Sistema Siracusa, Mattarella bloccò la nomina del Pm Giancarlo Longo

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in persona bloccò la nomina di Giancarlo Longo alla guida della procura di Gela. È questa la versione proprio dell’ex Pm di Siracusa durante un interrogatorio reso alla Procura di Messina e “omissato” ma riportato nel decreto di perquisizione eseguito ieri, dalla Procura di Perugia, nei confronti di Luca Palamara, ex segretario dell’Anme e consigliere del Csm, indagato per corruzione.

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Quaranta mila euro per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela. Secondo quanto dichiarato nel luglio dello scorso anno dall’ex pm di siracusa Longo ai magistrati di Messina, Calafiore e Amara “spinsero” con 40 mila euro la nomina di Longo a Gela così che l’ex pm potesse mettere mano ad alcune indagini su Eni. Insomma i due legali siracusani speravano di avere un uomo di fiducia a Gela così da poter tutelare il cane a sei zampe di cui Amara era legale. Almeno questa è la ricostruzione di Perugia. Ma a stoppare tutto, sempre secondo quanto riferito da Longo sarebbe stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Siracusa. Caso Palamara, si capovolge la vicenda di corruzione: Amara e Calafiore negano di aver dato 40 mila euro

Si tinge di giallo la vicenda della presunta corruzione dei quarantamila euro per fare eleggere l’ex pubblico ministero Giancarlo Longo dal Csm come capo della Procura della Repubblica di Gela. Gli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara prendono le distanze dal loro «amico» ed ex pubblico ministero Giancarlo Longo, il quale lo scorso anno ad agosto, alcuni giorni prima di chiedere il patteggiamento, aveva chiesto di essere sentito dai Pubblici Ministeri di Messina per accusare tre consiglieri togati del Csm di corruzione.

Siracusa. Caso Palamara, si capovolge la vicenda di corruzione:  Amara e Calafiore negano di aver dato 40 mila euro

Nella dichiarazione Longo aveva fatto riferimento ai suoi «amici» Calafiore e Amara i quali avevano pagato quarantamila euro per farlo eleggere dal Csm come capo della Procura della Repubblica di Gela. L’ex pm aveva fatto i nomi dei tre consiglieri togati del Csm, dei quali il più noto è l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, sostenendo di averlo anche incontrato a Roma per sapere come mai non avesse ancora ricevuto la nomina: «Il collega Palamara mi rispose dicendo che la mia nomina a capo della Procura di Gela era stata bloccata personalmente dal presidente del Csm, il Capo dello Stato Sergio Mattarella».

I verbali contenenti la dichiarazione di Giancarlo Longo, sono stati riportati nei decreti notificati all’ex pubblico ministero Palamara, indagato per corruzione dalla Procura della Repubblica di Perugia.

Tale dichiarazione resa da Longo però viene smentita dagli avvocati siracusani. Calafiore ha affermato di «smentire il suo amico Giancarlo Longo, ma io non ho pagato i quarantamila euro di cui lui parla per chiedere al consigliere Palamara di farlo nominare dal Csm procuratore capo alla Procura di Gela. Piuttosto ho chiesto all’amico Fabrizio Centofanti di parlare con i suoi amici magistrati di Roma per dare una mano d’aiuto a Longo ma non risponde al vero che abbiamo pagato 40 mila euro per farlo nominare procuratore capo alla Procura di Gela».
A sua volta l’avvocato Piero Amara ha negato di essersi adoperato per la promozione dell’ex pubblico ministero Longo e ha preferito non entrare nel merito della vicenda Palamara. E’ caustico il suo commento sull’ex magistrato in servizio alla Procura di Siracusa, affermerebbe: «Longo è fuori di testa. Il mio commento mi pare chiaro su questa storia raccontata da Longo. Ripeto: Longo è totalmente fuori di testa».
Longo, che poi ha avuto applicata la pena di cinque anni di reclusione, con la richiesta di cedere il Tfr per risarcire le parti civili costituitesi contro di lui e di presentare la lettera di dimissioni dal Corpo della Magistratura, tentò di convincere i magistrati della Procura di Messina di mitigare la pena a quattro anni e sei mesi di reclusione in modo che lui potesse usufruire del beneficio di legge di espiare il residuo di quattro anni all’affidamento in prova, ma non ottenne lo sconto di pena che chiedeva.

Adesso l’ex pm Longo rischia di essere incriminato dai magistrati di Perugia per il reato di calunnia ai danni di Luca Palamara e degli altri due consiglieri togati del Csm che lui ha chiamato in causa per la sua mancata promozione a capo della Procura di Gela. Se non lo incriminano d’ufficio i magistrati di Perugia l’ex pm Longo potrebbe essere denunciato da Palamara il quale ha negato di avere ricevuto quarantamila euro dalla coppia Amara-Calafiore nè dall’imprenditore romano Fabrizio Centofanti e per dimostrare la veridicità della sua dichiarazione ha messo a disposizione degli inquirenti tutti i conti correnti bancari da lui aperti in vari istituti di credito. Per la cronaca l’ex pm Giancarlo Longo per vivere ha aperto una palestra a Napoli.

Sistema Siracusa, il silenzio di Ferraro: “nessuna collaborazione con i magistrati”. E il Csm, a pezzi, ricorda gli “anticorpi”: “tutto inizia con gli 8 PM”

Il 17 giugno la Cassazione dovrebbe omologare il patteggiamento di Amara e Calafiore a Roma, mentre il 20 giugno i due dovrebbero essere ascoltati a Messina e il 25 puntano anche al patteggiamento in continuazione

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Il Consiglio superiore della magistratura è a pezzi. Quello che una volta era il Sistema Siracusa, adesso si è esteso così tanto da aver toccato forse uno dei momenti più bui della giustizia italiana. Il Csm è ridotto di un terzo dei togati e attende con timore le rivelazioni dell’inchiesta di Perugia. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo che avrebbe bloccato la nomina dell’ex Pm di Siracusa Giancarlo Longo a Gela, all’ultima riunione ha mandato il suo vice David Ermini, che esce bene dalle intercettazioni contro Lotti (secondo cui il magistrato non risultava sufficientemente collaborativo), Ferri e Palamara.

Dimissioni e sospensioni. Martedì altri due consiglieri – Gianluigi Morlini di Unicost e presidente della commissione che nomina i capi degli uffici e Paolo Criscuoli di Magistratura indipendente — si sono autosospesi e si aggiungono alle dimissioni di Luigi Spina di Unicost e alle sospensioni di lunedì sera di Antonio Lepre e Corrado Cartoni di Mi. Il vicepresidente del Csm, Ermini, alla fine lo dice chiaramente: questo Csm può andare avanti “purché la reazione a condotte non compatibili sia chiara, rapida, senza fraintendimenti”.

C’è anche Lotito. Le carte sembrano gettare un’ombra sulle nomine del Csm e in particolare su quella del procuratore di Roma, di cui Palamara parlava in un incontro con i deputati del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti e con 5 consiglieri togati. Le riunioni per scegliere il nuovo procuratore di Roma si sarebbero svolte a tarda sera in un albergo romano e oltre a Palamara, Ferri e Lotti c’erano i consiglieri del Csm Luigi Spina, Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Gianluca Morlini e Paolo Criscuoli. E a queste rimpatriate notturne avrebbe preso parte anche il presidente della Lazio Claudio Lotito, che avrebbe omaggiato Palamara di biglietti da distribuire agli amici.

Quei magistrati coraggiosi. E mentre sono volati gli stracci tra il presidente dell’Anm Pasquale Grasso (“i magistrati coinvolti si dimettano“) e i togati del Csm sospesi (che hanno definito priva di fondamento la richiesta di dimissioni), durante la calda seduta del plenum un magistrato siciliano – catanese di nascita ma siracusana d’adozione, e di residenza – Concetta “Cochita” Grillo ha preso parola per ricordare a tutti da dove è partita la genesi dell’indagine, dall’esposto che 8 sostituti di Siracusa denunciarono a Messina la situazione in cui si trovava la Procura della Repubblica aretusea e che portò anche all’arresto del Pm Longo: “il ringraziamento va a questi 8 colleghi, molti anche di prima nomina, e a tutti quelli che senza paura danno la possibilità di andare a fondo in questa vicenda”.

Ferraro silente. Al momento la vicenda scaturita dal Sistema Siracusa investe le Procure di Perugia, Milano, Roma, Catania, Trani, Taranto, Matera e Messina passando per il Csm e la spinosa vicenda Eni. Da più parti si indica in Alessandro Ferraro, ritenuto per anni il braccio destro di Amara e che venerdì sarà ascoltato dai Pm milanesi proprio sull’affare Eni, uno dei possibili depositari di informazioni da parte degli avvocati Amara e Calafiore. Finora Ferraro ha deciso di difendersi nei processi e di non parlare con i magistrati (di Messina, Roma o Perugia…). E oggi l’imprenditore si limita a confermare la propria indisponibilità mandando un velato messaggio a qualcuno…: “non c’è alcuna collaborazione con i Pm, perché non avrei cos’altro aggiungere rispetto a quanto detto da Amara e Calafiore”. 

Giugno caldo. Ancora silenzio da parte sua, mentre le parole di tutti gli altri hanno aperto una voragine sulla credibilità della giustizia italiana. Mentre il 17 giugno la Cassazione dovrebbe omologare il patteggiamento di Amara e Calafiore a Roma, mentre il 20 giugno i due dovrebbero essere ascoltati a Messina (quando potrebbero emergere altre novità) e il 25 nuova udienza sempre al Tribunale peloritano con i due che puntano anche al patteggiamento in continuazione. Mentre… in questo momento sembra si stia giocando una partita a carte, con i giocatori seduti al tavolo (o al banco degli imputati) che di volta in volta danno le carte a piacimento. Una brutta partita, dove a perdere sono in tanti, in troppi.

Rif: http://www.siracusanews.it/sistema-siracusa-silenzio-ferraro-nessuna-collaborazione-magistrati-csm-pezzi-ricorda-gli-anticorpi-inizia-gli-8-pm/

La figura del giudice Longo trascina la Procura di Roma nella bufera

Il magistrato arrestato mentre era in servizio alla sezione distaccata di Ischia. Dall’inchiesta della Procura di Perugia emerge che i suoi presunti amici avvocati si erano interessati affinché Longo venisse nominato procuratore della Repubblica di Gela. Coinvolgendo l’allora membro del Csm Luca Palamara, che è stato anche presidente dell’Anm e attualmente in servizio all’ufficio inquirente di Roma. Si parla di una mazzetta per favorire la promozione dell’ex magistrato dell’ufficio giudiziario ischitano.

 L’inchiesta giudiziaria che coinvolse il giudice civile della sezione distaccata di Ischia Giancarlo Longo tiene ancora banco, creando una vera e propria bufera nell’ambito della magistratura. Come si ricorderà, Longo venne tratto in arresto dalla Guardia di Finanza su ordine del giudice per le indagini preliminari di Messina per corruzione nell’ambito delle funzioni da lui stesso detenute qualche anno prima presso la procura della Repubblica di Siracusa. I militari delle fiamme gialle giunti dalla città dello Stretto vennero accompagnati dai colleghi della tenenza di Ischia per prelevare il magistrato e condurlo in carcere, ove rimase fino all’udienza del riesame, ottenendo gli arresti domiciliari. La sua vicenda processuale si è chiusa qualche mese fa con una richiesta di patteggiamento accolta dal tribunale a cinque anni di reclusione, le dimissioni dall’ordine giudiziario e con la riparazione parzialmente del danno allo Stato.
Sembrava che tutto si fosse concluso “agevolmente”, ma così non è stato, in quanto i suoi due amici di un tempo, gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, che hanno patteggiato anche loro le pene per i reati contestati, hanno collaborato con la giustizia. E si è appreso da fonti giudiziarie della Procura di Roma che uno dei due avrebbe riferito ai magistrati che sarebbe stata promessa una dazione di 40.000 euro ad un magistrato importante della stessa Procura della capitale, Luca Palamara, affinché spingesse per promuovere il loro amico, il giudice Giancarlo Longo, per la nomina a procuratore della Repubblica di Gela. Nomina che non è mai arrivata e che tutti gli interessati respingono. L’operazione si sarebbe potuta perfezionare per il tramite di Fabrizio Centofanti, amico del Palamara. Magistrato di un certo spessore e di rilevanza nazionale, per aver ricoperto la carica di presidente dell’Associazione nazionale magistrati e successivamente membro del Consiglio superiore della magistratura. E’ grazie soprattutto a quest’ultimo incarico che si sarebbe dovuto architettare questa promozione. Rimasta nel cassetto, anche perché esplose oltre un anno e mezzo fa la famosa inchiesta della Procura di Messina che portò all’arresto sia del Longo che dei due avvocati che avevano una capacità innata di relazionarsi con il bel mondo dell’alta finanza e anche con altri rappresentanti istituzionali. Ognuno in quella fase cercò di respingere l’accusa, ma gli elementi raccolti furono tali da consigliare i diretti interessati ad avere un atteggiamento ben diverso, in quanto oltre a Messina indagava Roma, attirando quegli stessi avvocati nella sfera investigativa per aver avuto rapporti finanche con qualche personaggio della giustizia amministrativa intervenuto per favorire i loro interessi o quantomeno dei clienti che rappresentavano. Un peso accusatorio di dimensioni tali da costringere i due professionisti a cambiare strategia difensiva. Collaborando, tant’è vero che la loro richiesta di patteggiamento venne accordata dai pubblici ministeri in tre anni di reclusione. E nell’ambito dei verbali acquisiti e in parte secretati, gli atti vennero trasmessi per competenza alla procura della Repubblica di Perugia nelle indagini nei confronti dei magistrati capitolini. Tant’è vero che si parla anche di una iniziativa che non trovò pieno consenso da parte di un magistrato della pubblica accusa di Roma, non collimando con le conclusioni con cui erano giunti il procuratore Pignatone e il suo aggiunto Ielo, che decisero che non vi erano le condizioni per proseguire nelle indagini nei confronti di uno degli avvocati che aveva ammesso alcune circostanze che avevano poi indotto a trasmettere gli atti ad altra autorità giudiziaria. Tanto da essere sollevato dall’inchiesta. Il magistrato in questione non si diede per vinto e segnalò l’accaduto anche al Consiglio superiore della magistratura.

L’INCHIESTA DELLA PROCURA DI PERUGIA
Poi la situazione è completamente esplosa con l’iniziativa dei pubblici ministeri di Perugia di procedere alla perquisizione nell’abitazione del sostituto procuratore di Roma Palamara. Il quale si è dichiarato estraneo, di non aver ricevuto un becco di un centesimo dando la massima disponibilità a verificare i suoi movimenti bancari e le risorse finanziarie da lui possedute negli ultimi anni. Ammettendo solo di avere dal 2008 un rapporto di amicizia con il Centofanti, che all’epoca era uno stimato imprenditore e che non era stato mai coinvolto nelle indagini. Lo stesso Centofanti, sentito dagli inquirenti, ha escluso categoricamente di aver fatto da tramite per convincere il suo amico magistrato a sponsorizzare nell’ambito del Csm la nomina di Giancarlo Longo a procuratore capo di Gela. Lo stesso indagato ha dichiarato ai magistrati che lo hanno interrogato in queste ultime ore di non aver mai fatto parte della commissione per gli incarichi direttivi del Csm e che quella nomina non è stata mai presa in considerazione dall’organo di autogoverno della magistratura. Tutto sarebbe una vera e propria montatura.
Ma cosa c’è dietro questa inchiesta che sta sconquassando la magistratura italiana? Alcuni ritengono che vi sia una vera e propria contrapposizione in relazione alla nomina del nuovo procuratore capo di Roma, essendo il Pignatone in quiescenza e si sarebbe dovuto discutere anche della promozione del Palamara a procuratore aggiunto. Quest’ultimo ha titoli per ricoprire tale incarico, anche per essere uno degli esponenti di rilievo della corrente Unicost, tra le più rappresentative nel panorama dei giudici. Avendo ricoperto ruoli di livello nazionale prima come presidente dell’Anm e poi consigliere del Csm.

LE NOMINE
Lo sconquasso coinvolge altri aspetti che sono all’attenzione del plenum. Soprattutto le nomine dei capiufficio di Procure importanti. Oltre Roma, di cui abbiamo fatto cenno poc’anzi, c’è quella di Perugia, che indaga sui fatti accaduti nell’ufficio romano e come si sa i concorrenti sono numerosi. Tra cui magistrati di provata esperienza come Raffaele Cantone, a capo dell’Anticorruzione, o come Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Entrambi aspirano a sedersi sulla poltrona più importante della Procura di Perugia insieme ad altri due autorevoli magistrati che siedono attualmente negli uffici della Procura generale.
Tutta questa storia è partita da una piccola Procura siciliana, quella di Siracusa. Dove Giancarlo Longo era uno dei sostituti di punta e che aveva rapporti con gli avvocati Amara e Calafiore, che rappresentavano gli interessi in alcune indagini dell’Eni. Una multinazionale italiana che si occupa di idrocarburi, le cui attività erano sottoposte al vaglio dell’ufficio inquirente di Milano. Siracusa contestualmente apriva una nuova indagine sempre riferita alle attività dell’Eni e si chiedevano informazioni ai magistrati milanesi, ma non per approfondire taluni filoni aperti, ma solo per conoscere quali fossero gli elementi raccolti per giungere a dei “favori”. Un intreccio mostruoso che, come evidenziano gli ultimi sviluppi, ha interessato la Procura più importante del nostro Paese. Per le amicizie, le conoscenze e gli interessi che ruotano in determinate strutture finanziarie ed imprenditoriali. Rendendosi a questo punto necessario un intervento del Consiglio superiore della magistratura e delle alte sfere dell’Ufficio Ispezioni del Ministero e del procuratore generale presso la Cassazione affinché vengano dissipate storture e coinvolgimenti di personaggi che rappresentano le Procure più importanti italiane.

Rif:http://www.ildispariquotidiano.it/it/la-figura-del-giudice-longo-trascina-la-procura-di-roma-nella-bufera/

Magistrati indagati, intercettato con Palamara anche un pm dell’Antimafia

Magistrati indagati, intercettato con Palamara anche un pm dell’Antimafia

Si tratta di Cesare Sirignano, stimato investigatore che si è occupato anche di camorra. Non poteva sapere che il collega fosse intercettato perché indagato per corruzione dalla procura di Perugia. Anche perché Palamara è l’ex presidente dell’Anm e leader della sua stessa corrente, Unicost.

Il trojan installato nel cellulare di Luca Palamara ha intercettato anche la voce di un pm della Direzione nazionale antimafia. Si tratta – come racconta il Corriere della Sera – di Cesare Sirignano, già pm a Napoli molto stimato per il suo lavoro contro la camorra. Non poteva sapere che il collega fosse intercettato perché indagato per corruzione dalla procura di Perugia. Anche perché Palamara è l’ex presidente dell’Anm e leader di Unicost, la stessa corrente di Sirignano.

Il 7 maggio scorso Palamara parla con Sirignano. Nel decreto di perquisizione eseguito dalla guardia di finanza giovedì 30 maggio gli investigatori scrivono che “l’argomento è l’individuazione di un candidato da appoggiare da parte di Luca Palamara per l’incarico di procuratore di Perugia”. “Ma io non c’ ho nessuno a Perugia… zero”, dice il pm sotto indagine che “si informa su uno dei tanti candidati, consociuto ed in contatto con il suo interlocutore”. “Nel prosieguo del dialogo si comprende che, secondo il citato collega, Palamara non avrebbe alternative (per problemi e logiche di correnti qui irrilevanti) se non ‘appoggiare’ il candidato di cui parlano e a quel punto l’indagato chiede: Chi glielo dice che deva fare quella cosa lì”. E “a seguito di chiarimenti, infine chiearisce: ‘Deve aprire un procedimento penale su Ielo…cioè stiamo a parlà di questo…non lo farà mai”. 

Dei tentativi di delegittimazione di Paolo Ielo, procuratore aggiunto di Roma, tra l’altro, sarebbero stati informati o deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo FerriL’incontro è quello raccontato dal Fatto Quotidiano tra Palamara, l’ormai ex consigliere del Csm Luigi Spina (che si è dimesso ieri) e i due esponenti dem: Ferri è un ex magistrato, già sottosegretario dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, e leader della corrente di Magistratura Indipendente, l’ex ministro Lotti, invece, è imputato dalla procura di Roma per l’inchiesta Consip. Il 9 maggio scorso Spina li avvisò che allegato all’esposto trasmesso al Csm dal sostituto procuratore di Roma Stefano Fava – indagato come Spina per violazione di segreto e favoreggiamento – c’ era anche “un cd secretato”. Il dischetto Il dischetto conteneva dei file su un incarico affidato al fratello di Ielo dalla società Condotte.

Martedì il caos che ha travolto la magistratura finirà sul tavolo del Csm, che ieri ha convocato un plenum straordinario per il 4 giugno.“Si impone oggi un confrontoresponsabile tra tutti i componenti per la forte riaffermazione della funzione istituzionale del CSM a tutela dell’intera Magistratura”, hanno fatto sapere ieri da Palazzo dei Marescialli specificando che la riunione del consiglio è fissata per le 16.30. Nel corso della riunione “verrà anche preso atto delle sopravvenute dimissioni del Consigliere Luigi Spina”. Intanto la questione approda alla parata di via dei Fori Imperiali. A margine delle manifestazioni per la festa della Repubblica, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha chiesto al vicepresidente del Csm, David Ermini: “Come va?”. Il numero due di Palazzo dei marescialli, alla luce dei recenti avvenimenti che hanno coinvolto le procure, ha risposto: “Forza, forza… Andiamo avanti”.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/02/magistrati-indagati-intercettato-con-palamara-anche-un-pm-dellantimafia/5226393/

Il papà Giuseppe Fanfani è al Csm e giudica il PM Rossi ed il figlio di Fanfani difende l’ex banchiere Boschi

Non uno studio legale qualsiasi. È lo storico studio Fanfani in uno dei più antichi palazzi del centro cittadino. Quello nel quale ha esercitato per una vita Giuseppe Fanfani, 69 anni, nipote del cinque volte presidente del Consiglio Amintore, ex segretario provinciale della Dc (fondata ad Arezzo da suo padre Ameglio), ex sindaco della città della Giostra e attuale membro laico in quota renziana del Csm.Quando Beppe si è votato, a tempo pieno, alla causa politica (deputato per l’Ulivo nel 2001) ha lasciato lo studio legale in mano al figlio Luca, 39 anni, bis nipote di Amintore. È lui che oggi segue gli interessi della famiglia Boschi, e in particolare di papà Pier Luigi. Per esempio ha seguito, passo passo, tutta la losca storia della compravendita della Fattoria di Dorna a Civitella Val di Chiana, quella per la quale il babbo della ministra è stato indagato dal procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, per turbativa d’asta, estorsione e evasione di 250mila euro riscossi in nero.

Boschi Pier Luigi

Dopo l’8 febbraio, giorno della prima udienza del collegio fallimentare al tribunale di Arezzo che finalizzerà l’insolvenza di Banca Etruria, probabilmente verrà affidato a lui (insieme ad altri legali romani) il gravoso incarico di difendere l’ex vice presidente dell’istituto dall’accusa di bancarotta, semplice o fraudolenta, che il procuratore Rossi avvierà nei suoi confronti.L’aspetto più curioso, che configura anche un velato conflitto di interessi, è proprio il fatto che il padre di Luca, Giuseppe, faccia parte dello stesso Csm che ha interrogato il procuratore Rossi in audizione a fine dicembre e che ha messo in dubbio la sua correttezza professionale. Per questo, adesso, l’organo di autogoverno sta verificando se il pm avesse l’obbligo di astenersi dalle indagini circa il fallimento di Banca Etruria e se si possano configurare gli estremi per sanzioni disciplinari o per un trasferimento per incompatibilità ambientale. Probabilmente Giuseppe ha fatto parte della stessa commissione che ha assistito all’audizione di Rossi, in servizio alla procura di Arezzo dal 2007. Giuseppe Fanfani è stato eletto al Csm il 9 settembre 2014, in quota Pd. Renzi era premier da appena sette mesi.In ogni vicolo di Arezzo si respira aria di Fanfani e di Democrazia cristiana. Non c’è uno che alla voce «Fanfani» non si giri e non ti racconti leggende su quella famiglia, più o meno veritiere. È la città dei Fanfani e dei loro eredi. Anche di quelli che non portano quel pesante cognome ma che da loro hanno fatto scuola. Come Pier Luigi Boschi che di Fanfani ha tutto, dal modo di fare e di distribuire aiuti e favori (in cambio di piaceri e di voti), allo studio legale che ha scelto. Quello del bis nipote del due volte segretario della Dc, del tre volte presidente del Senato e del cinque volte presidente del consiglio. Ironia della sorte.

Rif:http://www.ilgiornale.it/news/politica/pap-csm-figlio-difende-lex-banchiere-boschi-1216343.html

Csm: la “bomba” Consip colpisce in pieno Fanfani

Il “casino” Consip ha investito il plenum del Csm. Ieri, infatti, c’è stato un fuori programma che ha messo nero su bianco come il verbale della procuratrice di Modena Lucia Musti sia uscito ad arte per dare manforte ai complottisti renziani. È stato il consigliere laico di Fi Pierantonio Zanettinad aprire un dibattito al vetriolo: “Se è stata desecretata Consip, allora è opportuno desecretare tutte le pratiche politicamente sensibili, compresa quella sul pm Roberto Rossi di Arezzo per l’indagine su Banca Etruria(vedi papà Boschi, ndr) altrimenti vuol dire che le pratiche vengono desecretate a seconda del gradimento del governo di turno”.

Il cecchino – Giuseppe Fanfani –  Ansa
Giuseppe Fanfani

Delle “strumentalizzazioni politiche” del verbale Musti e delle responsabilità del Consiglio parlano i togati di Area (sinistra) Piergiorgio Morosini e Antonello Ardituro, ex pm di Napoli. “So per certo che non è stata la Procura di Roma a dare alla stampa il verbale” ha detto Ardituro. “La scorsa settimana è stata imbarazzante, sono rimasto in attesa, sperando che qualcuno sottolineasse il fatto gravissimo” che sia uscito su alcuni quotidiani. E analizza: “La pubblicazione di questo verbale ha destato perplessità e confusione mettendo il Csm al centro dell’agone politico”. Morosini finisce di mettere il dito nella piaga: “È venuta fuori l’idea di desecretazione mentre si mandavano gli atti alla Procura di Roma. Bisogna stare molto attenti al momento di ostensibilità di certi atti perché quando vanno in mano alla stampa, in particolare solo a una parte”, come nel caso Musti, “possono esporre a campagne di stampa magistrati impegnati in inchieste importanti”. Morosini scende nel particolare: “Diverse testate hanno fatto credere la responsabilità di pm sulla fuga di notizie dell’intercettazione Renzi-Adinolfi (contenuta nel fascicolo Cpl-Concordia, ndr) ma abbiamo sentito dai lavori della Prima Commissione che è radicalmente da escludere la responsabilità del pm Woodcock”. Gli ha risposto visibilmente risentito Luca Palamara, togato di Unicost (centrista) e relatore, insieme ad Aldo Morgigni della pratica: “Non è rispettoso del lavoro della Prima annunciare l’esito sulla divulgazione delle intercettazioni”, come se non fosse già noto che Il Fattoquell’intercettazione, pubblicata il 10 luglio 2015, l’ha avuta dal mondo forense.

Sulla difensiva il presidente della Prima che ha proposto la desecretazione degli atti e l’invio alla Procura di Roma, con decisione, però, unanime. Giuseppe Fanfani, laico renziano della prima ora, nega ogni responsabilità sull’uscita del verbale Musti: “Abbiamo ritenuto opportuno desecretare circa 30 pratiche per l’ampia conoscenza che c’era già stata da parte della stampa e con il sereno convincimento del fatto che questo non incidesse sul dovere di riservatezza dei consiglieri che, sono certo, è stato rispettato da tutti”. Fanfani, poi, rivendica la scelta di aver trasmesso il verbale Musti alla Procura di Roma pur non essendoci elementi penalmente rilevanti e pur andando contro la prassi secondo la quale gli atti si mandano alla fine dell’istruttoria. “L’obbligo non c’era perché non c’erano notizie di reato, ma abbiamo ritenuto utile far conoscere quelle carte ai pubblici ministeri che indagano sull’ipotesi di scorrettezze da parte degli ufficiali che si sono occupati di Consip (il riferimento è al maggiore Giampaolo Scafarto, indagato per falso, ndr)”.

Proprio Fanfani, in un momento dell’audizione della Musti, dopo che un consigliere aveva fatto un riferimento sbagliato, ha messo insieme Cpl-Concordia e Consip: “De Caprio ha detto ‘Ha una bomba in mano’. Scafarto: ‘Succederà un casino, arriveremo a Renzi’”. Di Caprio aveva parlato con la Musti nel 2015 dell’inchiesta Cpl contro le coop rosse e il mondo dalemiano e Scafarto, improvvidamente, nel 2016, con la Musti aveva fatto un riferimento all’inchiesta Consip in cui era coinvolto Tiziano Renzi. Sono due cose diverse.

Ha parlato anche il vicepresidente Giovanni Legnini: “Non condanno la desecretazione degli atti ma bene ha fatto la Procura di Roma ad aprire un’indagine per violazione del segreto istruttorio”. Un colpo al cerchio e uno alla botte.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2017/09/21/csm-la-bomba-consip-colpisce-in-pieno-fanfani/3868598/

L’M5s Sibilia a muso duro contro il procuratore: “Chiedo che venga desecretata l’audizione di Rossi. Ha omesso”

Su mia domanda, il procuratore non ha parlato di indagati per falso in prospetto né del papà del sottosegretario Boschi”.

L'M5s Sibilia a muso duro contro il procuratore:

“Per amore della verità chiedo che venga desecretata l’audizione di Roberto Rossi”. A muso duro Carlo Sibilia, deputato M5s della commissione di inchiesta sulle banche, si scaglia contro il procuratore di Arezzo accusandolo di aver omesso, davanti ai commissari, che Pier Luigi Boschi, padre del sottosegretario ed ex ministro Maria Elena Boschi, sia indagato per falso in prospetto, insieme all’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi, altri 10 membri del cda e quattro componenti del collegio sindacale, in uno dei filoni di indagine sul crack di Banca Etruria: “Non capisco questa reticenza. Ha omesso”.

Onorevole Sibilia, lei dice che Rossi ha omesso, ma il procuratore ha messo per iscritto, in una lettera al presidente Casini, che nessuno ha rivolto “domande sull’identità delle persone oggetto di indagini”. Dov’è la verità?

“Qual è il senso di far venire un procuratore se non quello di comunicare se ci sono indagini? Rossi non ha parlato di indagati per falso in prospetto in relazione al Cda, nonostante una mia domanda precisa”.

Dunque lei ha chiesto espressamente se il padre del sottosegretario Boschi fosse indagato per falso in prospetto? 

“Certo, io ho fatto una domanda sull’intero Cda. Ogni volta che ho nominato il padre della Boschi sono stato fischiato dai renziani del Pd. La mia domanda era su tutto il Cda, di cui Boschi è stato prima consigliere e poi vicepresidente, mi sembra tutto molto chiaro. Ho fatto una raffica di domande sul padre della Boschi”.

Può essere più preciso?

“Rossi ha detto che un solo dirigente ha redatto quel prospetto e che non si può parlare di Cda coinvolto. Per esattezza, ricordo bene le parole, Rossi ha detto che la Consob ha denunciato il falso in prospetto sull’emissione obbligazionaria relativa all’aumento di capitale del 2013. Così io ho chiesto chi avesse autorizzato l’aumento di capitale. La risposta è stata: ‘Lo ha approvato un solo dirigente’. Ma Rossi non ha parlato di indagati. L’ha fatto troppo grossa”.

È la sua parola contro quella del procuratore.

“Benissimo, sono sicuro di quello che dico ed è per questo che domani chiederò che venga desecretata quella parte di audizione in cui si parla del falso in prospetto. Rossi aveva l’obbligo di dire, rispondendo alle mie domande, che Pier Luigi Boschi era indagato. Se un procuratore viene in commissione non può farsi tirare le parole con la tenaglia e lui – ripeto – su mia domanda non ha parlato di indagati”.

Rif:https://www.huffingtonpost.it/2017/12/04/lm5s-sibilia-a-muso-duro-contro-il-procuratore-chiedo-che-venga-desecretata-laudizione-di-rossi-ha-omesso_a_23296657/

Etruria, omissioni del pm Rossi: verso l’azione disciplinare. Csm non archivia più

Il procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo ha avviato una pre-istruttoria sul procuratore-consulente di governo che ha taciuto su Pier Luigi Boschi e le indagini.

Etruria, omissioni del pm Rossi: verso l’azione disciplinare. Csm non archivia più

Il procuratore di Arezzo Roberto Rossi aveva assaporato il lieto fine, mancava solo l’atto formale del Plenum del Csm e avrebbe ottenuto l’archiviazione del procedimento per incompatibilità ambientale, proposta tre giorni fa all’unanimità dalla Prima commissione. Invece, tutto per lui è precipitato. Si avvicina un procedimento disciplinare: il procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo ha avviato una pre-istruttoria.

Ipotizza una possibile violazione dell’obbligo di astensione dall’indagine su Banca Etruria che ha avuto come vicepresidente Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, ministra del governo Renzi per cui Rossi è stato consulente fino al 31 dicembre, senza mai aver segnalato al Csm un ipotetico conflitto d’interesse. Di più: Rossi aveva già indagato su Boschi padre, come ha rivelato Panorama, chiesto e ottenuto l’archiviazione due volte.

L’ultima, il 7 novembre 2013. A ottobre aveva organizzato – mentre era anche consulente del governo Letta – un convegno ad Arezzo con l’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando e la deputata Boschi, con il padre, allora, indagato. All’attenzione della Procura generale anche il criterio con il quale Rossi si è autoassegnato le indagini su Banca Etruria.

Il silenzio sulle inchieste a carico di Boschi è il motivo per cui la Prima commissione ieri, all’unanimità, ha cestinato la proposta di archiviazione e ha chiesto al competente procuratore generale di Firenze una relazione sul lavoro di Rossi relativo al padre della ministra. Durante la prima audizione, il 28 dicembre, il procuratore aveva detto: non conosco “nessuno della famiglia Boschi”. Dopo le anticipazioni di Panorama, ha provato a mettere una toppa che, come sempre, è peggio del buco. Ha scritto una lettera al Csm per ammettere che ha indagato su Boschi padre (ha fatto un riferimento generico a più inchieste) e di non averlo detto perché non gli è stata posta una domanda specifica. E ha aggiunto che, però, non lo ha mai incontrato.

La strategia “giustificazionista” ricalca quella seguita durante la seconda audizione, tre giorni fa al Csm: c’è stato un equivoco, non avevo parlato del direttorio ombra di Banca Etruria con Boschi vicepresidente perché pensavo che le domande (poste daPiergiorgio Morosini e da Pierantonio Zanettin) fossero sulla gestione precedente.

La Commissione si era accontentata, ma la scoperta di quelle indagini taciute su Boschi, ha fatto fare marcia indietro ai consiglieri. Morosini e Antonello Ardituro, entrambi di Area, spiegano che il caso è riaperto “a tutela della trasparenza e della credibilità dell’operato della magistratura”. Zanettin (laico di Forza Italia) si focalizza sulle omissioni di Rossi: “Abbiamo preso tutti atto con rammarico, per la seconda volta, che le dichiarazioni rese alla Commissione sembrano non corrispondere ai fatti”.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/22/etruria-omissioni-del-pm-rossi-verso-lazione-disciplinare-csm-non-archivia-piu/2396545/

‘Non ci ha dato tutte le carte su Etruria e papà Boschi’. Il pm Roberto Rossi sotto il fuoco incrociato della Commissione banche

Chi si aspettava la programmata audizione del capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, in calendario alle 10.30 di martedì 12 dicembre davanti alla Commissione d’inchiesta bicamerale sulle crisi bancarie, ha dovuto attendere quasi un’ora. Sì, perché, nella fase iniziale dei lavori, dopo la rapida lettura di una missiva inviata da Ippolita Ghedini, sorella di Niccolò, sui rapporti intrattenuti con Veneto Banca, è subito esploso il caso del procuratore di Arezzo, Roberto Rossi.

Roma 14/11/2017, audizione in commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario dei sostituti procuratori che indagano su Monte dei Paschi di Siena. Nella foto Giordano Baggio, Pier Ferdinando Casini – Pierpaolo Scavuzzo / AGF

Quest’ultimo era stato ascoltato dalla Commissione il 30 novembre sul crac delle quattro banche tra cui Etruria, ma subito dopo era montata la polemica perché era stato ritenuto poco esplicito su alcuni procedimenti in corso, come l’inchiesta della sua medesima procura per falso in prospetto che coinvolge anche Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente dell’istituto di credito aretino nonché padre dell’ex ministro ora sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, Maria Elena. Rossi, di tutta risposta, aveva inviato una dura lettera alla Commissione in cui si difendeva sostenendo di avere risposto puntualmente alle domande. In una nuova missiva, Rossi, dopo avere risposto alle accuse del senatore di Fl (Gruppo Federazione della Libertà) Andrea Augello, aveva ventilato la possibilità di una querela.

Rif:https://it.businessinsider.com/non-ci-ha-dato-tutte-le-carte-su-etruria-e-papa-boschi-il-pm-rossi-sotto-il-fuoco-incrociato-della-commissione-banche/