facendo una scoperta preoccupante: “Abbiamo individuato 156 giudici onorari nei Tribunali, più 55 nelle Corti d’appello, che operano in totale e palese conflitto d’interessi” dice Cristina Franceschini, avvocato e presidente di Finalmente liberi.

Il conflitto d’interessi è grave e censurabile. Perché questi 211 giudici, che ogni giorno decidono sull’affidamento di bambini a una casa-famiglia o a un centro per la protezione dei minori, hanno contatti professionali con quelle stesse strutture: prestano loro una qualche consulenza, in alcuni casi hanno contribuito a fondarle, oppure ne sono addirittura soci, fanno parte dei consigli d’amministrazione. Sono insomma giudici “di casa”, nel senso che inevitabilmente contribuiscono con le loro sentenze e ordinanze a fornire la triste “materia prima” infantile che serve a far funzionare i centri d’affido che hanno creato, o per i quali lavorano. 

Ed è proprio qui che lo scandalo diventa anche vergogna. Perché, se sono corretti i calcoli di “Finalmente liberi”, il 20 per cento dei magistrati minorili italiani ha un qualche interesse, anche economico, a che i bambini finiscano in un centro d’affido: un centro che per quei bambini, dagli enti locali, incassa una retta giornaliera a volte elevata.

L’organizzazione ha individuato casi dove la tariffa supera i 400 euro al giorno. Si tratta di un colossale business, perché in Italia i minori allontanati delle famiglie sono tanti e purtroppo gestiti senza particolare trasparenza. Nel 2010 il ministero del Lavoro e delle politiche sociali condusse il primo e unico studio approfondito sulla questione, rivelando che al 31 dicembre di quell’anno i bambini e i ragazzi sottratti alle famiglie e affidati erano 39.698. Ma la statistica è probabilmente approssimata per difetto: “Finalmente liberi” stima siano almeno il doppio e che alimentino un mercato da 1-2 miliardi di euro l’anno. Ora la onlus denuncia che questo colossale giro d’affari è governato, per una quota rilevante, da giudici non propriamente disinteressati.

È evidente che non tutte le strutture dell’affido minorile hanno caratteristiche speculative. Nella grande maggioranza svolgono anzi un ruolo positivo, di reale protezione dei minori finiti in situazioni difficili: criminalizzare la categoria sarebbe quindi sbagliato e profondamente ingiusto. Resta il fatto che tra i giudici onorari i casi di conflitto d’interessi sono davvero troppi. E gettano ombre sull’intero settore.

Del resto, l’esistenza di un rischio incompatibilità è ben dimostrata dallo stesso Consiglio superiore della magistratura, che per scongiurarlo ha emanato più di una circolare. Il Csm ha stabilito non possa diventare giudice onorario minorile il titolare di ogni tipo di carica elettiva (e se si è giudici non ci si può candidare, nemmeno alle elezioni amministrative). Ma il divieto riguarda soprattutto chi amministra o lavora a qualunque titolo nei centri d’affido o in strutture dove l’autorità giudiziaria inserisce i minori, e per i funzionari dei servizi sociali comunali, a meno che non “ne sia assicurata la posizione di terzietà”.

Le regole del Csm, insomma, sono chiare. Però restano inapplicate. Gli stessi Tribunali dei minori, che dovrebbero controllare il curriculum degli aspiranti giudici onorari, troppo spesso non lo fanno. E il ministero della Giustizia sembra indifferente al problema
Ora Finalmente liberi denuncia casi concreti, fa nomi e cognomi.

Nel Tribunale minorile di Roma, per esempio, l’organizzazione ha individuato 15 giudici onorari in qualche modo collegati a centri di affido della provincia. Panorama ha posto il problema a Melita Cavallo, presidente di quel Tribunale: “A me non risulta” ha risposto il magistrato, dicendosi però disponibile a verificare i casi segnalati.

A Milano i giudici onorari “incompatibili” sarebbero 16. Ai quali, sostiene Finalmente liberi, si aggiungerebbe perfino un magistrato di carriera, il quale siede anche nel comitato scientifico di una cooperativa milanese che fa assistenza ai minori.

Adesso l’organizzazione farà in modo di segnalare ufficialmente i 211 casi che ha individuato a tutti i Tribunali interessati. Aspetterà le risposte, poi trasmetterà il suo dossier al Csm. A quel punto si vedrà se il Consiglio vorrà intervenire. E se il ministero della Giustizia porrà fine allo scandalo.

Rif:https://www.panorama.it/news/in-giustizia/lo-scandalo-dei-giudici-minorili-onorari/ 

Sulla pelle dei più deboli: il vergognoso business di cooperative e case famiglia

Emozionati, sorpresi, increduli. Ciò a cui assistiamo oggi è la conferma di decenni di lavoro. Un lavoro fatto di ricerca, ascolto, raccolta di informazioni. E di denunce, richieste di aiuto. Di infinito lavoro nelle aule dei Tribunali, nelle sedi dei Servizi, negli angusti spazi di CTU “terre di nessuno”, arroganti e colluse.

Sembrava, fino a poco fa, ancora e sempre la protesta di gente inascoltata. Per quanto, a protestare, fossimo: professionisti, ricercatori, accademici, giornalisti, famiglie, bambini. Eppure, erano una protesta e una voce che cadevano costantemente nel vuoto, di fronte al gelo e all’indifferenza delle Istituzioni.

Improvvisamente, oggi, tutto questo non c’è più.
Improvvisamente, tutto appare vero. Tutto appare credibile.
Tutto è credibile.

Lo abbiamo raccontato attraverso le pubblicazioni, i best seller di questi anni: “Mai più un bambino”, “I Malamente”, “Papà, portami via da qui – dedicato ad Anna Giulia, sette anni, cittadina italiana”.

E oggi è doveroso dire grazie a coloro che hanno creduto e condiviso.

Siamo qui perché non ci siamo fermati mai, neanche per un solo momento.
Ma è proprio qui e ora che non possiamo che dire “NON SOLO REGGIO EMILIA”. Non possiamo che fare l’elenco, infinito, delle città, dei paesi, delle mamme e dei papà, dei bambini che forse aspettano ancora di ritrovare il ricordo e l’immagine della propria famiglia.

Non è solo Reggio Emilia, non è solo lo scandalo di un Paese, non è solo quell’orrore infinito.

Finalmente ha iniziato a emergere ciò che andiamo denunciando dal 2000: dalla Sardegna al Trentino, dalla Lombardia alla Sicilia.
Ci sono 40.000 minori, in Italia, in queste stesse condizioni.
Questi bambini fantasma devono ritornare in vita: è il momento di costruire il dossier Italia e di sbrogliare la matassa, caso per caso.

Con tutto il lavoro fatto, siamo detentori di storie e documenti che raccontano una infinità di tragedie simili.
Ora che l’attenzione delle Amministrazioni e del Potere politico non potrà voltarsi dall’altra parte, è il momento di spingerci a denunciare fino in fondo.

Ho sempre sostenuto che non si tratti solo del business delle case famiglia; ma che, da anni, il cuore del problema si annidi nelle pieghe del potere politico; perché le cooperative private che ottengono gli appalti, di fatto, garantiscono pacchetti di voti.

È così: è una questione di voto di scambio. A partire dalla Legge 328 del 2000 che, riformando il Sistema Assistenziale, delegò – di fatto e di norma – la Tutela dei Minori (quella che dovrebbe essere l’area più attenzionata di tutto il nostro Paese) a cooperative di privati, al servizio di più Comuni e interconnesse fra di loro.

Tale norma, infatti, prevede che i Comuni sotto i 5000 abitanti, in consorzio o associati tra di loro, si possano convenzionare con cooperative private per offrire servizi.
Ed ecco che ritroviamo – su territori molto estesi – la cooperativa dei Servizi Sociali, quella degli Educatori Domiciliari, quella dei Centri per la Famiglia (in genere Centri di Neuropsichiatria) e infine quella delle Case Famiglia che, in alcuni territori, è presente anche nella forma di case gestite da ordini religiosi.

In Italia ci sono oltre 6000 Comuni con meno di 5000 abitanti. Immaginiamo quante cooperative e quanti servizi parcellizzati, che si autoalimentano e sostengono fra di loro.

Dal punto di vista amministrativo, non sono strutture dipendenti dal Comune né delle ASL. Sono privati che hanno vinto un appalto; un bando pubblico spesso pagato profumatamente. A volte sono parenti tra di loro. Non rispondono all’autorità del Sindaco, a meno che non sia stato lo stesso Sindaco a pilotare la gara di appalto, per garantirsi così favori e nuovi voti.

In alcuni territori, sono i grandi poteri politici che si muovono. Tali cooperative, per continuare a vincere appalti, devono garantire voti e fare promesse.

Per sopravvivere, questo sistema ha bisogno di segnalazioni da parte dei Servizi, di valutazioni della capacità genitoriali che si risolvono (quasi) sempre con il “verdetto” di inadeguatezza, presso i Centri per la Famiglia e simili.

Mentre la valutazione della capacità dura da 6 mesi ad un anno – e dà lavoro ai membri di una cooperativa – il bambino a rischio sottrazione riceve l’Educativa Domiciliare (nota come ADM) da parte di membri di un’altra cooperativa o viene direttamente collocato in casa famiglia, per la sua “messa in sicurezza”.

Tutti privati, vincitori di appalti.

L’ADM è un’altra criticità all’interno di questo sistema. Nonostante la riforma che ha interessato gli Educatori e che dovrebbe dare dignità a tali figure professionali, questo delicato servizio spesso è svolto da lavoratori sottopagati (anche a pochi euro di paga). Sostituiti in più casi da sedicenti mediatori culturali, utilizzati impropriamente nel ruolo di educatori, badanti, OSS, semplici adulti che devono occuparsi di bambini di 3 anni. Mi è capitato di incontrarne alcuni con l’aspetto più da secondini che da teneri educanti; a volte anche con una scarsa conoscenza della lingua italiana.

Da sottolineare che costoro devono poi stilare improbabili “relazioni copia/incolla”, in cui spesso si travalica il buon senso. Fino ad esprimere valutazioni diagnostiche che finiscono sul tavolo dell’ignaro giudice; il quale, a fronte di tale relazione, può anche ordinare una messa in sicurezza urgente del minore.

Il tutto mentre genitori e nonni vengono travolti da valutazioni, test, colloqui clinici, osservazioni; ingerenze sulla pulizia della casa o sull’ordine degli armadi, sulla tenuta o meno della cameretta o circa il lettone in cui dormiva il bambino.

Relazioni e richieste del genere: “cambia casa, metti la dentiera, allontana i nonni dai tuoi figli, vai a vivere da sola, prendi la patente”. O comunicazioni attraverso WhatsApp che recitano: “tornando a casa non troverai i tuoi figli perché siamo già andati a prelevarli”. Magari parlando di “rapporto simbiotico” e prescrivendo un allontanamento perché “di troppo amore si può morire”.

Questo sistema di gare ed appalti vede bandi milionari, in cui le Case Famiglia rappresentano solo un aspetto del gigantesco giro di soldi che viene mosso.

Le cifre degli appalti, essendo pubblici, sono visionabili su tutti i portali delle amministrazioni comunali. Ogni cittadino può sapere quanto guadagnano le varie cooperative sul territorio e scoprire il sistema clientelare, il politico territoriale che li governa, li sponsorizza e da cui ricava bustarelle e bacini di voti.

Se un bambino costa da 70 a 400 euro al giorno quando è collocato in casa famiglia, pensiamo a quanto frutti l’appalto vinto dal “Centro per la Famiglia” (nome convenzionale) per le valutazioni, quanto quello gestito dai Servizi Sociali, quanto costi la Cabina di Regia Territoriale.

Ed ecco che comprendiamo il senso dell’allora Legge Turco, n. 328/2000 – Legge Quadro di Riforma dei Servizi Socio Assistenziali – che tradì le prime opportunità per l’infanzia e l’adolescenza previste dalla Legge 285/97, che tanto invece era stata apprezzata.

Si è andati, così, a privatizzare e trasformare un fiore all’occhiello dell’Italia in un sistema mafioso.

Oggi è un sistema che si autoalimenta e si tutela attraverso l’omertà tra i vari pezzi del puzzle.
Il nutrimento sono i bambini, il target-bersaglio sono le famiglie fragili; solitamente quelle economicamente più bisognose, che spesso si aggirano nei corridoi dei Comuni a chiedere un sussidio o qualche buon consiglio dal Sindaco, dall’assessore che hanno votato in precedenza e da cui si aspettano, nelle more della legalità, un buono pasto per la scuola, qualcuno che aiuti i bimbi a fare i compiti, la casa con una stanza in più. O che si sentono al sicuro lì, nella “casa del popolo”. Ma che, invece, finiscono nella trappola della filiera psichiatrica

La convocazione degli Stati Generali sulla Sottrazione dei Minori, prevista per la fine di settembre a Roma – e di cui ci facciamo immediatamente promotori – ha lo scopo di mettere sul tavolo degli imputati la Legge 328/2000, il Sistema delle CTU e delle perizie che pilotano le sentenze e alimentano questo sistema, le Linee Guida nazionali per l’applicazione del sistema diagnostico.

Un sistema che è una rete di interconnessione in cui vogliamo vedere cadere squali e non bambini, bambini bersaglio.

Vogliamo completare il dossier Italia sulla sottrazione dei Minori perché tutto questo non accada più.

Grazie alla sinergia tra Associazioni, Enti, Istituzioni, Liberi Cittadini, Famiglie colpite da questo orrore italiano, vittime che vogliono diventare artefici di un nuovo percorso, Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, Consorzi per i Diritti Umani, Pedagogisti Familiari, Avvocati, Operatori, Giornalisti, Educatori, Amministratori e tutta la Cittadinanza Attiva.

Ora è il momento del fare, lasciando il dolore “un po’ più in là”. Il momento è ORA.

Vincenza Palmieri

rif:https://www.adhocnews.it/sulla-pelle-dei-piu-deboli-il-business-scanadaloso-di-cooperative-e-case-famiglia/

Scandalo affidi: bambini rubati

Sono bastati qualche ghirigoro, un divorzio turbolento e una sequela di fantasie. L’hanno accusato d’aver abusato delle figlie, di quattro e sette anni. Giochi erotici di gruppo, filmini scabrosi, travestimenti da Biancaneve. Il 13 novembre 2015, dopo un processo lungo nove anni, il professore di matematica è stato assolto: non ha commesso il fatto. Ora ha 49 anni. Vive a Oristano, dove insegna alle superiori. «Il caso andava verso l’archiviazione» racconta. «È stato riaperto dopo il parere dello psicoterapeuta Claudio Foti». Un nome oggi alla ribalta. «Periti, pm, giudici: tutti pendevano dalle sue labbra». Già. Ma come si sopravvive a infamia e abbandono? «Cerco di non pensarci». 

Il professore comincia a singhiozzare: «Le mie figlie non vogliono più vedermi. Pasqua, Natale, compleanni: nemmeno mi rispondono. Una delle due ha la maturità quest’anno: io trepido, spero, sogno di ripassare accanto a lei. M’invento ogni cosa, pure gli abbracci». Si scusa per le lacrime. «Per loro sono uno zimbello. Adesso, però, magari capiranno: quello che è successo a Bibbiano è successo anche a loro».

Bibbiano era un anonimo e placido paese nella Valle D’Enza. Oggi è l’inferno scoperchiato dall’inchiesta «Angeli e demoni». Quella sui fabbricanti di mostri: medici, psicologi e assistenti sociali. La procura di Reggio Emilia ha rivelato un presunto e gigantesco inganno: 16 arresti e 27 indagati. Tra cui il sindaco Pd della cittadina, Andrea Carletti: onta che s’è riversata pure sui democratici. Un corredo di orrori. Dietro cui si celerebbe il business di consulti privati e affidamenti. Quasi 200 bambini sarebbero stati manipolati con metodi da Santa Inquisizione. Per rivelare inesistenti abusi, essere allontanati dalle famiglie e venire assegnati ad altre coppie. Anche lesbiche. Ai domiciliari è finito pure lo psicoterapeuta che ha marchiato la vita di quel professore di Oristano. 

Claudio Foti, 68 anni, è il fondatore, a Moncalieri (To), del Centro studi Hansel e Gretelonlus specializzata in psicologia infantile. Un assertore dell’inscalfibile assunto: i minori non mentono mai. Ogni sospetto è l’anticamera della pedofilia. Ex giudice onorario del Tribunale dei minori a Torino, Foti è acclamato consulente di decine di uffici giudiziari. Le sue perizie hanno istruito decine di processi. Molestie, sette, incesti. Racconti fagocitati da colloqui e terapie con i bambini. E ora avvocati di mezza Italia meditano vendetta, sperando di riaprire fascicoli ormai sepolti.

Un sistema. Che l’inchiesta, coordinata dal reparto operativo dei carabinieri di Reggio Emilia, potrebbe cominciare a scardinare. Il Tribunale dei minori di Bologna ha deciso di rivalutare cinque adozioni dettagliate nell’ordinanza di custodia cautelare. La procura di Modena, invece, potrebbe riaprire il caso dei «diavoli della Bassa», andato in scena tra 1997 e 1998 a Mirandola. Quando un gruppo di famiglie viene accusato di abusare dei figli e di altre nefandezze: riti satanici, orge cimiteriali, corpi arsi vivi e cadaveri nel fiume. Sedici bambini vengono allontanati da casa per sempre. Una storia che ora si ricollega allo scandalo reggiano: vent’anni fa furono proprio le psicologhe di Hansel e Gretel a interrogare quei bambini di Mirandola. Tra cui l’ex moglie di Foti, Cristina Roccia. Mentre l’attuale coniuge, Nadia Bolognini, pure lei psicoterapeuta, è oggi tra gli arrestati dell’inchiesta di Reggio Emilia. E la procura di Torino avrebbe aperto un’indagine su una dubbia perizia firmata dalla dottoressa.

È però Foti il fulcro ideologico da cui tutto discende. Bisogna seguire le sue orme per capire come, all’ombra di clamorosi abbagli giudiziari, è fiorita la fabbrica dei mostri. «Fanatismo persecutorio» sostiene l’ordinanza. «Gli indagati erano pregiudizialmente convinti che i minori fossero vittime di abusi». Vulgata che ha segnato clamorosi processi, sgominato famiglie, lasciato indelebili onte. Metodo dettagliato anche nella sentenza che, nel 2015, assolve il professor di Oristano, difeso dall’avvocato Simona Sica. Il Tribunale di Salerno, nella sentenza, enuncia la teoria di Foti: «Le emozioni delle bambine diventano elemento di validazioni della credibilità». E affonda: «Un approccio contestato dal mondo scientifico perché esistono molte ipotesi alternative che giustificano le stesse emozioni». Uguale conclusione a cui era arrivato il consulente di parte, Corrado Lo Priore. 

Il tribunale, poi, entra nel dettaglio del caso: le supposte violenze del professore sulle figlie. Il parere vergato da Foti, perito di parte civile e teste del pm, è inficiato: «Inutilizzabile». Più radicale il giudizio sul professionista che ha in cura la madre accusatrice e le due bambine. Ovvero: Mauro Reppucci, già discepolo di Foti, oggi seguace del discusso metodo Hamer per la cura del cancro e marito di Alessandra Pagliuca. Anche lei psicologa. Anche lei tra gli inquisitori dell’inchiesta sui «diavoli della Bassa». Altri corsi e ricorsi. «Fin dal primo momento» scrivono i giudici di Salerno «l’intento del dottor Reppucci è stato quello di cercare una verifica dei presunti abusi sessuali sulle minori». La sentenza aggiunge: «Per questo, coadiuvato dalla madre e dalla zia, ha sottoposto le bambine a un esame sempre più stringente, con una tecnica scorretta: il ricorso continuo a domande, blandizie e prospettazioni di mali futuri». Così, alla fine, il professore è assolto. Procura e parte civile accettano il verdetto. Nessun appello. Ora è un uomo libero. Ma la sua vita è ormai in frantumi. 

Gli stessi protagonisti ricompaiono in un’altra inchiesta, ancora a Salerno. Esplode a dicembre del 2007. Con un canovaccio da film horror, che riecheggia quello modenese. Orge sataniche. Minori violati che violentano coetanei. Una catena di sevizie, organizzate da incappucciati e satanisti. Vengono identificate le presunte vittime: tre fratellini. E l’ipotetico carnefice: il padre. Partono le indagini e la centrifughe terapeutiche. Stavolta la madre dei bambini, che sostiene anche di essere stata malmenata dal marito, si fa seguire dalla dottoressa Pagliuca. Foti invece guida il collegio di esperti del pm. Un ipotizzato conflitto d’interesse denunciato pure dal perito della difesa, Camillo De Lucia: «Appare davvero originale che la scelta del sostituto procuratore sia caduta su professionisti appartenenti al centro Hansel e Gretel, lo stesso dove la dottoressa Pagliuca ha riferito di essersi formata». Ma la strenua offensiva colpevolista non convince comunque i giudici. A luglio 2017 il padre viene assolto. Pagliuca, annota la sentenza, ha suggestionato uno dei ragazzini «su fatti non narrati spontaneamente». Mentre, riguardo Foti, i giudici segnalano «numerosi fenomeni di induzione diretta e suggestione. Insomma: «I bambini non hanno mai fatto dichiarazioni spontanee». 

Il fuoco di fila dei fabbricanti di mostri viene dispiegato pure a Pisa. Un’indagine nata nel 2006, dalla denuncia di una donna all’ex marito: avrebbe abusato della loro figlia. Foti, stavolta, è il perito del gip. La moglie dello psicoterapeuta di Moncalieri, Nadia Bolognini, comincerà invece a seguire la minore. Il primo ad andare in scena, dopo la richiesta d’incidente probatorio, è il fondatore di Hansel e Gretel. La ragazzina, di appena sei anni, può testimoniare al processo? Certamente. Per Foti non ci sono dubbi: «Esistono indicatori rilevanti e diffusi dell’esperienza incestuosa subita, che può essere ipotizzata come coinvolgente e sconvolgente». E il rapporto conflittuale tra i genitori? La madre potrebbe aver suggestionato la figlia? Macché: è un’evenienza «ampiamente falsificata». La bambina è credibile. Liviana Vizza, legale dell’indagato, in una memoria difensiva, attacca: il metodo dello psicoterapeuta, scrive, rappresenta una violazione di quanto la letteratura internazionale consiglia. Il legale dettaglia: «Ha tenuto una modalità d’interrogatorio fortemente orientante: domande chiuse, suggestive e incalzanti». 

L’uomo viene dunque rinviato a giudizio. E a ottobre 2012 arriva la sentenza. Il tribunale di Pisa lo assolve per non aver commesso il fatto. Il caso è definitivamente chiuso, anche questa volta. La procura, che aveva chiesto 10 anni, decide di non fare appello. Come la parte civile. Per il resto, i genitori hanno divorziato. La piccola, diventata ragazza, è stata affidata a entrambi. Ma di suo padre non vuole sentir parlare: crede ancora di essere una vittima. Così, assieme al suo legale, l’uomo adesso vuole andare a fondo. «L’indagine di Reggio Emilia ha confermato quella che fino a ieri era una mia supposizione» spiega Vizza. Ossia? «La manipolazione sistematica e continua dei bambini da parte di Hansel e Gretel. Anche per ottenere in cambio incarichi privati. Addirittura, in uno dei colloqui Foti dice alla bambina: “Queste cose, che tu voglia o no, le devi dire al giudice”». Così l’avvocato attende sulla riva del fiume l’eventuale rinvio a giudizio. «A quel punto, scatterà una denuncia per manipolazione di minore». 

Foti e Bolognini. Marito e moglie. Compagni di tante battaglie. Il fondatore e la psicoterapeuta di Hansel e Gretel. La procura emiliana li accusa di falso ideologico, frode processuale e depistaggio. I loro inganni avrebbero contribuito a causare danni psichici a cinque ragazzini. È lei, per esempio, a usare «l’inquietante macchinetta dei ricordi»: elettrodi collegati a mani e piedi dei piccoli. Serve, secondo la dottoressa, a ripescare i ricordi degli abusi. È lui, invece, a scegliere una bambina in cura come cavia, da esibire in un corso di formazione. E poi c’è il sospetto lucro. Le terapie private: «Un ingiusto profitto di 135 euro l’ora per minore, a fronte dei 70 euro medi di mercato, nonostante l’Asl locale potesse usare gratuitamente i propri professionisti». 
La procura reggiana tratteggia un ritratto poco lusinghiero di Foti: «Soggetto con ruolo di guida» e «un alto tasso potenziale di criminalità». Emerge, annotano i magistrati, «una personalità violenta e impositiva». Anche con i familiari: moglie, ex congiunta e figli minori. La procura indugia pure sulla consorte: Bolognini. «Il marito le rilevava una latente omosessualità, motivo di tensione da parte della donna». E poi la psicoterapeuta «risulta aver subito maltrattamenti dal padre quando era piccola». Come accaduto a Foti, aggiunge l’ordinanza. Così la dottoressa avrebbe riversato le sue angosce in una «rabbia repressa, sfociata negli atteggiamenti con i minori». 

Eppure il curriculum di Hansel e Gretel è denso e prestigioso. Seminari, corsi di formazione, master universitari. Alle lezioni del fondatore accorrevano tutti: psicologi, docenti, magistrati e assistenti sociali. Un blasone che ha attratto tribunali e procure, pronti a chiedere servigi per i casi spinosi. Chi meglio di lui poteva avallare e argomentare ogni turpe ipotesi? Foti è stato chiamato persino per una delle più clamorose cantonate giudiziarie degli ultimi anni: gli ipotizzati abusi nell’asilo «Olga Rovere» di Rignano Flaminio. Ventuno bambini, fomentati dai genitori, raccontano di aver subito ogni crudeltà. Cinque persone finiscono a processo, due sono difese da Roberto Borgogno. Vengono assolte per la prima volta nel 2012. Dopo anni d’indicibili accuse. Durante i quali la procura di Tivoli s’era rivolta anche a Foti. Tre consulenze, vergate con due colleghi. La prima è del 17 luglio 2007. Arguisce: «Siamo giunti alla conclusione che le famiglie e i bambini non manifestano un disagio dovuto a fantasticherie o a costruzioni immaginarie, frutto di suggestioni o psicosi collettive. La loro sofferenza, estesa e profonda, è del tutto compatibile con l’ipotesi che abbiano impattato con una vicenda traumatica gravissima: abusi sessuali di gruppo in ambito scolastico». Alcuni anni più tardi, dopo altre vite frantumate, due sentenze diranno l’esatto contrario. 

Un contagio psichico. Lo stesso che sarebbe avvenuto in una scuola materna dell’aretino. A fine 2011 viene arrestato un bidello. È accusato d’aver molestato 12 bambini, costretti ad atroci porcherie nei bagni della scuola: toccamenti, giochi erotici, fellatio. Una storia, anche in questo caso, nata dalle inquietudini dei genitori. Scorgono nei figli comportamenti inconsueti. Che successivi pareri psicologici reputano «compatibili con l’abuso». Partono le indagini. I carabinieri piazzano telecamere nella materna: nessun riscontro. A febbraio 2015 il bidello, difeso dall’avvocato Raffaello Falagiani, è rinviato a giudizio. In aula sfilano genitori, maestri ed esperti. Come Foti, consulente tecnico dell’accusa. O meglio, capo del collegio peritale del pubblico ministero. Che conclude: «Altissima compatibilità con l’ipotesi di un evento traumatico di natura sessuale, avvenuto in un certo contesto temporale e associata a una certa figura». II 14 aprile 2016 viene sentito in tribunale. Lo psicoterapeuta, anche stavolta, propala incrollabili certezze. Una bambina si fa la pipì addosso nel tragitto da casa alla fermata del bus? «Indicatore significativo di maltrattamento intrascolastico» spiega Foti. Un’altra si sveglia di notte urlando? «È inseguita dall’evento traumatico». Un altro disegna denti. O non riesce a evacuare. Oppure ha paura di andare in bagno. Tutte conseguenze di atti sconvolgenti. 

Il copione però si ripete. Il 30 novembre 2016 il tribunale di Arezzo assolve il bidello: il fatto non sussiste. I periti nominati dal giudice fanno cadere il castello eretto dai professionisti dell’abuso: «Le capacità testimoniali specifiche dei bambini risultano compromesse in modo considerevole, con la conseguenza che nessuno di loro può essere ritenuto attendibile». E poi: «I disagi che hanno manifestato, insonnia notturna, unghie rosicchiate e opposizione alla scuola, non possono essere qualificati come indicativi di uno stress di natura sessuale». 

Incesti terribili. Sempre e ovunque. I fabbricanti di mostri non tentennano. Nemmeno a Cagliari, nel caso dell’orologiaio accusato di abusi sessuali sui tre figli. Nefandezze a cui avrebbero partecipato anche la nuova compagna dell’uomo, veterinaria, e un amico. Tutti assolti, nel 2001, in primo grado. Nel processo d’appello, Foti è nominato consulente tecnico d’ufficio. Ma i tre sono nuovamente scagionati. Fino alla Cassazione. Il decano dei penalisti cagliaritani, Luigi Concas, che ha difeso l’orologiaio nei tre gradi di giudizio, ricorda: «Un giorno prendo uno dei disegni fatti dal ragazzino. Per l’accusa era un pene con dei denti. Lo mostro allora a mio nipote. Gli chiedo: “Cosa ti sembra?”. E lui, immediatamente: “Goku!”. Un personaggio dei Dragon ball. Torno in aula con quel foglio in mano. E durante l’esame del perito, a bruciapelo gli domando: “Lei sa chi è Goku?”». 

Vecchie storie. C’è anche quella del fotografo milanese, arrestato nel 2003 per aver abusato, durante una vacanza in Puglia, di un amichetto del figlio conosciuto in spiaggia. Tra le prove raccolte, ci sono anche alcune foto di bambini. Talmente scabrose da essere pubblicate persino sul sito internet del fotografo. Reportage da pubblicare sulle riviste, insomma. Eppure l’uomo finisce a processo dopo l’incidente probatorio del ragazzino. Svolto da Foti. E condotto, scrive il consulente della difesa, lo psicoterapeuta Giovanni Camerini, con modalità «metodologicamente scorrette»: «Ha somministrato al piccolo N. più di 50 domande suggestive e inducenti» nota nella sua relazione. Conclusione: il fotografo è assolto, sia in primo grado sia in appello. 
Ombre del passato che riemergono. Come quelle che si allungano sul caso di Sagliano Micca, paesino vicino a Biella. Scoppia più di vent’anni fa. Due cuginetti, loro malgrado, diventano gli accusatori di mamma e papà, nonna e nonno. Accusati di aver abusato dei due bambini. Una tesi avallata da una perizia vergata del centro Hansel e Gretel. Foti e l’ex moglie, Cristina Roccia, in 150 pagine ripercorrono supposti abusi e violenze di gruppo. Comincia il processo. Ma il peso è insostenibile. Il giorno prima dell’audizione dei ragazzini, i quattro accusati scendono nel garage. Si chiudono nella loro Uno verde: i genitori siedono davanti, i nonni dietro. Poi accendono il motore. E aspettano. Fino a quando il gas di scarico non gli riempie i polmoni. Li ritrovano avvelenati e senza vita. Sul parabrezza dell’utilitaria c’è il loro biglietto d’addio: «Moriamo per colpa della giustizia». 

Scandalo affidi: il business sulla pelle dei bambini

La vicenda di Reggio Emilia ricorda quella di Mirandola di diversi anni fa e racconta un mostro, anzi un sistema che ha colpito famiglie normali, come le nostre

Un paio di numeri fa mi sono occupato di una vecchia storia accaduta a Mirandola, in provincia di Modena. All’improvviso, tra la fine del 1997 e l’inizio del 1998, un gruppo di famiglie, quasi tutte cattoliche, venne accusato di praticare riti satanici e di molestare i figli, abusandone sessualmente. Molti furono arrestati e i bambinivennero tolti ai genitori per essere dati in affido. Il prete del paese finì sul banco degli imputati e, prima di essere assolto, morì di crepacuore. Anche gli altri accusati furono assolti, ma solo dopo molti anni, quando ormai le famiglie messe sotto inchiesta si erano sfasciate e i figli erano grandi senza esserlo diventati accanto ai loro legittimi papà e mamme. 

All’epoca, di questa storia si occupò solo un quotidiano, quello che dirigevo, il Giornale, mentre tutti gli altri declassarono la vicenda a pura cronaca, per giunta delle più squallide, da liquidarsi in breve. Il Giornale, invece, fin da subito cercò di dare voce alle vittime, perché le accuse rivolte contro di loro erano del tutto inverosimili. Purtroppo il nostro impegno non bastò a cambiare il corso delle cose. Ci vollero anni e una infinità di udienze perché la verità venisse a galla e solo mesi fa qualcuno, sui giornali, ha cominciato a chiedersi come sia potuto accadere. Bene, anzi male: dalla settimana scorsa abbiamo la risposta alla domanda. 

Reggio Emilia, cioè a poca distanza da Mirandola, è successo di nuovo. Assistenti sociali e psicologi hanno riprovato ad accusare di abusi sui minori una serie di famiglie, allontanando i figli dai legittimi genitori per darli in affido ad altre coppie. Questa volta però a finire in carcere non sono stati i papà e le mamme, colpevoli solo di essere persone semplici e indifese davanti alla macchina della giustizia e di quel grande business che è l’assistenza ai minori. Dietro le sbarre sono finiti gli psicologi, le «esperte di infanzia» abusata, i professionisti dell’affido. La Procura, invece di credere alle loro accuse nei confronti dei genitori, ha creduto a mamme e papà, scoprendo un sistema infernale. Altro che riti satanici nella Bassa modenese. I riti erano quelli messi in atto per indurre dei bambini ad accusare genitori innocenti. Le assistenti sociali si incaricavano di suggerire ai piccoli che cosa dire negli interrogatori, inventando abusi che non c’erano. I più riottosi tra i bambini venivano «aiutati» con una «macchina dei ricordi», ossia con uno strumento che con elettrodi applicati alle mani generava scosse elettriche

Era un vero e proprio lavaggio del cervello quello che veniva fatto e, nel caso non bastasse, si «aggiustavano» i disegni, modificando quelli dei bambini con l’inserimento di riferimenti ad atti sessuali, così da provare le violenze. Le famiglie oggetto delle attenzioni ovviamente non erano scelte a caso, ma si puntava su quelle più semplici, povera gente insomma, perché non potesse permettersi troppi avvocati. 

La storia di Reggio Emilia ha una diretta connessione con quella di Mirandola, perché dietro ci sono lo stesso psicoterapeuta e la stessa struttura di vent’anni fa. «Hansel e Gretel», un centro di Moncalieri specializzato in abusi sui minori, e Claudio Foti, un professionista «esperto» nel far emergere i ricordi dei bambini, in particolare quelli in famiglia. Foti, oltre a guidare la onlus torinese, per 12 anni è stato giudice onorario del Tribunale dei minori. Ma per i magistrati di Reggio che ne hanno disposto l’arresto, lui e la sua compagna suggerivano ai piccoli che cosa dire e che cosa ricordare, costruendo violenze mai esistite. 

Lo facevano per soldi, secondo l’accusa, facendosi pagare per servizi di cui non c’era bisogno. Ma forse lo facevano anche per motivi ideologici. Negli atti giudiziari vengono a galla problemi personali di una delle assistenti sociali, «una rabbia repressa sfociata poi negli atteggiamenti sui minori», ma anche le tendenze sessuali di un’altra esperta: omosessuale che guarda caso affidò i bambini strappati ai genitori a una coppia omosessuale. 

No, quella scoperta a Reggio Emilia non è una storia da liquidare come un caso di cronaca nera, una brutta faccenda che casualmente ha colpito i bambini. È qualche cosa di più: un sistema. Portato avanti per anni con la complicità di amministratori pubblici, dirigenti dell’Asl, funzionari nell’Emilia felix. Un sistema che ha distrutto numerose famiglie. Famiglie normali. Come la vostra. 
Rif: https://www.panorama.it/news/cronaca/scandalo-affidi-reggio-emilia-business-bambini/

Affidamenti illeciti di minori, 16 arresti a Reggio Emilia: “Lavaggio del cervello e impulsi elettrici ai bimbi”

Affidamenti illeciti di minori, 16 arresti a Reggio Emilia: “Lavaggio del cervello e impulsi elettrici ai bimbi”

Documenti falsi, sedute per suggestionare i piccoli e altre accuse nei confronti di medici, assistenti sociali liberi professionisti, psicologi e psicoterapeuti della onlus di Torino Hansel&Gretel. Sedici persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare chiesta e ottenuta dalla procura di Reggio e 26 indagati. Secondo le accuse i bambini sarebbero stati suggestionati anche con l’uso di impulsi elettrici, spacciati ai piccoli come “macchinetta dei ricordi”, un sistema che in realtà avrebbe “alterato lo stato della memoria in prossimità dei colloqui giudiziari”

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/27/reggio-emilia-arrestato-sindaco-pd-di-bibbiano-affidamenti-illeciti-di-minori/5285202/

Inchiesta bimbi in affido, ispettori al tribunale dei minori di Bologna „nchiesta bimbi in affido, ispettori al tribunale dei minori di Bologna“

Inchiesta bimbi in affido, ispettori al tribunale dei minori di Bologna

Gli ispettori del ministero della Giustizia sono dalla mattinata di oggi nel Tribunale dei Minori di Bologna e più tardi saranno in Procura a Reggio Emilia. Lo annuncia lo stesso Guardasigilli, Alfonso Bonafede, rispondendo ad un’interrogazione della deputata reggiana di Forza Italia Benedetta Fiorini sulla vicenda degli affidi illeciti di minorenni, attraverso i servizi sociali, nei Comuni della val d’Enza.

Bonafede commenta le prime risultanze investigative emerse che prospettano, se confermate, l’esistenza di una “inquietante rete criminosa ordita in danno a malcapitati minorenni, sottoposti a veri e propri trattamenti coattivi, facendo finanche ricorso a dispositivi ad impulsi elettromagnetici”.

Tuttavia, prosegue il ministro, “le questioni sollevate investono solo in parte lo spettro delle competenze del ministero. In concreto i magistrati ricevono periodicamente relazioni sulla situazione dei minori dati in affidamento. Le competenze del ministero sono quelle di verificare che i magistrati facciano il loro lavoro come si deve e a questo proposito da questa mattina gli ispettori del mio ministero si sono recati presso il tribunale dei minorenni di Bologna e la Procura di Reggio Emilia per verificare la correttezza dell’operato giudiziario in sede di affidamento dei minori”.

Affidi Reggio, “Così hanno trattato la piccola Anna, chiederemo revoca adozione”

Quello “che possiamo fare- aggiunge Bonafede- e che stiamo già ipotizzando è di incrociare tutti i dati che arrivano dai diversi uffici giudiziari per verificare in maniera più stringente l’andamento delle situazione degli affidi di minori nei territori e individuare prima e meglio le criticità”.

Nella discussione interviene anche il deputato e coordinatore emiliano-romagnolo di Forza Italia Galeazzo Bignami, sottolineando: “Nella vicenda ci sono ragioni economiche ma anche ideologiche. Non e’ un caso che i fatti siano avvenuti in un territorio che da 75 anni non conosce alternanza e dove c’era già stata l’inchiesta ‘Veleno’ che aveva dimostrato i limiti dei servizi sociali di quei Comuni”. Prosegue Bignami: “Non esiste un modello emiliano-romagnolo a guida Pd di efficienza del sistema sociale ed è una vergogna che il sindaco sia ancora lì nonostante gli arresti domiciliari e che il Pd non abbia speso una parola per le vittime degli abusi ma solo per il sindaco”. Secondo Bignami, “è in atto in Emilia-Romagna un’aggressione sistematica nei confronti dell’istituto della famiglia. E il Pd, invece di chiedere la costituzione di parte civile poteva spiegare perché ha reso potenti queste organizzazioni (come la onlus torinese Hansel&Gretel che secondo l’accusa collaborava con i servizi, ndr) foraggiandole e rendendo possibile quello che hanno fatto”.

Rif:http://www.bolognatoday.it/cronaca/minori-affido-scandalo-ispettori.html

Bambini “strappati” alle famiglie. Lo scandalo di Bibbiano e il ruolo degli psicologi

bibbiano scandalo 

Suggestionare un bambino, fargli credere quello che non c’è, non è poi così difficile, per questo se fosse vero, i colpevoli devono pagare amaramente: non si può perdere la fiducia in chi fa questo mestiere

È diventata in un attimo virale la notizia di tanti bambini strappati alle loro famiglie ricorrendo a escamotage illeciti, messi in atto da operatori dei servizi sociali. È quanto viene riportato dai giornali in seguito ad un’indagine svolta nel comune di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, che vede indagati psicologi, un sindaco, operatori socio-sanitari e amministratori pubblici. Sembra che siano coinvolti svariati nuclei familiari più fragili, in carico ai servizi sociali, che hanno perso la potestà genitoriale dei propri figli, dati poi in affido ad altre famiglie del territorio.

La notizia ha richiamato alla mente anche lo scandalo portato alla luce da Pablo Trincia con Veleno, che riporta una vicenda giudiziaria risalente alla fine degli anni Novanta, avvenuta in due paesi della Bassa Modenese, che ha distrutto intere famiglie: sedici bambini furono allontanati dai loro genitori, accusati di far parte di una setta di satanisti pedofili.

Nell’inchiesta Veleno sono emersi molti dubbi sul ruolo svolto da assistenti sociali, psicologi e ginecologi durante le indagini, criticandone i metodi di intervento. In un post pubblicato recentemente da Pablo Trincia, l’autore dichiara che il Centro Hansel e Gretel di Torino, il cui responsabile,Claudio Foti, è stato attualmente arrestato per lo scandalo di Bibbiano, è lo stesso da cui provenivano le psicologhe che hanno interrogato i bambini di Veleno.

È vero che fino al terzo grado di giudizio, tutti gli indagati sono innocenti, ma i filmati degli incontri delle psicologhe con le supposte vittime, pubblicati da Veleno su Repubblica.it, che ho visto anche con i miei occhi, sollevano molti dubbi in merito alle modalità con cui sono stati svolti i colloqui e indotti i ricordi. Molti dubbi significa che non sono quelle le modalità corrette con cui effettuare i colloqui con i bambini.

Adesso, invece, in quella che sembra la seconda terribile puntata di Veleno, l’indagine è partita dalla constatazione che, in un arco di tempo relativamente breve, i bambini allontanati dalle famiglie siano stati molto più numerosi di quanto avviene in tutti gli altri territori della nazione. E’ emersa, così, dalle indagini e da ciò che si apprende dai giornali, una realtà a dir poco sconcertante: documenti falsi, relazioni stese ad hoc per fare apparire i genitori inadeguati e, in alcuni casi, disegni modificati con l’intento di far ritenere i piccoli vittime di abusi sessuali in famiglia.

Dietro tutto questo, sembra ci sia un business illecito che ammonterebbe a centinaia di migliaia di euro. I reati contestati ad assistenti sociali, psicologi, psicoterapeuti, educatori ed operatori sono molto gravi: parliamo di abuso d’ufficio, maltrattamento su minori, depistaggio, violenza privata, peculato e lesioni. Dalle indagini è emerso un sovraffollamento di allontanamenti famigliari, con l’affido conseguente a questi allontanamenti, spinto da un giro di denaro legato a consulenze, interventi e tutto ciò che può essere legato alla tutela dei minori.

Ha fatto scalpore tutto questo e ha avuto una risonanza mediatica e social non indifferente, diventando anche un caso politico. I media hanno messo in prima pagina parole come “elettroshock” e “lavaggio del cervello” da parte di psicoterapeuti. Titoli allarmistici che generano indignazione e ribrezzo e che mettono però, nel contempo, dentro il tritacarne mediatico e social la categoria degli psicologi e degli psicoterapeuti.

È implicito che tutti coloro che risultano essersi mossi in funzione di interessi personali, e non della tutela del minore, a mio parere, debbano essere radiati dall’albo per il rispetto di chi lavora onestamente e in funzione dei più fragili, e la magistratura non deve avere nessun dubbio e intervenire nel modo più duro possibile.

Se dovesse essere dimostrato che hanno sfruttato strumenti clinici per un arricchimento personale, per alimentare traumi e sofferenze e non per garantire il benessere dei più piccoli e dei più indifesi, obiettivo principale degli psicoterapeuti dell’età evolutiva, dovranno seriamente pagare in nome delle famiglie che hanno distrutto e dei minori a cui hanno causato i danni. Qui non è un problema della categoria, come purtroppo rischia di passare, ma relativo alle singole persone coinvolte che hanno sfruttato il proprio ruolo a fini personali e a discapito degli altri. Per questo motivo, è importante che non venga infangato il nome di chi si prodiga ogni giorno per la tutela dei minori.

Che sia un sistema da rivedere, soprattutto quello degli allontanamenti dal nucleo familiare e degli affidi, è un dato di fattoTroppe volte ci sono situazioni che avrebbero bisogno di maggior approfondimento: vengono prese decisioni troppo affrettate o troppo superficiali mentre, quando si tratta della vita e del futuro dei minori, dovrebbe entrare in campo il personale più competente in settore e lavorare decretando i giusti approfondimenti.

Il colloquio con il minore quando c’è un sospetto di abuso 

È un terreno molto delicato quello in cui ci muoviamo, soprattutto quando si parla di minori e abusi sessuali. È un lavoro carico di responsabilità e di sofferenza perché vi assicuro, da esperta in psicodiagnostica clinica e giuridico-peritale e da psicoterapeuta anche dell’età evolutiva, che toccare con mano quei disegni, vedere specifiche immagini, sentire determinati racconti o guardare determinati giochi, non è facile, perché noi  conosciamo il peso che quel bambino si porterà dentro e i segni che tutto questo lascerà.

Non è facile prendere la decisione di allontanare un minore dalla famiglia, considerando che lui non ha ancora la percezione di ciò che sta accadendo realmente, quelli per lui sono i suoi genitori, nel bene e nel male, sono suo padre o sua madre. Spesso i bambini si autoaccusano, pensano di essere loro la causa, di aver generato il problema, pur di non attaccare le figure di accudimento. Altre volte sono forzati a parlare, sono strumentalizzati dai genitori, sono “messi in mezzo” e noi dobbiamo filtrare e tirar fuori ciò che realmente è successo attraverso i nostri strumenti.

Suggestionare un bambino, fargli credere quello che non c’è, non è poi così difficile, per questo se fosse vero, i colpevoli devono pagare amaramente: non si può perdere la fiducia in chi fa questo mestiere.

Quando si svolge un colloquio con un minore NON bisogna mai e poi mai indurre le risposte, attraverso domande e modalità induttive, perché si rischia di portare quel minore a dirci quello che noi ci aspettiamo. Non gli si può dire per esempio: “quindi tu mi hai detto questo…”. Infatti, quando facciamo due volte la stessa domanda o mettiamo in dubbio ciò che il nostro interlocutore sta dicendo, anche un adulto rischia di confondersi, figuriamoci un bambino. Si rischia di alterare i suoi ricordi, le sue certezze e di indurlo a colludere con le aspettative del suo intervistatore.

Ricordiamoci che sono sempre i minori a pagarne le conseguenze peggiori.  Anche in tante occasioni sono stati commessi svariati errori a discapito delle famiglie o dell’uno o dell’altro genitore. Per questo si deve investire maggiormente su professionisti competenti e sulla valutazione del loro operato. Ci sono poche strutture, poco personale e poco monitoraggio. Stiamo parlando di minori, di famiglie, di traumi e del loro futuro.

L’allontanamento del minore dalla famiglia 

Ai servizi competono compiti di prevenzione e di cura, finalizzati al benessere delle persone, da realizzare con specifici trattamenti, effettuati sulla base del consenso degli interessati.

Quando si allontana un minore dalla famiglia di origine, dovrebbero essere state effettuate tutte le procedure necessarie e prese tutte le precauzioni del caso, compresa una perizia in grado di valutare l’idoneità e le competenze genitoriali. L’allontanamento dei minorenni dalle loro famiglie può verificarsi qualora sia messo a rischio il benessere del bambino. La valutazione diagnostica e prognostica viene realizzata con gli strumenti e i protocolli basati su fondamenti clinici e scientifici, e deve essere multidimensionale e tener conto delle caratteristiche individuali del minore e di tutti i fattori individuali, ambientali, relazionali e sociali.

Per un bambino, staccarsi dal nucleo familiare richiede, innanzitutto, una comprensione e accettazione di una decisione imposta e poi, uno sforzo adattivo enorme per ricreare un clima di fiducia e un legame con altre persone, che per il minore diventano i suoi genitori solo sulla carta, non di fatto. Per ricostruire un clima familiare, ci vuole tanto tempo e si dovrebbe ricreare un ambiente basato su una profonda interazione e responsività dei genitori ai bisogni fisici ed emotivi del piccolo. La stabilità, ingrediente fondamentale per crescere bene, viene a mancare e, spesso, abbiamo davanti bambini che hanno difficoltà nella strutturazione di un’identità ben definita, e tante volte, anche dal punto di vista relazionale.

Il gioco e i disegni per comunicare che si è subito un abuso sessuale

Quando si parla di abuso e in particolar modo di abuso sessuale che coinvolge bambini piccoli, ci muoviamo su un terreno molto delicato in cui bisogna sapersi muovere per evitare di fare più danni.

Purtroppo sono ancora tanti i casi sommersi. Alcuni emergono durante le terapie, altri vengono raccontati attraverso i sogni, nei giochi e nei disegni. Il problema è legato al fatto che spesso il bambino subisce questa forma di abuso quando ancora è troppo piccolo e non ha sviluppato le competenze linguistiche tali da poter descrivere in maniera appropriata ciò che ha vissuto. Per questa ragione, bisogna stare attenti alle comunicazioni indirette, al linguaggio non verbale, quello del corpo, al contenuto dei disegni e dei giochi di fantasia: il genitore deve imparare a riconoscere i segnali che il piccolo manifesta.

Spesso nei disegni, nei giochi, o nei racconti dei bambini, possono emergere contenuti sessuali e la presenza di situazioni di violazione del corpo più o meno manifesti. Anche il gioco è un altro mezzo di comunicazione fondamentale. Per esempio, bisogna fare attenzione all’atteggiamento che ha il bambino mentre gioca e alle sue reazioni emotive come la rabbia nei confronti di un determinato personaggio e la tipologia di gioco che fa. È più facile per i bambini usare il canale comunicativo dei disegni e del gioco perché, o non hanno ancora sviluppato le competenze linguistiche idonee per raccontare ciò che è successo o hanno difficoltà ad affrontare direttamente gli adulti per paura, perché si sentono in colpa o vivono profondi sentimenti di vergogna.

Spesso la vittima è costretta da colui che lo abusa a mantenere il segreto, come se fosse una cosa privata. Ci possono essere anche minacce e ritorsioni da parte dell’adulto o subdoli giochi psichici facilmente applicabili vista l’ingenuità dei bambini o l’attivazione di sensi di colpa nei confronti dei genitori, come per esempio il ripetergli frasi del tipo “dico a tua madre o padre che sei stato cattivo”.

Il bambino spesso si sente in un certo senso colpevole di ciò che è accaduto e si chiude nel suo silenzio. Si vergogna profondamente e non riesce ad esprimere ciò che ha dentro in maniera diretta, logorandosi da un punto di vista emotivo.

Perché sfruttare i social per interessi personali esponendo i bambini al web?

Oggi poi, viene condiviso tutto nel web, viene buttato tutto in un tritacarne mediatico, nel tribunale dei social network che alimenta fake news, rabbia e disgusto. Il problema è che pur di far notizia schiacciamo pure i diritti dei minori e di tutte le vittime. Io credo che non si possono buttare in pasto ai social le immagini di bambini allontanati dalle famiglie o i nomi delle persone coinvolte, soprattutto quando non viene tutelata l’infanzia e i suoi diritti, la privacy e non si espongono correttamente tutti i fatti. In generale, non concepisco che per raccogliere un po’ di like in più, per ottenere viralità, politici, giornalisti e opinionisti vari,  usino i minori, le loro immagini, i loro video e sfruttino le tragedie familiari.

I bambini crescono e le immagini rimangono e nessuno un domani li potrà tutelare da tutto ciò che quei post scatenano. I minori non vogliono che tutti sappiano, lo sento direttamente da chi subisce violenze e abusi e ha paura di finire sui giornali e sui social. In più si rischia di far sputare fango da parte del popolo del web su psicoterapeuti, psicologi, educatori e assistenti sociali, dimenticando che la maggior parte di noi svolge in silenzio e in maniera nobile il proprio mestiere: non è corretto che professionisti seri vengano insultati per colpa di persone che, qualora venga accertato il loro coinvolgimento, pagheranno per i reati commessi e per la condotta deplorevole.  

Rif:https://www.agi.it/blog-italia/salute/bibbiano_scandalo-5858794/post/2019-07-17/

La denuncia di un ex giudice: “39 mila bambini sottratti alle famiglie, un business”

La denuncia di un ex giudice: “39 mila bambini sottratti alle famiglie, un business”

Li chiamano affidi, ma troppo spesso sono uno scippo

Il caso dei bambini illecitamente sottratti alle famiglie a Bibbiano è probabilmente la punta di un iceberg. Emerge un vero e proprio giro d’affari che arricchisce associazioni no profit, cooperative, sociologi,  assistenti sociali, psicologi e “giudici onorari”.   Il Desk.it ripubblica l’intervista a Francesco Morcavallo, ex-giudice del tribunale dei minori di Bologna concessa al settimanale ‘Panorama’ lo scorso 27 Giugno scorso. Una pesante denuncia sulla cricca affaristica che accumula profitti sull’affidamento dei minori. Da tempo Morcavallo denunciava la consorteria. Significativo il suo intervento in studio a Mattino 5, ospite sei anni fa di Federica Panicucci. Video dell’intervista che provvediamo a pubblicare. Il Desk.it continuerà ad  occuparsi della questione.  Vogliamo che si faccia chiarezza e subito. Deve emergere la giustizia e la verità. E si intensificano le iniziative dei cittadini, la mobilitazione di  persone comuni, senza bandiere associative, politiche o confessionali. A muoverle è la coscienza civica, il desiderio di solidarietà verso le famiglie e i bambini colpiti dagli abusi, la legittima aspirazione a che tutto il circuito  infame venga messo a nudo e giudicato. Gravissimo il silenzio, le complicità di coloro che hanno governato questo Paese negli ultimi anni. Vergognoso il silenzio di coloro che si professano di sinistra, “paladini della giustizia sociale”. Il loro 

INTERVISTA A PANORAMA

Sembra un uomo pensoso e forse triste, Francesco Morcavallo. Se davvero lo è, il motivo è una sconfitta. Perché, malgrado una battaglia durata quasi quattro anni, non è riuscito a smuovere di un millimetro quello che ritiene un «meccanismo perverso» e insieme «il più osceno business italiano»: il troppo facile affidamento di decine di migliaia di bambini e bambine all’implacabile macchina della giustizia. Dal settembre 2009 al maggio 2013 giudice presso il Tribunale dei minorenni di Bologna, Morcavallo ne ha visti tanti, di quei drammatici percorsi che iniziano con la sottrazione alle famiglie e finiscono con quello che lui definisce l’«internamento» (spesso per anni) negli istituti e nelle comunità governati dai servizi sociali. Da magistrato, Morcavallo ha combattuto una guerra anche culturale contro quello che vedeva intorno a sé. Ha tentato di correggere comportamenti scorretti, ha cercato di contrastare incredibili conflitti d’interesse. Ha anche denunciato abusi e qualche illecito. È stato a sua volta colpito da esposti, e ne è uscito illeso, ma poi non ce l’ha fatta e ha cambiato strada: a 34 anni ha lasciato la toga e da pochi mesi fa l’avvocato a Roma, nello studio paterno. Si occupa di società e successioni. E anche di diritto della famiglia, la sua passione.

Dottor Morcavallo, quanti sono in un anno gli allontanamenti decisi da un tribunale dei minori «medio», come quello di Bologna? Sono decine, centinaia? 

Sono migliaia. Ma la verità è che nessuno sa davvero quanti siano, in nessuna parte d’Italia. Lo studio più recente, forse anche l’unico in materia, è del 2010: il ministero del Lavoro e delle politiche sociali calcolava che al 31 dicembre di quell’anno i bambini e i ragazzi portati via dalle famiglie fossero in totale 39.698. Solo in Emilia erano 3.599. Ma la statistica ministeriale è molto inferiore al vero; io credo che un numero realistico superi i 50 mila casi. E che prevalga l’abbandono.

L’abbandono?

Quando arrivai a Bologna, nel 2009, c’erano circa 25 mila procedimenti aperti, moltissimi da tanti, troppi anni. Trovai un fascicolo che risaliva addirittura al 1979: paradossalmente si riferiva a un mio coetaneo, evidentemente affidato ancora in fasce ai servizi sociali e poi «seguito» fino alla maggiore età, senza interruzione. Il fascicolo era ancora lì, nessuno l’aveva mai chiuso.

E che cos’altro trovò, al Tribunale di Bologna?

Noi giudici togati eravamo in sette, compreso il presidente Maurizio Millo. Poi c’erano 28-30 giudici onorari: psicologi, medici, sociologi, assistenti sociali.

Come si svolgeva il lavoro?

I collegi giudicanti, come previsto dalla legge, avrebbero dovuto essere formati da due togati e da due onorari: scelti in modo automatico, con logiche neutrali, prestabilite. Invece regnava un’apparente confusione. Il risultato era che i collegi si componevano «a geometria variabile». Con un solo obiettivo.

Cioè?

In aula si riuniva una decina di giudici, che trattavano i vari casi; di volta in volta i quattro «decisori» che avrebbero poi dovuto firmare l’ordinanza venivano scelti per cooptazione, esclusivamente sulla base delle opinioni manifestate. Insomma, tutto era organizzato in modo da fare prevalere l’impostazione dei servizi sociali, sempre e inevitabilmente favorevoli all’allontanamento del minore.

E lei che cosa fece?

Iniziai da subito a scontrarmi con molti colleghi e soprattutto con il presidente Millo. Le nostre impostazioni erano troppo diverse: io sono sempre stato convinto che l’interesse del minore debba prevalere, e che il suo restare in famiglia, là dov’è possibile, coincida con questo interesse. È la linea «meno invasiva», la stessa seguita dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Gli altri giudici avevano idee diverse dalle sue? 

Sì. Erano per l’allontanamento, quasi sempre. Soltanto un collega anziano la vedeva come me: Guido Stanzani. Era magistrato dal 1970, un uomo onesto e serio. E anche qualche giudice onorario condivideva il nostro impegno: in particolare lo psicologo Mauro Imparato.

Che cosa accadeva? Come si aprivano i procedimenti?

Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di allontanamenti dalle famiglie per motivi economici o perché i genitori venivano ritenuti «inadeguati».

Che cosa vuol dire «inadeguato»?

Basta che arrivi una segnalazione dei servizi sociali; basta che uno psicologo stabilisca che i genitori siano «troppo concentrati su se stessi». In molti casi, è evidente, si tratta di vicende strumentali, che partono da separazioni conflittuali. Il problema è che tutti gli atti del tribunale sono inappellabili.

Perché?

Perché si tratta di provvedimenti formalmente «provvisori». L’allontanamento dalla famiglia, per esempio, è per sua natura un atto provvisorio. Così, anche se dura anni, per legge non può essere oggetto di una richiesta d’appello. Insomma non ci si può opporre; nemmeno il migliore avvocato può farci nulla.

Tra le cause di allontanamento, però, ci sono anche le denunce di abusi sessuali in famiglia. In quei casi non è bene usare ogni possibile cautela?

Dove si trattava di presunte violenze, una quota comunque inferiore al 5 per cento, io a Bologna ho visto che molti casi si aprivano irritualmente a causa di lettere anonime. Era il classico vicino che scriveva: attenzione, in quella casa molestano i figli. Non c’era nessuna prova. Ma i servizi sociali segnalavano e il tribunale allontanava. Un arbitrio e un abuso grave, perché una denuncia anonima dovrebbe essere cestinata. Invece bastava a giustificare l’affido. Del resto, se si pensa che molti giudici onorari erano e sono in conflitto d’interesse, c’è di che capirne il perché.

Che cosa intende dire?

Chi sono i giudici onorari? Sono psicologi, sociologi, medici, assistenti sociali. Che spesso hanno fondato istituti. E a volte addirittura le stesse case d’affido che prendono in carico i bambini sottratti alle famiglie, e proprio per un’ordinanza cui hanno partecipato.

Possibile?

A Bologna mi trovai in udienza un giudice onorario che era lì, contemporaneamente, anche come «tutore» del minore sul cui affidamento dovevamo giudicare.

Ma sono retribuiti, i giudici onorari?

Sì. Un tanto per un’udienza, un tanto per ogni atto. Insisto: certi fanno 20-30 udienze a settimana e incassano le parcelle del tribunale, ma intanto lavorano anche per gli istituti, le cooperative che accolgono i minori. È un business osceno e ricco, perché quasi sempre bambini e ragazzi vengono  affidati ai centri per mesi, spesso per anni. E le rette a volte sono elevate: ci sono comuni e aziende sanitarie locali che pagano da 200 a oltre 400 euro al giorno. Diciamo che il business è alimentato da chi ha tutto l’interesse che cresca.

È una denuncia grave.  Il fenomeno è così diffuso? Possibile che siano tutti interessati, i giudici onorari? Che tutti i centri d’affido guardino solo al business?

Ma no, certo. Anche in questo settore c’è il cattivo e c’è il buono, anzi l’ottimo. Ovviamente c’è chi lavora in modo disinteressato. Però il fenomeno si alimenta allo stesso modo per tutti. I tribunali dei minori non scelgono dove collocare i minori sottratti alle famiglie, ma guarda caso quella scelta spetta ai servizi sociali. Comunque la crescita esponenziale degli affidi e delle rette è uguale per i buoni come per i cattivi. E c’è chi ci guadagna.

Per lei sono più numerosi gli istituti buoni o i cattivi?

Non lo so. A mio modo di vedere, buoni sono quelli che favoriscono il contatto tra bambini e famiglie. Ce ne sono alcuni. Io ne conosco 2 o 3.

Ma, scusi: i giudici onorari chi li nomina?

Il diretto interessato presenta la domanda, il tribunale dei minori l’approva, il Consiglio superiore della magistratura ratifica.

E nessuno segnala i conflitti d’interessi? Nessuno li blocca?

Dovrebbero farlo, per legge, i presidenti dei tribunali dei minori. Potrebbe farlo il Csm. Invece non accade mai nulla. L’associazione Finalmente liberi, cui ho aderito, è tra le poche che hanno deciso d’indagare e lo sta facendo su vasta scala. Sono stati individuati finora un centinaio di giudici onorari in evidente conflitto d’interessi. Li denunceremo. Vedremo se qualcuno ci seguirà.

Quanto può valere quello che lei chiama «business osceno»? 

Difficile dirlo, nessuno controlla. In Italia non esiste nemmeno un registro degli affidati, come accade in quasi tutti i paesi occidentali.

Ipotizzi lei una stima.

Sono almeno 50 mila i minori affidati: credo costino 1,5 miliardi l’anno. Forse di più.

Torniamo a Bologna. Nel gennaio 2011 accadde un fatto grave: un neonato morì in piazza Grande. Fu lì che esplose il conflitto fra lei e il presidente del tribunale dei minori. Come andò?

La madre aveva partorito due gemelli dieci giorni prima. Uno dei due morì perché esposto al freddo. Che cosa era successo? In realtà la famiglia, dichiarata indigente, aveva altri due bambini più grandi, entrambi affidati ai servizi sociali. Il caso finì sulla mia scrivania. Indagai e mi convinsi che quella morte era dovuta alla disperazione. I genitori avevano una casa, contrariamente a quel che avevano scritto i giornali, ma ne scapparono perché terrorizzati dalla prospettiva che anche i due neonati fossero loro sottratti.

E a quel punto che cosa accadde?

Il presidente Millo mi chiamò. Disse: convochiamo subito il collegio e sospendiamo la patria potestà. Risposi: vediamo, prima, che cosa decide il collegio. Millo avocò a sé il procedimento, un atto non previsto da nessuna norma. Allora presentai un esposto al Csm, denunciando tutte le anomalie che avevo visto. E Stanzani un mese dopo fece un altro esposto. Ne seguirono uno di Imparato e uno degli avvocati familiaristi emiliani.

Fu allora che si scatenò il contrasto?

Sì. Fui raggiunto da un provvedimento cautelare disciplinare del Csm. Venni accusato di avere detto che nel Tribunale dei minori di Bologna si amministrava una giustizia più adatta alla Corea del Nord, di avere denigrato il presidente Millo. Fui trasferito a Modena, come giudice del lavoro. Venne trasferito anche Stanzani, mentre Imparato fu emarginato. Nel dicembre 2011, però, la Cassazione a sezioni unite annullò quella decisione criticando duramente il Csm perché non aveva ascoltato le mie ragioni, né aveva dato seguito alle mie denunce.

Così lei tornò a Bologna?

Sì. Ma per i ritardi del Csm, anch’essi illegittimi, il rientro avvenne solo il 18 settembre 2012. Millo nel frattempo era andato via, ma non era cambiato gran che. Fui messo a trattare i casi più vecchi: pendenze che risalivano al 2009. Fui escluso da ogni nuovo procedimento di adottabilità. Capii allora perché un magistratro della procura generale della Cassazione qualche mese prima mi aveva suggerito di smetterla, che stavo dando troppo fastidio a gente che avrebbe potuto farmi desistere con mezzi potenti.

Sta dicendo che fu minacciato?          

Mettiamola così: ero stato caldamente invitato a non rompere più le scatole. Capii che era tutto inutile, che il muro non cadeva. Intanto, in marzo, Stanzani era morto. Decisi di abbandonare la magistratura.

E ora?

Ora faccio l’avvocato. Ma lavoro da fuori perché le cose cambino. Parlo a convegni, scrivo, faccio domande indiscrete.

Che cosa chiede?

Per esempio che i magistrati delle procure presso i tribunali dei minori vadano a controllare i centri d’affido: non lo fanno mai, ma è un vero peccato perché troverebbero sicuramente molte sorprese. Chiedo anche che il Garante nazionale dell’infanzia mostri più coraggio, che usi le competenze che erroneamente ritiene di non avere, che indaghi. Qualcuno dovrà pur farlo. È uno scandalo tutto italiano: va scoperchiato.

rif: https://www.ildesk.it/attualita/la-denuncia-di-un-ex-giudice-39-mila-bambini-sottratti-alle-famiglie-un-business/