L’onorabilità dei magistrati è a rischio.

Da Toghe rotte a Toghe sporche il passo è lungo ben dodici anni. Era il 2007 ed il Procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, dava alle stampe il suo libro “Toghe rotte. La giustizia raccontata da chi la fa” in cui raccoglie le testimonianze di Tinti e di altri colleghi sulla situazione della giustizia italiana e sulle compromissioni della magistratura. Dodici anni dopo, lo scandalo Luca Palamara deflagra come una bomba nell’aula ovattata del Consiglio Superiore della Magistratura. È così che magistrati, giudici, pubblici ministeri vengono travolti da un’ondata popolare di sdegno. L’onorabilità dei giudici, quel sentimento che comprende la reputazione, l’auto percezione e l’identità morale di un individuo, terreno imprescindibile su cui far attecchire la professione di giudice, traballa sotto le pesanti mazzate dell’inchiesta che vede coinvolti membri del Csm e della Corte di Cassazione. Il comportamento di pochi giudici corrotti, inopportuni, avventati, di colpo investe una maggioranza attonita e formata da magistrati capaci, integerrimi, brillanti, onorabili.

Tra quei magistrati che hanno macchiato l’onorabilità della categoria va annoverato senza dubbio il Procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi. Colui che “ha fatto il viottolo al Csm”, quel giudice già finito sotto indagine della Commissione parlamentare sulle banche, lo stesso che nega di fronte ai suoi colleghi togati l’esistenza di conflitti di interesse. E non solo. Il procuratore Rossi è al centro di un’inchiesta della Squadra Mobile della Questura di Arezzo che ne ha messo in evidenza la non idoneità assoluta a ricoprire un ruolo così delicato. L’inchiesta, venuta alla luce solo recentemente dopo che era rimasta chiusa, inspiegabilmente, in un cassetto della Procura di Genova, racconta una brutta storia davvero. Potrebbe essere la trama di uno squallido film in cassetta anni ’70. Al centro vi è uno spaccato di vita ambientato ad Arezzo, raccontato da due temerari e coraggiosi poliziotti pronti a mettere a rischio la propria carriera pur di far emergere fatti e vicende di certo rilievo penale. 
Una storia dai contorni pruriginosi e con risvolti penali di cui sono protagonisti satiri lussuriosi con la toga, in appuntamenti galanti impegnati con avvocatesse libertine disponibili a raggiungere remote case di campagna, messe a disposizione da poliziotti prodi e fedeli che per agevolare tali incontri non esitano a chiedere denari a imprenditori senza scrupoli alla presenza di avvocati compiacenti. Un ruolo non marginale è quello dello scribacchino di corte che come un araldo in piazza indottrina il popolo con notizie veicolate ad arte dalle misere pagine del suo giornalino di provincia.
Un racconto dai contorni di boccaccesca memoria, impregnato di abusi, minacce, ricatti, minuziosamente scritto in una sorta di diario quotidiano dai due poliziotti. 

Tutto si svolge ad Arezzo, un paesone di provincia, noto per il caso Banca Etruria e prima ancora per essere la città dell’oro. È qui che nel 2008 fa la comparsa il Sostituto Procuratore Roberto Rossi, originario di Perugia, un magistrato che per quattro anni, dal 2008 al 2012, siede nella giunta dell’Associazione Nazionale Magistrati insieme al sodale Luca Palamara che di quel consesso ne è presidente e assunto recentemente alle cronache nazionali per lo scandalo “Toghe Sporche” 
Rossi è un magistrato importante, temuto e ossequiato che a suon di inchieste roboanti assurge spesso alle cronache nazionali.

Fino all’ aprile del 2012 quando la cappa grigia che aleggia sulla Procura di Arezzo e alimentata da sempre più frequenti e incontrollabili “vox populi”, quel detto non detto che cammina veloce tra i vicoli dei paesi, viene squarciata da un evento deflagrante: l’incriminazione per millantato credito di Antonio Incitti. 

Incitti non è un poliziotto qualsiasi. È il braccio destro del Sostituto Procuratore Roberto Rossi. È suo vicino di ufficio in Procura e condivide per anni vizi e segreti del potente magistrato di cui custodisce “particolari di vita irriferibili”.
E’ lui che contatta un imprenditore aretino, Stefano Fabbriciani, sotto indagine della Procura per una storia di usura, per farsi consegnare 50 mila euro in cambio di un interessamento di Rossi e del Procuratore capo dell’epoca Carlo Maria Scipio.  
Fabbriciani acconsente e sentito il parere del fido avvocato, consegna i denari prelevati da una cassetta di sicurezza di Banca Etruria (sigh) a Marta Massai, compagna dell’Incitti. La singolarità è che la consegna del “prestito” non avviene tra le confortevoli mura domestiche che i due condividono, ma addirittura in Procura ed ancora più incredibilmente nell’ufficio del Procuratore Rossi!
Incitti per Rossi è più di un agente di polizia. È un tuttofare, una sorta di maggiordomo, sempre pronto ad esaudire la più piccola richiesta del capo.

Rossi ha bisogno di un pied a terre per incontrarsi con le sue amanti, tra le quali anche giovani avvocatesse del foro aretino? Non c’è problema. Incitti si mette alla ricerca della garçonnière che viene individuata in un appartamento a Poggio Fabbrelli, nel comune di Monte San Savino in provincia di Arezzo. Di affitto, luce, acqua, gas, riscaldamento, si occupa Incitti che paga tutte le utenze. Per arredarla Rossi, insieme a Incitti, si reca a Pisa a ritirare del mobilio “regalato” da un consulente della Procura…
Ma evidentemente i festini organizzati nella garçonnière e che vedono protagonista il noto magistrato, infastidiscono i vicini che durante una accesa riunione di condominio chiedono a gran voce di allontanare quello scomodo personaggio e i suoi amici di merende. È sopra tutti uno dei condomini ad alzare la voce, un tale Emiliano, che si lamenta di dover assistere a spettacoli indecorosi messi in scena sui balconi del condominio. In particolare lamenta il fatto di esibizioni seni al vento, ben visibili a tutti, anche ai bambini che giocano in cortile.
Le proteste contro quella presenza indesiderata e imbarazzante sono così forti che Rossi viene invitato a non frequentare più quel luogo.
Venuta meno la disponibilità dell’appartamento a Poggio Fabbrelli, Rossi chiede al suo prode e valoroso poliziotto di trovare un altro “pied a terre”. Questa volta la scelta cade su un appartamento in località Vitiano, sempre in provincia di Arezzo. Sarà proprio in quell’appartamento che a detta del proprietario, Rossi si incontrerà con un’avvocatessa del foro aretino.
Anche in questo caso i costi di affitto, luce, acqua e riscaldamento vengono sostenuti da Incitti. Anche se l’appartamento è in uso a Rossi.

Oltre ad usufruire di questi appartamenti, Rossi si rende protagonista di molti altri abusi e illeciti.   Incitti, dopo essere stato abbandonato da Rossi e temendo di finire in galera dopo la denuncia di millantato credito a suo carico, rende testimonianze verbali all’ispettore della squadra mobile Alfio Motta. In particolare racconta che Rossi avrebbe addirittura fatto installare di nascosto e illegalmente delle telecamere nell’ufficio del Procuratore capo Scipio per controllare chi incontrava e cosa diceva. Ciò che veniva registrato durante il giorno dalle telecamere nascoste veniva poi visonato la sera al circolo Chimera Calcio di Arezzo presso il quale Incitti e Rossi si ritrovavano spesso. L’accesso a tali telecamere sarebbe avvenuto tramite un computer in uso a Incitti che è stato immediatamente posto sotto sequestro da Rossi appena uscì la notizia di indagini a suo carico.
Molti altri sono gli illeciti e gli abusi compiuti da Rossi e denunciati dalla Squadra Mobile alla Procura di Genova, tra i quali sono elencati casi di trasferimenti di funzionari perché a lui antipatici (è il caso di Marco Dalpiaz ex capo della squadra mobile aretina) e di altri carabinieri e poliziotti piegati alle isterie di Rossi.
Senz’altro l’abuso più eclatante è proprio quello fatto nei confronti dei due poliziotti che hanno osato indagare su di lui. Isadora Brozzi, capo della squadra mobile e Alfio Motta, suo vice, sono stati entrambi sottoposti a procedimento disciplinare e poi trasferiti.

Dopo anni di abusi e comportamenti che niente hanno a che fare con la nobiltà di una professione come quella di Giudice, questa settimana Rossi si trova per l’ennesima volta al cospetto dell’organo di auto governo della magistratura. Il CSM dovrà infatti esprimersi sull’idoneità di Rossi a ricoprire il ruolo di procuratore. Il Ministro della Giustizia Bonafede ha già espresso parere negativo facendo notare “l’inopportunità e l’avventatezza delle condotte del magistrato”.
Al giudizio del Ministro si è uniformato il parere negativo della V Commissione Incarichi Direttivi del Consiglio Superiore della Magistratura, presieduta da Piercamillo Davigo. L’ultima parola spetta adesso al plenum del CSM. 
L’onorabilità della categoria passa anche da questo voto. 

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Csm, ribaltone in commissione: no alla conferma del procuratore Rossi

Roberto Rossi

Colpo di scena al Csm. La commissione direttivi, a larga maggioranza (4-1) ha proposto al plenum di non confermare Roberto Rossi a capo della procura di Arezzo. Il ribaltone arriva dopo il parere negativo del ministro Bonafede alla conferma, il cosiddetto «concerto», che pure inizialmente era stato accordato dal Guardasigilli. E’ quest’ultimo il terzo pronunciamento della commissione: il primo favorevole a Rossi, il secondo interlocutorio e adesso il terzo negativo. 

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Bonafede: “Via Rossi da Arezzo, immagine alterata su Etruria”

e motivazioni del parere negativo sul procuratore capo che indagava sul padre della Boschi ed era consulente del governo: “Condotte inopportune e avventate”

Ora la parola spetta al plenum del Consiglio superiore della magistratura, che deciderà dopo la pausa estiva. Ma pesa come un macigno il giudizio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che sul procuratore di Arezzo è stato chiaro: Roberto Rossi non può essere confermato alla guida dell’ufficio giudiziario per una serie di circostanze sufficienti “a […]

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Csm, ribaltone in commissione: no alla conferma del procuratore Rossi

Roberto Rossi

Arezzo, 28 luglio 2019 – Colpo di scena al Csm. La commissione direttivi, a larga maggioranza (4-1) ha proposto al plenum di non confermare Roberto Rossi a capo della procura di Arezzo. Il ribaltone arriva dopo il parere negativo del ministro Bonafede alla conferma, il cosiddetto «concerto», che pure inizialmente era stato accordato dal Guardasigilli. E’ quest’ultimo il terzo pronunciamento della commissione: il primo favorevole a Rossi, il secondo interlocutorio e adesso il terzo negativo. 
Ma il voto non significa affatto che il siluro arrivi a segno: a favore di Roberto Rossi è infatti schierato il consiglio giudiziario di distretto, senza dimenticare il giudizio positivo scaturito dall’ispezione ministeriale sull’organizzazione degli uffici. E non per ultime ci sono le statistiche che indicano il buon funzionamento della procura e il dimezzamento dei tempi per istruire le pratiche. Risulterà dunque decisivo il plenum del Csm che a settembre potrebbe presumibilmente ignorare la proposta della commissione e confermare Rossi, andando a un giudizio sul merito ed evitando di cadere in politica.
La vicenda che riguarda il procuratore è infatti politica, a lui contrari sono i membri laici della commissione, appartenenti alle forze che contro Rossi si erano schierate sulla gestione del caso Etruria e Pier Luigi Boschi , il punto nodale di una questione che si trascina da tempo e che ha fatto la spola tra plenum del Csm e Commissione. Di diverso c’è adesso la posizione dei magistrati di Area, finora a favore della conferma, per «leale collaborazione» tra il Csm e il ministro.

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Sull’ex pm di Etruria si spacca ancora il Csm

Sull’ex pm di Etruria si spacca ancora il Csm

Nomine – Roberto Rossi durante l’indagine sulla banca fu anche consulente del governo Renzi

Quando c’è di mezzo il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, finito sotto procedimento al Csm perché per un periodo fu consulente del governo Renzi e pm dell’inchiesta su Banca Etruria, le divisioni dentro al Consiglio sono garantite.

Così è stato per la Quinta commissione che si è spaccata esattamente a metà sulla sua riconferma a capo dei pm aretini. Tre consiglieri hanno votato perché Rossi resti altri quattro anni , e altri tre consiglieri hanno votato contro la riconferma.

Il presidente della Quinta Gianluigi Morlini, di Unicost, (la corrente centrista a cui appartiene anche il procuratore), Antonio Lepre di Magistratura Indipendente (la corrente più conservatrice) e Mario Suriano, consigliere di Area (sinistra) hanno votato a favore del magistrato. Contro la riconferma di Rossi, invece, Piercamillo Davigo, di Autonomia e Indipendenza ( la sua corrente, trasversale) e i laici Fulvio Gigliotti, M5S ed Emanuele Basile, Lega.

I relatori delle due mozioni, Morlini e Davigo devono scrivere le motivazioni delle proposte che andranno in plenum per il voto finale, in attesa, a grandi linee, si può dire che chi ha votato contro il rinnovo dell’incarico ha tenuto conto del comportamento, ritenuto evidentemente inopportuno, del procuratore che per un periodo era contemporaneamente pm dell’inchiesta su Banca Etruria, con Pierluigi Boschi nel Cda, e consulente di Palazzo Chigi, con Maria Elena Boschi al governo, all’insaputa del Csm. Sulla valutazione negativa di Rossi come procuratore, per Davigo, Gigliotti e Basile, avrà pesato anche quanto detto da Rossi , nel 2016, al Csm su cosa poteva fare banca Etruria privata, per esempio, ma anche quanto non detto, che aveva già indagato su Boschi senior. I consiglieri della Prima proposero un’archiviazione e non il trasferimento per incompatibilità ambientale ma chiesero una valutazione disciplinare all’ex Pg della Cassazione Pasquale Ciccolo, finita anche quella con un’archiviazione.

Morlini, Lepre e Suriano, invece, ritengono che quella vicenda, archiviata, non incida sulle buone capacità di Rossi procuratore, di cui magistrati e avvocati aretini parlano bene e che ha ricevuto pure un parere favorevole del Consiglio giudiziario.

Era il 21 luglio del 2016 quando il plenum del Csm votò l’archiviazione della pratica a carico di Rossi ma i relatori Morosini ( Area) e Balduzzi (laico di Scelta Civica) ritirarono la firma e si astennero, così come tutti i togati di Area perché, su proposta di Uncost, dalla relazione fu eliminata la proposta di inviare il fascicolo alla Commissione competente per le valutazioni professionali. Già quel Consiglio avrebbe dovuto votare sul rinnovo o meno di Rossi a procuratore, dato che i quattro anni sono scaduti nell’estate 2018 ma i consiglieri, divisi anche allora, e in scadenza a settembre, lasciano la pratica rovente ai loro successori. A ottobre il nuovo Plenum eredita un parere favorevole, relatore l’ex presidente della Quinta, Luca Palamara, anche lui di Unicost. Per Rossi sembrava cosa fatta, ma tra il 17 e il 24 ottobre sono stati votati due ritorni in Commissione a partire da un imput di laici di FI e Lega.

Ora il voto finito tre a tre in Commissione, ma se in plenum Area, che ha quattro consiglieri, voterà così come il suo componente della Quinta commissione, allora Rossi, per la legge dei numeri, resterà procuratore di Arezzo.

Banca Etruria: L’ultima valanga di fango colpisce il procuratore di Arezzo Roberto Rossi

È cominciato come il più tradizionale dei polizieschi: il delitto è stato commesso dal maggiordomo, nella fattispecie il guardiano, il vigilante, cioè la Banca d’Italia. Ma più va avanti, più la commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria assomiglia al giallo di Agatha Christie “Assassinio sull’Orient Express”: molte mani hanno inferto la coltellata (ben dodici nel racconto della scrittrice inglese) tanto che è impossibile decidere quale sia stata davvero letale.

Troppi colpevoli, nessun colpevole? Il rischio che finisca così esiste. L’ultima valanga di fango travolge il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, già consulente di palazzo Chigi, il quale avrebbe omesso di rivelare che Pierluigi Boschi, padre di Maria Elena, è stato indagato nel caso Banca Etruria insieme ad altri amministratori per aver fornito informazioni false alla clientela e lacunose alla Consob. In merito a questo è stato ascoltato dalla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche presieduta da Pierferdinando Casini difendendo la propria posizione. A questo punto, non resta che indossare le vesti di Poirot, ghette incluse, e mettere in ordine tutti gli indizi.

I non performing loans

In cima ci sono i non performing loans, cioè i crediti marci(deteriorati secondo la diplomatica definizione ufficiale) che in Italia ammontano a 200 miliardi di euro molto più che in qualsiasi altro paese europeo. Gli npl sono l’equivalente nostrano dei mutui subprime che tra il 2007 e il 2008 hanno fatto saltare le banche americane. Diversi nella tecnica, sono simili nella sostanza: prestiti concessi a chi, per una serie di ragioni, non li avrebbe mai restituiti. 

Una parte di questi prestiti sono marciti perché, con la recessione, imprese e famiglie hanno visto crollare il loro reddito. Emergono nomi altisonanti: la Sorgenia controllata dalla Cir di Carlo De Benedetti, l’Alitalia, Ligresti, Zunino, Coppola, la serie è davvero molto lunga ed è ormai pubblica. In alcuni casi come per Sorgenia e Alitalia, le banche hanno trasformato i crediti in azioni, ma ciò non ha alleggerito i bilanci. I grandi debitori sono la punta, ma l’iceberg è ben più grande e finora stava nascosto sott’acqua.

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La gestione delle banche

La crisi, però, è il detonatore, non la causa prima che va ricercata nel modo in cui sono state gestite le banche. Si diceva che il sistema italiano era sano e solido perché non aveva giocato con i derivati, tuttavia i prestiti concessi in modo clientelare hanno avuto un effetto anche peggiore. Basta leggere i bilanci del Monte dei Paschi di Siena che con 40 miliardi di euro guida ancora la classifica dei crediti marci. Circa un terzo delle sofferenze è dovuto ai grandi clienti, il resto è diffuso in mille rivoli per sostenere il territorio, o meglio per alimentare il consenso politico-elettorale. Ciò vale anche per la Popolare di Vicenza, per Veneto banca, per la Banca dell’Etruria e tutte le altre. L’intero sistema delle banche locali e popolari era bacato e il verme si chiama proprio clientelismo. 

Quando la crisi ha rivelato che non c’era capitale a sufficienza per andare avanti, i banchieri sono ricorsi a ogni escamotage possibile: veri e propri trucchi contabili come il Montepaschi con i contratti Alexandria o Santorini, un sostegno artificioso al valore dei titoli come a Vicenza, la vendita di obbligazioni alla clientela minuta (la Banca dell’Etruria), forzando le regole se non violando apertamente le norme come nel caso delle cosiddette operazioni baciate (prestiti concessi ai clienti per indurli a comperare le azioni della banca).    

I vigilanti

E le autorità di vigilanza? In molti casi hanno chiuso gli occhi. La Consob, per esempio, non ha preteso che nei prospetti informativi si avvertisse chiaramente che anche le obbligazioni subordinate erano a rischio in caso di crac bancario. In altre hanno indagato, hanno multato, hanno avvisato i banchieri, hanno inviato i loro bei rapporti alla magistratura che, come è accaduto a Vicenza, talvolta li hanno messi nel cassetto. Ma non hanno lanciato l’allarme, forse per paura di non creare il panico in una economia già molto indebolita.

In ogni caso, hanno preferito che i panni sporchi venissero lavati in famiglia. Come nel caso della Popolare di Vicenza. Nonostante una lunga serie di ispezioni e di allarmi che risalgono indietro negli anni, ancora nel 2014 la Banca d’Italia riteneva che potesse rimettersi in piedi con le proprie gambe. Non solo. Quando la Bpv ha proposto di comperare la Banca dell’Etruria, ha consigliato di stare attenti, ma non ha detto chiaramente che un cieco voleva guidare uno storpio sull’orlo dell’abisso. 

Come è finita

E qui veniamo al grande equivoco che attraversa i lavori della commissione. Si sta discutendo sul perché non sono state salvate in tempo banche le quali, stando ai loro bilanci e al modo in cui erano gestire, non avevano più alcuna ragione di esistere. Tanto che, dopo anni di tergiversazioni e di pasticci, non esistono più. Vicenza e Veneto Banca sono state assorbite da Banca Intesa, le quattro banchette del Centro Italia cedute per un euro. Il Monte dei Paschi è stato nazionalizzato.

Era meglio chiudere subito i battenti, salvare i depositanti e i risparmiatori imbrogliati (quelli che davvero sono stati turlupinati, non chi ha perso in soldi e adesso vuole essere rimborsato dai debitori onesti e dai contribuenti), mettere i bancari in cassa integrazione e ricominciare su basi nuove. Secondo alcune stime i costi dei salvataggi superano già i 30 miliardi di euro. Il falso dogma che una banca non debba fallire ha solo coperto l’azzardo morale e la cattiva gestione.

I responsabili

Le responsabilità dei guardiani, dunque, esistono. Consob e Bankitalia sono già sotto tiro e nel mirino entra anche il Tesoro che ha sottovalutato la crisi delle banche insistendo con il mantra che il sistema è saldo. Ma ci sono, grandi come palazzi, anche le responsabilità politiche. Le ispezioni della Banca d’Italia a Vicenza e Montebelluna venivano tacciate come intrusioni dal governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia. Tutta Siena si è arroccata a difesa del Montepaschi (e qui è in ballo il Pd). Il conflitto d’interessi su Banca Etruria ha coinvolto Maria Elena Boschi e, per la proprietà transitiva, Matteo Renzi. Mentre a Genova la crisi della Cassa di Risparmioche ha portato in prigione i vecchi amministratori è stata accompagnata da un incredibile silenzio di Beppe Grillo e del suo movimento.

La commissione continua, questa settimana verranno ascoltati altri testimoni e protagonisti, ma tutti attendono il neo confermato governatore Ignazio Visco (verrà convocato la prossima settimana? Per ora si parla di martedì 12). Dunque, non possiamo mettere fine al nostro giallo, rinviamo gli appassionati del genere alla prossima puntata.
Rif: https://www.panorama.it/economia/aziende/banca-etruria-e-le-altre-la-caccia-ai-responsabili-della-crisi/

Banca Etruria, nuova richiesta di archiviazione dal PM Rossi per Pierluigi Boschi

Era contestato il reato di bancarotta fraudolenta per la liquidazione da 700.000 euro all’ex dg dell’istituto di credito Luca Bronchi. Ora l’attesa è per la decisione del gip di Arezzo

Roberto Rossi

Nuova richiesta di archiviazione, nell’ambito dell’inchieste sull’ex Banca Etruria, per Pierluigi Boschi, per il reato di bancarotta fraudolenta contestato per liquidazione da 700.000 euro all’ex dg dell’istituto di credito Luca Bronchi. Ora l’attesa è per la decisione del gip di Arezzo. La liquidazione era stata approvata dall’ultimo cda guidato da Lorenzo Rosi, di cui faceva parte come consigliere Pierluigi Boschi

Il pool guidato dal procuratore della Repubblica Roberto Rossi non ha ravvisato elementi contro il 70enne padre dell’ex ministro e sottosegretario Maria Elena. A febbraio scorso era stata archiviata per Boschi l’accusa di falso in prospetto. Con l’eventuale accoglimento della nuova richiesta di archiviazione, Boschi, dal 2011 consigliere di Bpel e dal 2014 vice presidente fino alla messa in risoluzione del 22 novembre 2015, vedrà cadere tutte le contestazioni penali ipotizzate nei suoi confronti, restando in piedi l’azione di responsabilità promossa dal liquidatore Giuseppe Santoni e le sanzioni elevate da Banca d’Italia (recente la conferma in Cassazione per 144 mila euro).

L’ultimo consiglio della Banca, deliberò una liquidazione milionaria all’allora direttore generale. Nella riunione, tutti i componenti del cda si espressero a favore della liquidazione, con un solo astenuto, il consigliere Giovanni Grazzini. Alcuni mesi dopo, nel febbraio 2015, la banca venne commissariata e, un anno dopo, dichiarata insolvente con trasmissione degli atti dal Tribunale fallimentare alla procura
di Arezzo per l’apertura di un fascicolo per bancarotta fraudolenta.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/02/banca-etruria-nuova-richiesta-di-archiviazione-per-pierluigi-boschi-ad-arezzo/5080926/

Banca Etruria e il caso del pm Roberto Rossi: ecco gli altri magistrati con incarichi a Palazzo Chigi e ministeri

Quella della toga toscana è solo una delle tantissime situazioni di potenziale conflitto di interesse determinato dalla attrazione fatale tra politica e magistratura. Sono centinaia i giudici in organico che per almeno una volta hanno avuto incarichi extragiudiziari. Anche tra esponenti del Consiglio di Stato e Corte dei conti. Da Palazzo Chigi ai dicasteri, ilfattoquotidiano.it offre una prima, veloce rassegna.

A questo punto resta solo una domanda: il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi ha il dovere oppure no di astenersi dalle inchieste su Banca Etruria? Su questo ci si concentra dopo il baillamme scoppiato con la scoperta che Rossi è anche consulente di Palazzo Chigi. Incarico in scadenza tra pochi giorni al Dipartimento affari giuridici, che però è passato del tutto inosservato anche quando, proprio al Dagl che è il cuore pulsante del governo, si lavorava al decreto Salva-Banche. Ora che il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi è uscita indenne dalla mozione di sfiducia personale proprio per il caso della banca di cui è stato vicepresidente suo padre Pierluigi, restano gli interrogativilegati all’attività del procuratore di Arezzo finito nel vortice delle polemiche.

ATTRAZIONE FATALE Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha aperto una pratica per verificare l’eventuale incompatibilità del magistrato. Che contrattacca a testa bassa: l’incarico è stato autorizzato proprio dal Csm e, comunque, il procuratore generale (che avrebbe potuto disporne l’astensione dall’inchiesta su Etruria e, eventualmente, esercitare l’azione predisciplinare) ne era al corrente. Caso chiuso? Nemmeno un po’. E non solo nel caso di Arezzo. Perchè quella del procuratore Rossi è solo una delle tantissime situazioni dipotenziale conflitto di interesse determinato dalla attrazione fatale tra politica e magistratura.

SACRO PRINCIPIO Il caso in questione dimostra infatti come un incarico ancorchè perfettamente legittimo possa minare fino a metterlo in dubbio il principio in base al quale il magistrato non solo deve essere, ma deve anche apparire indipendente. Un principio che vale per tutti, anche per le magistrature speciali come il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. Alla Presidenza del Consiglio, per esempio, compaiono consulenze di cui sono titolari magistrati di ogni genere: si tratta certamente di servitori dello Stato di cui nessuno può mettere in dubbio l’autorevolezza. Ma altrettanto indubbio è che la loro nomina avviene per scelta discrezionale della politica tra tanti altri che pure avrebbero lo stesso altissimo profilo.

TUTTI A PALAZZO Di eccellente livello è il curriculum di Angelo Canale, consulente a titolo gratuito di Palazzo Chigi, che è magistrato della Corte dei Conti, tra l’altro delegato al controllo del gruppo Fs, prima di Sogei. E che fino alla fine del 2014 è stato procuratore regionale per la Toscana (adesso lavora in Umbria). I suoi incarichi al di fuori della suprema magistratura contabile sono innumerevoli e tutti prestigiosissimi: vanno dalla giustizia sportiva in epoca più recente, alla consulenza sulle tecnologie nel settore aeronautico per conto del ministero delle Attività produttive. Prima ancora l’incarico di sub-commissario con delega al bilancio del comune di Roma (1993) di cui è stato anche assessore nel biennio ’95-’97 ai tempi in cui era sindaco Francesco Rutelli. Il quadro non cambia se si guarda alla magistratura amministrativa che consolida la sua presenza al servizio (tecnico-giuridico) della politica anche in questa legislatura, sia con incarichi di consulenza che a tempo pieno. Il legame, a volte con i ministri per esempio, sembra fortissimo, quasi fiduciario: per tutti il caso del consigliere di Stato,Rosanna De Nictolis, capodigabinetto di Andrea Orlando prima al ministero dell’Ambiente e poi suo capo della segreteria al ministero della Giustizia.

TOSCANA ALLA CARICA Ma anche i magistrati ordinarivanno forte. A Palazzo Chigi, sempre al Dipartimento affari giuridici, Riccardo Fuzio, sostituto pg di Cassazione (ed ex membro del Csm) è consulente nelle materie riguardanti il diritto pubblico, diritto dell’ambiente, tutela del paesaggio e sulla responsabilità nel settore sanitario. Ma più in generale non c’è commissione ministeriale senza che vi sieda almeno un magistrato. Solo a prendere in esame la procura di Siena si scopre che il sostituto procuratore presso il tribunale, Aldo Natalini è stato voluto dal ministero della Giustizia come componente della commissione sui reati agroalimentari. Il presidente del tribunale, sempre di Siena, Mauro Bilancetti è nella commissione consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva del ministero della Salute. Il capo della procura, Salvatore Vitello? Anche lui ha avuto un incarico fino a pochi mesi fa: coordinatore del gruppo di lavoro, sempre al ministero di via Arenula, per l’elaborazione di un regolamento sugli uffici giudiziari.

COSI PER SPOT Fin qui gli incarichi spot. Poi ci sono i legami più duraturi e cioè a tempo pieno. I magistrati che risultano in organico (e cioè non ancora in pensione) e che, per almeno una volta nella loro carriera sono stati destinati a funzioni non giudiziarie sono circa 800. Moltissimi di loro sono tornati a fare i magistrati. Altri sono ancora fuori ruolo, per esempio presso i ministeri: è il caso di Enza De Pasquale, giudice del tribunale di Catania in servizio sempre al famoso Dipartimento affari giuridici della presidenza del Consiglio. O di Mariella De Masellis della Corte di Appello di Roma che è consigliere giuridico del ministro dell’Economia oltre ad essere stata designata dal governo anche nel Consiglio direttivo dell’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Il gruppo più numeroso di magistrati ordinari però si trova al ministero della Giustizia: il più influente tra loro è il capo di gabinetto del Guardasigilli, Giovanni Melillo che è approdato al ministero di Orlando dalla Direzione nazionale antimafia dopo essere stato consigliere giuridico del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale.

TOGHE ONOREVOLI Parte di questo esercito, come detto, torna prima o dopo a fare il magistrato. Poi ci sono quelli che scelgono di passare direttamente alla politica, nazionale o locale. E che, pur restando in magistratura, la toga forse non la rimetteranno mai. Ma questa è un’altra storia.

Boschi e sottoboschi: il caso Banca Etruria – Pm Roberto Rossi

Cosa faceva esattamente Pier Luigi Boschi nel consiglio di amministrazione di Banca Etruria? Pier Luigi Boschi, il padre di Maria Elena, l’ex ministro, ora sottosegretaria alla Presidenza, si difende dalle accuse per il fallimento della banca dicendo: “Non avevo nessuna delega operativa”. Ma se non aveva nessuna delega, cosa faceva esattamente papà Boschi in Banca Etruria?

Il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, ha detto che papà Boschi “non era nella banca” quando il consiglio di Etruria ha approvato la maggior parte delle delibere su prestiti superiori a 500mila euro dati senza garanzie, soldi che non sono stati restituiti e sono diventati sofferenze. Queste delibere – secondo il pm Rossi – sono concentrate tra il 2008 e il 2010.

Infatti Boschi, che è un notabile della provincia di Arezzo, è stato presidente della Confagricoltura di Arezzo e dirigente della Coldiretti, è diventato consigliere di Etruria soltanto nell’aprile 2011. E il procuratore Rossi ha anche detto che dal 2011 in poi i prestiti sopra i 500mila euro diventati sofferenze “sono solo 17” e che Boschi non ha partecipato a queste delibere. Per questo Boschi non è stato rinviato a giudizio per la bancarotta.

Allora, se non partecipava alle delibere del consiglio, cosa faceva papà Boschi in Banca Etruria? Per esempio si era accorto del falso in prospetto per cui adesso è indagato? E’ accusato, con altri ex consiglieri, di non aver dato ai risparmiatori tutte le informazioni sui rischi quando Banca Etruria nel 2013 ha venduto le obbligazioni subordinate. Titoli ad alto rischio, ma sono stati venduti come bond a basso rischio. Quando la banca è andata a gambe all’aria, nel novembre 2015, chi le aveva comprate ha perso tutti i soldi.

La Consob ha fatto una multa a Boschi di 120mila euro e indaga la Procura. Boschi si è difeso dicendo che le strutture interne non avevano avvertito il consiglio che ci fossero problemi e di non aver partecipato alle riunioni in cui erano stati esaminati i rilievi della Banca d’Italia.

Allora cosa faceva esattamente papà Boschi in Banca Etruria? Di sicuro nel marzo 2014 Pier Luigi Boschi ha incontrato a casa sua il direttore generale di Veneto Banca, Vincenzo Consoli. C’era anche sua figlia, Maria Elena, da poco diventata ministro nel governo Renzi.

La Banca d’Italia voleva che Etruria venisse venduta a una banca più forte, l’unico possibile salvatore era la Popolare di Vicenza, che era in pista per assorbire anche Veneto Banca. Ma Etruria non voleva fondersi con la Vicenza di Gianni Zonin, perché i notabili locali avrebbero perso autonomia. E anche la Vicenza, ha detto il procuratore di Arezzo, aveva dei problemi “simili a Etruria”.

E faceva anche altro papà Boschi in Banca Etruria? Nel maggio 2014 Boschi è stato nominato vicepresidente della banca.

Un’altra cosa sicura è che ha cercato di trovare un direttore generale per aiutare la banca a risollevarsi. Attraverso un intermediario che dice di essere massone, Pier Luigi Boschi ha incontrato a Roma Flavio Carboni, che ha avuto rapporti con il capo della loggia P2, Licio Gelli, ed è stato condannato per concorso in bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Carboni ha suggerito il nome di Fabio Arpe, ma non se ne è fatto nulla.

Nel gennaio 2015 il governo Renzi ha approvato la riforma delle Popolari, con la quale anche Etruria dovrebbe trasformarsi in società per azioni. Dieci giorni dopo il direttore generale di Veneto Banca, Consoli, ha telefonato a papà Boschi, intercettato. A una domanda Boschi ha risposto: “Ne parlo con mia figlia, col presidente domani e ci si sente in serata”.

Ma non è servito a niente. Etruria cercava un salvatore, ma Boschi non lo ha trovato. Una settimana dopo la banca è stata commissariata dalla Banca d’Italia. Allora, come consigliere non ha fatto nulla, come facilitatore nemmeno: che se ne faceva Banca Etruria di uno come papà Boschi?

Rif: https://www.michelesantoro.it/2017/12/boschi-e-sottoboschi-scandalo-banca-etruria/

Dubbi sulla conferma del procuratore Roberto Rossi a Arezzo: pesa Etruria

Slitta alla prossima settimana la conferma del pm Roberto Rossi per altri 4 anni alla guida della procura di Arezzo: la nomina è stata rinviata dopo che sono emersi dubbi nel plenum del Csm. Le perplessità riguardano la famosa vicenda dell’incarico di consulente giuridico di Palazzo Chigi ricoperto da Rossi mentre erano in corso da parte del suo ufficio le indagini su Banca Etruria, di cui era vice presidente il padre di Maria Elena Boschi, allora ministro.

Una vicenda che aveva portato il precedente Csm ad aprire un fascicolo sul magistrato, concluso nel 2016 con l’archiviazione per mancanza di elementi che potessero giustificare l’apertura di una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità. La V Commissione del Csm ritenendo che il caso non fosse di ostacolo alla conferma del procuratore, aveva messo oggi sul tavolo del plenum la sua proposta favorevole, approvato all’unanimità. Ma alcuni consiglieri laici di area FI e M5S hanno chiesto approfondimenti su alcuni particolari emersi nel 2016 (il silenzio sulle inchieste in corso e l’autoassegnazione dei fascicoli su Etruria): non è passato il rinvio in commissione, quindi ne riparlerà il plenum.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2018/10/18/dubbi-sulla-conferma-del-procuratore-rossi-a-arezzo-pesa-etruria/4701198/