Il caso Palamara: tutte le tappe del caos procure

Il caso Palamara: tutte le tappe del caos procure

Scoppia a maggio del 2019, quando l’allora pm della procura di Roma viene accusato di corruzione. L’inchiesta coinvolge l’attuale Csm, di cui Luca Palamara è stato componente dal 2014 al 2018, mentre diventano pubbliche le sue chat: uno scandalo nello scandalo che sconvolge la magistratura

Scoppia il 29 maggio 2019 il caso Palamara. Perché l’allora pubblico ministero della procura di Roma Luca Palamara viene raggiunto da un ordine di perquisizione in cui gli si contesta l’accusa di corruzione per aver ricevuto 40mila euro per una nomina (accusa poi caduta) e aver avuto rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti, mettendo a disposizione la sua funzione giudiziaria. Nonché con gli avvocati Pietro Amara Giuseppe Calafiore già coinvolti in indagini a Messina e Roma. Ex presidente dell’Anm ai tempi di Berlusconi, esponente di spicco della corrente centrista di Unicost, Palamara è stato componente del Csm nel quadriennio 2014-2018. 

Il suo caso travolge l’attuale Csm perché un Trojan, microspia-virus introdotto nel suo cellulare poi sequestrato, registra due settimane di conversazioni a metà maggio 2019, proprio mentre al Csm è calda la discussione sul candidato più idoneo a reggere la procura di Roma, dove il capo in carica, Giuseppe Pignatone, lascia l’incarico. In lizza ci sono big della magistratura come Giuseppe Creazzo procuratore a Firenze, Franco Lo Voi a Palermo, Marcello Viola, procuratore generale a Firenze. Una cena all’hotel Champagne di Roma, la sera dell’8 maggio, precipita nel caso anche altri consiglieri dell’attuale Csm, Luigi Spina e Gianluigi Morlini di Unicost (il secondo presidente della commissione per gli incarichi direttivi), Corrado Cartoni,  Antonio Lepre e Paolo Criscuoli, di Magistratura indipendente. È la corrente di destra della magistratura di cui ha fatto parte Cosimo Maria Ferri, deputato renziano ma ancora Pd nel 2019, che partecipa all’incontro, a cui è presente anche Luca Lotti, deputato del Pd, inquisito per il caso Consip dalla procura di Roma e in quel momento già rinviato a giudizio. 

Il terremoto dell’inchiesta coinvolge anche il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, anche lui finito nelle registrazioni di Palamara, che è costretto a lasciare l’incarico con l’accusa di aver rivelato a Palamara fatti dell’indagine. Il Csm deve procedere alla sostituzione di ben 5 componenti. Palamara, come tutti gli altri del Csm, finisce anche sotto inchiesta disciplinare. 

Un anno dopo, a maggio 2020, la procura di Perugia chiude l’inchiesta e deposita gli atti. Diventano pubbliche non solo tutte le intercettazioni, ma anche le chat di Palamara con i colleghi. Non solo quelle del 2019, ma anche quelle degli anni precedenti, il 2017 e il 2018. Centinaia di brevi conversazioni che avevano sempre ad oggetto richieste di incarichi al Csm, per le quali i vari candidati, di tutte le correnti, si rivolgevano a Palamara per avere un appoggio. Uno scandalo nello scandalo che sconvolge la magistratura.

Le carte finiscono sui giornali. Ma non in possesso dell’Anm, nonostante il presidente Luca Poniz le abbia chieste con insistenza. Si apre presso i probiviri del sindacato dei giudici la procedura per l’espulsione di Palamara dall’Anm. Che viene decisa a luglio. Gli altri componenti del Csm decidono invece di dimettersi. Tranne Paolo Criscuoli che ha avuto un ruolo marginale nella vicenda. Palamara contesta l’espulsione perché il Comitato direttivo centrale dell’Anm non ha accolto la sua richiesta di essere sentito. Fa ricorso. L’assemblea viene fissata per il 19 settembre. Ma il sindacato dei giudici conferma il verdetto ed espelle definitivamente Palamara. Intanto al Csm va avanti il processo disciplinare che dovrebbe concludersi in tempi molto stretti e potrebbe anche comportare la sua radiazione dall’ordine giudiziario. Dalla procura generale della Cassazione, retta da Giovanni Salvi, si lavora ad altre azioni disciplinari oltre alla decina già contestata.

I Pm ‘intoccabili’ che hanno distrutto la magistratura tra beghe, giochi di potere e ricatti

I Pm ‘intoccabili’ che hanno distrutto la magistratura tra beghe, giochi di potere e ricatti

Il Csm ha scelto la via venezuelana: Palamara non sarà processato, la stragrande maggioranza dei testimoni che lui ha chiesto siano ascoltati non saranno ascoltati. I giudici dei quali ha chiesto la ricusazione (in quanto complici del presunto delitto) non saranno ricusati. Il processo sarà rapidissimo – anche per dimostrare che la giustizia quando vuole sa essere svelta – la difesa sarà messa a tacere, il collegio giudicante sarà composto da complici del delitto, e tra tre settimane ci sarà la sentenza. La sentenza – questa è una notizia che noi abbiamo avuto in esclusiva – sarà di condanna. E a quel punto il caso Palamara potrà essere considerato chiuso e nessuno più dovrà parlarne. I giornalisti sono stati già avvertiti e chi violerà la consegna la pagherà cara. Ha deciso così il Csm.

Non c’è niente di forzato nelle righe che ho scritto. È così. Il Csm ha stabilito che non si svolgerà il processo perché il processo vero farebbe saltare in aria tutto l’impianto della magistratura, metterebbe in discussione quasi tutte le Procure, i procuratori, gli aggiunti, i presidenti dei Tribunali, anche moltissimi giudici, renderebbe evidente la necessità assoluta di separare le carriere, potrebbe persino rendere illegali molte e molte e molte delle sentenze emesse in questi anni da giudici sottoposti al ricatto, o comunque al condizionamento, del partito dei Pm che domina il Csm e che si fonda sullo sperimentato sistema delle correnti. È un rischio troppo grande per le istituzioni. Dalle intercettazioni sul telefono di Palamara, e dai trojan, risulta esattamente questo: che la struttura portante della magistratura è illegale e nominata da un sistema ad incastro di condizionamenti e talvolta di ricatti. Che quasi nessun magistrato di potere è estraneo a questo sistema. E che l’intera magistratura italiana è stata ferita a morte e va riformata e riportata almeno vicina alla legalità, dalla quale oggi è lontanissima.

Il Csm ha deciso di ignorare tutto ciò, e di prendere in considerazione solo la riunione all’Hotel Champagne (un paio d’ore in tutto) alla quale parteciparono i deputati Lotti e Ferri e nella quale si discusse della nomina del Procuratore di Roma, punto e basta. Per questa riunione – che peraltro fu intercettata in modo totalmente illegale, perché la Costituzione proibisce l’intercettazione dei parlamentari – si propone (e si accoglie) la condanna di Palamara e poi si chiede di stendere su tutto il resto un velo e di cancellare ogni cosa in un grande silenzio. Come esce da questa vicenda la magistratura italiana? Seppellita. È inutile che ogni volta che parliamo della magistratura ripetiamo che però un gran numero di magistrati rispettano le leggi, son persone per bene, sono professionisti capaci. È vero, certamente, ma la magistratura nel suo insieme è una struttura marcia. “Chiacchiere e distintivo”. E di conseguenza la gran parte delle inchieste giudiziarie e delle sentenze, probabilmente, sono ingiuste e sono determinate dai rapporti di forza tra i Pm e i giudici.

È così in tutti i paesi dell’occidente? No, non è così. La malagiustizia è uno dei problemi della modernità, ma in pochissimi paesi democratici esiste una situazione così vasta di illegalità, dovuta allo strapotere che negli ultimi trent’anni la magistratura si è conquistato, schiacciando la politica e soffiando via i cardini essenziali dello stato di diritto. Ogni giorno che passa c’è una controprova. Prendete Gratteri, tanto per parlare di uno che un po’ i nostri lettori conoscono. Ma voi sapete di un altro paese occidentale dove un Procuratore, mentre è in corso l’udienza preliminare nella quale si decide la sorte di circa 400 suoi imputati, se ne va in Tv a fare spettacolo, ride, fa battute e sostiene che se la gente viene assolta è perché i giudici sono corrotti, e se spesso le sue inchieste finiscono in un flop è perché nella magistratura c’è molta invidia? E nessuno gli chiede conto del perché un Pm impegnato in un maxiprocesso trova normale e giusto andare in Tv a fare polemica contro i suoi imputati. E se qualcuno al mondo possa mai credere che quel Pm è un Pm rigoroso e serio che si occupa solo del suo lavoro? Conoscete i nomi di magistrati inglesi, o francesi, o tedeschi o americani che si comportano così, senza peraltro che né la politica, né il Csm si occupino di censurare questi atteggiamenti?

Non li conoscete. In verità c’era qualcuno che aveva criticato Gratteri: il suo diretto superiore, il Procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Fior di magistrato con gloriosa carriera alle spalle. Il Csm nel giro di una settimana, invece di intervenire su Gratteri intervenne su Lupacchini, lo degradò sul campo e lo spedì a mille chilometri dalla sua sede. Voi pensate che ci sarà qualche altro magistrato che leverà la sua vocina, pure flebile, verso lo sceriffo di Catanzaro? E perché – magari uno si chiede – Gratteri è così potente? Perché ha sconfitto la ‘ndrangheta? No, la ‘ndrangheta oggi è infinitamente più forte di quando lui ha iniziato ad operare in Calabria. Ha decuplicato le sue forze. E allora perché? Perché è un Pm che sa fare la parte del Pm moderno: censore, uomo di spettacolo, scrittore, politico. Alla ricerca di reati? No, quelli li trova raramente. Alla ricerca di imputati. Possibilmente illustri.
Cosa resta della magistratura? Cenere.

Rif:https://www.ilriformista.it/i-pm-intoccabili-che-hanno-distrutto-la-magistratura-tra-beghe-giochi-di-potere-e-ricatti-158267/

La banda dei giudici corrotti: l’inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

La banda dei giudici corrotti: l'inchiesta che sta sconvolgendo la magistratura

Giustizia corrotta, ai massimi livelli. Con una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della nostra democrazia. Un’inchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.

Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.

L’antefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.

L’esistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».

Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.

L’inchiesta riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.

Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.

A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.

Amara, come avvocato siciliano dell’Eni, è anche l’artefice della corruzione di un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, che in cambio di almeno 88 mila euro e vacanze di lusso a Dubai aprì una fanta-inchiesta giudiziaria ipotizzando un inesistente complotto contro l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Un depistaggio organizzato per fermare le indagini della procura di Milano sulle maxi-corruzioni dell’Eni in Nigeria e Congo. Dopo l’arresto, Longo ha patteggiato una condanna a cinque anni. Ma la sua falsa inchiesta ha raggiunto il risultato di spingere alle dimissioni gli unici consiglieri dell’Eni, Luigi Zingales e Karina Litwak, che denunciavano le corruzioni italiane in Africa.

Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. Giuseppe Mineo è un docente universitario nominato giudice del Consiglio siciliano dalla giunta dell’ex governatore Lombardo. Nel 2016 vuole ascendere al Consiglio di Stato. A trovargli appoggio politico sono gli avvocati Amara e Calafiore, che versano 300 mila euro al senatore Denis Verdini, che invece nega tutto. L’ex ministro Luca Lotti però conferma che proprio Verdini gli chiese di inserire Mineo tra le nomine decise dal governo Renzi. Alla fine il giudice raccomandato perde la poltrona solo perché risulta sotto processo disciplinare per troppi ritardi nelle sue sentenze siciliane.

Tra i legali ora indagati c’è un altro illustre avvocato, Stefano Vinti, accusato di aver favorito un suo cliente, l’imprenditore Alfredo Romeo, con una tangente mascherata da incarico legale: un “arbitrato libero” (un costoso verdetto privato) affidato guarda caso al padre del solito Russo. Proprio lui, l’ex giudice che sta cercando di usare lo squadrone delle toghe sporche, ancora ignote, per fermare i magistrati anti-corruzione.

Rif:http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/02/18/news/giudici-corrotti-1.331753?refresh_ce

Toghe sporche, L’Espresso: “Lotti ha ammesso ai pm di aver chiesto all’Eni carte da usare contro pm Ielo”. Ma l’ex ministro: “Non è vero”

Toghe sporche, L’Espresso: “Lotti ha ammesso ai pm di aver chiesto all’Eni carte da usare contro pm Ielo”. Ma l’ex ministro: “Non è vero”

L’ex ministro Pd Luca Lotti è stato interrogato dai magistrati milanesi all’inizio dell’estate e, secondo quanto rivelato da l’Espresso in un articolo che uscirà domenica in edicola, avrebbe ammesso l’esistenza di un tentativo di “complotto” contro il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. Che però l’ex ministro nega con forza annunciando azioni legali.

L’Espresso: “Chiesti documenti da usare contro Ielo” – “L’ex renziano è stato sentito a inizio estate dai magistrati della Procura di Milano in veste di testimone – scrive l’Espresso – E ha ammesso di aver chiesto all’Eni documenti riservati da usare contro la toga romana“. Secondo il settimanale “il deputato Pd tira in ballo Palamara e il collega Ferri, ma discolpa il manager Descalzi e l’azienda: alla fine da loro non ho ottenuto nulla”. Luca Palamara, è il pm di Roma, già presidente dell’Anm ed esponente di Unicost, indagato a Perugia per corruzione che aspirava a diventare aggiunto a Roma, mentre Cosimo Ferri, anche lui indagato nella città umbra per rivelazione di segreto, è deputato del Pd e in passato esponente di un’altra corrente ovvero. Magistratura indipendente. 

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Lotti convocato come teste dai pm di Milano – I pm Laura Pedio e Paolo Storari, coordinati dall’aggiunto Fabio De Pasquale, hanno convocato Lotti come teste per “chiarimenti su alcune frasi ritenute rilevanti dai colleghi di Perugia”. La notizia che stesse indagando anche a Milano è stata diffusa il 20 giugno scorso. La procura umbra ha trasmesso alcune intercettazioni dell’inchiesta in cui è coinvolto Luca Palamara, ovvero dialoghi tra Lotti e lo stesso ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati che è indagato per corruzione. Nelle conversazioni l’ex ministro dice di aver avuto dall’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi alcune carte sul fratello del procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo. Proprio Ielo è il magistrato che ha chiesto il rinvio a giudizio del braccio destro di Matteo Renzi per favoreggiamento, nell’ambito dell’inchiesta sulla Consip. Il 14 giugno, Lotti si è autosospeso dal Partito democratico in seguito allo scandalo sollevato dall’inchiesta nomine. 

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Documenti chiesti ma non ottenuti da Eni – L’ex ministro dello Sport non avrebbe potuto negare le parole intercettate grazie al trojan nel cellulare di Palamara e ha messo a verbale di aver ricevuto dall’ex presidente dell’Anm, e da Ferri il suggerimento di cercare attraverso il gruppo petrolifero documenti che potessero mettere in difficoltà l’avvocato Domenico Ielo per poterli utilizzare contro il fratello Paolo. Lotti, però, ha contemporaneamente dichiarato di aver cercato i contratti del fratello di Ielo, ma invano. Escludendo di fatto l’Eni da questa partita di veleni deflagrata con il caso delle nomine del Csm. A chi indaga risulta un contatto da Lotti e top manager, Claudio Grana (estraneo all’inchiesta). Ma da quel fronte nulla è arrivato.

Vale la pena ricordare che Paolo Ielo, procuratore aggiunto a Roma ha prima indagato e poi chiesto, a fine 2018, il rinvio a giudizio di Lotti per favoreggiamento in merito alla fuga di notizie sul Caso Consip, e che aveva dato il via all’inchiesta contro Palamara e l’imprenditore Fabrizio Centofanti, finita poi a Perugia per competenza. 

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Lotti: “Falso, fuga di notizia. Tutelerò la mia reputazione” – Lotti nega di aver parlato del complotto: “Sono stato sentito dai magistrati come persona informata sui fatti. Al di là del fatto che quell’interrogatorio è stato sottoposto a segreto istruttorio, leggo alcune anticipazioni giornalistiche che, per quanto reso pubblico finora, non corrispondono alla verità. È falso che io abbia confermato l’esistenza di un complotto contro il Procuratore aggiunto dottor Paolo Ielo e non corrisponde al vero che io abbia chiesto all’Eni documenti riservati. Al di là del pieno rispetto del diritto di cronaca – continua Lotti – ho dato mandato ai miei legali affinché vengano chiariti i dettagli di questa ennesima fuga di notizie e perché dopo la pubblicazione di notizie false, venga tutela la mia reputazione”.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/09/27/toghe-sporche-lespresso-lotti-ha-ammesso-ai-pm-di-aver-chiesto-alleni-documenti-riservati-da-usare-contro-il-pm-ielo/5482922/

Scandalo Csm, i pm: “Altri 6 mesi di indagine”

I magistrati di Perugia vogliono continuare a indagare sulle trame nel Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) e sull’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara. Per questo i pm Gemma Miliani e Mario Formisano hanno chiesto al gip altri sei mesi per lavorare all’inchiesta che ha terremotato la magistratura. Nella richiesta di proroga inviata al gip […]

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/09/05/scandalo-csm-i-pm-altri-6-mesi-di-indagine/5431416/

l caso Palamara non è purtroppo un semplice incidente di percorso

ome nella favola di Andersen sul «re nudo», la casualità dell’inchiesta (una delle pochissime di simile peso mai imperversate tra le toghe giudiziarie italiane) che ha colpito Luca Palamara, ex capo dell’Associazione nazionale magistrati, e alcuni altri giudici, sta rivelando quella che a tutt’evidenza dev’essere da sempre una prassi spartitoria tra correnti giudiziarie e partiti politici, all’insegna di una gestione del potere che non è stata certo sporadica ma è un malcostume consolidato. Una prassi graniticamente perversa.

Va detto che i magistrati corrotti e dediti alla gestione del potere spartitorio e dunque iniquo sono ovviamente una minoranza, una sparuta minoranza: eppure possono essere eletti a capi della categoria. Come mai? Tra le toghe prevale l’onestà e il rigore, ma in molti casi si tratta di una integerrima passività, cioè della tendenza a fare onestamente quel poco che l’ordinamento delirante dei nostri codici consente di fare ai singoli, lasciando però il Paese senza una giustizia giusta e senza quel costante tentativo di riscatto e ribellione che sarebbe necessario alla categoria per sottrarre la situazione giudiziaria del Paese alla palude nella quale marcisce.

L’appello alla difesa del prestigio dell’istituzione giudiziaria che giustamente arriva dal Quirinale e da tutti coloro che, dentro e fuori le istituzioni, hanno a cuore la tenuta del Sistema Paese è sacrosanto. Ma rischia di restare un vuoto e sonoro sfoggio di severa consapevolezza se e finché non verrà accompagnato da un empito di autoriforma che in realtà non si vede proprio, neanche a livello di barlume.

I magistrati di potere e di intrigo delinquono, e i trojan di questa campagna di intercettazioni lo raccontano spudoratamente. Delinquono perché assoggettano i traffici delle posizioni di potere dentro i tribunali, le procure e le Corti d’appello ad amicizie, lobby e influenze opache che interferiscono nella corretta amministrazione della giustizia. Ed era ora che uno scandalo lo rivelasse: adesso, il re è nudo.

Certo, l’ennesimo colpo di piccone alla credibilità delle istituzioni repubblicane ferisce il senso civico di noi tutti. Ma è meglio credere in qualcosa che non c’è o prendere atto che non c’è e adoperarsi per recuperare questo vuoto? Diceva l’ex presidente Cossiga che Mani pulite sarebbe finita quando i magistrati avrebbero cominciato ad arrestarsi tra loro, ed è quel che sta accadendo. Ma l’obiettivo del Paese non sarebbe quello di far finire Mani pulite bensì quello di avere una giustizia giusta, efficiente e responsabile. Il che non è. Se dopo questo scandalo smettessimo di fingere che sia, e iniziassimo a riformarla sarebbe sano. Ma non accadrà.

Rif: https://www.italiaoggi.it/news/il-caso-palamara-non-e-purtroppo-un-semplice-incidente-di-percorso-2368114

Borsellino, pg Fuzio scrive a Fiammetta. La figlia del giudice: “Lettera vergognosa. L’ultimo affronto da parte dello Stato”

Borsellino, pg Fuzio scrive a Fiammetta. La figlia del giudice: “Lettera vergognosa. L’ultimo affronto da parte dello Stato”

L’ormai ex pg, dice la figlia del magistrato assassinato, “sostiene di non avere avuto il tempo di occuparsi di questa vicenda perché era impegnato in altre vicende giudiziarie. Quali lo abbiamo scoperto in queste ultime settimane, perché era occupato a pilotare con Luca Palamara le nomine dei procuratori di Roma”. Il capo della polizia: “Se qualcuno di noi ha sbagliato deve pagare”

Una lettera “che vengono i brividi a leggerla”. È quella inviata dalll’ormai ex procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, a Fiammetta Bosellino. La figlia del giudice ucciso il 19 luglio del 1992, in un’intervista al Quotidiano del Sud, parla di una missiva firmata da Fuzio, alla vigilia del ventisettesimo anniversario dellastrage di via D’Amelio, che le è stata inviata ieri e la definisce: “L’ultimo affronto, da parte di uno Stato che non ha mai voluto fare niente per individuare i veri colpevoli del depistaggio sulla morte di mio padre”.

Una lettera, continua Borsellino, “che vengono i brividi a leggerla, che mi indigna e che indignerebbe anche mio padre e tutti i magistrati che fanno e che hanno fatto il loro dovere”. L’ex procuratore Fuzio le ha scritto una missiva “incredibile e vergognosa, nella quale dice di non essere riuscito a far nulla per avviare una indagine per l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati coinvolti nell’inchiesta sul depistaggio, indagati dalle procure di Messina. Una indagine che avrebbe dovuto portare ad individuare i magistrati responsabili del depistaggio”.

Fuzio, prosegue Fiammetta Borsellino, “sostiene di non avere avuto il tempo di occuparsi di questa vicenda perché era impegnato in altre vicende giudiziarie. Quali lo abbiamo scoperto in queste ultime settimane, perché era occupato a pilotare con Luca Palamara le nomine dei procuratori di Roma, Torino ed altre procure. Una vera e propria indecenza, si è consumato da solo”.
Allo Stato, la figlia di Paolo Borsellino chiede: “Semplicemente di fare il proprio dovere. Questa è una storia molta amara, se ognuno avesse fatto il proprio dovere, di non girarsi dall’altra parte, non avremmo magistrati indagati e poliziotti indagati. Semplicemente fare il proprio dovere dare un contributo di onestà da parte delle istituzioni”. Dopo essere stato intercettato mentre parlava con Palamara, raccontandogli dettagli dell’inchiesta aperta a Perugia, Fuzio ha deciso di chiedere la pensione anticipata. Prima avrebbe dovuto lasciare la magistratura a novembre, poi nei giorni scorsi, ha chiesto di andare a riposo dalla prossima settimana.

La figlia del giudice ucciso esattamente 27 anni fa ha anche attaccato la commissione Antimafia. “Strumentalizzano ai fini mediatici, desecretando gli atti del Csm e della stessa Commissione antimafia. Una vergogna. Oggi, anzi ieri – dice – molti si pavoneggiano di avere desecretato quegli atti. Loro, (Commissione antimafia e Parlamento ndr) puntano agli anniversari per fare vedere che lavorano. Loro, il Csm e la Commissione antimafia, lo fanno il 19 luglio nell’anniversario della morte di mio padre e degli uomini della sua scorta e hanno il sapore della strumentalizzazione mediatica”. Il riferimento è per la desecretazione degli audio con le audizioni di Borsellino all’Antimafia tra il 1984 e il 1991.

“Le parole di Fiammetta Borsellino sono per me fonte di riflessione ed uno stimolo forte e deciso che accolgo in pieno. La commissione Antimafia sta desecretando il materiale in suo possesso e continuerà a farlo, senza tentennamenti”, dice Nicola Morra, presidente di palazzo San Macuto. “Ci auguriamo che anche i materiali della commissione stragi, la cui desecretazione non dipende dall’Antimafia, possano diventare patrimonio dei cittadini, così come quelli gestiti da altre istituzioni – continua- Il rispetto dell’immenso dolore dei familiari delle vittime è per me principio inamovibile. In qualità di presidente della commissione ed interpretando lo spirito di abnegazione di tutta la commissione lavoreremo per trovare la verità e non per un titolo di giornale”.

In occasione del 27esimo anniversario della strage, il capo della polizia Franco Gabrielli si è espresso sui tre poliziotti attualmente a giudizio per il depistaggio: “Se tra di noi qualcuno ha sbagliato, se qualcuno ha tradito per ansia da prestazione o peroscuri progetti, siamo i primi a pretendere la verità. E non ci si pari dietro a chi non più parlare e a scorciatoie. Non vogliamo verità di comodo”.  A Caltanissetta tre poliziotti sono imputati per calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia.Parlando con i cronisti alla fine della cerimonia, Gabrielli ha aggiunto: “Chi sbaglia portando la divisa sbaglia due volte, come cittadino e perché tradisce quel credito che i cittadini ripongono in noi. Non vogliamo agnelli sacrificali e che non si pratichi lo spot tutti responsabili e nessuno responsabile, lo dobbiamo ai familiari delle vittime e a poliziotti che lavorano sul territorio”.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/07/19/borsellino-pg-fuzio-scrive-a-fiammetta-la-figlia-del-giudice-lettera-vergognosa-lultimo-affronto-da-parte-dello-stato/5336658/

La prova che il sistema Palamara non è un caso isolato ma parte di una corruzione storica

La prova che il ”sistema Palamara ” non sia un caso isolato ma parte di quella corruzione che vede coinvolti i più alti ranghi della magistratura si chiama Nadia Gentilini: ”un sistema marcio che noi vittime di mafia conosciamo da anni: insabbiamenti di cause, depistaggi , anomale archiviazioni,dilatazione dei tempi per portare le pratiche alla prescrizione. Il 6 maggio scorso, ossia prima dello scandalo Palamara, ho depositato presso il Quirinale, il CSM, la DNA, e il Ministero di Giustizia una denuncia nella quale ho denunciato, documentando, la pesante collusione in essere tra alcuni magistrati del Tribunale di Genova e del Tribunale di Biella con un contesto massonico mafiosodel quale sono vittima e dal quale continuo a ricevere pesanti intimidazioni. Ad oggi, sebbene le prove prodotte non lasciano spazio a dubbi, nessuno ha accolto il mio appello ad essere ascoltata assieme al mio legale avv. Gian Mario Balduin”.

No, non tutti i magistrati sono corrotti ma lo sono tutti quelli al potere. Fingiamo di non ricordare il 1992 quando Falcone e Borsellino vengono sbattuti sul banco degli impuntati da una corrente della magistratura chiamata a difendere i clienti finiti nello scandalo di mani pulite.

Federcontribuenti: ”non siamo forse qui a parlare ancora dei depistaggi sulla strage di via d’Amelio? Non siamo forse qui a parlare del potere dell‘ndrangheta in tutto il nord del Paese e oltre confine? Non siamo qui a leggere degli scandali giudiziari nelle aste pubbliche? Non siamo qui a gridare alla commissione Antimafia che a Genova la mafia ha vinto e continua a fare affari al porto con armi, droga e rifiuti? Dal 1992 sappiamo che la Giustizia è diventato un affare politico, opportunistico, per fare carriera velocemente senza correre rischi. L’attuale scandalo che coinvolge tutto il CSM appartiene allo stesso filone conosciuto nel 1992 ma mai concluso.

Nadia Gentilini: da 10 anni la Procura di Genova sta coprendo l’ndrangheta. Federcontribuenti: ”Abbiamo visionato, assieme agli avvocati, tutti gli atti, i documenti, le denunce e non c’è ministro o deputato della commissione antimafia che non li abbia letti e – a detta di molti – nella Procura di Genova servirebbe una indagine interna a spiegare le archiviazioni, i silenzi le indagini mai fatte partire”.

La mafia ha sempre avuto una montagna di soldi liquidi; soldi che hanno fatto impazzire la nuova imprenditoria nata a cavallo tra la morte della vecchia borghesia possidente, dei cavalieri del lavoro e infine delle tute blu. Uomini con l’idea di fare imprenditoria e che hanno trovato nelle mafie i giusti investitori: tanti soldi e nessun problema con i permessi, con la giustizia, con la concorrenza. Qui lo Stato si lega alle mafie, qui nasce la nuova classe politica fondata sul portafoglio e tutti, ma proprio tutti vogliono approfittarne, anche chi vuole fare carriera nella magistratura. Mentre la mafia allungava gli artigli fin dentro i corridoi lustri delle istituzioni, gli uomini politici, i colletti bianchi, le toghe si macchiavano del sangue di chi veniva ucciso; di chi si vedeva portar via il lavoro, le case, la dignità.

Tornare indietro senza ammettere tutto questo è impossibile. Non si può azzerare, ci si deve fare i conti con il passato se vogliamo riprenderci il futuro, se vogliamo urlare onestà dai palchi montati in mezzo al popolo uscito di senno, isterico, scordarello.

Sistema Italia: ”il 42,4% dichiara che nel settore in cui opera succede sempre o spesso di essere obbligati a pagare per ottenere licenze e concessioni o contratti con la P.A. o permessi per l’import e l’export, o per agevolare pratiche fiscali o velocizzare procedure giudiziarie. Il sistema delle raccomandazioni è così ampio, in Italia e non solo, da essere spesso considerato una pratica quasi normale. In ambito lavorativo, nel nostro Paese il canale di intermediazione più utilizzato e anche il più efficace per la ricerca di lavoro è quello informale in ambito familiare e amicale: lo ha utilizzato circa il 60% degli attuali occupati e per oltre il 33% ha rappresentato anche il canale d’ingresso nell’attuale lavoro. Si stima che quasi 12 milioni di italiani conosce personalmente qualcuno che è stato raccomandato: per ottenere un posto di lavoro, una licenza, un permesso o una concessione, per farsi cancellare multe o sanzioni o per essere favorito in cause giudiziarie”.

Falcone e Borsellino mettono a segno Mani Pulite e non Di Pietro. Sono i giudici a legare a doppio filo le bombe e i denari ai politici locali e nazionali per questo quella maledetta corrente della magistratura si impegnò ad attaccare ferocemente, anche sabotandoli emarginandoli e deridendoli, i due giudici; una corrente con uno scopo preciso – far contenti certi amici e accrescere il proprio prestigio con una fulminante carriera. Nelle assise si imponeva e nei plenum di disponeva.

Difficile chiedere un radicale mutamento delle regole che disciplinano le nomine all’interno delle procure quando ancora nel 2019 veniamo sconquassati da nuovi scandali giudiziari.

Una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della democrazia. Un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, organizzato per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado. Sotto accusa i più alti organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato. Sono giudici di secondo e ultimo grado e decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico e decidono su cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. E Salvini cosa fa? Di Maio cosa fa? Come possiamo noi tutti credere di combattere il sistema mafioso, le ingiustizie civili figlie di quel complotto tra toghe e mafia dove la politica fa da collante senza rivoltarci tutti contro chi finge di non sapere?

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Abbiamo rifiutato da sempre i finanziamenti pubblici previsti per le grandi Associazioni perché, la nostra politica, prevede di sedere al tavolo dei cittadini e non dei politici. Oltre all’assistenza e alla tutela in tutte e le sedi per quanto riguarda il diritto bancario, fiscale, tributario, commerciale verso contribuenti, utenti e consumatori il nostro impegno é anche di dotare i nostri iscritti di servizi importanti nel pieno rispetto del Codice del Consumatore.

Rif: http://www.padovanews.it/2019/07/25/la-prova-che-il-sistema-palamara-non-e-un-caso-isolato-ma-parte-di-una-corruzione-storica/

Scandalo Csm: cosa è successo dall’inchiesta su Palamara che ha travolto la magistratura

L’indagine della procura di Perugia nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara ha sollevato il velo su veleni e guerre nella magistratura italiana, innescando dimissioni a catena. E riaprendo il dibattito su una possibile riforma del Csm 

di Giuliana De Vivo

COM’E’ INIZIATA

E’ il 29 maggio 2019 quando si diffonde la notizia che la procura di Perugia sta indagando (l’ipotesi è corruzione) sul magistrato Luca Palamara, ex presidente dell’Anm (il sindacato dei magistrati) ed ex componente del Consiglio superiore della magistratura nella consilatura 2014-2018 ( fino alle elezioni di luglio 2018: PIERCAMILLO DAVIGO ELETTO TRA I MEMBRI TOGATI – DAVID ERMINI E’ IL NUOVO VICEPRESIDENTE DEL CSM). Dell’indagine, spiegano Corriere della Sera e Repubblica, la procura di Perugia ha appena avvisato il Csm, che in quei giorni si appresta a nominare, oltre al nuovo procuratore capo di Roma al posto dell’uscente Giuseppe Pignatone, anche due nuovi aggiunti nella procura della Capitale: favorito a diventare uno dei due è proprio, in quel momento, Luca Palamara. L’indagine è solo il primo di molti elementi che emergeranno nelle settimane successive, contribuendo a gettare molte ombre sul funzionamento della magistratura italiana al suo interno. 

L’INDAGINE DI PERUGIA SU PALAMARA 

La procura di Perugia, competente per le indagini sui magistrati della Capitale, indaga su Palamara per corruzione: l’ipotesi è che il magistrato romano abbia favorito o tentato di favorire alcune nomine in cambio di viaggi, soldi e regali. Tra i suoi committenti – sempre secondo l’ipotesi della procura perugina – emergono i nomi di Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone e già arrestato per frode fiscale, e di Piero Amara, avvocato coinvolto da altra inchiesta della procura di Roma per sentenze “aggiustate” della magistratura amministrativa (Tutti gli addebiti della procura di Perugia nei confronti di Palamara). Le carte da cui prende avvio l’indagine di Perugia sono state trasmesse dall’aggiunto della procura di Roma Paolo Ielo. Oltre a Luca Palamara la procura di Perugia indaga anche sul componente togato del Csm Luigi Spina per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento e, in concorso con questi, sul pm di Roma Stefano Rocco Fava: sarebbero stati loro a informare Palamara dell’ indagine a suo carico da parte della procura perugina. E Palamara si sarebbe mosso – come emergerà dalle intercettazioni – per tentare di condizionare le scelte dei nuovi vertici di alcune procure, compresa quelle di Roma e la stessa Perugia. Fava, poi, pur avendo lavorato con Paolo Ielo ha presentato un esposto alla procura di Roma contro di lui e contro l’ex capo Giuseppe Pignatone per conflitto di interessi. Dopo la diffusione della notizia sulle indagini, il 1 giugno, Palamara si autosospende dall’Anm, Luigi Spina si dimette dal Csm. Il 12 luglio la sezione disciplinare del Csm sospende Palamara dall’esercizio delle sue funzioni

I LEGAMI CON LA POLITICA 

Dalle intercettazioni raccolte attraverso un trojan installato sul telefono di Luca Palamara, si scopre di riunioni segrete del magistrato con altri membri  del Csm, togati e non, e con esponenti del mondo politico, per accordarsi su nomine e assegnazioni di posizioni in particolare nelle procure di Roma, Perugia e Brescia. Secondo l’indagine della procura di Perugia l’obiettivo di Palamara sarebbe stato in particolare ostacolare Paolo Ielo, colpevole di aver trasmesso a Perugia le carte dell’accusa di corruzione nei suoi confronti. Tra i politici partecipanti emergono i nomi dell’ex ministro Luca Lotti e dell’ex sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, entrambi del Partito democratico. Lotti, scrivono i principali quotidiani, sarebbe intenzionato a vendicarsi di Pignatone e Ielo che hanno chiesto il suo rinvio a giudizio nel caso Consip. Mentre tra i membri del Csm avrebbero partecipato Gianluigi Morlini (appartenente alla corrente Unicost) e Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni e Antonio Lepre (tutti di Magistratura indipendente). 

L’INARRESTABILE CATENA DI DIMISSIONI 

Il 3 giugno l’Anm, dopo una riunione a Milano, chiede “con forza” le dimissioni dei componenti del Csm coinvolti. Il giorno dopo Morlini, Criscuoli, Cartoni e Lepre si autosospendono dal Csm. La posizione che filtra dal Quirinale (il Capo dello Stato Mattarella è anche presidente del Csm, ndr) anche attraverso il vicepresidente David Ermini è che i consiglieri coinvolti, anche se non indagati, si facciano da parte. Morlini e Criscuoli si dimettono il 12 giugno e Mattarella indice elezioni suppletive per sostituirli, a ottobre. Lepre si dimette il 13. Da ultimo, Cartoni il 15 giugno. Nel frattempo il giorno prima anche Luca Lotti si è autosospeso dal Pd. La bufera investe anche l’Anm: il 16 giugno porta alle dimissioni del presidente Pasquale Grasso, accusato di essere stato troppo morbido con gli aderenti alla sua corrente, Magistratura indipendente. A sostituirlo il vice Luca Poniz. Lo scandalo finisce per lambire anche la Corte di Cassazione, con il Procuratore generale (e come tale membro di diritto del Csm) Riccardo Fuzio che annuncia il 4 luglio la decisione di andare in pensione in anticipo. Una scelta – formalizzata dopo un colloquio con il Capo dello Stato Mattarella – arrivata a seguito della diffusione di conversazioni in cui Fuzio parlava con Palamara tanto dell’inchiesta a suo carico quanto della nomina del nuovo procuratore di Roma. Giusto in tempo: il giorno dopo Fuzio è iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Perugia per rivelazione di segreto d’ufficio. 

LE CORRENTI E LA POSSIBILE RIFORMA 

Per capire la portata di quanto sta succedendo nel mondo della magistratura occorre osservare che la categoria è storicamente divisa al suo interno in correnti, che sono in qualche modo speculari ai partiti politici: Luca Palamara è anche il leader di Unicost, corrente centrista della quale fanno parte anche Luigi Spina e Gianluigi Morlini. Il deputato Cosimo Ferri è un giudice in aspettativa ed è un nome forte della corrente Magistratura indipendente, di cui fanno parte anche Cartoni, Criscuoli e Lepre. Le nomine e le promozioni, in virtù della autonomia della magistratura, sono decise appunto dal Csm sulla base di logiche politiche interne animate da queste correnti, che di volta in volta si alleano con i membri non togati (politici scelti dal parlamento) che compongono il Consiglio superiore della magistratura. Le notizie emerse a partire dal caso Palamara hanno sollevato il velo su logiche spartitorie e su veleni personali. Da lì si è riaperta la discussione sulla possibilità di cambiare le regole interne e i metodi di elezione stessa dei membri del Consiglio superiore della magistratura. 

Rif: https://tg24.sky.it/cronaca/2019/06/28/scandalo-csm-cosa-e-successo.html

PG Fuzio, contro di me accuse ingiuste

Tutelo serenità mio ufficio e posso difendermi”,spiegando addio

 © ANSA

(ANSA) – ROMA, 13 LUG – “Ritengo necessario tutelare, con immediatezza, le delicate funzioni istituzionali affidate alla Procura Generale e la serena funzionalità dell’intero Ufficio senza recare al contempo pregiudizio alla necessità di difendermi, con piena libertà di azione e libero da ogni dovere istituzionale che mi deriva dalla carica, dalle ingiuste accuse che da più fronti in queste ultime settimane mi vengono mosse”.
    Così il Pg della Cassazione Riccardo Fuzio, interpellato dall’ANSA chiarisce la sua decisione di anticipare il suo addio alla magistratura annunciato con una nota.

Rif: http://www.ansa.it/lazio/notizie/2019/07/13/pg-fuzio-contro-di-me-accuse-ingiuste_65864acc-a581-4577-8fba-ecf524fa7a41.html