sm, Robledo: “Magistratura si faccia esame coscienza. Ma non ne ha la forza, per anni ha tollerato questo”

Caos procure e Csm? Sì, siamo assolutamente di fronte a una situazione grave e pericolosa per le istituzioni. Non c’è dubbio”. Così, ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, l’ex procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, commenta lo scandalo sul Csm e le ultime intercettazioni, registrate da un trojan nel cellulare dell’ex presidente di Anm, Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione, e riguardanti le conversazioni tra lo stesso Palamara, alcuni consiglieri del Csm (togati del Csm autosospesi Antonio Lepre, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli e i dimissionari Gianluigi Morlini e Luigi Spina) , il deputato Pd Cosimo Ferri e l’ex ministro Luca Lottisulla nomina del successore dell’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.Dalle intercettazioni è emerso che uno dei candidati, il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, è stato escluso, perché indagava sui genitori di Matteo Renzi.

Robledo si sofferma in particolare sulle affermazioni di Palamara: “Il riferimento che viene fatto da lui, sia pure indirettamente, al Quirinale, mi pare una mossa difensivatesa a mettere in difficoltà le alte istituzioni dello Stato, riparandosi sotto l’ombrello di confusione, di preoccupazioni, di notizie false e di paure. Mi pare una manovra diversiva, né più, né meno. Il fatto poi che Palamara possa dire che sapeva di essere intercettato mi pare molto improbabile, continuando a comportarsi in maniera palesemente contraria alla legge.E mi chiedo: com’è possibile che ci siano dei magistrati, che non hanno proprio scrupoli ormai nel vendere la propria funzione e il Csm, organo di rilevanza costituzionale che dovrebbe difendere l’autonomia dei magistrati, mettendolo in una piazza del mercato a simile livello di dignità? E’ incredibile. D’altra parte – continua – ci sono magistrati aderenti alla corrente di Magistratura Indipendente che tollerano che il riferimento della loro corrente sia un politico come Cosimo Ferri (ex Forza Italia, ora Pd, ndr), il quale ha attraversato diversi governi in una posizione chiave. Ma l’autonomia dei magistrati dov’è? Qui c’è un filo inaccettabile con la politica governativa. Come fanno i miei ex colleghi di Magistratura Indipendente a sostenere il nome di Ferri? Forse nella denominazione della loro corrente va aggiunto un punto interrogativo”.

Il magistrato puntualizza: “Il punto non sta nelle modalità di scelta dei consiglieri, perché ogni metodo risponde o può rispondere a certi interessi. Il problema sta nella moralità dei magistrati, nel loro modo di essere. Se manca quell’humus comune alla qualità di magistrato, e cioè di una persona aderente a un ordine dello Stato che deve tutelare la legalità, questo non può che essere un mondo chiuso alle influenze esterne, perché senza autonomia e indipendenza non c’è controllo di legalità. Le discussioni sulle modalità di scelta o sul sorteggio non sono utili. Non è il metodo che può modificare un costume, non è per legge che si possono modificare situazioni e riportarle all’ambito della legalità“.

E ammonisce: “I magistrati devono fare un grande e incredibile esame di coscienza. Io sono convinto che non ci sia una soluzione formale e giuridica a questo problema. Serve una rigenerazione, ma non so come possa accadereIo non credo che la magistratura abbia la forza di farlo, perché per anni ha tollerato questo sistema“.

Robledo cita con toni critici il governo Renzi: “Con la sua legge sulla diminuzione improvvisa dell’età pensionabile la situazione si è aggravata. E’ la stessa cosa che ha fatto Orban in Ungheria. Successivamente i colleghi della magistratura fecero ricorso alla Corte Costituzionale ungherese, che diede loro ragione, dicendo che il provvedimento era illegittimo, perché così si favoriva l’avanzata di una classe dirigente di magistrati vicina al governo. Anche la Commissione Europea fece un ricorso autonomo alla Corte di Giustizia, la quale disse che questa modalità di abbassamento dell’età pensionabile era incompatibile con le regole europee. Renzi lo fece lo stesso. E’ successo, quindi, che 450 e passa magistrati si sono trovate aperte carriere impensabili fino al giorno prima, così c’è stata la corsa alla raccomandazione per avere quel posto. E tutti i partiti, anche quelli di opposizione, furono d’accordo con quella legge, perché ognuno partecipava a certe indicazioni”.

L’ex procuratore menziona il suo caso personale, che coinvolse Palamara e comportò l’intervento di Giorgio Napolitano. E chiosa sulle “nuove generazioni” di magistrati: “Hanno una fibra morale più morbida. Oggi io vedo che i giovani magistrati sono più attenti alle carriere e ai rapporti “inter-correntizi”. Questo è il male vero della magistratura. Come si fa a sradicarlo con un rimedio ordinamentale? Ritornando alla valutazione di merito? Ma qui siamo al ‘Quis custodiet ipsos custodes?’. Ci sono oggi persone in grado di fare questo, cioè essere maestri e punti di riferimento per i giovani? In realtà – conclude – i giovani magistrati sono accalappiati subito dalle correnti, appena vengono nominati uditori.Quindi, è evidente che nascono in un sistema e non ne vedono altri. Questo è il pericolo reale. Ed è più di un pericolo”.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/13/csm-robledo-magistratura-si-faccia-esame-coscienza-ma-non-ne-ha-la-forza-per-anni-ha-tollerato-questo/5253431/

TOGHE SPORCHE ALLA CORTE PD: I CORROTTI LIBERI, LA “SPIA” TORNA A FARE IL PM

SCANDALO AL CSM SULLA CASTA INTOCCABILE:
L’EX PM LONGO SI DA’ AL FITNESS DOPO LA CONDANNA
PER LE MAZZETTE ENI-CONSIP DELL’AVVOCATO AMARA
CHE ORA INGUAIA L’EX PRESIDENTE ANM PALAMARA
L’indagato Spina si dimette dal Csm ed è reintegrato in Procura
Incontri proibiti dei magistrati coi deputati Pd Ferri e Lotti
già interrogato sul caso del giudice arrestato Antonio Savasta

Un magistrato può patteggiare 5 anni per corruzione in atti giudiziari, restare a piede libero e reinventarsi istruttore di fitness? Certo che può: basta che viva e lavori in Italia. Meglio ancora a Roma dove la bufera su presunte tangenti per la manipolazione delle nomine ha gettato altro fango sull’istituzione più imbarazzante della Repubblica Italiana: il Consiglio Superiore della Magistratura.

Il Palazzo dei Marescialli sede del Csm a Roma

La melma che imbratta le toghe di alti esponenti del CSM si aggiunge a quella già grondata sullo stesso organismo per le stragi di Capaci e di Via d’Amelio in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, silurato, isolato e messo sotto inchiesta dallo stesso CSM, ed il giudice Paolo Borsellino, vittima di un attentato dinamitardo poi oggetto del «più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana», come sancito dalla Corte d’Assise di Caltanisetta nel processo Borsellino quater. Una vicenda, quest’ultima, che ha sollevato le vibranti proteste di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, per l’ormai imminente archiviazione determinata dal troppo tempo trascorso dalla tragedia: «Il Csm sul piano disciplinare non ha fatto nulla e quando si è mosso non l’ha fatto di sua iniziativa ma solo su input di noi familiari e questo per me è abominevole».

Oggi l’indagine della magistratura perugina pare aver scoperchiato un letamaio di sospetti intrighi tra esponenti del Csm, avvocati già condannati insieme a un magistrato per corruzione in atti giudiziari, e parlamentari del Partito Democratico vicini a Matteo Renzi: tra cui l’immancabile ex ministro Luca Lotti, già chiamato in causa, come semplice testimone per un incontro, in una precedente inchiesta che portò all’arresto del giudice romano Antonio Savasta.

I CONSIGLIERI DEL CSM NELL’OCCHIO DEL CICLONE

Il sostituto procuratore Luca Palamara, ex consigliere del Csm e già presidente dell’Anm

L’inchiesta della Procura di Perugia ruota tutta intorno al sostituto procuratore romano Luca Palamara, ex pm della Procura di Reggio Calabria, già consigliere del Csm nonché presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (da cui si è già autosospeso), indagato per corruzione in merito al tentativo di manipolazione di alcune nomine per le procure di Roma, Gela e Perugia, e coinvolge anche l’altro magistrato Luigi Spina, subito dimessosi da consigliere Csm, nei confronti dei quali le ipotesi di reato sono rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale.

Al centro delle indagini ci sono anche i nomi di due figure della malagiustizia già finite in manette per loschi affari: l’avvocato Piero Amara e l’ex sostituto procuratore di Siracusa, Giancarlo Longo. Pizzicati con le mani sulle bustarelle per manipolare i processi e costretti da prove incontrovertibili a patteggiare entrambi la pena per corruzione in atti giudiziari. Longo ho concordato 5 anni di pena e dopo essersi dimesso da magistrato è diventato istruttore di fitness in una palestra di Roma.

Amara, con il collega Calafiore, ha patteggiato 3 anni ed è anch’egli a piede libero, braccato da vari pubblici ministeri italiani in quanto sospettato di altri episodi delittuosi, tra cui proprio la dazione a Palamara di 40mila euro per la nomina di Longo a Procuratore capo di Gela, al fine, ritengono gli inquirenti, di poter pilotare in modo benevolo i procedimenti penali sul caso Eni di cui lo stesso Amara era consulente esterno.

Longo, in realtà, al Plenum del Csm non ottenne nemmeno un voto perché la sua nomina «venne stoppata dal presidente Mattarella» avrebbe dichiarato lo stesso ex pm in un interrogatorio. Ma il tentativo di corruzione sarebbe stato oggetto di vari approfondimenti dei Gico della Guardia di Finanza che avrebbero indagato sulle presunte regalie e sugli interessamenti di Palamara e di alcuni politici Pd alle sorti della Procura di Roma, anche attraverso intercettazioni ambientali.

L’avvocato pluriindagato per mazzette ai giudici Piero Amara

Longo ed Amara sono stati condannati ma restano in libertà anche grazie a quel Decreto Svuotacarceri che ha innalzato fino a 4 anni di pena il tetto della carcerazione e fu predisposto dal ministro di Giustizia Andrea Orlando con l’aiuto del sottosegretario Cosimo Maria Ferri, ex magistrato, oggi deputato democratico. Una riforma approvata dal Governo Gentiloni ormai scaduto e dopo la sconfitta elettorale del Partito Democratico alle elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Il magistrato Cosimo Maria Ferri con il premier Paolo Gentiloni quando fu riconfermato Sottosegretario al Ministero della Giustizia prima di essere eletto deputato Pd

E anche Ferri, sottosegretario alla Giustizia in tutti i Governi targati Pd benedetti dai presidenti della Repubblica di tale schieramente, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, avrebbe incontrato Palamara insieme ad altri componenti del Csm tra cui il già menzionato Luigi Spina.

Ciò è emerso dalle intercettazioni raccolte dagli investigatori delle Fiamme Gialle tramite un trojan inoculato nel telefonino del magistrato. Ferri non ha negato gli incontri bensì minimizzato coi giornalisti: «Gli incontri con Palamara e Lotti? Niente di male: di sera uno puà fare ciò che vuole».

Ma quei vertici, secondo le registrazioni della Gdf, sarebbero avvenuti per discutere del successore del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone: un magistrato che ha lasciato il segno con l’inchiesta su Mafia Capitale ma anche con quella sviluppata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo sul maxi-appalto truccato del Consip, l’ente del Ministero dell’Economia e Finanze incaricato della selezione dei fornitori per la pubblica Amministrazione.

Il deputato ed ex ministro del Pd Luca Lotti, uomo di fiducia di Matteo Renzi

Per rivelazioni ad alcuni indagati dell’inchiesta Consip, in violazione del secreto istruttorio, l’attuale deputato democratico Luca Lotti, ex ministro allo Sport e braccio destro del premier Matteo Renzi, è sottoposto a richiesta di rinvio a giudizio.

Anche Lotti, sebbene parlamentare indagato proprio dalla Procura di Roma, avrebbe preso parte a quegli incontri notturni avvenuti tra il 9 ed il 16 maggio in un hotel della capitale. In virtù della netta distinzione tra politica e giustizia sancita dalla Costituzione si tratta di meeting assolutamente proibiti nei quali, i condizionali sono d’obbligo, magistrati ed esponenti di partito si sarebbero incontrati per pilotare le nomine di procuratori amici in sedi importanti: non solo Roma ma anche Perugia, cui compete la giurisdizione territoriale sulle indagini a carico di magistrati capitolini come nel caso di Palamara.

Spina, che secondo la Procura di Perugia avrebbe fatto soffiate al collega Palamara per avvertirlo delle indagini a suo carico, per ora ha evitato il peggio: si è dimesso il primo giugno da consigliere del Csm e tre giorni dopo è stato subito reintegrato nel ruolo di sostituto procuratore presso il Tribunale di Castelveteri. In Italia, infatti, un cittadino non è colpevole sino al Terzo grado di giudizio. Una logica che vale quasi sempre per i magistrati, soprattutto se vicini alla sinistra, ed un po’ meno per i politici, soprattutto se di destra…

IL CSM TRA DOSSIER SECRETATI E “TRAFFICI VENALI”

L’ex ministro Luca Lotti ad un evento a Valdarno “scortato” dall’onorevole David Ermini

Il Comitato di Presidenza del Csm, guidato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ex deputato Pd come il vicepresidente avvocato David Ermini, nel confermare l’inchiesta di Perugia ha rilasciato il seguente comunicato: «Si impone oggi un confronto responsabile tra tutti i componenti per la forte riaffermazione della funzione istituzionale del CSM a tutela dell’intera Magistratura. E’ convocato, pertanto, un Plenum straordinario per martedì 4 giugno, alle ore 16.30, nel corso del quale verrà anche preso atto delle sopravvenute dimissioni del Consigliere Luigi Spina».

Ma lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura non ha ovviamente dato notizia della secretazione dell’Odg n. 2893 ex art. 70 del 22 maggio 2019 per il procedimento 1/CA/2019 che aveva come relatore proprio Spina. La si trova nascosta tra gli ordini del giorno nel sito web ufficiale del CSM insieme al fascicolo 12/AE/2018 in merito all’«annullamento in autotutela della Delibera consiliare del 22 maggio 2019 di applicazione extradistrettuale Corte d’Appello di Reggio Calabria» concernente incarichi di urgenza ad alcuni magistrati per le croniche carenze di tale sede giudiziaria. Un annullamento che induce subito ad inferire qualcosa di assai grave connesso alle indagini in corso…

Quale attinenza abbiano questi procedimenti secretati con la bufera sulle nomine pilotate è uno dei tanti misteri sepolti tra milioni di carte burocratiche di un sistema giudiziario in mano ad una casta che mira prima di tutto alla propria autodifesa a discapito dalla crescente sfiducia dell’opinione pubblica. il 7 dicembre 2018 il ministro di Grazia e Giustizia Alfonso Bonafede (M5Stelle) lanciò l’allarme sul fatto che «un italiano adulto su tre negli ultimi due anni ha rinunciato a far valere i suoi diritti» anche «per la scarsa fiducia nella magistratura, ma non per colpa della magistratura che lavora benissimo».

Il post del ministro di Grazia e Giustizia Alfonso Bonafede pibblicato su Facebook venerdì 7 dicembre

Parole evocatrici di disgrazia e smentite oggi dal vicepresidente del CSM che usa frasi lapidarie proprio contro i magistrati sotto inchiesta intrigati con i suoi colleghi del Pd: «Sono emersi traffici venali, degenerazioni correntizie e giochi di potere – denuncia l’ex deputato democratico Ermini nel suo intervento al Plenum straordinario – Gli eventi di questi giorni sono una ferita profonda e dolorosa alla magistratura e al Consiglio superiore. Il Csm e la magistratura hanno al loro interno gli anticorpi necessari per poter riaffermare la propria legittimazione agli occhi di quei cittadini nel cui nome sono pronunciate le sentenze. Siamo di fronte a un passaggio delicato: o sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». E proprio Ermini, in una delle intercettazioni, sarebbe stato definito «inaffidabile» dal compagno di partito Lotti per le sue resistenze…

SPINA INDAGATO TORNA SUBITO A FARE IL PUBBLICO MINISTERO

il magistrato Luigi Spina, consigliere del Csm dimissionario

Ma alle parole seguono fatti ben differenti: il Plenum ha subito accolto la richiesta del consigliere indagato e dimissionario Luigi Spina di tornare a fare il Pubblico Ministero. Il CSM proprio il 4 giugno, nel giorno in cui Ermini tuonava contro il vulnus tra le toghe, ha infatti deliberato «il richiamo nel ruolo organico della magistratura» del dottor Spina «magistrato ordinario che ha conseguito la V valutazione di professionalità, e la riassegnazione dello stesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Castelveteri con funzione di sostituto procuratore».

Spina, che come Palamara è esponente di Unicost, la corrente di centro delle toghe, avrebbe rivelato al suo collega notizie relative all’inchiesta di Perugia, apprese proprio grazie al suo ruolo nel Csm. Una conversazione dello scorso 9 maggio «tra Spina, Palamara e due parlamentari (…) dimostra che lo stesso Palamara – riporta Rai News in merito agli atti dell’inchiesta – era “già consapevole del suo procedimento pendente a Perugia, tanto da parlarne con un parlamentare imputato”».

«I virus inoculati dalla Guardia di Finanza nei telefoni di Luca Palamara e di altri indagati sono riusciti a risalire indietro nel tempo, documentando anche il lato oscuro del Csm in carica fino all’anno scorso – scrive Luca Fazzo su Il Giornale – È il Csm che – come ricorda Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia – ridisegnò quasi per intero gli organigrammi della magistratura, dopo che Matteo Renzi aveva mandato in pensione d’autorità tutti gli ultrasettantenni, liberando decine di posti chiave. Ne scaturì una spartizione senza precedenti, davanti alla quale – dice Roberti – “Il caso Palamara è solo la punta dell’iceberg”. Una intera generazione di procuratori e presidenti di tribunale eletti in quei mesi rischia di essere investita dallo scandalo».

Le parole dell’avvocato Ermini, uno dei primi a minimizzare lo scandalo Consip quando era responsabile parlamentare alla Giustzia nel Partito Democratico, riecheggiano in quelle dell’eurodeputato piddino Franco Roberti e sembrano voler tracciare una netta trincea tra la gestione Renzi e quella successiva che il Pd si trova ad affrontare. Una demarcazione su cui pesa come un macigno, però, la nomina della moglie dello stesso Palamara quale dirigente esterna della Regione Laziosotto la presidenza di Nicola Zingaretti, il nuovo segretario del Partito Democratico.

ATTACCO ALLE TOGHE PER LE INCHIESTE SUI POTENTI

Il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, responsabile del dipartimento reati contro la Pubblica Amministrazione e titolare dell’inchiesta Consip

«Alla Procura di Roma, da quando è andato in pensione l’ex capo Giuseppe Pignatone, le tensioni che già c’erano sono esplose e sembra tirare un’aria da resa dei conti – scrive l’agenzia Adnkronos – Dietro i nomi dei tre pretendenti alla guida del più importante ufficio giudiziario d’Italia si combatte infatti una ‘guerra’ fra toghe più che fra correnti. Gli ‘umori’ dicono che chi vuole dare un più forte segno di continuità con la gestione Pignatone sponsorizzi il procuratore di Palermo Franco Lo Voi mentre dall’altra parte ci sarebbero quelli che puntano su Marcello Viola, procuratore generale di Firenze. Il terzo ‘incomodo’, una figura considerata intermedia, è quella del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. Ad infiammare lo scontro fra toghe è stato il sostituto procuratore Stefano Rocco Fava che ha scritto al Csm per segnalare il presunto conflitto di interessi di Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo in merito ad alcune importanti inchieste giudiziarie a causa dell’attività professionale dei loro fratelli. Per tutta risposta, ha denunciato Fava, gli è stato tolto il fascicolo sul caso Amara e sulle presunte sentenze pilotate nell’ambito della giustizia amministrativa. A confermare l’aria tesa che tira in Procura sono alcuni magistrati titolari di inchieste che hanno chiamato in causa politici locali e nazionali e che rivendicano di aver dato fastidio ai ‘potenti’». C’è già chi parla apertamente di “una guerra che ha l’obiettivo di depotenziarci”.

La memoria va all’inchiesta su Salvatore Buzzi e Massimo Carminati per Mafia Capitale che smascherò un sistema di appalti, in particolare nella gestione dell’emergenza migranti. trasversale a vari esponenti politici. Ma l’attualità riporta soprattutto al caso Consip ora pendente davanti al Giudice dell’Udienza Preliminare per le richieste di rinvio a giudizio formulate dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, responsabile del dipartimento Reati contro la Publica Amministrazione, per turbativa d’asta a carico di tredici imprenditori e manager delle aziende coinvolte: tra i quali l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, amministratore della Romeo Gestioni, e i manager di Manutencoop, Cns, Cofely, Manital, Gestione Integrata, Siram e infine la Sti, già implicata in una precedente inchiesta sull’avvocato Amara di cui parliamo più avanti.

L’accusa è di avere stretto accordi sotterranei per vincere le gare, in spregio alla libera concorrenza. Gli indagati sono accusati di “collusioni consistite in accordi preordinati alla ripartizione” degli appalti. Mentre l’ex ministro Lotti è accusato di aver informato l’ex ad della Consip. Luigi Marroni, dell’esistenza delle cimici vanificando così le ulteriori indagini della Procura.

Dal calderone delle battaglie tra magistrati non si salvano nemmeno quelli di Firenze dove sono ormai molteplici i fascicoli aperti dalla Procura nei confronti di parenti dell’ex premier Matteo Renzi: da quelli sui genitori Tiziano Renzi e Laura Bovoli per bancarotta fraudolenta a quelli per appropriazione indebita del cognato Andrea Conticini e fratelli per i fondi Unicef finiti nei conti correnti privati anziché in servizi per i bimbi africani. Il procuratore capo Giuseppe Creazzo, in corsa proprio per la guida della Procura di Roma, insieme al suo collega Luca Turco, è stato di recente bersagliato da un esposto a Genova in cui si contesta la gestione di alcune indagini nel campo sanitario.

Ma lo stesso pm Fava, grande accusatore contro i colleghi romani, si trova ora invischiato nell’inchiesta su Palamara: anch’egli è indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto di ufficio in concorso (con Spina – ndr). Altri quattro togati, componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, si sono autosospesi: due dei quali perché avrebbero preso parte agli incontri notturni coi parlamentari piddini Lotti e Ferri, gli altri due anche se avrebbero rinunciato all’ultimo momento alla riunione.

L’IMPRENDITORE DEI REGALI A PALAMARA

«Nel registro degli indagati, con l’accusa di corruzione, i pm di Perugia hanno iscritto anche Fabrizio Centofanti, l’imprenditore dei ‘regali’, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore – riferisce Rai News – Dalle indagini emergono viaggi e vacanze per Palamara (all’epoca consigliere del Csm) e famiglia: un’attività corruttiva messa in atto, secondo la procura di Perugia, “per fare in modo che Palamara mettesse a disposizione, a fronte delle utilità, la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore”. Tra i regali, anche un anello “del valore di duemila euro in favore dell’amica Adele Attisani”, oltre a un soggiorno a Taormina. E poi viaggi per lo stesso Palamara, o la sorella, in Toscana, a Madonna di Campiglio, a Dubai e Favignana».

«Sulla mia persona si stanno abbattendo i veleni della Procura di Roma, ma ho la tempra forte e non mi faccio intimidire. Sto chiarendo punto per punto tutti i fatti che mi vengono contestati perchè ribadisco che non ho ricevuto pagamenti, né regali, né anelli e non ho fatto favori a nessuno» ha invece ribattuto lo stesso Palamara al termine dell’interrogatorio durato più di 4 ore negli uffici di una caserma della Guardia di Finanza durante al quale era assistito dagli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti e Michele Di Lembo. «Ribadisco che non ho ricevuto soldi né regali e non ho fatto favori a nessuno. Chi conosce le dinamiche consiliari sa benissimo che non ho mai parlato di Giancarlo Longo (ex pm di Siracusa, ndr) ne’ tantomeno ho danneggiato qualche altro collega, trattandosi di un organo collegiale che come tale ha bisogno della partecipazione di tutti i suoi membri» ha aggiunto l’ex presidente Anm spiegando di aver esibito «le ricevute dei pagamenti dei viaggi e altro mi riservo di farlo nel prosieguo dell’interrogatorio».

Il sostituto procuratore romano, secondo i pm perugini, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm, avrebbe anche ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Calafiore e Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo, poi arrestato nel febbraio 2018 per corruzione a Messina. Ma è proprio da quell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che giungono le accuse di oggi.

IL MAGISTRATO CONDANNATO E’ LIBERO E SI DA’ AL FITNESS

«Da pubblico ministero a istruttore di fitness. Giancarlo Longo, smaltiti i veleni del “Sistema Siracusa”, ha deciso di rifarsi una vita a Roma. Dopo aver patteggiato 5 anni di pena con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e aver consegnato le dimissioni dalla magistratura (con annesso “sacrificio” del Tfr), l’ex pm ha deciso di ricominciare da quella che da sempre è stata la sua passione: lo sport». A raccontare la storia di Longo come in un gossip è il sito Siracusa News che mostra anche una foto del magistrato in tenuta da palestra.

«L’ex pm era accusato di corruzione in atti giudiziari davanti il Tribunale di Messina nell’ambito del “Sistema Siracusa”. Inchiesta che ha al centro due avvocati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, che per anni avrebbero pilotato inchieste e fascicoli al tribunale di Siracusa per avvantaggiare loro clienti di peso – scrive Siracusa News – Longo, dal canto proprio, in cambio di mazzette e regali, avrebbe messo a disposizione la propria funzione di magistrato condizionando le inchieste, aprendo fascicoli ad hoc per favorire gli assistiti dei due legali o per sviare le indagini, come sarebbe accaduto nel caso Eni-Descalzi».

Un incontro tra l’ex pm Giancarlo Longo e l’avvocato Giuseppe Calafiore che hanno patteggiato per corruzione in atti giudiziari

Un sistema rodato che ha visto gli avvocati Amara e Calafiore sotto accusa anche per le sentenze pilotate presso il Consiglio di Stato. Per la corruzione in atti giudiziari i due legali nel febbraio scorso avevano patteggiato davanti al Gup di Roma, Alessandro Arturi, una pena a 3 anni di reclusione per il primo (con 75mila euro di multa) e a 2 anni e nove mesi per il secondo (con 32,5mila).

Ma restano entrambi in attesa di conoscere l’esito della richiesta di patteggiamento in continuazione del reato proprio per il filone siciliano riferito alla corruttela di Longo e pendente davanti al Tribunale di Messina (prossima udienza 25 giugno). Secondo fonti giornalistiche i due avvocati, pur di guadagnarsi il parere favorevole della Procura di Roma ai patteggiamenti, sarebbero diventati collaboratori di giustizia vuotando il sacco sulla vicenda Palamara.

Un’inchiesta che va però presa con la massima cautela poiché gli avvocati giungono da quella Sicilia che è stata fucina di pentitismo finalizzato ai depistaggi giudiziari. Ma in quegli episodi di corruzione in atti giudiziari c’è l’anello di congiunzione tra le inchieste sulle tangenti Eni e una branca del già citato scandalo Consip.

DALL’ENI AL CONSIP: LE MAZZETTE DELL’AVVOCATO

«L’avvocato Piero Amara sapeva come fare: mazzette da 5.000 euro messe in una busta e lasciate nel bagno di un palazzo di giustizia, viaggi a Dubai e soggiorni in hotel di lusso per un pm “asservito alla sua causa”, l’ex sostituto procuratore di Siracusa Giancarlo, generosi mensili passati a consulenti e oscuri personaggi, verbali di interrogatorio fasulli scritti di suo pugno e finiti in fascicoli giudiziari. E il geniale metodo del procedimento “specchio” per attrarre in Sicilia inchieste giudiziarie che nulla avevano a che fare con la Sicilia, ma che qui potevano essere aggiustati per garantire gli interessi di due clienti preziosi». E’ quanto scritto dalla giornalista Alessandra Ziniti su Repubblica lo scorso 22 febbraio.

«C’è tutto questo nell’ultima tranche dell’inchiesta sulla lunga catena di corruttela capace di pilotare le sentenze della giustizia amministrativa del Consiglio di Stato e del Cga siciliano che all’alba di oggi ha visto finire agli arresti domiciliari il noto imprenditore piemontese Ezio Bigotti, presidente del gruppo Sti, aggiudicatario di numerose ed importanti commesse della Consip, la centrale acquisti del Tesoro, fermato nella sua casa di Pinerolo, e Massimo Gaboardi, ex tecnico petrolifero dell’Eni, arrestato a Milano. L’Eni ha però spiegato con una nota che “da un esame degli archivi aziendali disponibili non risulta che il signor Massimo Gaboardi sia mai stato dipendente di Eni né di società del gruppo”» rimarcava sempre il quotidiano Repubblica.

Duplice l’obiettivo dell’intervento corruttivo di Amara. In primo luogo ostacolare l’attività di indagine della procura di Milano sulle tangenti Eni in Algeria e Nigeria, avviando un filone parallelo d’inchiesta per avvalorare l’ipotesi di un complotto internazionale ai danni dell’amministratore delegato Claudio Descalzi ordito utilizzando come pedina il tecnico petrolifero Gaboardi.

In contemporanea creare un “fascicolo specchio” con documenti creati ad hoc per consentire all’ex pm di Siracusa Longo di attrarre i fascicoli per reati fiscali aperti a Torino e Roma nei confronti di Bigotti e quindi produrre consulenze addomesticate per chiedere l’archiviazione della posizione dell’imprenditore permettendogli una pacificazione fiscale per una delle sue società del gruppo Sti sottoposta ad accertamenti dell’Agenzia delle Entrate.

L’EX MINISTRO PD E L’INCONTRO CON IL PM POI ARRESTATO

L’ex pm di Trani poi giudice a Roma Antonio Savasta

Alla luce di questi precedenti sviluppi l’inchiesta della Procura di Perugia su Palamara pare assumere una rilevanza maggiore soprattutto per la figura politica che sempre aleggia dietro le quinte: quella dell’ex ministro renziano Luca Lotti. Sotto inchiesta per le rivelazioni nel caso Consip si ritrova invischiato anche negli incontri notturni con i consiglieri del Csm indagati ma è anche comparso in un’ulteriore indagine che ha portato addirittura dietro le sbarre l’ex pm di Trani e poi giudice a Roma Antonio Savasta.

Nella primavera 2018 Lotti fu interrogato dai pm di Lecce (competenti per territorio sui reati commessi nella Procura di Trani) ed affermò di non ricordare quell’incontro a Palazzo Chigi del giugno 2015: «Ho una conoscenza superficiale di Antonio Savasta – spiegò l’ex ministro ai magistrati – sicuramente me l’hanno presentato ma non ricordo chi né in quale occasione».

A chiamarlo in causa fu il re degli outlet pugliesi, Luigi Dagostino, che per ottenere indagini aggiustate in modo a lui favorevole pagò ben 53mila euro all’ex sostituto della Repubblica di Trani, secondo l’ordinanza di arresto. Ma non si limitò a questo.

Dagostino, oggi a giudizio a Firenze insieme a Tiziano Renzi e Laura Bovoli per una presunta maxi-fattura gonfiata, avrebbe pure favorito, secondo la Procura di Lecce, gli incontri di Savasta, che ambiva ad essere trasferito a Roma, con alcuni politici influenti come l’ex ministro Lotti e l’ex sottosegretario del Partito Democratico nei governi Letta e Renzi, Giovanni Legnini, poi divenuto vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Un’ulteriore vecchia storia che fa calare altre ombre sul Palazzo dei Marescialli e riporta alla mente il titolo del saggio di storia politico-giudiziaria dell’ex magistrato del pool antimafia Giuseppe Ayala: “Troppe coincidenze”…

Rif: https://www.gospanews.net/2019/06/08/toghe-sporche-alla-corte-pd-i-corrotti-liberi-la-spia-torna-a-fare-il-pm/

Valzer Procure, dopo la bufera Salerno diventà la priorità del Csm


Potrebbe essere solo questione di giorni e Salerno potrebbe avere il nuovo procuratore capo. La bufera che si è abbattuta sul Consiglio superiore della magistratura avrebbe un po’ cambiato l’ordine delle priorità dei magistrati di palazzo dei Marescialli. Sarebbe stato adottato un rispetto rigoroso del criterio cronologico per le nomine ai vertici di procure e tribunali, partendo da quegli uffici giudiziari la cui casella di comando è scoperta da più tempo e non più in base alla grandezza della ufficio interessato dalla nuova nomina. Travolto proprio dallo scandalo nomine, il Csm è al lavoro per recuperare credibilità. La Commissione per gli incarichi direttivi, da ieri all’opera con un nuovo presidente Mario Suriano (Area) – in sostituzione di Gianluigi Morlini, uno dei quattro togati che si sono autosospesi – ha deciso di cambiare metodo. Rispettare sempre e comunque il calendario delle scoperture è la nuova parola d’ordine. Il che vuol dire, basta con la pratica delle selezioni che facilita gli accordi spartitori tra le correnti della magistratura. Un approccio che ha conseguenze immediate: la lista delle nomine nelle procure vede balzare ai primi posti Salerno, che è senza capo da 9 mesi. 

Intanto la sezione distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati, proprio in relazione ai gravissimi episodi su cui indaga la procura di Perugia, al termine di una partecipata assemblea, con soli quattro voti contrari, ha approvato il documento del Comitato direttivo centrale dell’Anm con il quale si censurano gli incontri, avvenuti al di fuori della sede istituzionale del consiglio e aventi ad oggetto anche la nomina dei procuratori di Roma e Perugia, ai quali hanno partecipato consiglieri in carica, due deputati, uno dei quali magistrato in aspettativa e l’altro imputato nell’ambito di un procedimento trattato dalla Procura della Repubblica di Roma ed un ex consigliere, aspirante all’incarico semidirettivo di procuratore aggiunto di Roma in quanto rappresentano una evidente interferenza nel corretto funzionamento dell’organo di Autogoverno attestandone una inaccettabile ed ingiustificabile degenerazione avverso la quale si impone una immediata e ferma reazione.

Rif:https://www.ilmattino.it/salerno/csm_salerno_procura_nomina_ufficio-4551076.html

Il marcio nella magistratura e chi non lo vuole estirpare

Il caso Palamara rivela che c’è del marcio nella Danimarca della magistratura. E non si tratta di qualche mela, ma di una vera e propria questione morale. Una crisi degenerativa che dovrebbe imporre le dimissioni di tutti i coinvolti e riforme strutturali – a cominciare dalla riforma radicale dell’elezione al CSM – per contrastare il verminaio e non far piombare le toghe nel discredito presso i cittadini.di Paolo Flores d’Arcais
Un’indagine della magistratura di Perugia, ancora in corso, ha messo in luce, al di là dei reati penali che eventualmente verranno contestati, “gravissime violazioni di natura etica e deontologica”, “inammissibili interferenze nel corretto funzionamento del Csm”, e insomma “l’esistenza di una questione morale nella magistratura”. I fatti, giustamente stigmatizzati con i giudizi sopra riportati, sono purtroppo ormai accertati, attraverso le registrazione tramite “trojan”: riunioni clandestine nelle quali Luca Palamara, leader per anni e anni della corrente Unicost, discuteva con altri magistrati (quattro si sono autosospesi dal Csm) e soprattutto con Cosimo Maria Ferri, dominus per decenni della corrente Magistratura indipendente e ora deputato Pd (sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi, Gentiloni), e con Luca Lotti, onorevole del Pd e braccio destro di Renzi, sulle nomine dei capi delle Procure dell’intero stivale. 

Qualche spudorato dice che i rapporti tra politica e magistratura sono normali e anzi doverosi: se i membri del Consiglio superiore della magistratura, per due terzi magistrati e per un terzo di nomina politica, discutono fra loro in Csm, va da sé che fanno solo il loro lavoro. Se ne discutono invece con Palamara, che dal Csm è fuori, e soprattutto con due onorevoli che sulla scelta dei Procuratori non hanno alcuna voce in capitolo, allora realizzano esattamente “inammissibili interferenze nel corretto funzionamento del Csm” e “gravissime violazioni di natura etica e deontologica”, come denuncerà il tempestivo documento dell’Associazione nazionale magistrati, votato all’unanimità il 5 giugno dal proprio comitato direttivo centrale. 

Una delle nomine in ballo, quella di peso massimo, è la direzione della Procura di Roma. Dove Lotti è indagato. Ci vuole tutta la bulemica impudenza di Matteo Renzi, perciò, per dire che “sull’inchiesta del Csm ho visto tanta ipocrisia solo per attaccare i nostri”. I nostri. Puerilità che vale quasi una confessione. 

Del resto è un europarlamentare Pd appena eletto, l’ex Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, ad aver chiesto con toni ultimativi al Partito Democratico “finora silente, di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti”, visti i comportamenti “assolutamente certi” per “manovrare sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone”, dove il riferimento a Luca Lotti e Cosimo Maria Ferri è lapalissiano. Con l’aggiunta di una denuncia senza mezzi termini del governo Renzi come causa prima della degenerazione: “nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa era palesemente dettata da un duplice interesse: liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti, in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica”. E a “tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più ‘sensibili’ di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico. Il disegno è almeno in parte riuscito perché da allora, mentre il Csm si affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della ‘decapitazione’, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle procure. Il caso Palamara ne è, dopo cinque anni, la prova tangibile, sebbene temo sia soltanto la punta dell’iceberg”. 

Insomma, c’è del marcio nella Danimarca della magistratura, e non si tratta di qualche mela, ma di una vera e propria “questione morale nella magistratura”, come denunciato il 3 giugno dall’assemblea di 400 magistrati del distretto dell’Anm di Milano. Del resto Davide Ermini, vicepresidente del Csm e in stretto contatto col capo dello Stato che del Csm è presidente, parlerà di “giochi di potere e traffici venali”. 

Sarebbe perciò ovvio, se la decenza avesse corso, che i quattro magistrati “autosospesi” (una misura che rasenta l’aria fritta), si fossero ormai dimessi. Ma la loro corrente, dopo aver votato in sede Anm tutte le durissime frasi sopra riportate, ha deciso, almeno nella sezione della Cassazione, un ignominioso voltafaccia: “piena fiducia”, “totale solidarietà”, tornino a sedersi nel Csm. Se si dimettessero, infatti, due dei quattro subentranti apparterrebbero alla corrente/non corrente di Pier Camillo Davigo, che dell’intransigenza contro la degenerazione ha fatto la sua ragione d’esistenza. 

Allora meglio il marcio? È questo che volete, signori magistrati di Magistratura indipendente? Le altre correnti, malgrado alcune abbiano loro esponenti coinvolti, hanno immediatamente reagito, dichiarando chiusa l’esperienza di direzione unitaria nell’Anm, chiedendo la convocazione immediata degli organismi direttivi, e denunciando “le gravi responsabilità di fronte alla magistratura e al Paese” che Magistratura indipendente, se continuasse su questa strada, si assumerebbe, col rischio di creare “un incidente istituzionale senza precedenti [che] potrebbe condurre all’adozione di riforme dell’organo di autogoverno dal carattere ‘emergenziale’”. In realtà è anche peggio. I partiti tutti, infatti, tranne il M5S (ma qualcuno tra i loro è sensibile alle sirene), non vedono l’ora di realizzare il disegno non riuscito a Berlusconi: separare le carriere e mettere procure e pubblici ministeri al guinzaglio del potere politico. 

Aggiungiamo che alla ultimativa richiesta di Franco Roberti Nicola Zingaretti ha risposto con un inverosimile “Luca [Lotti] mi ha assicurato che non ha commesso alcun atto di illegalità”, argomento inoppugnabile che palesemente taglia la testa al toro, e il quadro (allo stato attuale) è completo. 

Abbiamo una crisi degenerativa della magistratura e della sua autonomia, abbiamo una corrente che pur di non perdere scranni di potere (Magistratura indipendente, con Cosimo Maria Ferri per decenni suo dominus) se la prende con la “faziosa campagna di stampa” anziché con l’immondo traffico delle indulgenze denunciato dal moderatissimo vicepresidente Ermini (che in questi giorni assai improbabilmente apre bocca senza il previo consenso del Capo dello Stato, che del Csm è presidente). 

Abbiamo l’urgenza improcrastinabile delle dimissioni di tutti i coinvolti e della sostituzione secondo le attuali modalità di legge, che fortunosamente e fortunatamente, per provvidenza divina (noi atei preferiamo chiamarla “il caso”) vedrebbero al Csm una iniezione di autonomia e intransigenza morale. Abbiamo la necessità che le nomine in ballo avvengano sotto i riflettori, con tutta la discontinuità necessaria rispetto a troppe opacità di alcune vicende recenti (la nomina di Lo Voi a Palermo, in barba a tutti i criteri statuiti, e per volontà catafratta di Giorgio Napolitano, è solo l’esempio più eclatante). 

Abbiamo, last but not least, la necessità delle riforme strutturali che rendano sempre più arduo il riprodursi e il semplice allignare o anche solo germogliare del verminaio. Necessità di dimettersi dalla magistratura prima di candidarsi a cariche elettive. Proibizione di incarichi extragiudiziari retribuiti. Tanto per cominciare e per “non indurre in tentazione”. Abrogazione delle controriforme Castelli (Lega al governo con Berlusconi) del 2005 e Mastella 2006 (centro-sinistra con Prodi), che abrogano l’ultraventennale autonomia dei sostituti procuratori, facendo del Procuratore Capo un vero e proprio dominus anziché primus inter pares (come i Borrelli, Caponnetto, Caselli delle migliori stagioni della giustizia eguale per tutti), oltre a numerose altre nefandezze di quella stagione di inciucio. 

E abbiamo, davvero ineludibile, la riforma radicale dell’elezione al Consiglio superiore della Magistratura. 

Credo che ricorrere al sorteggio per i componenti magistrati (i due terzi) sia la soluzione migliore. Eventualmente stabilendo che sia necessario avere una certa anzianità di servizio (cinque o dieci anni) per conoscere i colleghi. I magistrati sono solo alcune migliaia. Se fanno seriamente il loro lavoro, aggiornandosi sulle sentenze oltre che sulle leggi, e partecipano anche alla ricca vita associativa, culturale e ideale, che le “correnti” dovrebbero garantire, praticamente si conoscono tutti. Il loro status costituzionale li mette tutti sullo stesso piano, sono “soggetti soltanto alla legge” e “inamovibili”, si “distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni” (artt. 101 e 107 della Costituzione). Che necessità c’è che siano dei “rappresentanti”, con l’inevitabile lotta per il consenso e i suoi strascichi? Ciascuno può garantire l’autonomia della magistratura nel Csm, esattamente come ciascuno deve garantire il cittadino, che entri in un tribunale come accusato o parte lesa, che “la legge è eguale per tutti”. Il sorteggio ha una nobile tradizione democratica, fin dai primordi greci. Sorteggiati sono i cittadini comuni, in maggioranza nelle Corti d’Assise italiane, che giudicano i reati da ergastolo (negli Usa è l’intera giuria ad essere sorteggiata). 

Resta la componente di nomina politica (un terzo). Qui la riforma appare più ardua, visto il precipitare verso il basso della qualità dei politici ad ogni generazione, che la riforma dovrebbero oltretutto votare. La cosa migliore sarebbe farli eleggere fra gli ex presidenti della Corte Costituzionale, o misure analoghe. 

Perché una magistratura autonoma e degna del nome, inattaccabile moralmente, soggetta solo alla legge, cioè alla Costituzione repubblicana e ai suoi valori, è il bene democratico più prezioso, il “potere dei senza potere”. Contro questa magistratura ha iniziato il suo lavoro eversivo il potere politico con Berlusconi, proseguito poi con i ministri della giustizia bipartisan e il susseguirsi di controriforme quasi identiche, governasse il centro-destra o il centro-sinistra. Fino a che una parte della magistratura è diventata soggetto attivo nell’opera di “normalizzazione” che ha umiliato “la legge eguale per tutti” a favore dei soliti “eccellenti” e impuniti. 

Ora le vie di mezzo non sono più possibili. O la magistratura troverà la forza dentro di sé per pulire le stalle di Augia con erculea intransigenza, o piomberà nel discredito presso i cittadini, come già per le forze politiche e il resto dell’establishment, quel kombinat affaristico corruttivo che trascina l’Italia verso il disastro, di cui anche la magistratura finirebbe o comunque rischierebbe di diventare parte.

Rif: http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-marcio-nella-magistratura-e-chi-non-lo-vuole-estirpare/

Csm, coinvolti altri consiglieri nel caso delle nomine pilotate

Ci sono altri consiglieri del Csm coinvolti nella trattativa per la nomina dei procuratori di Roma, Perugia e Brescia, che ha già fatto esplodere la bufera su Palazzo dei Marescialli portando alle dimissioni di Luigi Spina, l’unico indagato del Csm, e all’autosospensione di Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Paolo Criscuoli e Gianluigi Morlini, intercettati mentre discutevano della successione a Giuseppe Pignatone con i parlamentari del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri. Mentre le dimissioni, invocate da più parti, tranne dalla corrente di Magistratura Indipendente, tardano ad arrivare, altre notizie scuotono il Consiglio superiore della magistratura, travolto da una crisi istituzionale senza precedenti.Previous

IL CELLULARE
Nuove indiscrezioni sulle conversazioni registrate attraverso il trojan, collocato dal 7 al 16 maggio nel telefonino dell’ex presidente dell’Anm e membro del Csm Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione. Quel microfono ha svelato alla Guardia di finanza il coinvolgimento, anche a loro insaputa, di altre persone nelle conversazioni sulla trattativa per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari di Roma, Perugia e Brescia. Durante i dialoghi sulle strategie da adottare per portare Marcello Viola alla guida dei pm di Roma, Luca Lotti millantava contatti e rapporti anche con il Quirinale. Così come lo stesso pm, indagato per corruzione dalla procura umbra, avrebbe sostenuto di essere stato informato delle intercettazioni a suo carico proprio da ambienti vicini al Colle.
Ma, come emerge dagli atti, l’interesse di Palamara riguardava anche la procura di Perugia: il suo obiettivo era vedere indagato il collega Paolo Ielo. Affrontava spesso la questione, ne discuteva anche con il sostituto della direzione nazionale Antimafia Cesare Sirignano. Nella conversazione intercettata il 7 maggio, Palamara parla del candidato che può soddisfare il suo desiderio di vendetta nei confronti di Ielo, sul quale il collega Stefano Fava aveva già presentato un esposto al Csm: «Chi glielo dice che deve fare quella cosa lì – dice a Sirignano – Deve aprire un procedimento penale su Ielo…cioè stiamo a parlà di questo… non lo farà mai». Il magistrato in questione era Giuseppe Borrelli, attualmente aggiunto a Napoli, che si è candidato, insieme ad altri diciannove colleghi come capo della procura di Perugia. Sirignano avrebbe risposto di avere già affrontato l’argomento con Borrelli che sarebbe stato disponibile a procedere.
Per questo, nei giorni scorsi, l’aggiunto di Napoli ha consegnato una relazione di servizio al procuratore Giovanni Melillo, che ha trasmesso il documento a Perugia, titolare del fascicolo. Nell’esaminare le varie candidature utili al suo obiettivo, Palamara valutava quelle di colleghi che non fossero vicini a Paolo Ielo. Così, nelle sue conversazioni, prendeva in considerazione anche l’ipotesi di Francesco Prete, attuale procuratore di Velletri, ed Erminio Amelio, pm di Roma, entrambi candidati a Perugia.

LE REAZIONI
In serata Giuseppe Borrelli ha diffuso una nota: «Apprendo con sorpresa e indignazione che mi sono state attribuite affermazioni mai pronunciate e intenzioni mai nutrite, nell’ambito di una vicenda alla quale sono completamente estraneo. Da giorni ho provveduto a depositare al procuratore della Repubblica la documentazione comprovante la mia più totale estraneità a quei fatti, per l’inoltro della stessa agli organi competenti. Ho già dato mandato per tutelare in ogni sede giudiziaria la mia onorabilità di uomo e magistrato». Sulla stessa linea Erminio Amelio: «Apprendo con stupore – dichiara – che venisse fatto il mio nome da parte di una persona con la quale non ho avuto nulla a che fare (Palamara ndr) e tutelerò la mia onorabilità in tutte le sedi competenti. Non sono mai stato nemico di Ielo con il quale sto ancora lavorando e lo stesso Ielo qualche mese fa, d’iniziativa, ha espresso parole lusinghiere sulla mia professionalità a colleghi anche del Csm».

Rif: https://www.ilmessaggero.it/italia/csm_nomine_pilotate_palamara-4551516.html
 

Depistaggio Borsellino, indagati per calunnia due pm che indagarono sulla strage

Depistaggio Borsellino, indagati per calunnia due pm che indagarono sulla strage

Nuovo colpo di scena nell’inchiesta sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. A distanza di 27 anni la procura di Messina ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di calunnia aggravata, due ex magistrati della procura di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, che si occuparono della prima inchiesta sulla bomba del 19 luglio 1992 raccogliendo le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino.

Ai due magistrati – Avvocato generale a Palermo e procuratore aggiunto a Catania – è stato notificato dalla Dia di Catania un avviso per un accertamento tecnico irripetibile che si terrà il prossimo 19 giugno al Racis dei carabinieri, a Roma. Il procuratore Maurizio de Lucia vuole verificare se su alcune cassette con delle intercettazioni di Scarantino, ritrovate di recente dalla procura di Caltanissetta, ci siano impronte o altre tracce utili. Una pista per provare a ricostruire la complessa macchina del depistaggio attorno al balordo del quartiere palermitano della Guadagna trasformato in un provetto Buscetta.

Intanto, a Caltanissetta, prosegue il processo che vede imputati tre poliziotti per il depistaggio: il dirigente Mario Bo’, i sottufficiali Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di aver contribuito a creare il falso pentito Scarantino, che per anni ha tenuto lontana la verità sulla strage Borsellino. Al centro del giallo, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002), lui avrebbe guidato Scarantino. E per i giudici di Caltanissetta che hanno celebrato l’ultimo troncone del processo Borsellino – quello sui falsi pentiti dell’indagine – “c’è un collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sicuramente desumibile dall’identità di uno dei protagonisti di entrambe le vicende”. La Barbera, dunque. Nei mesi scorsi, la procura di Caltanissetta ha inviato la sentenza Borsellino quater a Messina per accertare eventuali responsabilità dei magistrati che lavorarono con Scarantino. Il quale, sentito nei giorni scorsi nel processo depistaggio, ha però chiamato fuori dal caso il procuratore Petralia.

Rif:https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/06/11/news/depistaggio_borsellino_indagati_per_calunnia_pm_che_indagarono_su_strage-228538487/

Omicidio di Borsellino: indagati 2 magistrati

 © ANSA

(ANSA) – PALERMO, 11 GIU – Non è più a carico di ignoti l’indagine della Procura di Messina sul depistaggio dell’inchiesta sulla Strage di via d’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e degli agenti della scorta. I pm della città dello Stretto hanno iscritto nel registro degli indagati alcuni magistrati – non è ancora noto quali – del pool che indagò sull’attentato. Agli indagati e alle persone offese oggi la Procura ha notificato l’esecuzione di accertamenti tecnici irripetibili.

Rif:http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/06/11/borsellino-indagati-magistrati_61082655-4a40-441e-a2ba-1a03c2cb8ce3.html

Faida tra toghe sulle poltrone Anm in tilt, il Csm è a rischio

Area, Unicost, Autonomia e Indipendenza: schematizzando, la sinistra, il centro e i «grillini» di Piercamillo Davigo. Tutti inferociti con la quarta corrente, la destra di Magistratura Indipendente, colpevole di voler tenere al loro posto i tre suoi membri del Csm coinvolti – ma non ufficialmente indagati – nell’inchiesta di Perugia. «Ritirate l’autosospensione e tornate in servizio», dice Mi ai suoi. «Dimettetevi immediatamente», ribattono gli altri. Ne nasce uno scontro lacerante, che spacca in profondità la magistratura italiana, e apre le porte a qualunque scenario.

Purtroppo in ballo non ci sono solo valori «alti», lo scontro non è solo e non tanto tra garantisti e giustizialisti. Di mezzo c’è l’occupazione del potere, la lotta per le poltrone all’interno del Csm. Se i tre consiglieri moderati si dimettessero, i loro posti verrebbero presi da uno di sinistra e da due grillini. Se invece il Csm si dimettesse in blocco e si tornasse a votare, la corrente di Davigo probabilmente sparirebbe (anche perché il suo fondatore non potrebbe più candidarsi, essendo proibiti due mandati consecutivi) e la destra potrebbe puntare a fare il pieno di voti. Così (o anche così) si spiega la contrapposizione frontale di queste ore.

Che la «questione morale» emersa dalle carte dell’indagine di Perugia si riduca a guerra di potere e di seggiole può sembrare grottesco. Di sicuro c’è che nessuna delle correnti è disposta a fare un passo indietro, a fare mosse che avvantaggerebbero gli avversari. «Area» nel pomeriggio di ieri con un suo comunicato cerca di riportare la discussione su toni più nobili, indicando i pericoli che corrono «non solo l’autogoverno della magistratura, ma la stessa giurisdizione, la sua autonomia e la sua indipendenza». Ma anche stavolta senza una riga di autocritica per i lunghi anni di partecipazione alla lottizzazione selvaggia delle cariche.

Il pericolo, dicono le «toghe rosse», è che se Magistratura Indipendente non convince gli autosospesi a dimettersi, a venire spazzato via sia l’intero Csm. Prospettiva realistica, indubbiamente. Il primo a non tollerare un Consiglio superiore che restasse per intero al suo posto come se nulla fosse accaduto sarebbe il suo presidente, ovvero il capo dello Stato. Sergio Mattarella lo ha spiegato con chiarezza al vicepresidente, David Ermini, quando lo ha convocato al Quirinale. Ermini è corso a riferirlo ai quattro autosospesi. Loro hanno preso tempo in attesa degli eventi. Ora, dopo l’appello di Magistratura Indipendente, hanno un buon motivo per restare al loro posto. Se Mattarella non vuole vederli più a Palazzo de’ Marescialli dovrà liquidare l’intero Csm.

L’aspetto più singolare è forse che a tirare le fila dello scontro, dettando la linea dura a Magistratura Indipendente, sia Cosimo Ferri: che è il leader storico della corrente, ma è anche deputato del Partito democratico, e che era presente (non si sa in quale delle due vesti) agli incontri intercettati dalla Procura di Perugia nell’inchiesta per corruzione a carico di Luca Palamara, leader di Unicost. È Ferri l’ispiratore del documento con cui la corrente ha deciso di salvare il posto ai consiglieri coinvolti nell’indagine: approvato all’unanimità, con la sola astensione di Pasquale Grasso, da appena due mesi presidente dell’Anm. Che in serata abbandona la corrente ma mantiene la carica.

Rif:http://www.ilgiornale.it/sites/default/files/styles/large/public/foto/2019/06/05/1559738524-lapresse-20190604190407-29548576.jpg

Magistratura messa in dubbio dalla condotta degli stessi giudici, lo ammette il presidente del Consiglio di Stato

L’attendibilità dei giudici messa a rischio dalla loro stessa condotta. A lanciare l’allarme, il presidente del Consiglio di StatoFilippo Patroni Griffi, in occasione del discorso di apertura del primo congresso nazionale della giustizia amministrativa italiana. Niente esternazioni che ne possano pregiudicare l’imparzialità, niente frequentazioni che possano avere ripercussioni negative sull’attività giudiziaria. Questo il monito emesso in un periodo in cui l’immagine dei giudici, agli occhi dei cittadini, appare spesso compromessa.

“Un giudice all’altezza dei tempi – afferma Patroni Griffi nella ricostruzione dell’Ansa – deve saper accettare, proprio in ossequio a un’etica pubblica collegata alla funzione, alcune limitazioni anche alla propria sfera di libertà“, Un intervento che recepisce i timori di molti italiani – dei quali L’Eco del Sud si è fatto più volte voce – circa il ruolo di una magistratura spesso propensa a invadere la sfera di competenza degli altri poteri dello Stato, arrivando a insinuare dubbi sull’operato del Governo, come è stato per il caso Diciotti, o a criticare apertamente leggi legittimamente approvate dal Parlamento. Come, per esempio, quella sulla legittima difesa. Minando il principio di imparzialità che ne dovrebbe contraddistinguerne l’operato e alimentando il pericolo di un assetto corporativo.

A gettare ombre pesanti sono anche fatti come quelli emersi a proposito della corsa alla guida della Procura di Roma, scaturiti in nell’inchiesta che vede indagato per corruzione Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e già componente del Consiglio superiore della magistratura. Proprio l’autogoverno dei magistrati, secondo Patroni Griffi, non deve scadere nel corporativismo: “Il governo autonomo della magistratura è un ‘privilegio’ di noi magistrati che deve assicurare il fine istituzionale per cui la Costituzione lo contempla: garantire l’indipendenza interna ed esterna, della magistratura nel suo complesso e del singolo magistrato. Guai a servirsene per finalità meramente sindacali sganciate da ogni logica istituzionale”. Secondo il presidente del Consiglio di Stato ciò implicherebbe il pericolo “di un governo ‘corporativo’” della magistratura, “che è esattamente il contrario di ciò che indusse il Costituente prima, e il legislatore poi, a istituire la funzione di autogoverno, aperta alla partecipazione di estranei alla magistratura”.

Un giudice, dichiara Patroni Griffi, “non può liberamente manifestare il proprio pensiero, se questo pensiero sia riferibile alla propria attività giudiziaria o se possa essere letto, o anche strumentalizzato, in modo che ne risulti appannata la sua terzietà”. Considerazioni che non possono non richiamare le considerazioni espresse pubblicamente, proprio dall’Anm, a proposito dell’approvazione della legge sulla legittima difesa. Opinioni in totale contrasto con il principio costituzionale per il quale un magistrato deve unicamente applicare la legge, che gli piaccia o no, senza commentarla.

Proprio di oggi è la notizia di un tabacchiere di Ivrea indagato per eccesso colposo di legittima difesa, dopo avere ucciso un ladro sorpreso a tentare di derubarlo. Ora, l’uomo dovrà affrontare un procedimento. Quale sarà il suo stato d’animo? Si interrogherà sull’orientamento di chi lo dovrà giudicare? Si chiederà se è favorevole o contrario alla nuova normativa? Se, nella seconda ipotesi, si rivarrà su di lui? “Occorre resistere alla tentazione di fare delle uscite pubbliche istituzionali”, – sostiene il presidente dell’organo posto sul gradino più alto della giustizia amministrativa, convinto dell’inopportunità di “esprimere visioni del mondo opinabili, soggettive e di carattere politico, che trasmodino dall’analisi puntuale dei problemi dell’organizzazione giudiziaria e del processo” o “che si discostino dai valori giuridici positivi di riferimento propri doverosamente di ciascun giudice”.

Il principio costituzionale di terzierà, secondo Patroni Griffi, può altresì essere messo a repentaglio dalle stesse frequentazioni dei magistrati. Ma non solo. Proprio le limitazioni alla sfera delle libertà dei giudici, è opinione di chi scrive, dovrebbero essere estese ai divieto di fare politica. La separazione dei poteri dello Stato deve essere una garanzia, non per i giudici, ma per i cittadini. Non si può condurre un’azione giudiziaria contro un’intera classe dirigente, come fu per Antonio Di Pietro durante Tangentopoli, per esempio, per poi sfidare ciò che ne rimane, fondando un partito proprio, ricoprendo incarichi di governo e facendosi eleggere in Parlamento, approfittando della popolarità conseguita e, soprattutto, minando la fiducia del popolo circa l’obiettività del proprio operato.

Rif: https://www.lecodelsud.it/magistratura-messa-in-dubbio-dalla-condotta-degli-stessi-giudici-lo-ammette-il-presidente-del-consiglio-di-stato#prettyPhoto