La lotta per la legalità di Nadia: “Minacciata dalla mafia, ignorata dalla giustizia: ora chiedo indagine sui pm”

La lotta per la legalità di Nadia: “Minacciata dalla mafia, ignorata dalla giustizia: ora chiedo indagine sui pm”

«Quella che ha Nadia è un’ampia documentazione. Adesso ci aspettiamo che parta un’indagine a 360° sulla Procura di Genova. Siamo convinti che lì sono celati segreti che possono scuotere tutta l’Italia, ben più di Mafia Capitale». Il presidente di Federcontribuenti, Marco Paccagnella, non ha dubbi. Da nove anni conosce e segue Nadia Gentilini, ex immobiliarista di Chiavari che venti anni fa fu incaricata dalla società dell’ex cantiere navale al porto cittadino di vendere decine di immobili che dovevano sorgere in quell’area. Un affare milionario, su cui avevano messo gli occhi la politica locale corrotta e probabilmente le ‘ndrine. Da allora è iniziato il suo “calvario”, raccontato nel libro-autobiografia “Annientata. La mia lotta per la legalità“, pubblicato nel 2018.

In questi anni ha denunciato minacce di morte dirette per strada e sotto casa, telefonate e biglietti funebri, il furto della macchina, ritrovata vicino alla camera mortuaria dell’ospedale di Lavagna e sei coltelli sullo scooter, tutto riportato a polizia e carabinieri. Avvisaglie tipiche del metodo mafioso, in un’area come quella compresa tra Genova, Chiavari, Tiguglio e Lavagna (comune sciolto per mafia nel 2017) in cui dal 2000 diverse indagini e arresti, oltre che una sentenza della Corte di Cassazione e documenti della Commissione antimafia e della Direzione investigativa antimafia, hanno dimostrato la presenza della ‘ndrangheta. Tra gli interessi traffico di droga, armi e rifiuti, oltre alle operazioni immobiliari.Related videos • Laura flagella la Louisiana. Ingenti i danni dell’uragano, di potenza superiore a Katrinahttps://w.theoutplay.com/5.0.168/frame.html

Proprio grazie alla testimonianza di Nadia, nel 2012, vengono condannati in via definitiva, dopo un’inchiesta a Genova, l’ex sindaco di Chiavari Vittorio Agostino e suo figlio, l’architetto Alessandro, tra l’altro legati all’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito. Tentata concussione: sei e quattro anni di galera, perché, come è scritto nella sentenza a loro carico, «hanno escogitato un sistema per avere la completa gestione dell’affare dell’ex cantiere». Ma con il loro arresto le minacce a Nadia non si placano e nel frattempo l’immobiliarista perde, stranamente, quasi tutti i clienti. Non solo: il Comune di Chiavari avvia la trasformazione di una parte confinante con l’ex cantiere in albergo, soggetta a vincolo monumentale. L’operazione sottrae appeal al progetto affidato a Nadia, che non riesce a ripagare un prestito che le è stato fatto da Banca Sella: a quel punto scatta il pignoramento e lei deve chiudere la sua agenzia immobiliare.

Nello stesso 2012 entra nel vivo il caso Belsito. Nadia, che riceve intanto il sostegno di Libera, riesce a farsi ascoltare per sei ore degli inquirenti del pm Henry John Woodcoock alla Procura di Napoli. Poi nel 2013 tutto passa alla Procura di Genova, dove la donna racconta che non si trovano più documenti e denunce che aveva depositato prima a Chiavari e poi a Napoli dal 2009. Le dicono di andare dal pm Piscitelli, che non trova, per questo si rivolge al procuratore capo Francesco Cozzi, lo stesso che ora indaga su Aspi per il crollo del Ponte Morandi e sui 49 milioni della Lega. Con lei c’è l’avvocato di Libera Valentina Sandroni, che racconta a Il Riformista: «Cozzi le disse che non aveva prove, ma noi avevamo indizi forti per avviare un’indagine». Quegli “indizi” non sono solo i documenti sul suo caso (studi edili, contratti, visure e documenti sul piano regolatore di Chiavari), ma anche denunce di cittadini e imprenditori che si dicono sotto tiro della criminalità e altre carte che parlano di operazioni anomale.

Nadia, spaventata dalle minacce, scappa dalla Liguria. Nel 2016 la Procura di Genova archivia il suo caso (qualche anno prima lo stesso era successo alla Procura di Biella). Ci dice l’avvocato Sandroni: «Probabilmente per prescrizione, anche se non ci è stato comunicato. Noi abbiamo inviato negli anni diversi solleciti, senza risposta. Non sappiamo nemmeno se le indagini sono state avviate. Grave che Nadia non sia mai stata chiamata da un magistrato e che siano passati sette anni per una archiviazione, sono tanti».

L’ex immobiliarista, però, non si arrende e tramite parlamentari di Pd e Movimento 5 Stelle arriva a depositare lo scorso giugno la sua memoria, con tutta la documentazione, alla Commissione antimafia. Il presidente Nicola Morraspiega a Il Riformista: «Quello che c’è stato riferito credo meriti un doveroso approfondimento, per tanti aspetti che non posso indicare. Sono questioni delicate e in buona parte sono state oggetto di secretazione»Poi aggiunge sulla Procura di Genova: «Dico soltanto che per combattere certe realtà bisogna studiare assai bene e a me sembra di capire che in tante parti del nostro Paese ancora manchi una sana, diffusa e profonda cultura e conoscenza di fenomeni mafiosi».

Qualcosa di simile diceva nel 2016 a Il Secolo XIX il predecessore di Cozzi, Michele di Lecce: «Diversi giudici non sembrano comprendere come la ’ndrangheta esercita il suo potere. Non la vedono, non la sentono, la ignorano. Sembrano vivere su un altro pianeta. Il processo “Maglio 3”, alla malavita calabrese radicata a Genova si è concluso con una riga di assoluzioni. L’inchiesta “La Svolta”, sulle ’ndrine del Ponente, ha perso per strada il livello politico, prima che il Consiglio di Stato annullasse gli scioglimenti di Bordighera e Ventimiglia». Lo stesso Cozzi, inoltre, a gennaio di quest’anno lamentava a Genova carenza d’organico per magistrati e amministrativi, sostenendo che così «non è facile portare avanti inchieste importanti».

Nel frattempo Nadia, che si sente sostanzialmente “ignorata” dalla giustizia ligure e che non ha mai ricevuto una scorta, ha paura di morire e per questo tiene un diario giorno per giorno. Ora si è candidata alle elezioni regionali in Liguria di domenica e lunedì prossimi con l’ex grillina Marika Cassimatis. «Voglio fare qualcosa per la Regione – sostiene – e per tutte le persone vittime della mafia. In Liguria c’è un muro incredibile, una protezione istituzionale che non fa emergere e risolvere le situazioni come la mia»

Rif: https://www.ilriformista.it/la-lotta-per-la-legalita-di-nadia-minacciata-dalla-mafia-ignorata-dalla-giustizia-ora-chiedo-indagine-sui-pm-158343/

I Pm ‘intoccabili’ che hanno distrutto la magistratura tra beghe, giochi di potere e ricatti

I Pm ‘intoccabili’ che hanno distrutto la magistratura tra beghe, giochi di potere e ricatti

Il Csm ha scelto la via venezuelana: Palamara non sarà processato, la stragrande maggioranza dei testimoni che lui ha chiesto siano ascoltati non saranno ascoltati. I giudici dei quali ha chiesto la ricusazione (in quanto complici del presunto delitto) non saranno ricusati. Il processo sarà rapidissimo – anche per dimostrare che la giustizia quando vuole sa essere svelta – la difesa sarà messa a tacere, il collegio giudicante sarà composto da complici del delitto, e tra tre settimane ci sarà la sentenza. La sentenza – questa è una notizia che noi abbiamo avuto in esclusiva – sarà di condanna. E a quel punto il caso Palamara potrà essere considerato chiuso e nessuno più dovrà parlarne. I giornalisti sono stati già avvertiti e chi violerà la consegna la pagherà cara. Ha deciso così il Csm.

Non c’è niente di forzato nelle righe che ho scritto. È così. Il Csm ha stabilito che non si svolgerà il processo perché il processo vero farebbe saltare in aria tutto l’impianto della magistratura, metterebbe in discussione quasi tutte le Procure, i procuratori, gli aggiunti, i presidenti dei Tribunali, anche moltissimi giudici, renderebbe evidente la necessità assoluta di separare le carriere, potrebbe persino rendere illegali molte e molte e molte delle sentenze emesse in questi anni da giudici sottoposti al ricatto, o comunque al condizionamento, del partito dei Pm che domina il Csm e che si fonda sullo sperimentato sistema delle correnti. È un rischio troppo grande per le istituzioni. Dalle intercettazioni sul telefono di Palamara, e dai trojan, risulta esattamente questo: che la struttura portante della magistratura è illegale e nominata da un sistema ad incastro di condizionamenti e talvolta di ricatti. Che quasi nessun magistrato di potere è estraneo a questo sistema. E che l’intera magistratura italiana è stata ferita a morte e va riformata e riportata almeno vicina alla legalità, dalla quale oggi è lontanissima.

Il Csm ha deciso di ignorare tutto ciò, e di prendere in considerazione solo la riunione all’Hotel Champagne (un paio d’ore in tutto) alla quale parteciparono i deputati Lotti e Ferri e nella quale si discusse della nomina del Procuratore di Roma, punto e basta. Per questa riunione – che peraltro fu intercettata in modo totalmente illegale, perché la Costituzione proibisce l’intercettazione dei parlamentari – si propone (e si accoglie) la condanna di Palamara e poi si chiede di stendere su tutto il resto un velo e di cancellare ogni cosa in un grande silenzio. Come esce da questa vicenda la magistratura italiana? Seppellita. È inutile che ogni volta che parliamo della magistratura ripetiamo che però un gran numero di magistrati rispettano le leggi, son persone per bene, sono professionisti capaci. È vero, certamente, ma la magistratura nel suo insieme è una struttura marcia. “Chiacchiere e distintivo”. E di conseguenza la gran parte delle inchieste giudiziarie e delle sentenze, probabilmente, sono ingiuste e sono determinate dai rapporti di forza tra i Pm e i giudici.

È così in tutti i paesi dell’occidente? No, non è così. La malagiustizia è uno dei problemi della modernità, ma in pochissimi paesi democratici esiste una situazione così vasta di illegalità, dovuta allo strapotere che negli ultimi trent’anni la magistratura si è conquistato, schiacciando la politica e soffiando via i cardini essenziali dello stato di diritto. Ogni giorno che passa c’è una controprova. Prendete Gratteri, tanto per parlare di uno che un po’ i nostri lettori conoscono. Ma voi sapete di un altro paese occidentale dove un Procuratore, mentre è in corso l’udienza preliminare nella quale si decide la sorte di circa 400 suoi imputati, se ne va in Tv a fare spettacolo, ride, fa battute e sostiene che se la gente viene assolta è perché i giudici sono corrotti, e se spesso le sue inchieste finiscono in un flop è perché nella magistratura c’è molta invidia? E nessuno gli chiede conto del perché un Pm impegnato in un maxiprocesso trova normale e giusto andare in Tv a fare polemica contro i suoi imputati. E se qualcuno al mondo possa mai credere che quel Pm è un Pm rigoroso e serio che si occupa solo del suo lavoro? Conoscete i nomi di magistrati inglesi, o francesi, o tedeschi o americani che si comportano così, senza peraltro che né la politica, né il Csm si occupino di censurare questi atteggiamenti?

Non li conoscete. In verità c’era qualcuno che aveva criticato Gratteri: il suo diretto superiore, il Procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Fior di magistrato con gloriosa carriera alle spalle. Il Csm nel giro di una settimana, invece di intervenire su Gratteri intervenne su Lupacchini, lo degradò sul campo e lo spedì a mille chilometri dalla sua sede. Voi pensate che ci sarà qualche altro magistrato che leverà la sua vocina, pure flebile, verso lo sceriffo di Catanzaro? E perché – magari uno si chiede – Gratteri è così potente? Perché ha sconfitto la ‘ndrangheta? No, la ‘ndrangheta oggi è infinitamente più forte di quando lui ha iniziato ad operare in Calabria. Ha decuplicato le sue forze. E allora perché? Perché è un Pm che sa fare la parte del Pm moderno: censore, uomo di spettacolo, scrittore, politico. Alla ricerca di reati? No, quelli li trova raramente. Alla ricerca di imputati. Possibilmente illustri.
Cosa resta della magistratura? Cenere.

Rif:https://www.ilriformista.it/i-pm-intoccabili-che-hanno-distrutto-la-magistratura-tra-beghe-giochi-di-potere-e-ricatti-158267/

Baldovino De Sensi, le chat con Palamara del magistrato trasferito a L’Aquila

palamara de sensi

Baldovino De Sensi, un giudice cacciato dal Csm e trasferito all’Aquila nelle chat con Luca Palamara oggetto dell’inchiesta Magistratopoli. Nei messaggi anche il nome di Legnini.

Il giudice Baldovino De Sensi faceva parte di Magistratura indipendente, la corrente di destra di Cosimo Ferri, ora deputato renziano, ritenuto “un dominus delle nomine” come Palamara che però è di Unicost, corrente centrista.

De Sensi, trasferito al Tribunale dell’Aquila il 5 marzo scorso, nella primavera del 2018, come riporta Il Fatto Quotidiano, ha provato ad avere l’appoggio di Luca Palamara, ancora consigliere, per diventare vicesegretario generale del Csm, provando persino a fare “lo sgambetto” al Quirinale che aveva indicato Gabriele Fiorentino.

De Sensi comincia a tempestare di messaggi Palamara nel febbraio del 2018: “Bisogna far modificare la norma e prevedere 2 vice segretari”.

In un altro messaggio sempre De Sensi incalza Palamara: “Uno non si può arrendere se prima ha fatto qualcosa: non mi sembra che tu abbia combattuto per me o per A… Per ora siamo stati solo umiliati, soprattutto lei. E tutto era nelle tue mani che ti saresti potuto limitare a dire che il vice segretario lo avrebbe fatto il più meritevole, per profilo e impegno in questa consiliatura e non per diritto successorio, così lei sarebbe entrata al posto mio. Invece così andrà a qualcuno solo perché di Area e noi due, che confidavamo sul tuo appoggio prenderemo solo schiaffi”.

Con questo sms quindi De Sensi ipotizza che, con il passaggio a vice segretario generale, il suo posto da magistrato segretario passerà a una donna, indicata nei messaggi come A.

Dal 2018 arriviamo ad aprile 2019. Tramontata l’ambizione da vice segretario, De Sensi riparte alla carica con i messaggi a Palamara: questa volta vorrebbe un incarico al ministero della Giustizia.

De Sensi, fallito il primo obiettivo, punta a diventare capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria (Dog) del ministero della Giustizia.

Chat Luca Palamara-De Sensi: dentro anche il nome di Giovanni Legnini

Nelle chat spunta anche il nome di Giovanni Legnini, vice presidente del Csm, (fino al 2018), candidato in Abruzzo con il centro sinistra alla presidenza della Regione alle elezioni del 2019, oggi commissario straordinario alla ricostruzione per le zone del terremoto del 2016 e 2017, che già aveva avuto degli scambi epistolari con Palamara.

“Parla con Giovanni (Legnini, ex vicepresidente, ndr) e fatemi andare al posto della Fabbrini”, scrive De Sensi a Palamara.

Barbara Fabbrini era la persona in pole position per quell’incarico e oggi è l’attuale capo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria (Dog).

Scrive ancora De Sensi: “Cerca di capire se il mio nome è arrivato veramente… E se mi devo muovere con la Lega”Ma Baldi (ex capo di gabinetto del ministro della giustizia Bonafede ndr) quando lo vedi?” .

Niente da fare, De Sensi non ci riesce neanche questa volta e resta magistrato segretario al Csm.

Su sua richiesta poi, il 5 marzo scorso, il plenum del Csm delibera il rientro in ruolo di De Sensi, a L’Aquila, considerata “sede disagiata”.

Per penuria  di magistrati segretari, però, il Comitato di presidenza chiede al ministero della Giustizia una “presa di possesso” posticipata di 6 mesi. Dopo che Il Fatto quotidiano ha pubblicato le chat tra De Sensi e Palamara, il Comitato di presidenza ha deciso che De Sensi non può restare al Consiglio.

Rif: https://www.ilcapoluogo.it/2020/09/15/baldovino-de-sensi-le-chat-con-palamara-del-magistrato-trasferito-a-laquila/

Le mazzette al giudice Petrini a Catanzaro: incidente probatorio per un medico e un avvocato

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Il sospetto e l’angoscia. L’idea di essere indagato per le costanti attività corruttive poste in essere, spinse il giudice Marco Petrini (sospeso ma non destituito dalla magistratura) a tentare di scoprire cosa stesse accadendo.

Il togato usò l’unica arma di cui disponeva per mettere il naso nelle indagini: la chiave di accesso della ex moglie al cosiddetto sistema “Scripta”. La donna, infatti, tra il dicembre 2019 e il gennaio successivo era incaricata, nella veste di dipendente del ministero di Grazia e Giustizia, della tenuta della corrispondenza e del protocollo riservato indirizzata al presidente della Corte di appello di Catanzaro.

Petrini si era allarmato per la pubblicazione sui quotidiani nazionali e locali della notizia riguardante l’esistenza di un’inchiesta a carico di ben 15 magistrati in servizio nel distretto catanzarese. Di alcuni erano filtrati i nomi, degli altri non si conosceva invece l’identità.

Ben consapevole delle irrituali attività svolte nell’esercizio delle proprie funzioni, l’ex presidente della Corte di assise, approfittando abusivamente della finestra del programma “Scripta” aperta sul computer di ufficio della moglie, prese a consultare ripetutamente e periodicamente il programma per verificare la presenza di comunicazioni relative a procedimenti iscritti a suo carico da parte della procura di Salerno (competente funzionalmente a indagare) e trasmesse al presidente della Corte di appello. Con questo espediente, Marco Petrini riuscì ad estrapolare il numero del procedimento penale  che lo riguardava – il 6695/18/21 – , la data del provvedimento di iscrizione – il 2 agosto del 2018 – e le qualificazioni giuridiche coincidenti con quelle originariamente date alla notizia di reato trasmessa a Salerno dalla procura distrettuale di Catanzaro.

Il magistrato, poi arrestato e sospeso dal servizio per le gravi condotte tenute in cambio di ingenti somme di denaro, ha ammesso le proprie responsabilità in relazione a molteplici episodi corruttivi, precisando tuttavia d’aver compiuto l’accesso abusivo al sistema “Scripta” all’insaputa della moglie. In relazione a questa vicenda Marco Petrini dovrà essere sentito in sede di incidente probatorio dal gip di Salerno, Giovanna Pacifico, per esplicita richiesta avanzata in tal senso dal procuratore capo, Giuseppe Borrelli e dall’aggiunto, Luca Masini.

L’ex presidente dell’assise catanzarese sentito in udienza nei giorni scorsi ha già ridimensionato la portata di gravi affermazioni che aveva messo a verbale e riguardanti tre colleghi magistrati in servizio nel capoluogo di regione.

Il togato ha pubblicamente escluso che fossero coinvolti con lui nel “mercimonio” di sentenze messo in piedi negli ultimi anni. Non solo: ha pure scagionato l’avvocato Giancarlo Pittelli dall’accusa di aver “aggiustato” con la sua complicità dei processi. Accusa che in precedenza aveva invece lanciato nei confronti del penalista. Punto di domanda: Petrini quando dice la verità e quando mente?

Rif: https://catanzaro.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2020/09/09/le-mazzette-al-giudice-petrini-a-catanzaro-incidente-probatorio-per-un-medico-e-un-avvocato-58c9b303-2192-409b-87e9-3dbc718699a3/

Sentenze Cds pilotate,condanna 11 anni per giudice Russo

 © ANSA

Accusa è corruzione,disposto risarcimento di oltre 160 mila euro

(ANSA) – ROMA, 14 SET – I giudici della II sezione penale di Roma hanno condannato a 11 anni di carcere il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo (ora sospeso) per l’accusa di corruzione in atti giudiziari per avere pilotato almeno tre sentenze. La procura aveva sollecitato una condanna a 7 anni e mezzo. I giudici hanno, inoltre, dichiarato estinto il rapporto di Russo con la pubblica amministrazione e disposto un risarcimento di 100 mila euro in favore della Presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile, e di oltre 64 mila in favore dell’amministrazione giudiziaria a titolo di riparazione pecuniaria. L’indagine si basa sulle dichiarazioni dall’avvocato Pietro Amara secondo cui Russo, arrestato nel febbraio del 2019, avrebbe ottenuto da lui circa 80 mila euro (e altri 60mila promessi), per aggiustare sentenze di tre procedimenti davanti al Consiglio di Stato. (ANSA).

rif:https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/09/14/sentenze-cds-pilotatecondanna-11-anni-per-giudice-russo_298e30de-feab-49f2-8e82-26a6a9ac6aa9.html

Roma, corruzione: 11 anni al giudice Nicola Russo, la procura ne aveva chiesti 7

Roma, corruzione: 11 anni al giudice Nicola Russo, la procura ne aveva chiesti 7

La II sezione penale ha inflitto una pena più alta della richiesta al giudice del Consiglio di Stato (sospeso) per corruzione in atti giudiziari: pilotate almeno tre sentenze.

La procura aveva sollecitato una condanna a 7 anni e mezzo. I giudici della II sezione penale di Roma hanno condannato a 11 anni di carcere il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo (ora sospeso) per l’accusa di corruzione in atti giudiziari. Secondo la ricostruzione ha pilotato almeno tre sentenze.

I giudici hanno dichiarato estinto il rapporto di Russo con la pubblica amministrazione e disposto un risarcimento di 100mila euro in favore della presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile. Oltre 64mila euro dovrà all’amministrazione giudiziaria come riparazione pecuniaria. 

La vicenda è legata alle vicende che nel 2018 coinvolsero l’immobiliarista Stefano Ricucci, all’epoca accusato di aver pagato al giudice cene, aperitivi e consumazioni nei luoghi simbolo della mondanità romana. Gli hotel De Russie e Valadier, il ristorante Assunta Madre, la discoteca Art Caffè di Villa Borghese: tappe amate dall’immobiliarista, che avrebbe offerto a Russo cene da mille euro, cocktail e serate. Più un regalo misterioso.

Rif:https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/20_settembre_14/roma-corruzione-11-anni-giudice-nicola-russo-procura-ne-aveva-chiesti-7-1a7436f0-f676-11ea-a235-1f3f4e67a539.shtml

Sentenze del Consiglio di Stato “pilotate”, condanna a 11 anni per magistrato (ora sospeso) Nicola Russo

Sentenze del Consiglio di Stato “pilotate”, condanna a 11 anni per magistrato (ora sospeso) Nicola Russo
L’indagine si basa sulle dichiarazioni dall’avvocato Pietro Amara, secondo cui Russo, arrestato nel febbraio del 2019, avrebbe ottenuto da lui circa 80mila euro (e altri 60mila promessi), per aggiustare sentenze di tre procedimenti davanti al Consiglio di Stato

I giudici della II sezione penale di Roma hanno condannato a 11 anni di carcere il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo (ora sospeso dalle sue funzioni) con l’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver pilotato almeno tre sentenze. È stato inoltre dichiarato estinto il rapporto di Russo con la Pubblica amministrazione e disposto un risarcimento di 100mila euro in favore della Presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile, e di oltre 64 mila in favore dell’amministrazione giudiziaria a titolo di riparazione pecuniaria.

A far scattare l’inchiesta, che nel febbraio 2019 ha portato all’arresto di Russo, sono state le dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara ai magistrati, ai quali riferì di aver dato a Russo 80mila euro, promettendone altri 60mila per far ‘aggiustare’ tre sentenze proprio davanti al Consiglio di Stato. Durante la requisitoria, i pm avevano chiesto di condannarlo a 7 anni e mezzo.

Nell’ambito dello stesso procedimento, nel luglio 2019 hanno patteggiato una condanna a 2 anni e mezzo l’ex presidente del Consiglio di giustizia amministrativa siciliana Raffaele Maria De Lipsis e l’ex magistrato della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso, accusati anche loro di corruzione in atti giudiziari. Per un terzo imputato, il deputato ora sospeso dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso, il gup Costantino De Robbio ha derubricato l’accusa in traffico di influenze fissando in un anno e due mesi la pena. La condanna per Russo, invece, è arrivata oggi perché aveva scelto di essere giudicato con rito ordinario.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/14/sentenze-del-consiglio-di-stato-pilotate-condanna-a-11-anni-per-magistrato-ora-sospeso-nicola-russo/5930829/rif:

Giustizia corrotta a Trani, processi pilotati con tangenti: condannato a 10 anni l’ex magistrato Savasta

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Il giudice del Tribunale di Lecce, al termine dell’inchiesta sulla giustizia svenduta di Trani, ha condannato a 10 anni l’ex pubblico ministero Antonio Savasta, a 4 anni il magistrato Luigi Scimè e l’imprenditore Luigi D’Agostino, a 2 anni e 8 mesi l’avvocato Giacomo Ragno e a 4 anni e 4 mesi per l’avvocato Ruggero Sfrecola.

La sentenza è nei confronti dei cinque imputati che hanno scelto il processo abbreviato, nell’ambito dell’inchiesta dove ricche tangenti avrebbero pilotato l’esito di indagini e processi in favore di alcuni imprenditori.

Tra gli imprenditori anche il coratese Flavio D’Introno, che ha denunciato la malagiustizia tranese, raccontando ai giudici leccesi di avere allungato a magistrati e pubblici ministeri oltre due milioni di euro.

Rif: https://bari.ilquotidianoitaliano.com/in-puglia/2020/07/news/giustizia-corrotta-a-trani-processi-pilotati-con-tangenti-condannato-a-10-lex-magistrato-savasta-279650.html/

Soldi e sesso in cambio di favori, così Gratteri ha “smascherato” il giudice corrotto

Tutto è partito da Catanzaro. Dagli uffici della Procura distrettuale antimafia. E’ stato Nicola Gratteri a mettere la firma su un fascicolo “bollente” inviato per competenza a Salerno. Da quegli atti si è sviluppata la clamorosa inchiesta che ha portato all’arresto del giudice Marco Petrini, un suo collega che lui stesso conosceva e che capitava di incrociare nei corridoi del tribunale di Catanzaro, divisi da un solo piano. Appena saputo del coinvolgimento del magistrato nell’indagine condotta dalla Finanza su un presunto caso di corruzione in atti giudiziari aggravato dal metodo mafioso, Gratteri ha quindi ha trasmesso tutta la documentazione alla Direzione distrettuale antimafia di Salerno.

La genesi dell’inchiesta. L’origine dell’inchiesta denominata “Genesi” che ha portato all’arresto del giudice Marco Petrini e di altre sette persone nasce infatti da un procedimento datato 2 agosto del 2018 che si è sviluppato in modo clamoroso e del tutto inaspettato. Gli investigatori della Guardia di Finanza erano dapprima sulle tracce di tre soggetti: Luigi Falzetta, Emilio Santoro, detto Mario, e Giuseppe Tursi Prato, detto Pino. L’indagine riguarda inizialmente solo loro ma le intercettazioni successive aprono altri scenari, ben più inquietanti. “L’ascolto di quelle intercettazioni – scrive il gip Giovanna Pacifico nell”ordinanza – faceva emergere uno scenario investigativo di ben maggiore ampiezza, attraverso la speculare estensione delle operazioni intercettive, via via autorizzate da questo ufficio, rispetto agli originari ‘bersagli’”.  Le conversazioni captate rivelano con il passare dei giorni un quadro indiziario grave. Tra un’intercettazione ed un altra, i finanzieri giungono all’identificazione di un giudice in servizio nel distretto giudiziario di Catanzaro e l’indagine diventa inquietante. Quel giudice è Marco Petrini, addirittura il presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro. Alla polizia giudiziaria non resta altro che redarre l’informativa shock che il 15 ottobre del 2018 arriva sulla scrivania di Nicola Gratteri e dei suoi sostituti procuratori che coordinano l’inchiesta originaria. Alla Dda di Catanzaro, invece, non rimane che trasmettere gli atti alla Procura di Salerno competente per territorio. Di mezzo c’è, coinvolto a pieno titolo nell’indagine, spunta un magistrato del distretto giudiziario catanzarese. Non si può fare altrimenti. Tocca ad altri andare avanti e sviluppare la clamorosa attività investigativa.

Dalle origini al blitz. Inizia qui quella che verrà denominata in codice l’inchiesta “Genesi”. Il fascicolo passa nelle mani del pm salernitano Luca Masini e le indagini vengono svolte sul campo dai reparti specializzati della Guardia di Finanza. E’ il 7 novembre del 2018 e il gip autorizza le intercettazioni telefoniche ed ambientali. Petrini finisce sotto inchiesta, pedinato, intercettato, a casa e nel suo ufficio. L’ascolto delle conversazioni fa venire fuori quello che gli inquirenti definiranno una “sistematica attività corruttiva”. Tutto ruota intorno al magistrato di origini umbre che vive a Lamezia. Gli accertamenti bancari fanno il resto e gli investigatori scoprono le “difficoltà finanziare” del giudice. Il cerchio intorno a Petrini si stringe sempre di più e, contemporaneamente, le indagini si allargano coinvolgendo le sue presunte amanti (due avvocatesse) in quello che sarà l’aspetto più piccante e pruriginoso della vicenda. Sul registro degli indagati vengono iscritte complessivamente quattordici persone. Per otto di queste il gip di Salerno ravvisa le esigenze cautelari. L’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato e suoi presunti “intermediari” Emilio Santoro e Luigi Falzetta finiscono in carcere insieme ad una serie di professionisti. Tra questi anche quattro avvocati. E’ il 15 gennaio del 2020, il giorno del blitz. Storia dei giorni nostri. Una storia che non è ancora finita e che promette ulteriori, clamorosi risvolti perché tra le 120 pagine dell’ordinanza si celano ipotesi investigative in via di sviluppo. Come una serie tv in attesa di un’altra puntata.

Rif: https://www.zoom24.it/2020/01/16/soldi-e-sesso-in-cambio-di-favori-cosi-gratteri-ha-smascherato-il-giudice-corrotto/

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Corruzione, si dimette il capo degli ispettori del ministro Bonafede: è indagato a Napoli

Corruzione, si dimette il capo degli ispettori di Bonafede: soffiate in  cambio di biglietti e posto per il gommone - Corriere.it

Si è dimesso a sorpresa venerdì, proprio all’inizio del week end. Il giudice Andrea Nocera, l’uomo scelto dal guardasigilli Alfonso Bonafede per guidare l’ispettorato del ministero della giustizia, ha lasciato il suo incarico dopo aver scoperto di essere indagato dalla procura di Napoli. La contestazione è pesante: corruzione in concorso con l’armatore Salvatore Lauro, ex deputato di Forza Italia, e l’imprenditore marittimo Salvatore Di Leva, amministratore della società Alilauro Gruson. L’ipotesi di reato formulata dai pm Henry John Woodcock e Giuseppe Cimmarotta, coordinati dal procuratore capo Giovanni Melillo, è legata ad alcuni biglietti di aliscafi e il rimessaggio di un gommone ricevuti dal giudice in cambio di notizie su un’inchiesta in corso a carico di Lauro. A raccontare la vicenda sono i quotidiani Repubblica e Corriere della Sera.

Al vaglio degli investigatori c è un incontro avvenuto agli inizi di aprile, organizzato da Di Leva, con Nocera, Lauro e il commercialista Alessandro Gelormini. Al magistrato sarebbe stato chiesto di procurarsi “notizie e informazioni” su un’ inchiesta per reati societari in cui era coinvolgo l’armatore. In cambio a Nocera, che ha una casa a Capri, sarebbero stati forniti “numerosi biglietti e tessere” per gli aliscafi diretti nell’isola campata e “servizi di manutenzione e rimessaggio” di un gommone nel cantiere di Di Leva.

Nocera era stato selezionato da Bonafede subito dopo la nascita del Governo Conte 1. Il ministro lo sceglie come capo dei suoi 007, gli ispettori chiamati a vigilare sull’operato dei colleghi: in poco meno di una anno e mezzo Nocera ha istruito un centinaio di azioni disciplinari e 42 accertamenti preliminari. Fra gli inquisiti di spicco, l’ex pm di Roma Luca Palamara e i magistrati del caso Bibbiano. La notizia dell’indagine sul capo dei suoi ispettori è stata comunicata a Bonafede giovedì scorso, non solo per rispetto professionale visto che il ministro della Giustizia è titolare dell’azione disciplinare sui magistrati. Evidentente dunque la questione d’opportunità. Venerdì Bonafede ha convocato Nocera, che ha subito deciso di lasciare il suo lavoro al ministero, chiedendo al Csm di tornare a lavorare al Massimario della Cassazione. Il via libera dal Consiglio superiore è arrivato già ieri. Oltre che a Palazzo dei Marescialli, dunque, la notizia di Nocera indagato è arrivata anche alla Suprema corte dove il nuovo procuratore generale, Giovanni Salvi, attenderà gli sviluppi dell’indagine penale. Fino a oggi, infatti, il magistrato era sempre stato considerato una persona al di sopra di ogni sospetto dai colleghi oltre che un magistrato corretto e di ottimo livello.

Nell’indagine sull’ormai ex capo degli ispettori di via Arenula, tra l’altro, è coinvolto anche un altro magistrato del distretto di Napoli, sul quale si sta concentrato la procura di Roma, competente per reati commessi da magistrati partenopeo. Per questo, giovedì scorso, Di Leva è stato interrogato da Cimmarotta, Woodcock, dal procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e dalla pm capitolina Lia Affinito. Al termine dell’ interrogatorio, all’imprenditore è stato sequestrato il telefonino. Lo stesso cellulare dove era stato inoculato il virus spia trojan in un inchiesta sulla gestione delle aree demaniali di Castellammare di Stabia. Da quel sistema d’intercettazione che le riforme di Bonafede hanno esteso anche alle indagini per reati contro la pubblica amministrazione è nata l’inchiesta sul capo degli ispettori del ministero.

rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/05/corruzione-si-dimette-il-capo-degli-ispettori-del-ministro-bonafede-e-indagato-a-napoli/5595377/