Le “toghe sporche” si lavano in streaming. Va in scena il processo alle correnti

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All’Anm si presentano i 16 pm candidati a prendere il posto di Spina e Lepre al Csm: qualche nome noto, molti volti nuovi. Duro affondo di Di Matteo sulla “mafia” nel sistema

“La mia non è una candidatura calata dall’alto”, “io non ho mai ricoperto incarichi associativi”, “io sono indipendente, non appartengo a nessuna corrente”. A sentir parlare molti dei 16 candidati alle elezioni suppletive del Csmsembra che vogliano difendersi, per certi versi in via preventiva, dall’accusa di appartenere a un’associazione di magistrati. Somiglia a un processo, con tanto di accusa e difesa, con le correnti sul banco degli imputati il dibattito tra i pubblici ministeri che aspirano a prendere il posto di Luigi Spina e Antonio Lepre, due dei quanto magistrati che hanno lasciato l’organo di autogoverno delle toghe sulla scia del caso Palamara.

I 16 pm, provenienti da tutta Italia, si sono presentati ai colleghi, che hanno potuto ascoltarli in streaming, nella sede dell’Anm, al sesto piano della corte di Cassazione, a Roma. Quindici minuti a testa per parlare di programmi, dare la propria opinione sulla riforma della giustizia, raccontarsi ai colleghi. Ma più che sui programmi, tutti più o meno simili, senza differenze di rilievo, ciascuno di loro nel suo intervento si è soffermato sul ruolo del magistrato e sulle sue responsabilità, e sul peso delle correnti. Proprio su quest’ultimo tema sono emerse le divergenze tra chi le additava come il male assoluto e chi, invece, difendeva le associazioni tra toghe come luogo di confronto e di scambio di idee.

Più duro di tutti Nino Di Matteo. Il pm siciliano, oggi alla Direzione nazionale antimafia, ha lanciato accuse pesanti: “L’appartenenza a una corrente o a una cordata di magistrati è l’unico mezzo per fare carriera, ottenere incarichi, o avere tutela quando si è attaccati o isolati, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso”. Nessun altro è arrivato a fare questo paragone, ma la denuncia della logica spartitoria tra correnti è giunta da più parti: “Io sono procuratore aggiunto a Milano – ha detto la pm Tiziana Siciliano, che nel capoluogo lombardo si è occupata, tra l’altro,della morte di dj Fabo e del Ruby ter – ho presentato la domanda sei volte per avere questo incarico. Ogni volta mi veniva detto che sarebbe stato molto difficile ottenerlo se non fossi andata a parlare con le persone giuste, nei corridoi giusti. Non l’ho mai fatto”. Parafrasando Francesco Saverio Borrelli, ex procuratore capo di Milano morto il 21 luglio, ha concluso il suo intervento con un’esortazione ai colleghi: “Trasparenza, trasparenza, trasparenza”.

A chi, come Grazia Errede, sostituto procuratore a Bari, invitava a non demonizzare le correnti e a ricordare che la responsabilità, penale e non, è personale, ha risposto Anna Chiara Fasano, giovane pm che lavora al tribunale di Nocera Inferiore, in provincia di Salerno: “Io invece demonizzo – dice – non mi sono mai avvicinata alle correnti e credo che la responsabilità sia di tutta l’associazione intera, non solo del singolo”. Una linea simile è stata espressa da Francesco De Tommasi, sostituto procuratore a Milano: “Le correnti hanno occupato tutto, dal Csm al ministero della giustizia. Si spartiscono incarichi in maniera clientelare”, ha sostenuto.

Di sottrarre toghe e Csm al “gioco/giogo correntizio” ha parlato il candidato in quota Unicost, Francesco De Falco, sostituto procuratore di Napoli che si è occupato tra l’altro dell’inchiesta sulla paranza dei bambini. Alessandro Milita, procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere che ha lavorato, tra le altre cose, al contrasto al clan dei Casalesi e della morte di Tiziana Cantone, ha lanciato una provocazione: “Sembra che Unicost e Magistratura Indipendente (rispettivamente la corrente centrista alla quale apparteneva, prima di essere espulso, Luca Palamara, e Magistratura Indipendente, la corrente di moderati di cui facevano parte alcuni dei consiglieri che hanno lasciato il Csm, ndr) siano sparite”, ha ironizzato. E ai candidati che appartengono o sono vicini a queste due compagini ha detto: “Ditelo che siete di una corrente, altrimenti le opzioni sono due. O le correnti si sono ritirate o hanno deciso le candidature al chiuso di una riunione”. Non ha nascosto la sua appartenenza Antonio D’Amato, procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere che, però, ha precisato: “La mia candidatura non è calata dall’alto”. Alcuni candidati hanno sottolineato di non aver mai fatto attività associativa, ma di essere iscritti o di aderire ideologicamente ad Area: tra questi Paola Cameran, pm in corte d’Appello a Venezia, e Simona Maisto, sostituto a Roma. 

Candidati a uno dei posti vacanti nell’organo di autogoverno della magistratura sono anche anche Andrea Laurino, sostituto procuratore ad Ancona, Alessandro Crini, in funzione a Pisa che ha indagato sulla morte di Emanuele Scieri e Lorenzo Lerario, della corte d’Appello di Bari.

Non solo prese di distanze nei confronti dell’associazionismo: c’è chi ha rivendicato di aver fatto associazionismo, di provenire da una corrente. Tra loro ci sono Anna Canepa, storico volto di Magistratura democratica, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia, Gabriele Mazzotta, procuratore aggiunto a Firenze, anche lui tra i magistrati progressisti, e Fabrizio Vanorio, della Dda di Napoli, da anni membro di Area, il soggetto che riunisce Md e Movimento per la giustizia. “Fare associazione significa occuparsi degli altri, uscire dalla propria stanza”. Una rivendicazione, questa, che esorta a salvare il buono delle correnti. Ora o mai più. Perché, come più di un candidato ha avvertito, alla luce dello scandalo Palamara, alla magistratura dopo le elezioni suppletive del Csm non sarà data una seconda chance per risollevare la sua credibilità.

rif:https://www.huffingtonpost.it/entry/le-toghe-sporche-si-lavano-in-streaming_it_5d7e5042e4b077dcbd5fface

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