Corruzione, sentenze pilotate al Consiglio di Stato: giudizio immediato per tre giudici e un deputato dell’Ars

Il 18 giugno prossimo è stato fissato il processo per il giudice (sospeso) Nicola Russo, per l’ex presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia Raffaele Maria De Lipsis, per l’ex giudice della Corte dei Conti, Luigi Pietro Maria Caruso e per il deputato dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso

La Procura di Roma ha chiesto ed ottenuto il giudizio immediato per quattro indagati nell’inchiesta sulle ipotizzate sentenze pilotate al Consiglio di Stato. Il 18 giugno prossimo è stato fissato il processo per il giudice (sospeso) Nicola Russo, per l’ex presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia Raffaele Maria De Lipsis, per l’ex giudice della Corte dei Conti, Luigi Pietro Maria Caruso e per il deputato dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso. Sono accusati di corruzione in atti giudiziari. I quattro erano stati arrestati il 7 febbraio scorso. L’ipotesi della procura, accolta dal gip che aveva disposto i domiciliati, è l’esistenza di un sistema corruttivo in cui giudici amministrativi si sarebbero erano messi al servizio di privati in cambio di mazzette: circa 150mila euro.

Soldi dati e promessi per “comprare” sentenze e ottenere, in alcuni casi, cifre a sei zeri o elezioni ad un consiglio regionale. In totale sono cinque gli episodi contestati dai magistrati di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo. L’indagine si basa sulle dichiarazioni fatte negli ultimi mesi dagli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio del 2018 scorso nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta. Dichiarazioni riscontrate dai magistrati e inquirenti attraverso intercettazioni e analisi dei flussi finanziari. Nella loro funzione di giudici – scriveva il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – “hanno posto a disposizione dei privati la loro funzione, contravvenendo ai doveri di imparzialità e terzietà e ricevendo in cambio un’utilità economica e ciò, indipendentemente dall’esito favorevole o sfavorevole delle decisioni assunte”.

Corruzione, sentenze pilotate al Consiglio di Stato: giudizio immediato per tre giudici e un deputato dell’Ars

Tre episodi sono contestati al giudice del Consiglio di Stato Russo e due all’ex presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, De Lipsis. In base a quanto raccontato da Amara, Russo avrebbe ottenuto da lui circa 80mila euro (e altri 60mila promessi), per aggiustare sentenze di tre procedimenti. Per quanto riguarda De Lipsis avrebbe incassato tangenti per 80mila euro per intervenire su alcune sentenze. Tra queste anche quella relativa ad un contenzioso che la società Open Land, rappresentata da Amara, aveva con il comune di Siracusa.

Il giudice, attraverso la nomina di consulenti graditi ad Amara e Calafiore, avrebbe fatto ottenere alla società un risarcimento dal comune siciliano di 24 milioni euro. Di questi ne verranno elargiti due prima dell’esplosione del caso giudiziario. Per questa
operazione De Lipsis avrebbe ottenuto 50mila euro di tangenti. Infine l’ex presidente del Cga sarebbe intervenuto, in qualità di presidente del collegio, nella vicenda relativa al ricorso presentato da Giuseppe Gennuso dopo la sua mancata elezioni alle amministrative del 2012. Il tribunale amministrativo annullò quel risultato elettorale di Siracusa favorendo Gennuso che venne rieletto alla nuova tornata. In cambio il giudice ottenne 30 mila euro. Denaro che Gennuso avrebbe consegnato, secondo gli inquirenti, attraverso l’ex giudice della Corte di Conti, Caruso.

Rhttps://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/02/corruzione-sentenze-pilotate-al-consiglio-di-stato-giudizio-immediato-per-tre-giudici-e-un-deputato-dellars/5149312/if:

I giudici si allungano le ferie

Il Csm con una delibera allunga le ferie dei giudici: niente udienze dal 15 luglio al 7 settmbre.

Di fatto, in questo modo, viene esteso il periodo di riposo che era stato fissato dal Ministero di Grazia e Giustizia dal 26 luglio al 3 settembre. La delibera del Consiglio Superiore della Magistratura va a fissare, come ricorda Italia Oggi, un periodo “cuscinetto” in cui nei tribunali non ci saranno udienze ordinarie. Resta la deroga per gli “affari urgenti e indifferibili”. La delibera del Csm parla chiaro e non lascia spazio a interpretazioni: “Dovrà essere adottata in tempi brevi una compiuta rivisitazione della tematica della fruizione delle ferie, attraverso la revisione della normativa”. Di fatto la gabola per allungare le ferie è presto spiegata.

Al periodo fissato dal Ministero che va dal 26 luglio al 2 settembre vanno aggiunti in testa dieci giorni “cuscinetto” per la definizione degli affari e degli atti in corso e cinque giorni in coda per predisporre l’attività ordinaria. Questi cambiamenti avranno inevitabilmente una conseguenza diretta sul lavoro dei magistrati. Ed è lo stesso Csm a sottolinearlo nella delibera: “I dirigenti degli uffici giudiziari dovranno organizzare il lavoro dei magistrati in modo da assicurare soltanto la trattazione degli affari urgenti e indifferibili, senza la fissazione di udienze ordinarie (come per il periodo feriale) durante il lasso di tempo che va dal 15 al 25 luglio e dal 3 al 7 settembre”.Insomma i magistrati avranno più tempo per godersi il mare e il sole delle vacanze.

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/i-giudici-si-allungano-ferie-1702749.html

È caduta la fiducia nei giudici. Mattarella e il Csm facciano in modo che la piaga purulenta venga isolata

e anche i giudici sono corrotti, che speranza rimane a questa sventurata Italia? È la domanda che mi sento rivolgere spesso in questi giorni. E non mi stupisce: sono giorni segnati dalle cronache sconvolgenti che vedono una parte del Consiglio superiore della magistratura, il massimo organo di autogoverno del potere giudiziario, coinvolto in manovre di bassa lega, con accuse che vanno dalla collusione col potere politico per truccare l’esito delle nomine nei posti chiave della magistratura, fino al presunto pagamento di mazzette o regalie varie, non escluso un gioiello per l’amica di uno dei personaggi coinvolti.

Dunque, quale speranza c’è per questo sventurato Paese? Se è vero che la speranza è l’ultima a morire, è anche vero che sembra avere già un piede nella fossa. I fatti, ampiamente riportati da questo giornale, sono noti. Membri di quel Csm che governa o dovrebbe governare il potere giudiziario in totale indipendenza dal potere politico come vuole la Costituzione, appaiono implicati in illeciti mercati, in combutta con soggetti della politica. Stiamo parlando di almeno cinque membri del Csm su un totale di diciotto, togati compresi.

Stando alle registrazioni audio degli inquirenti, il giudice Luca Palamara, ex consigliere del Csm ed ex presidente dell’Anm, e cinque consiglieri in carica del Csm, brigavano con due uomini politici per scegliere i nomi su cui convogliare i voti per la nomina a Procuratore di Roma e di Perugia. I politici in questione, entrambi del Pd, sono Cosimo Ferri(magistrato che è stato sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, prima di diventare deputato) e Luca Lotti, quest’ultimo all’epoca ministro dello sport del governo Renzi ed eminenza grigia del “giglio magico” renziano.

I congiurati puntavano non solo ad ottenere in proprio vantaggi di posizione e inchieste mirate, da usare come un’arma: avrebbero puntato – secondo l’accusa – anche a “farla pagare” all’ex Procuratore di Roma, Pignatone, che aveva inquisito Lotti per la vicenda Consip. Lotti, scrive il Corriere della sera, “appare determinato a vendicarsi di Pignatone” e vuole scegliere il prossimo Procuratore di Roma “per contare su una pubblica accusa a lui più favorevole”. Lo stesso Lotti vuole escludere dalle nomine il magistrato Creazzo “che ha fatto arrestare i genitori di Renzi”.

giustizia

Sono accuse tremende, che disegnano uno Stato in cui i due poteri separati e distinti, quello giudiziario e quello legislativo, in teoria l’uno cane da guardia dell’altro, si colludono con uno stesso intento illegittimo e sostanzialmente sovversivo. Non è un caso che qualcuno abbia evocato la P2. E non è un caso che il vicepresidente del Csm Davide Ermini, in un drammatico discorso, abbia detto: “O sapremo riscattare coi fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti”.

Personalmente so con certezza che molti giudici fanno onore alla toga che indossano. Ma i fatti di questi giorni dimostrano con altrettanta certezza che una parte dell’organismo è infetta. L’unica speranza è che l’organo di autogoverno e il presidente Mattarella, che presiede il Csm, facciano in modo che la piaga purulenta venga isolata e ripulita, prima che la cancrena dilaghi ulteriormente. Noi aspettiamo.

Rif:http://www.lanotiziagiornale.it/e-a-rischio-la-fiducia-nei-giudici-mattarella-e-il-csm-facciano-in-modo-che-la-piaga-purulenta-venga-isolata/

Inchiesta sui giudici corrotti, il PM: «Rimangano agli arresti per altri 3 mesi»

La procura di Lecce ha chiesto che vengano prorogate di tre mesi le misure cautelari nei confronti dei magistrati Michele Nardi e Antonio Savasta e dell’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, coinvolti nell’inchiesta su presunti procedimenti giudiziari pilotati in cambio di favori.

La decisione spetterà al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce.

Intanto prosegue l’incidente probatorio che da settimane si sta svolgendo nel Palazzo di Giustizia di Lecce per cristallizzare le dichiarazioni degli indagati fornite durante gli interrogatori.

“I giudici provano sulla loro pelle processi mediatici e intercettazioni”

È a un dibattito a Pordenone, ma Carlo Nordio non si sottrae al tema del giorno: «Siamo alla nemesi storica».

Si aspettava questo sconquasso dentro le solenni stanze del Csm?

«È vent’anni che scrivo queste cose e lo dico senza alcun compiacimento».

Politica e giustizia vanno a braccetto?

«Adesso tutti si scandalizzano per le riunioni carbonare fra i consiglieri e i politici, ma da sempre la politica la fa da padrona a Palazzo dei Marescialli e nell’Associazione nazionale magistrati. Basta riflettere sulle correnti che sono costruite a imitazione dei partiti, con una destra, un centro e una sinistra».

Sì, ma la legge prevede che un po’ di politica ci possa e ci debba essere attraverso i consiglieri laici.

«Certo, ma i laici, che sono una minoranza, quando arrivano a Palazzo dei Marescialli dovrebbero interrompere ogni rapporto con i partiti. Solo che non va così».

Le nomine sono davvero pilotate?

«Certo. Se non hai la sponsorizzazione di questa o quella corrente non puoi aspirare a guidare uffici importanti. Le correnti fanno e disfano accordi, le correnti barattano i posti».

A danno del talento e delle capacita’ delle singole toghe?

«Non è detto. A volte vengono scelti personaggi di primo piano, ma il criterio è quasi sempre quello della lottizzazione. E la riprova di questa consuetudine è la valanga di ricorsi che intasano Tar e Consiglio di Stato. E che spesso si concludono con la vittoria dei ricorrenti».

L’inchiesta di Perugia che cosa aggiunge a questo quadro?

«I fatti ipotizzati, se confermati, sarebbero gravissimi. Per questo sarebbe stato bene chiudere le indagini prima di divulgare episodi di cui non siamo ancora certi, ma il mondo va cosi. Per i comuni mortali e ora anche per le toghe. Conosciamo il contenuto delle indagini a pezzi e bocconi direttamente dai giornali, con il rischio di errori ed errate valutazioni».

Siamo alla nemesi storica.

«Appunto. La politica ha sempre strumentalizzato la giustizia: bastava un avviso di garanzia per essere messi fuorigioco. Ora lo stesso meccanismo dilaga dentro la magistratura e il Csm: la giustizia strumentalizza la giustizia».

Fra l’altro si procede sulla base di intercettazioni che sono scivolose per definizione.

«Certo. Quelle di cui parliamo in questi giorni sono parziali, incomplete, non sono state trascritte con i sacri crismi, ma a questo punto è bene che i magistrati assaggino sulla loro pelle queste tecniche investigative molto, molto invasive, utilizzate in tutti questi anni con una certa disinvoltura».

In questo caso si è andati oltre con il trojan inserito nel telefonino di Luca Palamara.

«Con il trojan ascolti tutto quello che viene detto al telefono e vicino al telefono, abolendo la vecchia distinzione fra intercettazioni telefoniche e ambientali. Questo strumento mi lascia perplesso ma il decreto Spazzacorrotti ha esteso la sua applicabilità anche ai reati di corruzione e non solo di mafia. Solo che la nuova disciplina entra in vigore il 1 luglio. Per questo io temo che tutti questi atti siano nulli».

Lei ha sempre attaccato la contiguità fra politica e giustizia. Non è cambiato niente dai tempi di Mani pulite?

«Pensi che una ventina d’anni fa fui convocato dai probiviri dell’Anm allora guidata da Elena Paciotti proprio per aver detto questa banale verità. Mi dissero che li avevo offesi con le mie parole, io mandai a quel paese l’Anm e di quella storia non si è saputo più nulla. Ma la patologia rimane: pensi a quante toghe sono entrate in Parlamento a metà o a fine carriera. Insomma, non siamo ingenui: le candidature non si costruiscono in 24 ore, evidentemente ci sono rapporti consolidati nel tempo».

Come si esce da questa situazione?

«Io la mia proposta l’ho formulata da tempo, almeno per il Csm: questo stato di cose si supera con il sorteggio».

Con i dadi?

«Con la sorte, come si fa per il Tribunale dei ministri e per i giudici popolari che danno anche l’ergastolo. Si prepara una lista di personalità specchiate e di prestigio: giudici di Cassazione, avvocati di lunga esperienza, professori universitari e da quel cesto si pescano i consiglieri. È l’unico modo, a mio parere, per spezzare il legame fra eletti e elettori. Una vicinanza che stride. Ancora di più nella formazione della Sezione disciplinare del Csm, insomma il tribunale della magistratura».

Che cosa non va nella Disciplinare?

«Il paradosso, chiamiamolo così, è clamoroso: i giudici vengono scelti dentro il Csm dai magistrati. Fatte le debite proporzioni è come se l’inquisito eleggesse la corte che dovrà decidere se assolverlo o condannarlo».

Intanto lo scandalo dell’inchiesta di Perugia si allarga. Il Csm assomiglia a una Asl o a una municipalizzata fra incursioni dei politici, nomine, veleni e gossip. Esagerazioni?

«Capisco che il popolo guardi con sconcerto ad una realtà che pareva immacolata ed è invece il crocevia di scorribande e scontri fra opposte fazioni. Questo mi addolora ma purtroppo non mi sorprende».

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/i-giudici-provano-sulla-loro-pelle-processi-mediatici-e-1707314.html

Quel tribunale “amico” che valuterà il pm di Etruria, Procuratore Roberto Rossi

Niente di strano, procedura standard dopo l’esposto di un cittadino che ha segnalato a Palazzo dei Marescialli gli articoli del Giornale e la storia dell’appartamento.

La Prima Commissione esaminerà le carte e valuterà. Due le alternative da proporre al plenum del Csm: archiviazione, qualora gli elementi a carico di Rossi siano ritenuti evanescenti oppure trasferimento per incompatibilità ambientale nel caso in cui l’episodio della casa sia considerato uno scivolone indifendibile.

Si vedrà. Per ora si deve registrare che l’organismo ha ai suoi vertici una coppia di personaggi che conoscono molto bene il pm dell’inchiesta su Banca Etruria. Il presidente è Giuseppe Fanfani, avvocato, ex sindaco di Arezzo, ovvero la città in cui Rossi ha svolto gran parte della sua carriera a partire dal lontano 1998. Prima come «soldato semplice», poi, pur con qualche interruzione per incarichi in altre sedi, come reggente e infine capo dell’ufficio.

Si può pacificamente affermare che Rossi e Fanfani sono, ciascuno per la propria parte, fra le figure più in vista della città. Fanfani, appartenente al Pd, è stato il primo cittadino fra il 2006 e il 2014 quando ha lasciato la Toscana per Roma e Palazzo dei Marescialli. Dunque ha incontrato Rossi com’è normale che sia tutte le volte che gli impegni istituzionali l’hanno richiesto. Non solo: l’avvocato aretino è da sempre il penalista di riferimento di Banca Etruria e dei suoi vertici, a cominciare dall’ex vicepresidente Pier Luigi Boschi, papà del neosottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena. Da quando si è spostato a Roma, Fanfani senior, per evitare potenziali conflitti di interesse con annesse polemiche, ha correttamente ceduto gli incartamenti al figlio Luca che manda avanti lo studio di famiglia. Insomma, in un modo o nell’altro Fanfani e Rossi si sono incontrati o sfiorati chissà quante volte nella loro normale attività.

Ancora più marcato è, se possibile, il rapporto che lega Rossi a Luca Palamara. Entrambi militano nella stessa corrente, Unicost, il pancione centrista della magistratura tricolore, e hanno lavorato nella stessa squadra. Palamara è stato il presidente dell’Anm fra il 2008 e il 2012, nello stesso periodo Rossi era nella giunta centrale dell’Associazione. I due sono in sintonia, buoni amici, e del resto, nelle nuove vesti di consigliere del Csm, Palamara è corso in aiuto del collega. Rossi era sotto attacco per essersi trovato a un crocevia assai delicato: indagava su Banca Etruria e dunque in qualche modo sulla famiglia di un ministro, la Boschi, del governo Renzi, ma in contemporanea era consulente dello stesso esecutivo. Una situazione inopportuna, a sentire più di un consigliere. «Ogni volta che ponevo il tema in discussione – ricorda Pierantonio Zanettin, consigliere laico di Forza Italia – Palamara interveniva sempre per difendere Rossi». La vicenda, come è noto, è finita in niente, ma non è questo il punto.

Ora Fanfani e Palamara si misureranno con il dossier relativo all’appartamento situato nelle campagne subito fuori Arezzo e nella disponibilità di Rossi fra il 2010 e il 2011. Una vicenda irrilevante dal punto di vista penale, ma che potrebbe aver ammaccato il prestigio del procuratore. Per questo la Prima commissione ha deciso di approfondire la pratica, affidandola ad Aldo Morgigni: la toga non avrebbe mai pagato un euro. Né per il canone d’affitto, né per le bollette o le spese condominiali. Una macchia per il custode della legalità.

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/tribunale-amico-che-valuter-pm-etruria-1344324.html

Caso Pm Roberto Rossi, il Csm si schiera con gli amici del Pm

E i consiglieri si schierano con i colleghi sotto i riflettori: Giuseppe Fanfani e Luca Palamara. Roberto Rossi, il procuratore della Repubblica di Arezzo, ha un legame collaudato con i due: l’ex sindaco di Arezzo Fanfani, avvocato e oggi presidente della Prima commissione dell’organo di autogoverno della magistratura, l’ex numero uno dell’Anm Palamara.

Incroci. Coincidenze. Suggestioni, ma anche rapporti cementati dalla consuetudine. Nulla di male, solo il Giornale sottolinea che la prestigiosa coppia Fanfani-Palamara guida l’organismo, appunto la Prima commissione, chiamato ad affrontare nelle prossime settimane l’imbarazzante vicenda della garçonnière.

Per la precisione, fra il 2010 e il 2011 Rossi aveva le chiavi di una appartamento che frequentava con le sue amiche, avvocatesse secondo la vox populi. Una casa situata nei dintorni di Arezzo e occupata da Rossi per un anno e mezzo, a quanto risulta, senza versare un euro per il canone e le spese condominiali. Quella storia, irrilevante dal punto di vista penale, potrebbe diventare una macchia sul prestigio e il curriculum che dovrebbe essere al disopra di ogni sospetto, voce o gossip.

La Prima commissione esaminerà la vicenda su input del Comitato di presidenza che ha aperto il dossier. Il Giornale, dopo aver raccontato tutti i passaggi della storia che molti ad Arezzo conoscevano da anni, si concentra sulla Prima commissione. Fanfani è stato il primo cittadino di Arezzo, la città di Rossi, prima di approdare nel 2014 a Roma. Ma, in un interminabile gioco di specchi, è anche considerato l’avvocato di riferimento di Banca Etruria, l’istituto di credito oggi al centro dell’indagine avviata dal pm. Palamara, invece, è stato al timone dell’Anm fra il 2008 e il 2012, nello stesso periodo Rossi era nella giunta dell’associazione.

Fatti. Non opinioni. Utili per comprendere il contesto in cui matura il procedimento che potrebbe chiudersi con l’archiviazione oppure con il trasferimento di Rossi per incompatibilità ambientale.

Questa è la trama. Ma a Palazzo dei Marescialli l’articolo non passa inosservato. Anzi, suscita qualche malumore. Viene interpretato da più un consigliere come un attacco preventivo, a freddo, alla credibilità dei consiglieri e più in generale dell’istituzione. E allora il plenum vira su quel tema e si apre con un dibattito che è in sostanza un atto di fiducia verso Palamara e Fanfani.

In verità il Giornale non si è mai permesso di mettere in dubbio la correttezza e le capacità dei due, ma ha solo ricostruito una rete di relazioni, peraltro legittime.

Dopo le vacanze finalmente si passerà all’esame della vicenda: relatore il togato Aldo Morgigni.
Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/caso-rossi-csm-si-schiera-amici-pm-1344990.html

Corruzione giudici: in agenda Dagostino incontri e tangenti con arrestati

Negli appunti che hanno permesso alla procura  di Lecce di chiudere le indagini che  hanno portato all’arresto dei magistrati del Tribunale di Roma  Savasta e  Nardi, anche gli incontri con l’ex sottosegretario Luca Lotti, con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e con Tiziano Renzi, papà dell’ex premier Matteo.

corruzione

E’ stata l’agenda di Luigi Dagostino e la maniacale abitudine dell’imprenditore di annotare il pagamento di presunte tangenti e ogni appuntamento (anche con l’ex sottosegretario Luca Lotti, con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e con Tiziano Renzi, papà dell’ex premier Matteo) a permettere ai magistrati di Lecce di chiudere il cerchio sulle indagini che ieri hanno portato all’arresto dei magistrati del Tribunale di Roma Antonio Savasta e Michele Nardi, all’epoca dei fatti in servizio a Trani.I due sono accusati di aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata ad intascare tangenti per insabbiare indagini e pilotare sentenze giudiziarie e tributarie in favore di facoltosi imprenditori. Oltre ai due magistrati è finito in carcere l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, mentre sono stati interdetti dalla professione l’imprenditore Dagostino, ex socio di Tiziano Renzi, e gli avvocati Simona Cuomo e Ruggiero Sfrecola.Nel corso di una perquisizione della Guardia di Finanza nei confronti di Dagostino, accusato di corruzione in atti giudiziari, gli investigatori hanno sequestrato due agende, del 2015 e del 2016, nelle quali l’imprenditore aveva annotato con dovizia di particolari incontri e viaggi, cene e somme di denaro associate a nomi.“Annotazioni puntuali e metodiche” scrive il gip nelle 862 pagine dell’ordinanza, sui contatti e rapporti con il pm Savasta, con l’avvocato tranese Sfrecola, con l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, con Tiziano Renzi e anche con l’allora vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini.È proprio dall’analisi dell’agenda, i cui dettagli sono stati poi incrociati con l’esito delle intercettazioni e le dichiarazioni rese durante le indagini, che gli inquirenti ricostruiscono l’incontro a Palazzo Chigi del giugno 2015 tra Dagostino, il commercialista Roberto Franzè, Savasta e Lotti e i rapporti dello stesso Dagostino con Tiziano Renzi, che nel luglio e nel settembre dello stesso anno si reca in Puglia in sua compagnia per riunioni e cene.Savasta avrebbe chiesto e ottenuto da Dagostino l’incontro con Lotti per tentare di ottenere un incarico a Roma e allontanarsi così dalla Procura di Trani, perché era coinvolto in procedimenti penali e disciplinari al Csm.Quest’ultima circostanza è stata documentata anche dall’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che, ascoltato come testimone dalla Procura di Firenze nell’aprile 2018, ha anche “prodotto una stampa dei vari procedimenti disciplinari a carico di Antonio Savasta, alcuni dei quali già pendenti dal 2015”, annota il gip.Dalle indagini emerge, infatti, che “già nel corso del 2015 Savasta si attiva per costruirsi appoggi strumentali ad alternative professionali avvalendosi proprio di Dagostino e dei suoi importanti contatti anche in contesti istituzionali”. Allo stesso tempo, però, Savasta indaga su Dagostino per un giro di fatture false, ma per ricambiare il favore non esercita l’azione penale nei confronti dell’imprenditore. Quando Savasta viene trasferito a Roma, il procuratore di Trani invia gli atti a Firenze per competenza.

Rif: https://www.controradio.it/corruzione-giudici-in-agenda-dagostino-incontri-e-tangenti-con-arrestati/

Trani, arrestati due magistrati: processi comprati per soldi, Rolex e diamanti. Imprenditore confessa: così pagai milioni

L’ex sostituto procuratore di Trani, Antonio Savasta, 54 anni, attualmente giudice del Tribunale di Roma, e l’ex Gip di Trani Michele Nardi, 53 anni, attuale pm nella Capitale (è stato anche magistrato dell’ispettorato del Ministero della giustizia), sono arrestati oggi dai carabinieri nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Lecce per una serie di reati tra cui associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso ideologico. In manette anche un ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, 58 anni, in servizio al commissariato di Corato (Bari). I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo Msu richiesta del Procuratore Leonardo Leone De Castris.

Misure cautelari anche per due avvocati, Simona Cuomo, 43 aani, di Bari, e Ruggero Sfrecola, 53, di Trani, entrambi interdetti dalla professione per un anno mentre è in corso di notifica il divieto temporaneo all’esercizio di attività di impresa per un imprenditore di Firenze. Complessivamente sono indagate 18 persone.

Nardi, Savasta, Di Chiaro e Cuomo rispondono di associazione per delinquere finalizzata ad una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale. Gli altri indagati sono accusati, a vario titolo, di millantato credito, calunnia e corruzione in atti giudiziari.

PROCESSI IN CAMBIO DI SOLDI E PREZIOSI – Secondo l’accusa i due magistrati avrebbero assicurato il buon esito di alcune inchieste per vicende giudiziarie e tributarie degli imprenditori coinvolti in cambio di soldi e oggetti preziosi, mentre gli avvocati avrebbero prestato la loro opera a titolo di intermediari e facilitatori. Un ruolo di particolare rilievo avrebbe rivestito l’ispettore di polizia che, secondo i magistrati di Lecce, sarebbe stato al servizio dell’imprenditore coratino Flavio D’Introno “quale momento indispensabile di collegamento con il magistrato Savasta per il complessivo inquinamento dell’attività investigativa e processuale da quest’ultimo posta in essere”.

GLI ATTI DA FIRENZE – Un ulteriore filone di indagini è emerso dopo la trasmissione di alcuni atti d’indagine da parte della Procura di Firenze in cui sarebbero venuti fuori altri episodi corruttivi: in particolare l’ex pm Savasta, titolare di un fascicolo su una serie di false fatturazioni, avrebbe omesso di svolgere i dovuti approfondimenti investigativi nei confronti di un imprenditore fiorentino, ottenendo in cambio denaro e altre utilità.

I provvedimenti cautelari – secondo i pm salentini motivati da un “documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio” – sono il terminale di un’attività investigativa che si è avvalsa di intercettazioni telefoniche, confessioni, dichiarazioni di testimoni, analisi di numerosi procedimenti penali trattati negli uffici giudiziari tranesi, oltre a riscontri patrimoniali.

Il Gip di Lecce, su richiesta della Procura, ha risposto il sequestro di immobili, conti correnti, oggetti preziosi per un valore di circa 2 milioni di euro: in particolare a Savasta sono stati sequestrati 489mila euro, a Nardi 672mila (tra i quali un orologio in oro Daytona Rolex e un quantitativo di diamanti), a Di Chiaro e Cuomo beni per 436mila euro, mentre per l’imprenditore fiorentino e Sfrecola 53mila euro.

LA CONFESSIONE DI D’INTRONO – Determinante si sarebbe rivelata la collaborazione dell’imprenditore Flavio d’Introno che a ottobre del 2018 ha deciso di collaborare e vuotare il sacco, dopo che è passata in giudicata una condanna a 5 mesi per usura.

L’imprenditore ha ricostruito la tela dei rapporti con i due magistrati, Saasta e nardi, dicendo testualmente: Ho consegnato circa 300mila euro in contanti a Savasta, circa un milione e mnezzo di euro, comprensivo di regali materiali, a Nardi.

Ma non è tutto. D’Introno, microfonato, avrebbe successivamente incontrato Savasta il quale, a sua volta, avrebbe fornito dichiarazioni “confessorie” chiamando in correità anche Nardi. Insomma, da quanto è emerso per alcuni anni tra il sostituto procuratore e il gip sarebbe creato una sorta di “ponte” per un mercimonio dei processi.

Magistrati arrestati: scoperto il «tesoro» di Savasta: 22 case e 12 terreni. Ex pm interrogato a Lecce per 8 ore

È durato otto ore l’interrogatorio in carcere a Lecce dell’ex pm di Trani Antonio Savasta arrestato per corruzione il 14 gennaio scorso dalla magistratura salentina assieme al collega ex gip tranese Michele Nardi. Assistito dal proprio legale avvocato Massimo Manfreda, Savasta è stato ascoltato dal pm di Lecce Roberta Licci, titolare dell’inchiesta insieme al procuratore capo Leonardo Leone De Castris. All’uscita del carcere l’avvocato Manfreda si è detto soddisfatto dell’esito dell’interrogatorio. «Una lunghezza necessaria – ha detto Manfreda ai giornalisti che lo attendevano all’uscita del carcere – necessaria per fornire i dovuti chiarimenti. La durata dell’interrogatorio è sintomatica dell’atteggiamento processuale che non è di chiusura. Ci sono delle cose sulle quali abbiamo lealmente fornito la nostra versione, ci sono altri aspetti su cui ci siamo confrontanti altrettanto lealmente e chiaramente». «È stato il terzo interrogatorio – ha detto ancora – e probabilmente almeno in questa fase, l’ultimo. In settimana depositeremo istanza di sostituzione della misura cautelare con la concessione degli arresti domiciliari». «Nel corso dell’interrogatorio la difesa ha anche prodotto un piccolo memoriale difensivo – ha concluso – Sette pagine inerenti questioni oggetto di imputazione e contestazioni provvisoria e sui risultati delle indagini».

BARI – Il tesoro di Antonio Savasta, l’ormai ex pm arrestato il 14 gennaio per corruzione in atti giudiziari, potrebbe essere nascosto nel mattone. La vecchia regola dei tempi di Giovanni Falcone («segui i soldi») potrebbe risultare decisiva anche nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla giustizia svenduta nel Tribunale di Trani, inchiesta che ha finora fatto finire in carcere anche l’ex gip Michele Nardi e che nelle ultime settimane si sta allargando con l’esame di numerosi altri fascicoli. L’ipotesi è sempre la stessa: sentenze e indagini potrebbero essere state truccate in cambio di soldi.

E Savasta, che nell’ultimo mese ha assunto un atteggiamento di collaborazione (dopo aver parlato a lungo ha presentato le dimissioni dall’ordine giudiziario, preludio a una richiesta di scarcerazione) potrebbe aver utilizzato i soldi per accumulare un enorme patrimonio: risulta infatti proprietario (da solo o insieme ai familiari) di 22 unità immobiliari e di 12 terreni nella provincia di Bari, cui si aggiungono altre 8 unità immobiliari (più un terreno) intestati alla moglie dell’ex pm (che non risulta indagata).

A scattare la fotografia del patrimonio di Savasta è stata la Finanza di Firenze, nell’ambito di una inchiesta (quella sui presunti favori all’imprenditore barlettano Luigi D’Agostino) poi trasferita per competenza a Lecce quando sono emersi gli elementi a carico del magistrato in servizio a Trani.

Dal 2015 al 2017, gli anni in cui si sono svolti i fatti contestati nella prima parte dell’inchiesta, Savasta ha dichiarato redditi oscillanti tra i 130 e i 140mila euro, più alti rispetto al solo stipendio di magistrato (in quegli anni circa 110mila euro lordi). La differenza è fatta, appunto, dai redditi di locazione. Ma nel mirino dei militari sono finiti i numerosi bonifici e versamenti sui conti del magistrato, che – solo per fare un esempio – da gennaio a marzo 2018 ha versato assegni per 81mila euro ed ha ricevuto bonifici per oltre 21mila euro. Il quadro complessivo, molto complesso, mostra un elevato numero di operazioni finanziarie (spesso con i parenti), ma anche di operazioni immobiliari effettuate direttamente da lui o dalla moglie. Savasta risulta ad esempio aver effettuato un investimento in un immobile turistico nella zona di Polignano a Mare.

L’analisi delle risultanze patrimoniali potrà essere un valido elemento di riscontro delle accuse oggi al vaglio della Procura di Lecce. Oltre a quelle di Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che con le sue «confessioni» è stato determinante per l’arresto dei due magistrati (cui ha detto di aver corrisposto negli anni 3 milioni di euro), ci sono numerosi altri casi: ad esempio l’altro imprenditore Paolo Tarantini, di Corato, la cui posizione è all’esame in questi giorni. Ma c’è anche il «re del grano», Francesco Casillo, arrestato nel 2006 su richiesta di Savasta (accolta dal gip Nardi) per lo scandalo del grano all’ocratossina: una inchiesta che nacque dalla denuncia di un esponente della Coldiretti di Spinazzola e si concluse il 4 luglio 2012 con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste».

Casillo è stato ascoltato alcune settimane fa dalla pm Roberta Licci. Le sue parole, e la sua stessa posizione, sono adesso in corso di esame. Ieri l’imprenditore ha fornito la sua versione della storia a «Repubblica», raccontando di aver pagato «550mila euro per uscire dal carcere» tramite un intermediario. Oltre a lui, Savasta fece arrestare anche i fratelli Beniamino, Pasquale e Cardenia nell’ambito dell’inchiesta «Apocalisse» sul presunto spietramento della Murgia. L’intermediario avrebbe chiesto ad un amico di famiglia «un milione di euro per risolvere la questione. Promettendo di farlo immediatamente» e alla richiesta di «una prova che, effettivamente, se avessimo pagato saremmo usciti di galera», Francesco Casillo ha raccontato che «mia sorella, incredibilmente, dopo poche ore dal suo arresto fu scarcerata».

La storia, come detto, è ora al vaglio. Ma agli atti dell’inchiesta di Lecce c’è una strana intercettazione ambientale del 1° luglio 2016 in cui Nardi parla in macchina da solo. I carabinieri l’anno considerata «un importante spunto investigativo poiché dalle sue parole traspare, in maniera incontrovertibile, la legittimazione dell’operato del pm Antonio Savasta, nonostante al vicenda Casillo si è conclusa con l’assoluzione del re del grano coratino»: «Casillo è meglio che sta zitto perché il vero scandalo è quando Casillo è stato assolto, e no che è stato messo in galera ed è stato assolto da un collegio» in cui, secondo Nardi, uno dei giudici (non indagato e non coinvolto in alcun modo») aveva la moglie che lavorava per Casillo. «Le tangenti saranno state pagate sì – è la conclusione del monologo di Nardi – ma per essere assolto, non certo per essere messo in galera».
A novembre 2015 Savasta concluse la requisitoria a carico di Francesco Casillo chiedendo 4 anni di carcere, dopo che a novembre 2008 aveva dato il suo assenso a un patteggiamento che avrebbe comportato solo una multa: l’istanza fu però rigettata dal Tribunale perché ritenuta incongrua.