l caso Palamara non è purtroppo un semplice incidente di percorso

ome nella favola di Andersen sul «re nudo», la casualità dell’inchiesta (una delle pochissime di simile peso mai imperversate tra le toghe giudiziarie italiane) che ha colpito Luca Palamara, ex capo dell’Associazione nazionale magistrati, e alcuni altri giudici, sta rivelando quella che a tutt’evidenza dev’essere da sempre una prassi spartitoria tra correnti giudiziarie e partiti politici, all’insegna di una gestione del potere che non è stata certo sporadica ma è un malcostume consolidato. Una prassi graniticamente perversa.

Va detto che i magistrati corrotti e dediti alla gestione del potere spartitorio e dunque iniquo sono ovviamente una minoranza, una sparuta minoranza: eppure possono essere eletti a capi della categoria. Come mai? Tra le toghe prevale l’onestà e il rigore, ma in molti casi si tratta di una integerrima passività, cioè della tendenza a fare onestamente quel poco che l’ordinamento delirante dei nostri codici consente di fare ai singoli, lasciando però il Paese senza una giustizia giusta e senza quel costante tentativo di riscatto e ribellione che sarebbe necessario alla categoria per sottrarre la situazione giudiziaria del Paese alla palude nella quale marcisce.

L’appello alla difesa del prestigio dell’istituzione giudiziaria che giustamente arriva dal Quirinale e da tutti coloro che, dentro e fuori le istituzioni, hanno a cuore la tenuta del Sistema Paese è sacrosanto. Ma rischia di restare un vuoto e sonoro sfoggio di severa consapevolezza se e finché non verrà accompagnato da un empito di autoriforma che in realtà non si vede proprio, neanche a livello di barlume.

I magistrati di potere e di intrigo delinquono, e i trojan di questa campagna di intercettazioni lo raccontano spudoratamente. Delinquono perché assoggettano i traffici delle posizioni di potere dentro i tribunali, le procure e le Corti d’appello ad amicizie, lobby e influenze opache che interferiscono nella corretta amministrazione della giustizia. Ed era ora che uno scandalo lo rivelasse: adesso, il re è nudo.

Certo, l’ennesimo colpo di piccone alla credibilità delle istituzioni repubblicane ferisce il senso civico di noi tutti. Ma è meglio credere in qualcosa che non c’è o prendere atto che non c’è e adoperarsi per recuperare questo vuoto? Diceva l’ex presidente Cossiga che Mani pulite sarebbe finita quando i magistrati avrebbero cominciato ad arrestarsi tra loro, ed è quel che sta accadendo. Ma l’obiettivo del Paese non sarebbe quello di far finire Mani pulite bensì quello di avere una giustizia giusta, efficiente e responsabile. Il che non è. Se dopo questo scandalo smettessimo di fingere che sia, e iniziassimo a riformarla sarebbe sano. Ma non accadrà.

Rif: https://www.italiaoggi.it/news/il-caso-palamara-non-e-purtroppo-un-semplice-incidente-di-percorso-2368114

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