Sentenze pilotate, 32 anni di carcere per giudici corrotti e imprenditori

Trentadue anni di carcere e confische di beni per un valore complessivo di 290mila euro. Il gup Gennaro Mastrangelo nel pomeriggio di ieri ha emesso le condanne – in rito alternativo – per l’operazione Ground Zero che ha portato alla luce un giro di mazzette messo in piedi presso la commissione tributaria per «correggere» le sentenze di primo grado con il coinvolgimento di giudici compiacenti, funzionari corrotti ed imprenditori dal «soldo facile». Il giudice ci è andato giù duro, senza fare sconti a nessuno. Non si è fermato dinanzi alle pesanti richieste del pm Elena Guarino ma è andato oltre. È il caso dell’imprenditore Alfonso De Vivo: dinanzi alle richiesta di assoluzione del pm, il gup Mastrangelo ha emesso una sentenza di condanna di quattro anni e sei mesi di reclusione. Assolto Franco Spanò, il figlio del giudice per il quale il padre avrebbe chiesto un posto di lavoro presso un’azienda «cliente» della sua commissione. 
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Le pene più pesanti per i quattro «organizzatori» del giro d’affari: i due giudici e i due segretari delle commissioni per i quali è stata decretata anche l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Condanne che risultano per tutti ancora più «importanti» visto che c’è uno sconto di pena per il rito alternativo (abbreviato o patteggiamento). Sei anni, tre mesi e tre giorni per il giudice Fernando Spanò; quattro anni ed otto mesi per il suo collega Giuseppe De Camillis. Cinque anni, sei mesi e venti giorni per Salvatore Sammartino, uno dei due segretari; cinque anni quattro mesi e venti giorni per il collega Giuseppe Naimoli. Pena sospesa per l’imprenditore Antonio D’Ambrosi (un anno, nove mesi e dieci giorni). E ancora: oltre ad Alfonso De Vivo, condannato anche l’ex parlamentare Teodoro Tascone (quattro anni e due mesi) e la ditta Facomogas che dovrà pagare una pena amministrativa di 140mila euro come Aniello Russo (20mila euro). Per ciascuna contestazione emesse anche pene accessorie come la confisca di beni 60mila e 600 euro per il giudice Spanò; 88mila euro per Naimoli; 32mila e 500 euro per Sammartino; diecmila euro per De Camillis; 45mila per l’imprenditore Russo; 15mila per D’Ambrosi; 20mila per De Vivo; ventimila anche per la Facomogas. Sospensione condizionale per Cosimo Amoddio, Aniello Russo, Claudio Domeico Dusci. Il giudice Mastrangelo inoltre invia al pm gli atti relativamente alle posizioni di De Camillis, Criscuolo, Sammartino e Naimoli per un approfondimento di indagini e al giudice civile per la ripartizione delle provvisionale da centomila euro da suddividere tra D’Ambrosi, De Camillis, De Vivo, Naimoli, Sammartino, Spanò, Tascone e la Facomogas. Tutti gli altri indagati per la prima tranche dell’inchiesta – ricordiamo – sono già a processo.

Rif: https://www.ilmattino.it/salerno/sentenze_pilotate_commissione_tributaria_sentenza-5223737.html

Toghe sporche, no alla rimozione del magistrato Petrini: il Csm lo sospende

Il ministro della Giustizia Bonafede aveva chiesto di esercitare l’azione disciplinare. L’ex giudice è accusato di corruzione in atti giudiziari

L’ex giudice Marco Petrini

Resta sospeso dall’esercizio della funzione di magistrato, Marco Petrini. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro non è stato rimosso così come aveva chiesto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, all’indomani dell’inchiesta Genesi che ha portato nel gennaio scorso all’arresto di Marco Petrini con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. 

Nei confronti del magistrato il Consiglio superiore della Magistratura ha esercitato un’azione disciplinare e il 13 luglio scorso si è svolta l’udienza durante la quale la Procura Generale della Corte di Cassazione ha chiesto la rimozione di Marco Petrini dall’esercizio della funzione del magistato. Il Csm, tuttavia, ha rigettato la richiesta limitandosi a disporre una sospensione, accogliendo così la richiesta avanzata dalla difesa rappresentata dall’avvocato Francesco Calderaro.blob:https://www.toghesporche.org/06f60e15-bfac-4aa1-a896-1265936e4261

Marco Petrini era già stato sospeso in via cautelativa dal Csm all’indomani dell’inchiesta poichè colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere oggi in parte revocata e sostituita con gli arresti domiciliari.

Rif.https://www.lacnews24.it/cronaca/inchiesta-genesi-no-alla-rimozione-di-petrini-il-csm-lo-sospende_121350/

Toghe sporche, Petrini ritorna in carcere: indagata anche la moglie

l gip del tribunale di Salerno ha annullato gli arresti domiciliari all’ex presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro perché avrebbe mentito negli interrogatori. Nell’inchiesta “Genesi” coinvolta adesso anche la Gambardella

«Qua a Lamezia Terme non ci puoi venire sicuro perchè vengono e ti sparano». È questo il tenore delle conversazioni intercorse tra Maria Stefania Gambardella e Marco Petrini intercettate però dal nucleo economico della Guardia di Finanza di Crotone che, su delega della Procura di Salerno, ha notificato un avviso di garanzia alla moglie dell’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro,accusato di corruzione in atti giudiziari. 

L’inchiesta Genesi

Si allarga, insomma, a macchia d’olio l’inchiesta della Procura di Salerno che lo scorso gennaio aveva portato all’arresto del magistato Marco Petrini per un giro di corruzione negli uffici giudiziari catanzaresi. Mazzette, orologi e preziosi per aggiustare le sentenze. Ma adesso nel mirino dei magistrati è finita anche la moglie del magistrato intercettata dalla Guardia di Finanza ad intrattenere conversazioni con il marito inducendolo «a rendere dichiarazioni mendaci in occasione degli interrogatori» avuti dinnanzi ai pubblici ministeri di Salerno il 29 febbraio e ancora il 17 aprile scorso.

Le intercettazioni

La moglie allarmata ma intercettata al telefono esprimeva al marito le sue preoccupazioni: «Ti vogliono ammazzare tutti – diceva – non hai capito cosa hai combinato pure, tu non hai capito niente Marco“. Ed ancora: “Tu d’ora in poi devi ascoltare solo me. Le cose che hai fatto da solo sono tutte sbagliate. Allora tu mi devi ascoltare però sennò non vengo più Marco, se non fai le cose che ti dico io. Non fare le cose di testa tua perchè sono tutte sbagliate, tutte deviate».

 Le accuse e le perquisizioni

L’accusa per Maria Stefania Gambardella è induzione a non rendere dichiarazioni o rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. La Procura di Salerno contestualmente all’avviso di garanzia ha anche emesso un decreto di perquisizione e sequestro. Le fiamme gialle di Crotone hanno passato al setaccio l’abitazione, l’ufficio e l’auto della donna alla ricerca di documenti che potessero fornire ulteriori prove dell’ipotesi accusatoria e, in particolare, l’intento di pregiudicare la genuinuità della prove.

Petrini torna in carcere

Ritorna invece in carcere l’ex presidente di sezione della Corte d’Appello Marco Petrini. Per lui il Gip del Tribunale di Salerno ha disposto la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con la custodia in carcere. A fondamento della richiesta avanzata dal procuratore aggiunto, Luca Masini, vi sarebbe la necessità di rafforzare le esigenze cautelari. «Nel corso degli interrogatori investigativi cui è stato sottoposto – si legge nel’ordinanza – Marco Petrini rendeva, fra le altre, dichiarazioni che alla luce delle ulteriori attività investigative risultavano non veritiere». 

rif:https://www.lacnews24.it/cronaca/inchiesta-genesi-indagata-moglie-petrini-avrebbe-indotto-marito-mentire_117635/

“Toghe sporche”, l’ombra di Palamara sul procuratore capo di Reggio Emilia


Un fitto scambio di messaggi Whatsapp, intercettati dalla Procura di Perugia nell’ambito dell’indagine “Toghe sporche”, riaccende i riflettori sulla nomina del magistrato (già Pm del processo Aemilia), nel luglio di due anni fa

Come scrive il giornale reggionline.com  – Decine e decine di messaggi whatsapp, spediti tra il febbraio e il luglio del 2018. Messaggi che in genere partivano dal cellulare di Marco Mescolini e arrivavano su quello di Luca Palamara. Il primo, oggi Procuratore capo di Reggio, era all’epoca sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Bologna e rappresentava l’accusa nel processo Aemilia insieme alla collega Beatrice Ronchi; il secondo, magistrato romano, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, era consigliere del Csm.

I messaggi hanno tutti più o meno lo stesso tenore: Mescolini prega Palamara di adoperarsi per la sua nomina a procuratore capo di Reggio, lo sollecita a fare presto, chiede ragione dei ritardi con crescente preoccupazione. Palamara lo rassicura. Dopo una prima selezione, all’inizio del 2018 erano rimasti in lizza solo Mescolini e il magistrato napoletano Alfonso D’Avino, ma le divisioni fra le correnti della magistratura ritardavano la nomina. Il 4 luglio, infine, il Csm decide: Mescolini procuratore capo a Reggio, D’Avino a Parma. Palamara scrive un messaggio a Mescolini: “Ci siamo. Hai vinto“. Mescolini risponde: “Grazie Luca, ti sono debitore di mille indecisioni mie e timori“.

Gli scambi di messaggi fra Mescolini e Palamara sono agli atti dell’inchiesta della Procura di Perugia, che accusa l’ex consigliere del Csm di corruzione e lo considera il vertice di un gruppo di magistrati che pilotavano le nomine negli uffici giudiziari di tutta Italia.

Rif: https://www.imolaoggi.it/2020/08/15/toghe-sporche-ombra-palamara-procuratore-capo-reggio-emilia/

Corruzione: arrestati due avvocati a Perugia. Nei guai anche un giudice

PERUGIA – Un altro terremoto giudiziario sconvolge i palazzi di giustizia e il mondo forense. Due avvocati perugini, Mauro Bertoldi e Nicoletta Pompei, agli arresti domiciliari e un giudice civile del tribunale di Spoleto, Tommaso Sdogati (compagno dell’avvocato Pompei) indagato e per il quale è stata chiesta la sospensione
interdittiva dalla funzione: questo, il nuovo durissimo bilancio di un’altra inchiesta condotta in Umbria dalla procura di Firenze, che ha portato all’esecuzione, da parte dei carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale
fiorentino, di un’ordinanza agli arresti domiciliari, emessa dal gip, per due civilisti, un uomo quarantenne e una donna 37enne dello stesso studio legale, con sede nella zona della stazione.

Sono accusati di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e di traffico di influenze illecite. L’indagine risale a inizio 2019, è coordinata dalla procura di Firenze competente poiché è coinvolto un magistrato, indagato per corruzione e legato sentimentalmente all’avvocatessa. Il giudice è accusato di aver messo a disposizione poteri e funzione compiendo atti contrari ai doveri di ufficio affinché venissero, fra l’altro, dati incarichi di delegato alle vendite in procedure di esecuzioni immobiliari al legale socio di studio della compagna.

Nei confronti del giudice è stata richiesta l’applicazione della misura interdittiva della sospensione da pubblico ufficio: il gip si è riservato in base all’esito dell’interrogatorio, già fissato. Le indagini hanno, poi, consentito di ipotizzare come i due avvocati abbiano commesso il reato di traffico di influenze illecite – vantando relazioni privilegiate, in realtà inesistenti, con un soggetto terzo delegato alla vendita di un’abitazione sottoposta a pignoramento dal tribunale di Perugia – si siano fatti consegnare indebitamente da una coppia di persone, alle quali l’immobile medesimo era stato pignorato, la somma di 11.500 euro quale prezzo della propria mediazione per poter ‘pilotarè, condizionare la relativa asta. 

Infine la procura di Perugia, in coordinamento con quella di Firenze, ha richiesto altra misura cautelare, questa emessa dal gip di Perugia, eseguita simultaneamente nei confronti dell’avvocato quarantenne per «sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione» per fatti distinti da quelli indagati dagli inquirenti fiorentini.

Rif:https://www.ilmessaggero.it/umbria/corruzione_arrestati_avvocati_perugia_guai_giudice-4930387.html

Corruzione. Caso Saguto, chiesti 15 anni e 10 mesi per ex giudice

“Nell’arco temporale in cui è stata presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, non c’è stato un giorno in cui non ha compito almeno un illecito disciplinare”, aveva sottolineato il pg di Cassazione Mario Fresa. Chieste condanne anche per il marito e il figlio

Una condanna a 15 anni e dieci mesi. Questa la richiesta di pena avanzata dalla Procura di Caltanissetta nei confronti dell’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, accusata di essere al centro di un sistema corrotto che avrebbe gestito in maniera illecita i beni sequestrati alla mafia. Per il marito di Saguto, Lorenzo Caramma, i magistrati nisseni hanno chiesto nove anni e dieci mesi, mentre per il figlio, Lorenzo Caramma, sei mesi. Una richiesta di pena a 12 anni e tre mesi è stata formulata per l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, amministratore giudiziario. Per gli altri amministratori giudiziari, Walter Virga e Nicola Santangelo, richiesti rispettivamente due e dieci anni e undici mesi di reclusione, mentre per il docente universitario Carmelo Provenzano l’accusa ha chiesto undici anni e dieci mesi. Per un altro docente universitario, Roberto Di Maria, l’accusa ha chiesto quattro anni e quattro mesi, mentre per Maria Ingrao cinque anni. Tra gli imputati anche Calogera Manta, per cui i pm hanno chiesto quattro anni e sei mesi, e il colonnello della Dia Rosolino Nasca: per quest’ultimo la Procura di Caltanissetta ha formulato una richiesta di pena pari a otto anni e un mese. Nell’elenco degli imputati anche l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo: per lei sono stati chiesti sei anni. La richiesta di pena per l’ex giudice della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Lorenzo Chiaramonte, è stata di due anni e mezzo. I pm, infine, hanno chiesto l’assoluzione per Vittorio Saguto, padre di Silvana, e per Aulo Gigante. Il ‘sistema Saguto’, i tentacoli sui beni sequestrati “Un sistema perverso e tentacolare creato dalla dottoressa Saguto che ha sfruttato e mortificato il suo ruolo di magistrato”. Parole durissime pronunciate in avvio di requisitoria, lo scorso gennaio, dalla procura di Caltanissetta che oggi ha chiesto una pesante condanna – 15 anni e 10 mesi – per l’ex presidente della Sezione misure di prevenzione dei tribunale di Palermo, Silvana Saguto. Dure le richieste anche per i coimputati. “Do ut des”, fuori dalla magistratura Il 29 marzo del 2018 era stata radiata dalla magistratura su decisione della sezione disciplinare del Csm, che aveva inflitto la massima sanzione, quella della rimozione dall’ordine giudiziario. “Sono di “un’immensa gravità” le “condotte quotidiane” di Silvana Saguto: “Nell’arco temporale in cui è stata presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, non c’è stato un giorno in cui non ha compito almeno un illecito disciplinare”, aveva sottolineato il pg di Cassazione Mario Fresa, “ha violato i doveri di correttezza, diligenza, riserbo ed equilibrio: la giustizia è stata soffocata da interessi personali che sono stati l’unica spinta motrice, in una perversa logica di ‘do ut des'”. La sezione misure di prevenzione “era – ha detto Fresa – un ufficio di collocamento per incarichi d’oro”. Modello familistico e clientelare  Magistrati, amministratori giudiziari, professionisti. Tutti tasselli di un vasto e consolidato “sistema”, che ha dato corpo a un “modello criminoso, familistico e clientelare di gestione”, come l’aveva definito la Procura di Caltanissetta quando il 20 ottobre 2016 dispose il sequestro di beni per circa 900 mila euro a carico di Silvana Saguto e di alcuni amministratori giudiziari. Allora si chiuse in modo clamoroso e quasi paradossale il primo cerchio di questa complessa indagine: un sequestro di beni a chi gestiva la macchina delle confische. Saguto, il marito Lorenzo Caramma, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, ex re degli amministratori giudiziari, furono i primi tre nomi inseriti nell’avviso di conclusione delle indagini per reati che vanno dall’associazione per delinquere, alla corruzione all’abuso d’ufficio, passando per il falso, la truffa e il peculato. Settantanove i capi di imputazione. Colletti neri Il gruppo di magistrati, avvocati, amministratori giudiziari e investigatori avrebbe gestito in maniera privatistica e con una serie di favoritismi i beni sequestrati e confiscati a  Palermo, citta’ in cui si registra il numero massimo in Italia di questo tipo di provvedimenti. Sono stati redatti, avevano spiegato i magistrati, oltre centotrenta verbali di assunzioni di informazioni da persone informate sui fatti; compiute decine di mirate acquisizioni documentali, presso diversi uffici giudiziari siciliani, presso le università di Palermo e di Enna, presso la prefettura di Palermo e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia. La “margherita” del giudice Analizzati gli atti di oltre cinquanta procedure di prevenzione, spesso con i relativi provvedimenti di liquidazione, secondo, hanno spiegato i magistrati, “un andamento a spirale e un metodo di riscontri progressivi tra esiti delle attività di intercettazione, analisi della documentazione acquisita ed esame delle persone informate sui fatti che ha consentito di tessere strettamente insieme gli elementi raccolti, di farli dialogare con ordine, di dare corpo al ‘sistema'”. Come descritto da un amministratore giudiziario – persona lesa del delitto di concussione, Silvana Saguto “intratteneva rapporti esclusivi con le persone che le interessavano”, secondo un modulo “a margherita, ossia senza vi fosse alcuna interferenza tra i rapporti che facevano capo a lei”, rapporti che la vedevano al centro, e da cui si dipartivano “petali” e “raggi”, non comunicanti tra loro, rappresentati da professionisti, amministratori giudiziari, colleghi, cancellieri, ufficiali di polizia giudiziaria, rappresentanti del mondo universitario e giornalisti, “dai quali traeva vantaggi e utilità di varia natura”. Gli indagati “erano riusciti a strutturare l’attività della Sezione Misure di prevenzione e la gestione dei patrimoni in sequestro secondo modelli organizzativi criminosi, e a creare un sistema di arricchimento illecito improntato a criteri familistici e clientelari”.

Rif: https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/corruzione-caso-saguto-chiesti-15-anni-e-10-mesi-per-ex-giudice-ad41098f-2ed4-4415-8e75-0178e5cf1e71.html

Giudice corrotto per un’asina

Succede nel distretto di Palermo, un giudice di Montemaggiore Belsito, Angelo Parisi è stato accusato di corruzione dalla Procura di Caltanissetta e dopo il sigillo della Cassazione è stato condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione. Una pena molto dura soprattutto per un uomo della legge come un giudice, che immediatamente è stato arrestato e condotto al carcere di Messina. 

Le motivazioni? Il giudice “aggiustava” le sentenze di alcune persone in particolare, che lo ripagavano in natura, ovvero una puledra d’asina, una fornitura di fieno e una di paglia e anche un po’ di selvaggina.Doni in natura che come lo stesso giudice ha ammesso, erano stati ricevuti per «adattare» pronunciamenti in favore di chi si rivolgeva a lui per ottenere «giustizia» .

Rif:https://www.primapaginatrapani.it/giudice-corrotto-per-unasina/

Csm, si dimette un altro consigliere citato nell’inchiesta su Luca Palamara: è il sesto caso. “Su di me aperta azione disciplinare”

Csm, si dimette un altro consigliere citato nell’inchiesta su Luca Palamara: è il sesto caso. “Su di me aperta azione disciplinare”

Passo indietro di Marco Mancinetti, togato di Unicost, la corrente moderata delle toghe. Era citato nelle chat col pm sotto inchiesta: “Pochi minuti fa la notifica dell’azione disciplinare nei miei confronti da parte della Procura generale”. L’anno scorso si erano dimessi Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepri, Gianluigi Morlini e Luigi Spina, tutti attualmente sotto processo disciplinare

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/09/csm-si-dimette-un-altro-consigliere-citato-nellinchiesta-su-luca-palamara-e-il-sesto-caso-su-di-me-aperta-azione-disciplinare/5925629/

Csm di nuovo nella bufera per Palamara. Si dimette Marco Mancinetti di Unicost

Csm di nuovo nella bufera per Palamara. Si dimette Marco Mancinetti di Unicost

È il sesto consigliere costretto a lasciare il plenum di palazzo dei Marescialli. Il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi gli ha inviato un’incolpazione per i suoi rapporti con l’ex pm Palamara imputato a Perugia .

Il Csm riapre i battenti con il primo plenum dopo la pausa estiva e subito cade la prima, e pesante, tegola. Marco Mancinetti, consigliere togato di Unicost, viterbese, ex giudice per le indagini preliminari a piazzale Clodio, annuncia pubblicamente le sue dimissioni. Il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi ha aperto contro di lui un’azione disciplinare per via delle sue chat con l’ex pm Luca Palamara, imputato a Perugia per corruzione. L’ex presidente dell’Anm lo chiamava affettuosamente “ciccino”. Già in primavera, con il deposito delle carte, erano stati diffusi i suoi scambi di messaggi da cui risultava che Palamara si sarebbe interessato al figlio di Mancinetti per la sua ammissione con test alla facoltà di medicina dell’università cattolica del Buon Consiglio di Tirana in Albania, convenzionata con quella di Tor Vergata a Roma. 

Mancinetti è il sesto consigliere del Csm costretto alle dimissioni. Prima di lui, per l’incontro all’hotel Champagne di Roma con Palamara, e i Pd Luca Lotti e Cosimo Maria Ferri (ora deputato renziano) per influire sulla nomina del procuratore di Roma e spingere per l’attuale Pg di Firenze Viola, erano stati costretti a dimettersi Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli e Antonio Lepri di Magistratura indipendente, Gianluigi Morlini e Luigi Spina di Unicost. Tutti hanno già lasciato l’Anm per evitare di essere espulsi. Tutti sono destinatari di un’azione disciplinare e il processo davanti alla sezione disciplinare dello stesso Csm, partito a luglio, proseguirà la prossima settimana. Come quello di Palamara che riprende martedì. 

Le dimissioni di Mancinetti sono destinate a influire sugli equilibri delle correnti in lizza per le prossime elezioni del Csm che si svolgeranno tra il 18 e 20 ottobre per la prima volta in via telematica. Il 19 settembre invece si terrà un’assemblea generale dei giudici iscritti al sindacato sempre sul caso Palamara. 

Non solo: dopo quelle dell’anno scorso per coprire i consiglieri dimessi, sia giudici che pm, si potrebbe dover andare anche a una nuova elezione per il Csm – che scade nel 2022 – perché non ci sono più consiglieri non eletti nel 2018 quando è stato rinnovato l’intero consiglio. Anche se – come fanno notare al Csm – esistono però altri due consiglieri non eletti, frutto del voto suppletivo dell’anno scorso dell’8 e 9 dicembre, quando fu eletta Elisabetta Chinaglia di Area. Vi erano anche due non eletti, Pasquale Grasso, ex presidente dell’Anm di Magistratura indipendente, che poi si era dimesso dal sindacato dei giudici e dalla corrente a seguito delle polemiche seguite alla vicenda Palamara, e Silvia Corinaldesi di Unicost. Toccherà a questo punto al Quirinale decidere se andare a una nuova elezione oppure se utilizzare il non eletto Grasso.

Rif:https://www.repubblica.it/politica/2020/09/09/news/csm_di_nuovo_nella_bufera_per_palamara_si_dimette_mancinetti_di_unicost-266698342/?refresh_ce

Si dimette altro componente Csm. Ecco le chat più compromettenti

Caso Palamara. Un’azione disciplinare ha colpito la toga Marco Mancinetti. Con Palamara scambi frequenti. I due hanno anche litigato ma si chiamavano “ciccino”

Si dimette altro componente Csm. Ecco le chat più compromettenti

Non si è neanche riaperto il Csm che questa mattina il componente del Consiglio Superiore della Magistratura Marco Mancinetti si è dimesso per il cosiddetto “scandalo Palamara”. E’ il sesto del plenum a lasciare ed è un esponente della stessa corrente Unicost di Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm che per anni ha deciso il ruolo di decine e decine di magistrati in base agli accordi fra correnti.

Rif:https://www.affaritaliani.it/politica/si-dimette-altro-componente-csm-ecco-le-chat-piu-compromettenti-693357.html