Bufera procure: si dimette altro consigliere Csm

E’ Marco Mancinetti, togato di Unicost

Caso Palamara, si dimette un altro consigliere del Csm

(ANSA) – ROMA, 09 SET – Un altro consigliere del Csm si è dimesso in relazione al “caso Palamara”. Si tratta di Marco Mancinetti, togato di Unicost. “Ho ricevuto pochi minuti fa la notifica dell’azione disciplinare nei miei confronti da parte della Procura generale per fatti inerenti alle attività amministrative svolte dalla precedente consiliatura, sulla base delle chat da me intrattenute con Luca Palamara – spiega lo stesso Mancinetti- Pur non essendovi alcun automatismo di legge, ho già rassegnato le mie dimissioni nelle mani del Vice Presidente del Consiglio superiore della Magistratura, per senso istituzionale e per evidenti ragioni di opportunità, nel pieno rispetto delle attività della Procura generale e nella convinzione di poter offrire ogni chiarimento nella sede competente”. (ANSA).
   Rif: https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/09/09/bufera-procure-si-dimette-altro-consigliere-csm_ff0ad8a1-79f7-4311-8451-66043caf4f58.html

Corruzione, il pentito: “Cartier, qualche Rolex e soldi cash a giudici e avvocati. Così la ‘ndrangheta aggiustava i processi in Calabria”

Corruzione, il pentito: “Cartier, qualche Rolex e soldi cash a giudici e avvocati. Così la ‘ndrangheta aggiustava i processi in Calabria”

econdo il collaboratore di giustizia Andrea Mantella esisteva una sorta di “sistema” per avere sentenze favorevoli. Un meccanismo raccontato ai pm di Salerno, che stanno indagando sul giudice Marco Petrini, arrestato nelle scorse settimane con l’accusa di corruzione: “Nel mio episodio, tutti i miei episodi sono stati denaro contante comunque attraverso fiumi di denaro cercavano di aggiustare dei processi”. Sul magistrato arrestato ha detto: “È un massone con la gonnella, gradiva avere qualche regalo in cambio di ammazzare sentenze”

“Ci siamo stretti la mano, mi ha detto: entro 15 giorni io ti farò scarcerare”. E così è stato: “Al quindicesimo giorno, alle 13 e qualcosa, la telefonata dell’avvocato Staiano come se fosse che il discorso era già fatto. Praticamente io uscii dal carcere… gli ho dovuto dare i soldi subito subito. L’avvocato Staiano mi disse che con quella cifra stavo tranquillo, con quei soldi stavo tranquillo”. Il 4 aprile 2019, il pentito Andrea Mantella si trova davanti ai pm di Salerno che stavano indagando sul giudice Marco Petriniarrestato nelle scorse settimane con l’accusa di corruzione.L’ex killer e capo del clan Lo Bianco di Vibo Valentia si trova nella stanza dei sostituti della Dda Vincenzo Senatore e Silvio Marco Guarriello. Ai due pm spiega come la ‘ndrangheta ha aggiustato processi in Calabria: “Nel mio episodio, tutti i miei episodi sono stati denaro contante”. Il sistema, però, prevedeva anche “altre utilità”. A spiegare quali è lo stesso Mantella, boss “con la seconda elementare”, ma dotato di evidenti capacità di sintesi: “Qualche Cartier, qualche Rolex, qualcosa e alla fine…un po’ di pazienza e ce la fai ad uscire dal carcere”. Tra il pentito e i magistrati c’è una scrivania con sopra sette fascicoli che si riferiscono ad altrettante indagini che la Procura di Salerno sta conducendo, per competenza, nei confronti di magistrati del distretto di Catanzaro. Alcuni di quei fascicoli, cinque per l’esattezza, sono inchieste su giudici o pubblici ministeri calabresi già iscritti nel registro degli indagati. Le altre due inchieste sono, invece, a modello 45, quello su atti che non costituiscono una notizia di reato. Se gli accertamenti delegati alla polizia giudiziaria dovessero fornire elementi a riscontro, i pm Senatore e Guarriello potrebbero decidere di trasformare i due fascicoli contro ignoti e iscriverli a modello 21 dando un nome agli indagati.

IL SISTEMA NICOLINO GRANDE ARACRI- Il pentito Mantella parla di vicende che ha vissuto personalmente ma anche di questioni che ha appreso in carcere, dove ha stretto contatti pure con le cosche crotonesi: dai Mannolo ai Vrenna, ma soprattutto con il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri. Nelle 288 pagine di verbale, depositate al tribunale del Riesame, ci sono molti omissis. Ma ci sono anche nomi di avvocati e magistrati sui quali adesso la Procura di Salerno vuole vederci chiaro. Su tutti c’è l’avvocato Salvatore Staiano, appena rinviato a giudizio a Catanzaro per i suoi presunti rapporti con i clienti. Stando alle accuse, tra questi ultimi e il professionista non ci sarebbe stato solo un rapporto professionale ma soldi in contanti destinati a magistrati corrotti. “Staiano era nelle mani di Nicolino Grande Aracri, – dice Mantella – però era il pupillo di Vincenzo Gallace e praticamente all’interno dello studio dell’avvocato Staiano lavorava come avvocato un fratello di Nicolino Grande Aracri… comunque attraverso fiumi di denaro cercavano di aggiustare dei processi, ci provavano in tutti i sensi”. “La pratica – sono le parole del pentito – era questa: praticamente quando c’è un’associazione mafiosa, quando c’è praticamente una cosa, pure che tu rimani in carcere si fa il gioco che cerchi di fare di tutto, di farti cadere ad esempio l’accusa di omicidio e ti rimangono i 12 anni dell’associazione mafiosa”. Il meccanismo per la cosca di Cutro era collaudato: “Si impegna un professionista distinto che si mette a disposizione attraverso diciamo grosse somme di denaro e tocca solo quell’avvocato, tocca solo a quel funzionario di mettere a posto quello che si potrebbe mettere a posto, se c’è da mettere a posto qualcosa”. In altre parole, il compito dell’avvocato era quello di “addolcire” il magistrato che doveva giudicare il boss: “Significa di fargli cambiare un opinione negativa per il tuo cliente”. Non c’erano margini di errore o dubbi che la sentenza potesse andare diversamente dai desiderata del boss: i Grande Aracri “erano tranquillissimi che la cosa sarebbe andata a buon fine… è come se fosse che già avevano scritto l’assoluzione in mano”.

MANTELLA ALL’AVVOCATO: “LA PORSCHE O SOLDI LIQUIDI?” – Il pentito non riporta solo discorsi ascoltati in carcere. No: anche Mantella ha beneficiato personalmente di quel tipo di “aiuti”. Ai pm di Salerno, parla del suo tentativo di uscire dalla clinica psichiatrica Villa Verde, dove stava scontando la sua pena: “Dovevo fare dei passaggi di droga… un affare grosso. Ero pronto a tutto… Gli ho detto ‘avvocato io gli do subito una Porsche’. Dice: ‘Quanto vale sta Porsche? Io gli dissi 65-70mila euro’. ‘Se io li vorrei (volessi, ndr) liquidi questi soldi, tu ce li hai?’. ‘Come no, ce l’ho e ci siamo stretti la mano’….Ho dato 65-70mila euro liquidi all’avvocato Staiano”. Ed è a questo punto del verbale che il pentito Mantella, rispondendo alle domande dei pm, fa i nomi di alcuni magistrati. Una premessa è d’obbligo: si tratta di giudici che non risultano indagati. Vengono comunque citati nelle carte depositate dalla Procura di Salerno nel fascicolo sul giudice Marco Petrini. Saranno gli accertamenti disposti dai pm campani a stabilire se le accuse del pentito sono false – e quindi Mantella va messo sotto inchiesta per calunnia – o se, invece, hanno un fondamento. “L’avvocato Staiano – afferma il collaboratore di giustizia – vantava l’amicizia con il dottore Battaglia e con la dottoressa Rinaudo, e un pochettino cercava di addolcire la Marchianò…”. Tutti e tre sono magistrati che lavorano o hanno lavorato a Catanzaro e per i quali, oltre alle dichiarazioni del pentito, non c’è alcuna accusa agli atti dell’inchiesta Genesi contro il giudice Petrini. Non ci sono elementi, infatti, per pensare che siano coinvolti in storie di questo tipo. Per capire i contorni della vicenda e consentire a Mantella di essere più esplicito, i pm cercano di insinuare il dubbio che l’avvocato Staiano potesse avere millantato l’amicizia con i giudici per accreditarsi agli occhi del boss di Vibo Valentia. “A me – chiarisce il pentito – la frase corrompere non me l’ha detta mai. Mi ha detto ‘tu mi devi dare questi soldi e stai tranquillo’. Ma mica siamo bambini… io i soldi, come sono rimasto con lui, glieli ho dati dopo il provvedimento di scarcerazione”.

TRENTA MILA EURO AL COMMERCIALISTA PER GLI ARRESTI DOMICILIARI – Mantella non badava a spese quando si trattava di uscire dal carcere: “Nel settembre 2006, ho dovuto pagare, dare 30mila euro a Scrugli Francesco (il suo ex braccio destro, ndr) perché io ero in carcere per l’operazione ‘Asterix’”. Questa storia il collaboratore l’ha già raccontata ai pm di Catanzaro e la ripete ai sostituti della Dda di Salerno: “Scrugli va da Daffinà”. Antonino Daffinà è uno dei candidati alle elezioni regionali del 26 gennaio scorso nella lista di Forza Italia: “Daffinà commercialista di Vibo anche lui legato a rapporti della massoneria deviata con Pantaleone Mancuso ‘Vetrinetta‘ (boss defunto nel 2015), per dire siccome hanno una parentela tra Antonino Daffinà e il dottore Giancarlo Bianchi”. Anche il magistrato Bianchi, quindi, viene tirato in ballo dal pentito Mantella che però non riporta fatti vissuti personalmente ma riferisce una circostanza che gli è stata raccontata da un altro soggetto, Francesco Scrugli: quest’ultimo non potrà mai confermarla perché è stato ucciso nel 2012. “Io non mi aspettavo neanche questa detenzione… – aggiunge il collaboratore – scendo a colloquio quella mattina, a fare colloquio tranquillamente, i miei familiari hanno detto: ‘Stai uscendo… ti hanno dato gli arresti domiciliari’. Cosa che io neanche sapevo. Una volta fuori, Francesco Scrugli che era il mio braccio destro mi dice: ‘Andrea dobbiamo… mi devi dare 30mila euro perché io li ho dati a Tonino Daffinà per farti ottenere questi arresti domiciliari”.

IL GIUDICE MARCO PETRINI? “UN MASSONE CON LA GONNELLA” – La definizione che il pentito fa del giudice Petrini invece è abbastanza netta: “È un massone con la gonnella, sempre questo mi hanno detto”. Il magistrato aveva anche un altro soprannome: “In gergo – dice il pentito – lo chiamano ‘il bolognese”. Per “addolcire” il giudice arrestato e addomesticare i suoi processi, il sistema era lo stesso: “Petrini mangia come un porco. – mette a verbale Mantella – Accetta i cash. Petrini è un che mangia…soldi, orologi, vantaggi, macchine a noleggio, ristoranti, alberghi, campeggi, villaggi turistici”. Anche prostitute? “Adesso vengono chiamate hostess” aggiunge il pentito secondo cui Petrini “ha tendenze nella massoneria deviata” e “gradiva avere qualche regalo in cambio di ammazzare sentenze”.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/02/11/corruzione-il-pentito-cartier-qualche-rolex-e-soldi-cash-a-giudici-e-avvocati-cosi-la-ndrangheta-aggiustava-i-processi-in-calabria/5701675/

Toghe sporche, le rivelazioni bomba di Petrini. Parla di Sculco, di giudici corrotti e poi ritratta

Marco Petrini

I verbali degli interrogatori resi davanti ai pm di Salerno. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro racconta dei rapporti con l’ex consigliere regionale di Crotone. Inoltre, prima formula precise accuse nei confronti dei colleghi magistrati Cosentino, Commodaro e Saraco, poi ci ripensa. Ma ora gli inquirenti non gli credono

I verbali degli interrogatori resi davanti ai pm di Salerno. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro racconta dei rapporti con l’ex consigliere regionale di Crotone. Inoltre, prima formula precise accuse nei confronti dei colleghi magistrati Cosentino, Commodaro e Saraco, poi ci ripensa. Ma ora gli inquirenti non gli credono

3902   di Alessia Candito 3 giugno 2020 01:58

Marco Petrini
Marco Petrini

Prima tira in ballo colleghi magistrati, poi ritratta. Racconta in dettaglio di sentenze aggiustate, killer lasciati a piede libero, colleghi scomodi allontanati avallando interessate istanze di ricusazione, poi si pente. Ha mille facce, mille volti, mille verità, l’ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini. Per il procuratore vicario Luca Masini e il pm Vincenzo Senatore non è un cliente per nulla facile da gestire, ma adesso delle sue bugie hanno le prove. E sono finite agli atti di due distinti procedimenti. Il primo è l’inchiesta Genesi, che lo ha fatto finire in manette, il secondo ha un diverso e più recente numero di registro e sembra avere molto a che fare con le dichiarazioni del giudice.

Le bugie di Petrini ai pm di Salerno

Ufficialmente magistrato irreprensibile, in realtà per sua stessa ammissione padrone di un suq in cui ogni sentenza era in vendita. Forse anche fratello di una loggia segreta, che tra guanti e grembiuli annovera anche più di una toga, oltre all’avvocato ed ex senatore Giancarlo Pittelli,e magari ancora fedele a quel sistema, in grado di comandarlo a bacchetta. Di fronte ai pm di Salerno che su di lui indagano, Marco Petrini ha mentito. Ha mischiato verità con menzogne e verosimiglianze, ma è stato stanato. E a causa dei suoi giochini è tornato in carcere per oltre un mese prima di essere riammesso ai domiciliari.

I mille volti del giudice

Per i magistrati, istigato dalla moglie, Maria Stefania Gambardella, per questo indagata, ha iniziato a sciorinare una serie di «ricostruzioni illogiche», miste a piccole verità e svogliate ammissioni, più «dichiarazioni mendaci» – si legge nelle carte – messe in fila negli interrogatori del 25 e 29 marzo e del 17 aprile. E adesso quegli interrogatori sono agli atti. In più, c’è uno stralcio di quello del 5 febbraioIl Petrini numero 1, almeno all’apparenza. Quello che ancora non sembrava aver prestato ascolto alle sirene del suo vecchio mondo e alle «espressioni minatorie» della moglie. E che di fronte ai pm che gli mostrano due biglietti per le partite del Crotone,ammette di essersi fatto corrompere da Enzo Sculco.

Quella condanna ingombrante che Sculco aveva fretta di far estinguere

L’offerta – racconta Petrini – gli era stata fatta dal difensore del politico, l’avvocato Mario Nigro. Il plenipotenziario della politica crotonese aveva un problema non da poco. Far dichiarare estinta una condanna in precedenza riportata e soprattutto le pene accessorie collegate. «In particolare – afferma Petrini – la sanzione d’interesse era quella della interdizione perpetua dai pubblici uffici ed anche quella dì contrattare con P.A. per anni tre. Tra i reati per i quali Sculco era stato condannato vi era una corruzione».

Il prezzo della corruzione: due biglietti per la partita del Crotone

A Petrini si chiedeva «un interessamento». In cambio, tanto nel 2017 come nel 2018, «dall’avvocato Nigro» ha ricevuto – ammette – «due biglietti omaggio per assistere alla partita di calcio in entrambi i casi le partite Crotone-Milan. In entrambi i casi si trattava di due biglietti uno per me ed uno per il figlio di mia moglie Stefania Gambrdella, che si chiama Gian Giuseppe Buscemi». Ovviamente, «intestati ad Enzo Sculco corredati della dichiarazione dello stesso di cessione dei titoli».

Le ammissioni di Petrini

Tutte carte che gli investigatori hanno trovato nel corso della perquisizione a casa del giudice. E che – confessa lui – hanno portato agli effetti desiderati. «In cambio dei suddetti biglietti ho trattato il procedimento con esito favorevole al condannato Enzo Sculco. Mi viene ricordato che l’udienza di trattazione del procedimento fu quella del 30 giugno 2017 e che il deposito la decisione di sostanziale accoglimento dell’istanza dell’avv. Nigro. Gli altri due componenti del collegio nulla sapevano», specifica.

«Nel contesto delle attività investigative – si legge però nell’ordinanza di custodia cautelare che ha riportato il giudice in carcere – tale dichiarazione del Petrini si rivelava mendace, in quanto smentita dal provvedimento adottato dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 28.06.2017 nei confronti di Enzo Sculco.

Invero, dalla lettura del provvedimento si evicenva che il Petrini non aveva composto il Collegio, e che il provvedimento adottato dalla Corte d’Appello non era stato di accogliemento bensì di non luogo a provvedere sulla istanza difensiva (sul presupposto che l’estinzione della pena accessoria fosse già intervenuta per effetto di una precedente pronunzia del giudice dell’esecuzione.

Dunque era riscontrata la cessione dei biglietti da parte dello Sculco (per il tramite dell’avvocato) al Petrini ma era al contempo non veritiera l’affermazione del Petrini (autoaccusatoria e accusatoria nei confronti del Nigro e dello Sculco), secondo cui egli avrebbe adottato un’ordinanza accogliemento (senza coinvolgere nel patto corruttivo i componenti del Collegio)».

Ritrattazioni spia?

Il resto è tutto coperto da un lungo omissis, salvo quella che sembra l’ultima frase di quell’interrogatorio. E recita testualmente «erano false in quanto detto denaro proveniva da attività corruttiva che ho confessato». Di cosa si tratti non è dato sapere. Di certo, è facile ipotizzare che ogni singola affermazione di Petrini, soprattutto se utile a correggere quanto affermato in precedenza, venga passata ai raggi X. Soprattutto alla luce di quanto accaduto negli interrogatori successivi del 25 e 29 febbraio e 17 aprile.

Quelle telefonate con la moglie e il nuovo Petrini

Poco prima di quei colloqui con i giudici, ci sono un paio di telefonate della moglie, Stefania Gambardella. Che – magari non immaginando di essere intercettata – gli intima «Allora tu mi devi ascoltare però, sennò non vengo più Marco, se non fai le cose che ti dico io, non vengo più … non fare più le cose di testa tua perché sono tutte sbagliate, tutte deviate». E Marco – affermano i pm nell’avviso di garanzia con contestuale decreto di perquisizione spedito alla Gambardella – a quanto pare esegue.

In passo indietro del giudice 

Da quanto sopravvissuto agli omissis, pare che «riguardo al processo Vrenna» Petrini si preoccupi di «precisare e rettificare che in realtà, a parte la visita iniziale ricevuta dall’ex Procuratore dottor Tricoli, poi di tale vicenda non mi sono mai interessato, essendo il collegio composto da altri colleghi con i quali non ho avuto alcuna interlocuzione sul punto. Dunque nessuna somma di denaro ho mai ricevutoin relazione a tale vicenda». Ergo in precedenza aveva detto l’esatto opposto.

L’assoluzione (a pagamento) di Patitucci

La seconda vicenda riguarda invece altri due procedimenti, uno dei quali per omicidio, e l’incontro – gli ricorda il pm – «che lei ha presso il suo Ufficio della Corte di Appello di Catanzaro con l’avvocato Manna Marcello (attuale sindaco di Rende ndr), lei ne ha parlato di questo incontro, ne ha parlato nel corso di entrambi gli interrogatori». Petrini è visibilmente in difficoltà. Balbetta, risponde evasivamente, poi alla fine racconta che anche il suo collega, il giudice Cosentino avrebbe accettato denaro per addomesticare la sentenza in favore del killer Patitucci, poi assolto da quelle contestazioni. Gran parte di quel verbale, soprattutto –sembra di capire – per quel che riguarda i contenuti di un primo incontro con Manna è coperto da un omissis lungo più di 100 pagine. Ma qualcosa alla scure dei pm sfugge.

Tutto si può con un fratello di loggia

Lungo, delicato il processo contro Patitucci è durato mesi. «Era in questione la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale» – ammette Petrini, inchiodato da precedenti interrogatori- ed anche Cosentino era coinvolto in quella decisione. Allora è stato lui a farsi da tramite della “disponibilità” manifestata dall’avvocato Gullo, insieme a Manna difensore del killer. «Lui mi disse, sapendo lui che il relatore era Cosentino, dice: “Se è necessario un contributo ci può essere anche per Cosentino». E sarebbe stato proprio Petrini a informare Cosentino, anche se ci tiene a specificare di «non avere cognizione dell’effettiva dazione». E qui il procuratore Masini si impunta, magari capisce che sta succedendo qualcosa di strano ed insiste. Vuole sapere perché Petrini si sia sentito libero di andare da un collega per convincerlo a vendere una sentenza. E solo dopo molte insistenze riesce a farsi dire che «anche il collega Cosentino era iscritto alla stessa … alla stessa loggia». Coperta evidentemente.

La “conversione” di Petrini

Problema, il 17 aprile Petrini smentisce categoricamente tutto. E per giustificare il rapido e radicale cambio di rotta usa parole quasi da pentito di mafia, di quelli che – improvvisamente – decidono di ribaltare quanto in precedenza raccontato. «Nel corso dei due ultimi interrogatori ero particolarmente provato dal punto di vista psicologico e morale» spiega e solo «in questo momento – aggiunge – credo di aver recuperato la serenità sufficiente ad affrontare questo atto istruttorio ed ho pertanto intenzione di rispondere positivamente al suo invito». Parole dette di fronte ad uno schermo. Per la prima volta Petrini non è di fronte ai pm. Le restrizioni da Covid sono ancora dure e l’interrogatorio si svolge in videoconferenza. Fra lui e i magistrati c’è distanza. E magari anche per questo può ritornare indietro non solo su quanto affermato il 25 e il 29 febbraio, ma anche su quanto in precedenza accennato – come si evince dalle domande dei magistrati – quindi sfumato e il 17 aprile radicalmente negato.

Indietro tutta

Interrogato dal pm Senatore, quel giorno l’ex giudice giura e spergiura che il collega Cosentino nulla sapeva, né di Patitucci, né di un «delicato» procedimento di misure di prevenzione, «Ioele+ terzi interessati». Al centro, c’era «un soggetto già condannato per bancarotta, nei confronti del quale era stata avanzata una proposta di misura di prevenzione patrimoniale che si era conclusa con la confisca di alcun beni in primo grado». In appello, aggiustata a favore dell’imputato per 2500 euro cortesemente versati – dice Petrini, specificando quanto emerso nei precedenti interrogatori dall’avvocato Marcello Manna.

«Con Manna ci provai»

I pm hanno anche una data dell’incontro fra i due, il 30 maggio. E Petrini non smentisce che l’attuale sindaco di Rende lo abbia agganciato durante quel procedimento di misure di prevenzione «rappresentandomi che la questione era molto delicata». Tanto meno che «sarei stato disponibile ad accogliere l’appello dietro versamento di una somma di denaro» o che l’avvocato «si dichiarò disposto ad accontentarmi». Certo, nonostante l’insistenza dei pm non spiega come mai si sia sentito libero di proporre una cosa del genere ad un legale che, afferma Petrini citando la logica domanda dei magistrati, poteva benissimo «andare alla più vicina Stazione dei Carabinieri per denunziarmi». Si limita a dire «semplicemente “ci provai”, sperando che le cose andassero bene». Ciò che Petrini sembra a tutti i costi voler smentire è che gli altri componenti del collegio, i giudici Cosentino e Commodaro, fossero al corrente di questo giochino.

Il “martire” Petrini

Immolato per la causa di chi? «Il collegio giudicante era composto, nella circostanza, dai colleghi Cosentino e Commodaro. Ero io il relatore della procedura. Non rappresentai ai componenti del collegio la proposta corruttiva che mi era stata fatta» ci tiene a precisare. E aggiunge «escludo che il dott. Cosentino fosse parte dell’accordo corruttivo. Prendo atto di aver reso dichiarazioni contrarie il 25 febbraio 2020. Mi sento di escludere tale circostanza e comunque, ribadisco che egli nulla seppe della proposta che mi era stata rivolta dall’avvocato Manna e che non fu invitato in alcun modo a partecipare alla spartizione della somma che avevo ricevuto. Anche per il dottor Commodaro vale lo stesso discorso». Stessa storia per il processo d’appello a Patitucci, in cui «la decisione – sostiene – trovava il suo fondamento nello svolgimento dell’istruttoria dibattimentale». Eppure qualche mese prima – emerge tra le pieghe dell’interrogatorio – aveva riferito tutt’altra cosa e in modo dettagliato. Salvo poi iniziare a zoppicare nel confermarlo già dal 25 febbraio.

Ricusazione a pagamento

Un quadro torbido che si ripete, uguale a se stesso in relazione ad un altro episodio che riguarda il giudice Cosentino. Stando ai primi verbali, su gentile offerta (economica) dell’avvocato Staiano diretta a lui e al collega Saraco, Cosentino avrebbe accolto un’istanza di ricusazione quanto meno fantasiosa, salvo poi preoccuparsi quando quella pronuncia è diventata un caso tanto sui media, come negli uffici della Corte d’appello. Con tanto di ricorso – durissimo – del sostituto Di Maio, accolto in toto, in fretta e senza rinvio dalla Cassazione, nonché una convocazione formale di fronte al presidente Introcaso. Cosentino non si aspettava tanto clamore, eppure la decisione di accogliere l’istanza di ricusazione di un presidente di collegio «sulla base della pregressa conoscenza delle fonti collaborative» era così clamorosa che – racconta Petrini il 25 febbraio – lui stesso si era detto contrario «perché non stava in piedi sotto il profilo giuridico». Ma Cosentino, aveva ammesso in quell’occasione, aveva ricevuto un’offerta di danaro per una sentenza comoda da Staiano e con lui si era confidato perché consapevole «che ho avuto soldi in passato dall’avvocato».

Inversione a U

Passa qualche mese e il 17 aprile nell’ennesima versione di Petrini tutto cambia. «Escludo – afferma – che risponda a verità quanto da me dichiarato il 25 febbraio 2020, a proposito della partecipazione del dott. Cosentino all’accordo corruttivo riguardante il processo Patitucci ed a proposito della partecipazione dello stesso dott. Consentino e del dott. Saraco all’accordo corruttivo sotteso all’accoglimento dell’istanza di ricusazione del dott. Battaglia o del dott. Bravin». Insomma, una marcia indietro totale e convinta. Al pari delle accuse, a quanto filtra, in precedenza formulate. E adesso toccherà ai pm di Salerno capire dove fra le mille versioni di Petrini sta la verità. E sbrogliare la matassa.

rif: https://www.lacnews24.it/cronaca/toghe-sporche-interrogatori-bomba-petrini_119086/

Il procuratore Gratteri ha detto che 400 magistrati sono corrotti Ho atteso tre mesi, possibile che nessuno voglia vederci chiaro?

Mantella, le confessioni di Petrini e le informative del Ros: tremano i  giudici "corrotti"

Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri da anni è impegnato in una dura azione di contrasto contro una delle più feroci mafie esistenti, la calabrese ‘ndrangheta. Vittima di una quantità di minacce e intimidazioni, vive una vita impossibile: movimenti limitati, l’«onere» di una sorveglianza che lo rende forse perfino più carcerato dei delinquenti che assicura alla giustizia. Spesso assume posizioni discutibili, ma questo è nell’ordine delle cose: ci mancherebbe che opinioni e comportamenti non possano essere passati al vaglio del confronto e della critica. Certi suoi atteggiamenti richiamano alla memoria il prefetto Cesare Mori, ma non per questo non si deve essere grati per quello che fa.

Non è su questo però che si vuole richiamare l’attenzione. Il 9 febbraio scorso il dottor Gratteri è ospite di In mezz’ora, la trasmissione curata e condotta da Lucia Annunziata. Dice cose di un certo peso, che neppure un radicale critico della magistratura ha adombrato; e infatti quelle affermazioni sono rilanciate dalle agenzie; tra l’altro:

«In magistratura c’è un problema di corruzione… Possiamo parlare del 6-7%, non di più… Grave, terribile, inimmaginabile, impensabile, anche perché guadagniamo bene. Io guadagno 7.200 euro al mese, si vive bene, quindi non c’è giustificazione, non è uno stato di necessità, non è il tizio che va a rubare al supermercato per fame. Si tratta di ingordigia…».

Ci si aspettava una reazione di qualche tipo, una sdegnata levata di scudi, oppure conferme o richieste di chiarimenti. Sono trascorsi tre mesi, un tempo sufficiente di attesa. Niente. Eppure come dice il dottor Gratteri, è cosa grave, terribile. Colpisce quel «non di più». Al mare magnum di internet abbiamo posto la seguente domanda: quanti sono i magistrati italiani? Varie fonti li quantificano tra i 7 e i 9 mila. Si prenda la cifra più bassa. Il 6-7% stimato dal dottor Gratteri corrisponde a circa 400-450 magistrati. Altro che «non di più». È cifra enorme.

Il dottor Gratteri non parla di multe non pagate o «bagatelle» simili, su cui non si dovrebbe comunque passar sopra trattandosi di magistrati; parla di «corruzione». Vale a dire: «condotta di un soggetto che in cambio di denaro oppure di altre utilità e/o vantaggi agisce contro i propri doveri ed obblighi». Art. 318 del Codice Penale: «Il Pubblico Ufficiale che, per l’esercizio della sua funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da uno a sei anni».

A questo punto, inevitabili le domande. Il Consiglio Superiore della Magistratura si è attivato per sapere se quanto dichiarato dal dottor Gratteri corrisponde a verità, su quale studio, statistica o informazione, si basa una così grave denuncia? Se non si è attivato, perché?

Analoga domanda al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Sì? No? In caso negativo, perché?

Ai parlamentari tutti, di maggioranza e di opposizione: nessuna «curiosità» da parte di nessuno? Anche una semplice interrogazione a risposta scritta. Oppure va bene così: che il 6-7% dei magistrati, «non di più», sia corrotto?

L’Associazione Nazionale dei Magistrati, infine. Risulta che circa il 90%dei magistrati sia iscritto all’Anm. Dunque una buona fetta di quel 6-7%. Anche a tutela di quella maggioranza che corrotta non è, niente da dire?

O la denuncia del dottor Gratteri ha un suo fondamento, e allora non la si può lasciare cadere; oppure si ritiene che le sue siano affermazioni senza fondamento; in questo caso, in qualche modo, ne dovrebbe rispondere. O no?

Rif: https://www.italiaoggi.it/news/il-procuratore-gratteri-ha-detto-che-400-magistrati-sono-corrotti-ho-atteso-tre-mesi-possibile-che-nessuno-2447412

Gratteri e la corruzione in magistratura: “Un 6-7% di giudici è corrotto”

Il procuratore antimafia di Catanzaro ospite di Lucia Annunziata nel programma “Mezz’ora in più” in onda su Rai3

Io parlo con tutti. Sul mio cellulare chiamano parlamentari da Fratelli d’Italia a Leu. Sono il consulente gratuito di tutti, poi fanno il contrario di quello che io dico. Però per me è normale parlare con tutti, mi posso permettere il lusso di farlo perché non ho mai chiesto nulla per me”. E’ quanto dichiarato da Nicola Gratteri a “In mezz’ora in più”, il programma id Lucia Annunziata andato in onda oggi pomeriggio su Rai3. Così il procuratore di Catanzaro ha commentato la visita di Salvini. “Lo ho conosciuto – ha aggiunto Gratteri – l’ho incontrato, abbiamo fatto due comitati nazionali per la sicurezza, è venuto a trovarmi in ufficio un paio di settimane fa”.

La corruzione in magistratura. “Il problema corruzione nella magistratura c’e’, possiamo parlare del 6-7%. E’ grave inimmaginabile, terribile. Noi guadagniamo bene. Io prendo 7200 euro e si vive bene e non c’e’ lo stato di necessita’, non e’ un padre che ruba per fare mangiare i figli. E’ un fatto di ingordigia. Il potere e’ avere incarichi o chiedere incarichi per amici degli amici”.

La prescrizione. “E’ una mediazione al ribasso perché serviva la prescrizione per costringere il legislatore ad interessarsi concretamente per modifiche procedurali al codice di procedura per velocizzare il processo senza diminuire le garanzie dell’imputato. Un Legislatore serio deve preoccuparsi del perché un fascicolo resta 4 anni in un armadio del pm. Tutte queste persone che si stanno ammazzando a gridare contro la prescrizione, perché nel mentre non presentano un’alternativa, un articolato di legge dove dimostrano concretamente che è possibile velocizzare i processi, che è possibile far funzionare la giustizia?”

Giustizia e innovazione. “E’ necessario togliere tutte le condizioni perche’ un fascicolo non rimanga piu’ fermo. Ogni bambino ha un tablet, ogni persona ha due telefoni pero’ quando chiediamo la tecnologia applicata al processo viene l’orticaria a tutti e dicono che si abbassa il livello di garanzia dell’indagato. L’informatica non abbassa la garanzia, lascia traccia. Non fa altro che aumentare le garanzie. Tecnologia vuol dire efficienza, diminuire il potere discrezionale dell’uomo, quindi diminuire l’abuso. La legge Bonafede ne esce cambiata? si certo ma la storia insegna che le cose dirompenti si fanno nei primi 6 mesi di legislatura poi qualsiasi governo man mano che va avanti ha sempre meno potere e energia”.

Rif: https://www.zoom24.it/2020/02/09/gratteri-e-la-corruzione-in-magistratura-un-6-7-di-giudici-corrotto/

Processi aggiustati a Catanzaro: Petrini resta in carcere, l’amante ai domiciliari

Per il gip “le versioni fornite dagli indagati negli interrogatori di garanzia appaiono del tutto collidenti col compendio investigativo acquisito”

“Non risultano sopravvenuti elementi nuovi che siano idonei ad incidere in senso favorevole sul quadro cautelare già valutato. Le versioni fornite dagli indagati negli interrogatori di garanzia, allo stato degli atti, appaiono del tutto collidenti col complessivo compendio investigativo acquisito e inidoneo a far ritenere affievolito il quadro cautelare, oltre che indiziario già posto da questo Ufficio a fondamento di provvedimenti restrittivi”.  Il gip del Tribunale di Salerno Giovanna Pacifico non ha accolto le richieste difensive di scarcerazione o di alleggerimento della misura cautelare a carico del giudice del presidente di sezione della Corte di appello di Catanzaro Marco Petrini, 56 anni, di Lamezia Terme, dell’avvocato del foro di Catanzaro Francesco Saraco, 40 anni, di Santa Caterina dello Jonio, dell’ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato, detto “Pino”, 66 anni, residente a Castrolibero;  Giuseppe Caligiuri, 49 anni, di Cariati; Vincenzo Arcuri, alias “u fungiu”, 68 anni di Cariati (Cs); Luigi Falzetta, 53 anni, residente a Crucoli;  il legale del foro di Locri Maria Tassone detta Marzia, 33 anni, di Catanzaro, finiti nell’inchiesta sui “processi aggiustati”. Il giudice del Tribunale di Salerno Giovanna Pacifico, terminati gli interrogati, anche quelli effettuati per delega dai gip competenti per territorio, ha confermato il carcere per i primi sei indagati e i domiciliari per Tassone, così come disposto nell’ordinanza eseguita dalla Guardia di finanza quindici giorni fa”.  (g. p.)

Rif: https://www.zoom24.it/2020/01/24/processi-aggiustati-a-catanzaro-petrini-resta-in-carcere-lamante-ai-domiciliari/

La banda dei giudici corrotti: l’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

La banda dei giudici corrotti: l'inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

Sentenze vendute, elezioni annullate, depistaggi. C’è una vera e propria rete di toghe sporche al lavoro da Milano alla Sicilia

Giustizia corrotta, ai massimi livelli. Con una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della nostra democrazia. Un’inchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.

Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.

L’antefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.

L’esistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».

Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.

L’inchiesta riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.

Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.

A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.

Amara, come avvocato siciliano dell’Eni, è anche l’artefice della corruzione di un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, che in cambio di almeno 88 mila euro e vacanze di lusso a Dubai aprì una fanta-inchiesta giudiziaria ipotizzando un inesistente complotto contro l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Un depistaggio organizzato per fermare le indagini della procura di Milano sulle maxi-corruzioni dell’Eni in Nigeria e Congo. Dopo l’arresto, Longo ha patteggiato una condanna a cinque anni. Ma la sua falsa inchiesta ha raggiunto il risultato di spingere alle dimissioni gli unici consiglieri dell’Eni, Luigi Zingales e Karina Litwak, che denunciavano le corruzioni italiane in Africa.

Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. Giuseppe Mineo è un docente universitario nominato giudice del Consiglio siciliano dalla giunta dell’ex governatore Lombardo. Nel 2016 vuole ascendere al Consiglio di Stato. A trovargli appoggio politico sono gli avvocati Amara e Calafiore, che versano 300 mila euro al senatore Denis Verdini, che invece nega tutto. L’ex ministro Luca Lotti però conferma che proprio Verdini gli chiese di inserire Mineo tra le nomine decise dal governo Renzi. Alla fine il giudice raccomandato perde la poltrona solo perché risulta sotto processo disciplinare per troppi ritardi nelle sue sentenze siciliane.

Tra i legali ora indagati c’è un altro illustre avvocato, Stefano Vinti, accusato di aver favorito un suo cliente, l’imprenditore Alfredo Romeo, con una tangente mascherata da incarico legale: un “arbitrato libero” (un costoso verdetto privato) affidato guarda caso al padre del solito Russo. Proprio lui, l’ex giudice che sta cercando di usare lo squadrone delle toghe sporche, ancora ignote, per fermare i magistrati anti-corruzione.

rif: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/02/18/news/giudici-corrotti-1.331753https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/02/18/news/giudici-corrotti-1.331753

Tutte le sentenze del giudice “corrotto” al vaglio della Procura di Salerno

L’hanno chiamata “Genesi” che tradotto dal greco significa origine. E’ la clamorosa inchiesta coordinata dalla Procura di Salerno che ha portato all’arresto di otto persone e tra queste anche il giudice della Corte d’Appello Marco Petrini. Un’inchiesta tutt’altro che chiusa. Lo stesso nome dato all’indagine fa pensare a sviluppi altrettanto clamorosi nei prossimi mesi. Come dire: non è finita qui e questo potrebbe solo essere l’inizio.

Le perquisizioni. I magistrati salernitani non intendono infatti fermarsi all’operazione di ieri e hanno dato mandato ai finanzieri che hanno condotto sul campo l’inchiesta di sequestrare nell’ambito della raffica di perquisizioni effettuate anche negli uffici del tribunale di Catanzaro ogni documento relativo a cause civili, penali e tributarie seguite da Petrini. Atti, pareri, sentenze e documenti in generale destinati ad ampliare il faldone dell’inchiesta perché il sospetto degli inquirenti è che il sistema messo in atto dagli indagati possa essere molto più esteso e possa coinvolgere altri professionisti “insospettabili”.

La parole di Mantella. Per questo motivo l’intenzione è quella di sentire altri magistrati della Corte d’Appello sfiorati dall’inchiesta e con loro segretari, funzionari e cancellieri. La Procura di Salerno vuole vederci chiaro e sotto la lente di ingrandimento sono quindi finite le varie sentenze emesse in ambito civile e penale da Marco Petrini. Verdetti relativi anche a processi di ‘ndrangheta con ribaltamenti clamorosi rispetto alle condanne emesse in primo grado dai vari tribunali del distretto di Catanzaro. Al vaglio degli inquirenti anche le dichiarazioni di Andrea Mantella, i cui verbali sono già confluiti nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Salerno Giovanna Pacifico. Il pentito vibonese parla di Petrini e lo descrive come un giudice “corrotto” e un “massone deviato”, propenso a ricevere regalie in cambio di “decisioni favorevoli” nei giudizi di secondo grado. Mantella fa anche un elenco di avvocati che avrebbero avuto “canali privilegiati per accedere al dottor Petrini”. Fa i nomi ma nessuno di questi, al momento, risulta indagato nel procedimento aperto a Salerno.

rif: https://www.zoom24.it/2020/01/16/tutte-le-sentenze-del-giudice-corrotto-al-vaglio-della-procura-di-salerno/

Il giudice corrotto e l’intercettazione: “La causa l’ha vinta al 1000 per 1000”

ono diversi i processi che Petrini sarebbe riuscito a “sistemare” o avrebbe tentato di “aggiustare” favorendo gli “amici degli amici” 

Soldi, gioielli, prestazioni sessuali in cambio di favori per “aggiustare” processi in ambito penale, civile e, persino, cause tributarie. Al centro dell’inchiesta la figura di Marco Petrini, 56 anni, nato a Foligno ma residente a Lamezia Terme. Non un giudice qualsiasi ma il presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro e il presidente della Commissione provinciale tributaria. Un insospettabile “smascherato” dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Salerno che hanno coordinato la clamorosa inchiesta culminata con il suo arresto. Sono diversi i processi che Petrini sarebbe riuscito a “sistemare” o avrebbe tentato di “aggiustare” favorendo gli “amici”, gli “amici degli amici” e le sue presunte amanti. Non a caso corruzione in atti giudiziari è l’accusa che la Procura di Salerno gli contesta e per la quale è finito in carcere.

Il vitalizio di Tursi Prato. Dalle carte dell’inchiesta emerge quella che gli inquirenti definiscono “una sistematica attività corruttiva” nei confronti del magistrato. Se c’era uno che si faceva corrompere, altri agivano in concorso tra di loro per corromperlo. Dall’ordinanza firmata dal gip di Salerno emerge tra questi l’ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato, detto Pino, coadiuvato nel ruolo di intermediario dall’ex dipendente dell’Asp di Cosenza Emilio Santoro, detto Mario. Le indagini partono proprio da qui, dal 2018. Tursi Prato pretende il ripristino del suo assegno vitalizio regionale quale ex consigliere, studia quindi il piano per arrivare all’obiettivo e come “agganciare” il giudice Petrini. Il “tramite” per arrivarci sarebbe Emilio Santoro. “Mario – dice il magistrato parlando proprio con quest’ultimo in un colloquio intercettato – dì all’amico tuo che è amico mio che il giorno 12 si fa” ed ancora “lui la causa l’ha vinta al 1000 per 1000″”. L’amico in questione sarebbe Tursi Prato e la decisione favorevole sul suo ricorso porterebbe un’ulteriore utilità per il giudice: “un soggiorno gratuito presso una struttura alberghiera della Valle d’Aosta”. Gli incontri si susseguono come le regalie nei confronti del giudice: soldi, formaggi, gamberoni, gioielli, persino un agnello. Tutto documentato dagli investigatori fino al 6 febbraio del 2019.

La causa dei Saraco. L’ex dipendente dell’Asp di Cosenza Emilio Santoro è protagonista di un altro episodio. Riguarda una causa alla quale tiene molto Francesco Saraco, avvocato del foro di Catanzaro, anche lui arrestato nell’inchiesta della Procura di Salerno. Nello studio del legale i due discutono della vicenda giudiziaria che vede coinvolto il padre Antonio Saraco. E’ il processo di Appello “Itaca Free Boat” ed è qui che entra in gioco il giudice Petrini che si offre per “sistemare” tutto. Il prezzo? Una “macchina” e “somme di denaro a cadenza mensile”. Tutto inutile, almeno in questo caso. Il tentativo fallirà ma per i magistrati salernitani è il modus operandi della combriccola “aggiusta processi”. E siccome secondo l’accusa Antonio Saraco sarebbe un affiliato della cosca di ‘ndrangheta dei “Gallace-Gallelli” di Guardavalle, al giudice viene contestata anche l’aggravante mafiosa.

rif: https://www.zoom24.it/2020/01/15/il-giudice-corrotto-e-lintercettazione-la-causa-lha-vinta-al-1000-per-1000/

Catanzaro, i verbali sul giudice corrotto: “Corte d’Appello trasformata in un suq”

Catanzaro, i verbali sul giudice corrotto: "Corte d'Appello trasformata in un suq"

Marco Petrini conferma in tribunale le accuse per cui è agli arresti: “Mi servivano soldi per i debiti”. Emerge un “sistema a trazione massonica per ammorbidire la giustizia”

È stato arrestato per aver trasformato la Corte d’appello di Catanzaro in un suq dove ogni sentenza era acquistabile. E adesso è lo stesso giudice Marco Petrini a confermare quel mercato, non solo raccontando gli innumerevoli episodi di corruzione di cui è stato protagonista, ma fornendo particolari su quella che sempre più appare una macchina del falso per addomesticare la giustizia nel distretto di Catanzaro.

Dichiarazioni che si incrociano con quelle del suo faccendiere, Mario Santoro, e del pentito Andrea Mantella. Tutti concordi nel dire che al giudice Petrini bastava poco per piegare le sentenze ai desiderata degli imputati. Cassette di mandarini che nascondevano soldi in contanti, gamberoni, litri d’olio, orologi preziosi, pronunce addomesticate per le donne con cui aveva relazioni. Dal dissequestro dei beni di famiglie di mafia, all’annullamento di sanzioni milionarie in commissione tributaria, dietro pagamento il giudice “sistemava” tutto. E lo ammette.

Cerca di giustificarsi. Quei soldi, sostiene, servivano “per far fronte all’indebitamento che avevo accumulato a seguito dalla separazione dalla mia prima moglie, per il mantenimento dei miei figli ed in parte per condurre una vita piacevole. A queste spese vanno aggiunte quelle, non indifferenti, che ho sostenuto per le cure di cui necessita il figlio della mia attuale moglie”. Ma sembra parlare solo di quello che non può negare perché gli investigatori lo hanno ascoltato e videoregistrato per mesi, nel corso delle perquisizioni hanno trovato assegni e carte a riscontro dei pagamenti.

Tuttavia è dai verbali di interrogatorio del suo coindagato, il faccendiere Mario Santoro,  e soprattutto dalle dichiarazioni del pentito Mantella, che viene fuori il sistema a trazione massonica che serviva per “ammorbidire” la giustizia. In Corte d’appello di Catanzaro succedeva di tutto, spiega Santoro. Perizie assegnate a consulenti complici, dissequestri di beni mafiosi su commissione, e anche in commissione tributaria, bastava pagare per far cambiare le sentenze nottetempo. Lui era il principale canale ma – ammette – ce n’erano altri. Commercialisti e avvocati, di Catanzaro, Lamezia Terme, della Locride.

Tutti o quasi massoni. Ed è proprio fra “fratelli” – fa emergere l’inchiesta – che maturavano certi legami. Lo conferma anche il pentito Andrea Mantella, ex killer del clan Lo Bianco e oggi gola profonda che sta facendo tremare la ‘ndrangheta vibonese e non solo. Ai magistrati, il collaboratore racconta che Petrini “apparteneva alla massoneria deviata”. E negli stessi circuiti gravitavano noti avvocati. A
nche per questo – spiega il pentito – bastava nominate certi legali per avere la certezza di poter addomesticare le sentenze. Fra loro c’è Giancarlo Pittelli, noto penalista nonché ex senatore di Forza Italia, poi passato a Fdi, di recente arrestato come “riservato” del clan Mancuso,
ma anche Salvatore Staiano, il difensore storico di Mantella, di recente rinviato a giudizio per le perizie false con cui avrebbe fatto scarcerare alcuni clienti. “Staiano era nelle mani di Nicolino Grande Aracri, – dice Mantella – però era il pupillo di Vincenzo Gallace e praticamente all’interno dello studio dell’avvocato Staiano lavorava come avvocato un fratello di Nicolino Grande Aracri… comunque attraverso fiumi di denaro cercavano di aggiustare dei processi, ci provavano in tutti i sensi”.  E della sua capacità di condizionare i giudici, il pentito ne ha avuto prova concreta.
“Mi ha detto: entro 15 giorni io ti faro? scarcerare. Al quindicesimo giorno, alle 13 e qualcosa, la telefonata dell’avvocato Staiano come se fosse che il discorso era già fatto. Praticamente io uscii dal carcere… gli ho dovuto dare i soldi subito subito. L’avvocato Staiano mi disse che con quella cifra stavo tranquillo, con quei soldi stavo tranquillo” racconta il pentito ai pm di Salerno. Si pagava quasi sempre in contanti ma con “qualche Cartier, qualche Rolex, qualcosa e alla fine…un po’ di pazienza e ce la fai ad uscire dal carcere”.
E poi Mantella fa il nome di cinque magistrati che a suo dire erano sensibili alle lusinghe di Stajano ed altri avvocati. “A me – specifica – la frase corrompere non me l’ha detta mai. Mi ha detto ‘tu mi devi dare questi soldi e stai tranquillo’. Ma mica siamo bambini… io i soldi, come sono rimasto con lui, glieli ho dati dopo il provvedimento di scarcerazione”. C’era Petrini, chiaramente, ma anche altre quattro toghe su cui adesso si procederà ad approfondire. Forse soggetti già nel mirino della procura di Salerno che attualmente ha sette distinti fascicoli sui magistrati del distretto di Catanzaro. Secondo indiscrezioni erano aperti prima delle dichiarazioni di Mantella e adesso si stanno arricchendo di altri particolari. Inclusi diversi elementi che arrivano dalle  intercettazioni fra Petrini e il suo faccendiere. Da cui sembrano emergere i contatti di diversi magistrati del distretto con  l’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato, già in passato condannato per associazione mafiosa.