Gratteri e la corruzione in magistratura: “Un 6-7% di giudici è corrotto”

Il procuratore antimafia di Catanzaro ospite di Lucia Annunziata nel programma “Mezz’ora in più” in onda su Rai3

Io parlo con tutti. Sul mio cellulare chiamano parlamentari da Fratelli d’Italia a Leu. Sono il consulente gratuito di tutti, poi fanno il contrario di quello che io dico. Però per me è normale parlare con tutti, mi posso permettere il lusso di farlo perché non ho mai chiesto nulla per me”. E’ quanto dichiarato da Nicola Gratteri a “In mezz’ora in più”, il programma id Lucia Annunziata andato in onda oggi pomeriggio su Rai3. Così il procuratore di Catanzaro ha commentato la visita di Salvini. “Lo ho conosciuto – ha aggiunto Gratteri – l’ho incontrato, abbiamo fatto due comitati nazionali per la sicurezza, è venuto a trovarmi in ufficio un paio di settimane fa”.

La corruzione in magistratura. “Il problema corruzione nella magistratura c’e’, possiamo parlare del 6-7%. E’ grave inimmaginabile, terribile. Noi guadagniamo bene. Io prendo 7200 euro e si vive bene e non c’e’ lo stato di necessita’, non e’ un padre che ruba per fare mangiare i figli. E’ un fatto di ingordigia. Il potere e’ avere incarichi o chiedere incarichi per amici degli amici”.

La prescrizione. “E’ una mediazione al ribasso perché serviva la prescrizione per costringere il legislatore ad interessarsi concretamente per modifiche procedurali al codice di procedura per velocizzare il processo senza diminuire le garanzie dell’imputato. Un Legislatore serio deve preoccuparsi del perché un fascicolo resta 4 anni in un armadio del pm. Tutte queste persone che si stanno ammazzando a gridare contro la prescrizione, perché nel mentre non presentano un’alternativa, un articolato di legge dove dimostrano concretamente che è possibile velocizzare i processi, che è possibile far funzionare la giustizia?”

Giustizia e innovazione. “E’ necessario togliere tutte le condizioni perche’ un fascicolo non rimanga piu’ fermo. Ogni bambino ha un tablet, ogni persona ha due telefoni pero’ quando chiediamo la tecnologia applicata al processo viene l’orticaria a tutti e dicono che si abbassa il livello di garanzia dell’indagato. L’informatica non abbassa la garanzia, lascia traccia. Non fa altro che aumentare le garanzie. Tecnologia vuol dire efficienza, diminuire il potere discrezionale dell’uomo, quindi diminuire l’abuso. La legge Bonafede ne esce cambiata? si certo ma la storia insegna che le cose dirompenti si fanno nei primi 6 mesi di legislatura poi qualsiasi governo man mano che va avanti ha sempre meno potere e energia”.

Rif: https://www.zoom24.it/2020/02/09/gratteri-e-la-corruzione-in-magistratura-un-6-7-di-giudici-corrotto/

La banda dei giudici corrotti: l’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

La banda dei giudici corrotti: l'inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

Sentenze vendute, elezioni annullate, depistaggi. C’è una vera e propria rete di toghe sporche al lavoro da Milano alla Sicilia

Giustizia corrotta, ai massimi livelli. Con una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della nostra democrazia. Un’inchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.

Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.

L’antefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.

L’esistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».

Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.

L’inchiesta riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.

Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.

A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.

Amara, come avvocato siciliano dell’Eni, è anche l’artefice della corruzione di un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, che in cambio di almeno 88 mila euro e vacanze di lusso a Dubai aprì una fanta-inchiesta giudiziaria ipotizzando un inesistente complotto contro l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Un depistaggio organizzato per fermare le indagini della procura di Milano sulle maxi-corruzioni dell’Eni in Nigeria e Congo. Dopo l’arresto, Longo ha patteggiato una condanna a cinque anni. Ma la sua falsa inchiesta ha raggiunto il risultato di spingere alle dimissioni gli unici consiglieri dell’Eni, Luigi Zingales e Karina Litwak, che denunciavano le corruzioni italiane in Africa.

Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. Giuseppe Mineo è un docente universitario nominato giudice del Consiglio siciliano dalla giunta dell’ex governatore Lombardo. Nel 2016 vuole ascendere al Consiglio di Stato. A trovargli appoggio politico sono gli avvocati Amara e Calafiore, che versano 300 mila euro al senatore Denis Verdini, che invece nega tutto. L’ex ministro Luca Lotti però conferma che proprio Verdini gli chiese di inserire Mineo tra le nomine decise dal governo Renzi. Alla fine il giudice raccomandato perde la poltrona solo perché risulta sotto processo disciplinare per troppi ritardi nelle sue sentenze siciliane.

Tra i legali ora indagati c’è un altro illustre avvocato, Stefano Vinti, accusato di aver favorito un suo cliente, l’imprenditore Alfredo Romeo, con una tangente mascherata da incarico legale: un “arbitrato libero” (un costoso verdetto privato) affidato guarda caso al padre del solito Russo. Proprio lui, l’ex giudice che sta cercando di usare lo squadrone delle toghe sporche, ancora ignote, per fermare i magistrati anti-corruzione.

rif: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/02/18/news/giudici-corrotti-1.331753https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/02/18/news/giudici-corrotti-1.331753

l verbale “esplosivo” di Mantella e i cinque giudici ‘corrotti’: “Così si aggiustavano i processi”

 pentito vibonese chiama in causa avvocati, periti e “toghe sporche” del distretto di Catanzaro in un clamoroso interrogatorio davanti ai pm di Salerno

Avvocati, periti, professionisti ma soprattutto magistrati. Cinque magistrati del distretto di Catanzaro “amici” dei clan ai quali i boss di mezza Calabria si sarebbero rivolti per “aggiustare” o quanto meno “addolcire” i processi e aprire le porte del carcere. Sono clamorose le dichiarazioni messe a verbale lo scorso 4 aprile davanti ai sostituti procuratori della Dda di Salerno Vincenzo Senatore e Silvio Marco Guarriello da Andrea Mantella, il boss scissionista della ‘ndrangheta vibonese, oggi collaboratore di giustizia. Una sorta di Buscetta di Calabria che parla e fa tremare non solo i “colletti bianchi” ma adesso anche le “toghe sporche”. Un racconto che va oltre “Genesi”, l’inchiesta che ha svelato la corruzione che si annidava tra le stanze del Tribunale di Catanzaro.

Il “sistema”. Il pentito racconta agli inquirenti salernitani la strategia adottata per alleggerire condanne all’ergastolo o ribaltare processi andati male in primo grado. Al centro di tutto c’erano alcuni avvocati. “Il sistema è questo praticamente si impegna una persona distinta, un professionista che si mette a disposizione attraverso diciamo delle grosse somme di denaro e tocca solo a quel funzionario, di mettere a posto se c’è da mettere qualcosa”. Mantella chiama in causa i Grande Araci che gli avrebbero svelato in carcere il meccanismo per aggiustare i processi con “fiumi di denaro” e facendo cadere le “accuse di maggiore gravità”. “La tattica, il sistema è questo: qualche Cartier, qualche Rolex e alla fine… un pò di pazienza e ce la fai a uscire dal carcere. Tutti i miei episodi sono stati – precisa Mantella – denaro in contante”. In un caso – sostiene – avrebbe consegnato persino 70mila euro cash al proprio legale per “addolcire” (cioè fare cambiare un’opinione negativa) il giudice.

Il giudice socio di un boss. Il verbale shock firmato da Mantella è coperto da una lunga serie di omissis ma quanto svelato preannuncia un terremoto giudiziario dalle proporzioni bibliche. Il pentito racconta anche episodi specifici. Uno in particolare riguarda i clan di Lamezia Terme e, in particolare, i Giampà: “Pasquale Giampà detto Tranganiello – dichiara Mantella – era un massone e aveva come socio un magistrato nel settore dell’edilizia. Da questo giudice ho ottenuto un beneficio in un processo nel quale con la contestazione di omicidio premeditato ottenni in primo grado una pena di 14 anni ridotti a 12 anni in appello. I miei familiari mi avvertirono che avevano speso un patrimonio e mi fecero capire che potevo stare tranquillo per la sentenza che sarebbe stata di condanna a una pena meno grave, il che avvenne nel senso che fu eliminata l’aggravante della premeditazione”

rif:https://www.zoom24.it/2020/02/09/il-verbale-esplosivo-di-mantella-e-i-cinque-giudici-corrotti-cosi-si-aggiustavano-i-processi/

Avvocato e Giudice arrestati, puntavano a fare i soldi con i fallimenti

“Vedi che possiamo arrivare dappertutto se ci mettiamo, grazie a uno e grazie all’altro, ci arriviamo sempre dove vogliamo arrivare”. E’ il 9 ottobre scorso e Mauro Bertoldi in una conversazione intercettata con la collega di studio, Nicoletta Pompei, finita come lui ai domiciliari per corruzione e traffico illecito di influenze si compiace dell’obiettivo raggiunto. Sono soprattutto i fallimenti (“lì si guadagnano i soldi con la motopala”) a interessare l’avvocato tuderte, finito nell’inchiesta dei carabinieri di Todi che hanno indagato un giudice di Spoleto. Intanto il legale di Bertoldi, l’avvocato Luca Maori, respinge qualsiasi accusa. Dalle intercettazioni insomma sembra che le mire del legale originario di Todi, Mauro Bertoldi iscritto all’albo dal 2018, siano abbastanza chiare. Ma intanto, oltre a farsi inserire nelle liste dei delegati alle vendite anche “se egli stesso afferma di non essere particolarmente qualificato” cerca favori anche per la causa che vuole intentare contro l’assicurazione per la morte del fratello, deceduto per un infortunio sul lavoro a fine 2018. L’inchiesta dei carabinieri di Todi, del maggiore Luigi Salvati Tanagro, inizia lì: per quella morte qualcosa non torna e allora scattano degli accertamenti.

rif:https://corrieredellumbria.corr.it/news/home/1357123/avvocato-arresti-domiciliari-giudice-fallimenti-soldi-giustizia-indagini-.html

I DOMICILIARI 2 AVVOCATI DI PERUGIA E INDAGATO UN GIUDICE DI SPOLETO

AI DOMICILIARI 2 AVVOCATI DI PERUGIA E INDAGATO UN GIUDICE DI SPOLETO

Due avvocati di Perugia si trovano agli arresti domiciliari  e un giudice civile del Tribunale di Spoleto risulta indagato nell’ambito di una indagine condotta dalla procura di Firenze che ne ha chiesto la sospensione interdittiva dalla funzione.

I due avvocati , un uomo di 40 anni e una donna di 37, dello stesso studio legale, sono accusati di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio e per traffico di influenze illecite. Il giudice indagato è legato sentimentalmente all’avvocatessa. E’ accusato di aver messo a disposizione poteri e funzione  compiendo atti contrari ai doveri di ufficio affinché venissero, fra le altre cose,  dati incarichi di delegato alle vendite in procedure di esecuzioni immobiliari al legale socio di studio della fidanzata.

rif:http://www.terninrete.it/notizie-di-terni-ai-domiciliari-2-avvocati-di-perugia-e-indagato-un-giudice-di-spoleto/

Corruzione, giudici e funzionari pilotavano sentenze: altri sette arresti

Corruzione, giudici e funzionari pilotavano sentenze: altri sette  arresti


SALERNO
 – Una mazzetta da 10 mila euro per aggiustare una sentenza su un ricorso da 35 milioni di euro presentato da un imprenditore dell’Agro nocerino sarnese. E’ quanto emerge dall’inchiesta “Ground zero 2” che ha portato in manette sette persone tra giudici tributari e imprenditori delle province di Avellino e Salerno. E’ il prosieguo di una precedente inchiesta che aveva portato agli arresti 14 persone sempre per corruzione in atti giudiziari nell’ambito delle indagini sulla Commissione Tributaria di Salerno. Alcuni indagati, arrestati precedentemente, hanno svelato ulteriori episodi di corruzione.

L’iter di ulteriori dieci sentenze di secondo grado pronunciate dalla Commissione Tributaria Regionale Sezione distaccata di Salerno, risulterebbe essere stato pilotato in cambio di denaro. Tra gli arrestati un professionista di Avellino il quale, dopo aver ricoperto per anni l’incarico di giudice tributario a Salerno, da settembre dello scorso anno fa parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. I fatti a lui contestati, concorso in cinque episodi di corruzione in atti giudiziari, sono stati commessi non in qualità di giudice tributario o consigliere, ma come intermediario corruttore che operava avvalendosi della conoscenza diretta del personale amministrativo e dei giudici tributari di Salerno.

Tra gli arrestati compaiono anche un giudice tributario non togato, un segretario della Commissione Tributaria Provinciale, un produttore televisivo dell’Avellinese, altre quattro persone, tra cui imprenditori e commercialisti della provincia. Tra i capi di accusa vi sono la cancellazione di un debito con l’Erario di oltre 35 milioni di euro ottenuto da una società di Sarno; per un’altra società di Angri, invece, l’indebito vantaggio ottenuto supererebbe i cinque milioni; per una terza società avellinese, infine, la somma contestata dal Fisco e annullata dai giudici raggiungerebbe quasi il milione. Sale così a venti il numero complessivo di provvedimenti di secondo grado, al centro dell’inchiesta, che sarebbero stati pilotati dal 2016 a maggio di quest’anno.

rif: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/10/18/news/corruzione_giudici_e_funzionari_pilotavano_sentenze_altri_sette_arresti-238862409/

Giudici pilotavano sentenze, arresti

 © ANSA

SALERNO, 18 OTT – Nuovi arresti nell’ambito delle indagini sulla Commissione Tributaria di Salerno. Carcere per altri sette indagati tra giudici, funzionari, commercialisti ed imprenditori. Non si ferma, dunque, l’indagine che lo scorso 15 maggio ha portato all’arresto di 14 persone.
    Alcuni indagati, arrestati precedentemente, hanno svelato ulteriori episodi di corruzione. L’iter di ulteriori dieci sentenze di secondo grado pronunciate dalla Commissione Tributaria Regionale Sezione distaccata di Salerno, risulterebbe essere stato pilotato in cambio di denaro. Tra gli arrestati un professionista di Avellino il quale, dopo aver ricoperto per anni l’incarico di giudice tributario a Salerno, da settembre dello scorso anno fa parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. I fatti contestati, concorso in 5 episodi di corruzione in atti giudiziari, sono stati commessi non in qualità di giudice tributario o consigliere, ma come intermediario corruttore che operava avvalendosi della conoscenza del personale.

Rif: http://www.ansa.it/campania/notizie/2019/10/18/giudici-pilotavano-sentenze-arresti_baf7b9e1-4d05-48d5-b33e-187ba18aac03.html

Le “toghe sporche” si lavano in streaming. Va in scena il processo alle correnti

-

All’Anm si presentano i 16 pm candidati a prendere il posto di Spina e Lepre al Csm: qualche nome noto, molti volti nuovi. Duro affondo di Di Matteo sulla “mafia” nel sistema

“La mia non è una candidatura calata dall’alto”, “io non ho mai ricoperto incarichi associativi”, “io sono indipendente, non appartengo a nessuna corrente”. A sentir parlare molti dei 16 candidati alle elezioni suppletive del Csmsembra che vogliano difendersi, per certi versi in via preventiva, dall’accusa di appartenere a un’associazione di magistrati. Somiglia a un processo, con tanto di accusa e difesa, con le correnti sul banco degli imputati il dibattito tra i pubblici ministeri che aspirano a prendere il posto di Luigi Spina e Antonio Lepre, due dei quanto magistrati che hanno lasciato l’organo di autogoverno delle toghe sulla scia del caso Palamara.

I 16 pm, provenienti da tutta Italia, si sono presentati ai colleghi, che hanno potuto ascoltarli in streaming, nella sede dell’Anm, al sesto piano della corte di Cassazione, a Roma. Quindici minuti a testa per parlare di programmi, dare la propria opinione sulla riforma della giustizia, raccontarsi ai colleghi. Ma più che sui programmi, tutti più o meno simili, senza differenze di rilievo, ciascuno di loro nel suo intervento si è soffermato sul ruolo del magistrato e sulle sue responsabilità, e sul peso delle correnti. Proprio su quest’ultimo tema sono emerse le divergenze tra chi le additava come il male assoluto e chi, invece, difendeva le associazioni tra toghe come luogo di confronto e di scambio di idee.

Più duro di tutti Nino Di Matteo. Il pm siciliano, oggi alla Direzione nazionale antimafia, ha lanciato accuse pesanti: “L’appartenenza a una corrente o a una cordata di magistrati è l’unico mezzo per fare carriera, ottenere incarichi, o avere tutela quando si è attaccati o isolati, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso”. Nessun altro è arrivato a fare questo paragone, ma la denuncia della logica spartitoria tra correnti è giunta da più parti: “Io sono procuratore aggiunto a Milano – ha detto la pm Tiziana Siciliano, che nel capoluogo lombardo si è occupata, tra l’altro,della morte di dj Fabo e del Ruby ter – ho presentato la domanda sei volte per avere questo incarico. Ogni volta mi veniva detto che sarebbe stato molto difficile ottenerlo se non fossi andata a parlare con le persone giuste, nei corridoi giusti. Non l’ho mai fatto”. Parafrasando Francesco Saverio Borrelli, ex procuratore capo di Milano morto il 21 luglio, ha concluso il suo intervento con un’esortazione ai colleghi: “Trasparenza, trasparenza, trasparenza”.

A chi, come Grazia Errede, sostituto procuratore a Bari, invitava a non demonizzare le correnti e a ricordare che la responsabilità, penale e non, è personale, ha risposto Anna Chiara Fasano, giovane pm che lavora al tribunale di Nocera Inferiore, in provincia di Salerno: “Io invece demonizzo – dice – non mi sono mai avvicinata alle correnti e credo che la responsabilità sia di tutta l’associazione intera, non solo del singolo”. Una linea simile è stata espressa da Francesco De Tommasi, sostituto procuratore a Milano: “Le correnti hanno occupato tutto, dal Csm al ministero della giustizia. Si spartiscono incarichi in maniera clientelare”, ha sostenuto.

Di sottrarre toghe e Csm al “gioco/giogo correntizio” ha parlato il candidato in quota Unicost, Francesco De Falco, sostituto procuratore di Napoli che si è occupato tra l’altro dell’inchiesta sulla paranza dei bambini. Alessandro Milita, procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere che ha lavorato, tra le altre cose, al contrasto al clan dei Casalesi e della morte di Tiziana Cantone, ha lanciato una provocazione: “Sembra che Unicost e Magistratura Indipendente (rispettivamente la corrente centrista alla quale apparteneva, prima di essere espulso, Luca Palamara, e Magistratura Indipendente, la corrente di moderati di cui facevano parte alcuni dei consiglieri che hanno lasciato il Csm, ndr) siano sparite”, ha ironizzato. E ai candidati che appartengono o sono vicini a queste due compagini ha detto: “Ditelo che siete di una corrente, altrimenti le opzioni sono due. O le correnti si sono ritirate o hanno deciso le candidature al chiuso di una riunione”. Non ha nascosto la sua appartenenza Antonio D’Amato, procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere che, però, ha precisato: “La mia candidatura non è calata dall’alto”. Alcuni candidati hanno sottolineato di non aver mai fatto attività associativa, ma di essere iscritti o di aderire ideologicamente ad Area: tra questi Paola Cameran, pm in corte d’Appello a Venezia, e Simona Maisto, sostituto a Roma. 

Candidati a uno dei posti vacanti nell’organo di autogoverno della magistratura sono anche anche Andrea Laurino, sostituto procuratore ad Ancona, Alessandro Crini, in funzione a Pisa che ha indagato sulla morte di Emanuele Scieri e Lorenzo Lerario, della corte d’Appello di Bari.

Non solo prese di distanze nei confronti dell’associazionismo: c’è chi ha rivendicato di aver fatto associazionismo, di provenire da una corrente. Tra loro ci sono Anna Canepa, storico volto di Magistratura democratica, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia, Gabriele Mazzotta, procuratore aggiunto a Firenze, anche lui tra i magistrati progressisti, e Fabrizio Vanorio, della Dda di Napoli, da anni membro di Area, il soggetto che riunisce Md e Movimento per la giustizia. “Fare associazione significa occuparsi degli altri, uscire dalla propria stanza”. Una rivendicazione, questa, che esorta a salvare il buono delle correnti. Ora o mai più. Perché, come più di un candidato ha avvertito, alla luce dello scandalo Palamara, alla magistratura dopo le elezioni suppletive del Csm non sarà data una seconda chance per risollevare la sua credibilità.

rif:https://www.huffingtonpost.it/entry/le-toghe-sporche-si-lavano-in-streaming_it_5d7e5042e4b077dcbd5fface

I dinosauri del Sinedrio della magistratura non si arrendono

Domenica mattina, presso la sede dell’Associazione nazionale magistrati, in vista delle elezioni suppletive dei due nuovi togati che dovranno essere eletti al Consiglio superiore della magistratura dopo le dimissioni di Luigi Spina (Unicost) e Antonio Lepre (Mi) susseguite agli scandali emersi nell’inchiesta di Perugia sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara (accusato di corruzione), si sono tenute le audizioni dei sedici magistrati candidati consiglieri. Ognuno di loro ha presentato la propria “visione” su quelli che dovrebbero essere i compiti dell’organo superiore della magistratura, ma anche evidenziando ciò che fin qui non è stato fatto. Tra questi vi era anche il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di MatteoNel suo discorso di quindici minuti vi sono idee di rinnovamento, pensieri, spunti ma anche analisi critiche su un sistema che, purtroppo, ha presentato evidenti degenerazioni rispetto al ruolo sancito dalla Costituzione. 
E proprio quelle critiche, per aspetti diversi, sono andate di traverso ad alcuni magistrati, politici ed ex membri del Csm stesso. 
Ieri abbiamo letto dalle agenzie di stampa assurde lamentele, ipocrite giustificazioni e considerazioni sbilenche negli interventi del deputato di Forza Italia Pierantonio Zanettin (ex membro laico del Csm), di Mariarosaria Guglielmi, Segretaria generale di Magistratura democratica e dell’ex magistrato ed ex senatore, Antonio Di Pietro
Ma quale è stata la “pietra dello scandalo?
La denuncia, da parte di Di Matteo, sulla degenerazione del correntismo “laddove l’appartenenza a correnti o cordate è diventata l’unica possibilità di sviluppo di carriera e di tutela in momenti di difficoltà e di pericolo. E questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso“. Una denuncia che era inserita all’interno di un discorso più ampio dove si evidenziavano anche altre criticità come la “burocratizzazione legata ad una logica perversa delle carte a posto dei numeri e delle statistiche; la gerarchizzazione degli uffici; il collateralismo politico che si manifesta nel privilegiare scelte di opportunità piuttosto che di doverosità“. 
Di Pietro, invitato a commentare su Radio Cusano Campus la considerazione sulla correnti della magistratura, ha affermato: “Non facciamo di tutta l’erba un fascio. In tutte le categorie degli esseri umani possono esserci delle mele marce, ma buttare via tutto il cesto mi pare una semplificazione troppo azzardata. Non vorrei che per combattere questo tipo di lobby si faccia un’altra lobby uguale e contraria. Vanno modificate le modalità di composizione del CSM, io sono per il sorteggio“.
In primo luogo ci chiediamo se l’ex magistrato ha sentito o letto l’intero intervento di Di Matteo, perché a ben vedere neanche lo stesso pm di punta del processo trattativa Stato-mafia ha fatto di tutta l’erba un fascio. 
Poi invitiamo a riflettere sulla reale necessità del sorteggio come soluzione ai mali che si sono manifestati. Sappiamo perfettamente che non è l’unico a ritenere valida una tale soluzione, seppur con qualche accorgimento, anche tra i membri della stessa corrente che sostiene Di Matteo nella corsa al Csm.
Da semplici cronisti che si occupano ormai da diversi anni di cronaca giudiziaria riteniamo abbastanza illogico, se non addirittura assurdo, relegare il destino, o il futuro di un magistrato alla “dea bendata”. 
Di fronte ad una Costituzione che legittima il magistrato nel prendere una decisione sul futuro di tanti cittadini, che può condannare all’ergastolo o a svariati anni di carcere, che può decidere su confische e sequestri di beni (e di errori in questo campo non sono mancati, ndr), se togliere la potestà ai genitori su un figlio sancendone l’affidamento, è ridicolo che non si abbia il discernimento per eleggere i propri membri senza accettare raccomandazioni, giochi di carriera, o episodi di corruzione, ma semplicemente scegliendo valutando nel merito i vari candidati. 
Le carriere di ogni magistrato testimoniano il reale valore e la reale capacità. Anche perché chi entra al Csm avrà poi il compito di valutare a sua volta, con il medesimo criterio, le candidature per dirigere i vari Uffici di Procura, valutando anche ogni singola richiesta di avanzamento di carriera. 
Oggi in una nota anche AreaDG è intervenuta sulle parole di Di Matteo (“C’è chi è arrivato ad equiparare il consenso elettorale a quello mafioso. Ne siamo colpiti. Da magistrati sappiamo che evocare a sproposito la criminalità organizzata significa minimizzarne la gravità“). Ma chi ha ascoltato interamente l’intervento del sostituto procuratore nazionale può rendersi conto che non c’è stata alcuna minimizzazione della criminalità organizzata, né l’evocazione è stata spropositata. 
Ben più gravi le parole della segretaria generale di Magistratura democratica, Mariarosaria Guglielmi. A suo dire “le dichiarazioni, ampiamente riportate dalla stampa, del dottor Di Matteo su correnti in magistratura e ‘metodi mafiosi’ rischiano di proporre di fatto all’opinione pubblica una inaccettabile equiparazione fra la scelta di appartenenza dei singoli magistrati ai gruppi associativi dell’Anm e l’affiliazione ad organizzazioni criminali mafiose“. E poi ancora: “Dichiarazioni generiche ‘ad effetto’, che nulla hanno a che vedere con la critica argomentata e con l’adoperarsi in concreto per combattere le degenerazioni correntizie sono destinate solo a produrre gravissimo sconcerto fra i cittadini e la pubblica opinione, lasciando aperti inquietanti interrogativi sul livello etico di una magistratura che si muoverebbe al suo interno con logiche mafiose“. 
La Gugliemi ha detto che Md è “sempre stata consapevole della necessità di vigilanza critica ed autocritica sui rischi di degenerazione verso logiche di mera appartenenza” ma dimentica la storia. Ci sono fatti che non possono essere dimenticati a prescindere dal dato che vi sono stati, e vi sono ancora oggi, magistrati validi e fortemente impegnati nella lotta contro mafia e corruzione, che aderiscono a questa corrente. 
Altri membri, purtroppo, non hanno mai chiesto scusa per quanto avvenne nel 1988. Quando Caponnetto lasciò l’incarico del Pool antimafia per ragioni di salute e per raggiunti limiti di età, alla sua sostituzione vennero candidati Falcone e Antonino Meli. Il 19 gennaio, dopo una discussa votazione, il Consiglio Superiore della Magistratura nominò Meli. E proprio Magistratura Democratica, con l’eccezione di Gian Carlo Caselli che votò a favore di Falcone, votò a favore di Meli.
E tempo dopo, quando Falcone accettò l’incarico al ministro di Grazia e Giustizia che fu proposto da Martelli, sempre altri membri di Magistratura dissero che Falcone si era “venduto al potere politico“. Noi non dimentichiamo. 
Così come non possiamo scordare le parole di Paolo Borsellino dette presso la Biblioteca Comunale, dopo la strage di Capaci. “Nel gennaio del 1988 – disse quella sera di giugno – quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. (…) Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli”. 
Il Csm di allora, complice anche Md, ostacolò e umiliò all’inverosimile la carriera di Giovanni Falcone, così come fece ogni qualvolta bocciò la sua candidatura ad incarichi superiori. 
Le correnti, dunque, hanno sempre condotto scambi e trattative, partecipando a giochi di potere ed intessendo stretti legami con la stessa politica. 
Evidentemente è da questi fatti storici, a cui si aggiunge quanto emerge dall’inchiesta di Perugia, che Di Matteo ha tratto spunto per le sue considerazioni. 
Considerazioni che non sono affatto estreme. La Gugliemi dovrebbe prendere atto che già da tempo i cittadini hanno perso fiducia nella magistratura, non certo per le dure parole espresse dal dottor Di Matteo
I cittadini sono delusi dalle invidie, dalle gelosie, dall’assenza di verità e giustizia, e dalle logiche di opportunismo che la magistratura (fortunatamente non tutta) spesso conduce e manifesta.
Ben vengano candidati, da qualsiasi parte, che, con la forza delle idee, mostrano la volontà di riformare un organo che negli ultimi anni ha vestito i panni di un Sinedrio e che in passato, isolando e delegittimando magistrati come Falcone e Borsellino, ha di fatto condannato a morte i propri martiri della giustizia. 
Siano considerati quegli allarmi e quegli appelli per una riforma profonda del Csm da parte di tanti magistrati e consiglieri togati come Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita.
Infine abbiamo letto le dichiarazioni del deputato di Forza Italia, Zanettin. Addirittura ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per “valutare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio di iniziative di carattere disciplinare nei confronti del dott. Di Matteo“. Nell’interrogazione “svela” anche il “diktat” politico nel momento in cui afferma di reputare “la mafia un fenomeno del nostro paese troppo serio e troppo tragico, che non dovrebbe essere evocato a sproposito, soprattutto a fini elettorali“. Forse è per questo che il tema mafia scompare sempre ad ogni campagna elettorale?
Probabilmente non ci si poteva aspettare altro da un politico che evidentemente non prova vergogna ad essere membro di quel partito che è stato fondato da un condannato a sette anni in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa (Marcello Dell’Utri) e che ha come leader un soggetto come Silvio Berlusconi che, lo dicono le sentenze, versava nelle casse di Cosa nostra ingenti somme di denaro. Questione di gusti.
Ma forse Zanettin interviene anche da ex membro laico del Csm. Più volte in questo giornale abbiamo ricordato gli errori e gli orrori del Consiglio superiore della magistratura. E in diverse occasioni abbiamo espresso la nostra idea di riforma del Csm, fin qui nefasto ed obsoleto.
Una riforma costituzionale che preveda l’abolizione dei membri laici provenienti dal parlamento e designi i togati con una valutazione meritocratica, anziché seguendo le logiche delle correnti. Correnti che a loro volta andrebbero abolite in quanto rinsaldano il legame tra politica e magistrato. Se non si avrà il coraggio di effettuare un cambiamento simile ad essere a rischio non sarà solo l’autonomia e l’indipendenza ma anche la libertà dei cittadini. Nella consapevolezza che solo una magistratura sganciata dalla politica potrà essere veramente vigile e terza rispetto ad un potere che mira solo ai propri interessi e che non vuole verità e giustizia.

rif:http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/75777-i-dinosauri-del-sinedrio-della-magistratura-non-si-arrendono.html

Csm, Di Matteo: “Dare spallata a sistema invaso dal cancro”

Csm, Di Matteo: "Dare spallata a sistema invaso dal cancro"

Trasmessa in diretta streaming su Radio radicale, la presentazione dei programmi dei 16 pm che si sono candidati alle elezioni suppletive del Csm del prossimo 6 e 7 ottobre

Dalla sede dell’ Anm in Cassazione la presentazione – trasmessa in diretta streaming su Radio radicale – ecco la presentazione dei programmi dei 16 pm che si sono candidati alle elezioni suppletive del Csm del prossimo 6 e 7 ottobre. I 16 competitor, come si sono definiti, sono in lizza per i due posti rimasti liberi dopo l’inchiesta di Perugia che ha sconvolto il Csm. Per la prima volta chi è sceso in campo lo ha fatto in prima persona, senza la sponsorizzazione delle correnti che hanno fatto un passo indietro. E’ presente il presidente dell’Anm Luca Poniz, e il segretario Giuliano Caputo. Il nome più conosciuto tra i pm che hanno scelto di candidarsi è quello di Nino Di Matteo, pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, ora in forza alla Direzione nazionale antimafia.

“L’appartenenza a una cordata è l’unico mezzo per fare carriera e avere tutela quando si è attaccati e isolati, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso”, ha esordito il pm antimafia Nino Di Matteo presentando in streaming la sua candidatura al Cam contro la “degenerazione del correntismo” “Al Csm vorrei fare soprattutto il
giudice dei magistrati fuori dal sistema, di quei colleghi che sono stati ostacolati nella loro attività. Il caso Palamara rappresenta una situazione di cui siamo tutto responsabili e penso anche a coloro i quali hanno espresso il loro voto con una mentalità clientelare, per ricevere poi un favore”. “Nel momento più buio della magistratura ho sentito il bisogno e la voglia di mettere la mia umiltà e il mio coraggio per dare una spallata a questo sistema, ha concluso Di Matteo esprimendo anche il suo no al sorteggio e a “riforme punitive”. Per il Csm “non serve una riforma punitiva”, ma bisogna “ridargli autorevolezza costituzionale senza distinzioni legate all’appartenenza, al gradimento politico, alla capacità dei singoli di tessere reti relazionali”, ha continuato il pm. “Non condivido le proposte di riforma sul Csm e il sorteggio dei togati, rispetto i colleghi che per spezzare le patologie del correntismo hanno proposto il sorteggio, ma penso che sia una proposta incostituzionale ed è devastante che i magistrati, che decidono su ergastoli o su patrimoni, non possano avere l’autorevolezza per eleggere i rappresentanti al Csm.

“Negli ultimi 15 anni la magistratura è cambiata, pervasa da un cancro che ne sta invadendo il corpo, i cui sintomi sono la burocratizzazione, la gerarchizzazione degli uffici, il collateralismo politico, la degenerazione clamorosa del correntismo”.  Il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, oggi sostituto alla Dna, ha sottolineato di non aver “mai pensato prima” di candidarsi a Palazzo dei Marescialli, “non sono mai stato iscritto a una corrente e sono sono intenzionato a farlo in futuro” e, ha aggiunto, “spero che la magistratura tutta, con questo voto, dimostri con i fatti di non volersi arrendere a prassi e a un sistema che la sta soffocando: una rivoluzione culturale, insomma, eleggendo chi ha dimostrato di essere estraneo e di voler contrastare le degenerazioni”. Se venisse eletto, l’attenzione di Di Matteo sarebbe rivolta, oltre che alla tutela dei giovani magistrati di prima nomina, alla “trasparenza” delle attività del Csm, alla “questione morale”.

Rif:https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/15/news/csm_di_matteo_dare_spallata_a_sistema_invaso_dal_cancro_-236073702/