Tutti quei dubbi sui magistrati che hanno favorito la Sea Watch

Da due giorni a sedici miglia dall’isola di Lampedusa, la nave “pendola”, come si dice nel gergo marittimo, senza muoversi da quella posizione. In attesa di una svolta. Non è certo la prima volta che l’ong tedesca infrange tutte le leggi del mare anticipando le mosse della Guardia costiera di Tripoli e rifiutandosi di riportare i clandestini i Libia al solo scopo di ingaggiare un braccio di ferro con Matteo Salvini. Tanto che ora viene il dubbio sull’azione della magistratura italiana che, quando ha avuto la possibilità di fermare l’imbarcazione, on l’ha fatto. A sollevare queste accuse contro i pm italiani è Pietro Dubolino, presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione, che sulla Verità spiega chiaramente perché la nave della Sea Watch andava lasciata sotto sequestro.

Forte del nuovo decreto Sicurezza bis, che gli dà la possibilità di vietarne l’ingresso, Salvini ha sottolineato che la nave non approderà in un porto italiano. “Sicuramente non arrivano in Italia perché per fesso non mi prendono”, ha tuonato il vicepremier accusando la Sea Watch, così come tutte le altre ong che operano nel Mar Mediterraneo, di usare “gli esseri umani per loro indegni interessi. Non so se anche economici, ma sicuramente politici”. “La Sea Watch sta andando avanti e indietro dimostrando ancora una volta di operare al di fuori della legge”, ha incalzato il leader del Carroccio domandandosi come mai la procura non abbia confermato il sequestro. Lo stesso dubbio è stato sollevato dalle colonne della Verità da un magistrato che non si fa problemi a rivela che, anziché trovarsi in mare aperto, a poche miglia da Lampedusa, la Sea Watch 3 dovrebbe essere sotto sequestro per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Come spiega molto bene Dubolino, il braccio di ferro tra Salvini e l’ong tedesca è un déjà vu. Quando la procura di Agrigento ha deciso di dissequestrarla, era facilmente prevedibile che sarebbe subito tornata a “raccogliere davanti alle coste libiche altri ‘migranti’ per portarli in Italia” e sfidare politicamente il vicepremier leghista. Certo i pm hanno tenuto in piedi il procedimento penale, ma rimettendo in mare l’imbarcazione hanno di fatto riarmato gli ultrà dell’accoglienza che non vedevano l’ora di montare un nuovo caso mediatico. Non deve, quindi, stupire se il “salvataggio” di giovedì scorso sia avvenuto abbia seguito il solito schema: l’ong che interviene prima della Guardia costiera di Tripoli, nonostante quest’ultima avesse preso in carico il soccorso; il rifiuto netto di trasferire i migranti sia in Libia sia in Tunisia; il blitz verso le acque territoriali italiane per creare un nuovo scontro politico e portare il caso a Bruxelles.

Nel suo intervento pubblicato sulla Verità, Dubolino non mostra alcuno stupore per il consolidato modus operandi della Sea Watch. Al contrario solleva forti dubbi sull’operato della magistratura italiana che sembra aver “del tutto ignorato” certe precise disposizioni. In primo luogo l’arresto di chi è stato beccato a favorire l’immigrazione clandestina. È obbligatorio ma nel caso della Sea Watch è stato disatteso. “Non si comprende per quale ragione il comandante a carico del quale si riteneva fin da quel momento addebitabile il reato in questione sia stato denunciato a piede libero e non in stato di arresto, come la legge avrebbe imposto”, scrive il magistrato ricordando che tale reato prevede anche la confisca del mezzo di trasporto usato per commettere l’illecito. “In casi come questo – fa notare – è prassi corrente di tutti gli uffici giudiziari mantenere il vincolo sulle cose soggette a confisca obbligatoria, trasformando, sulla base di talune precise norme del codice di procedura penale, il sequestro probatorio in sequestro preventivo, da mantenere fino all’esito del procedimento penale”. la procura di Agrigento, al contrario, ha dissequestrato la Sea Watch 3 permettendole di tornare in mare. “O, all’atto in cui è stata disposto il dissequestro della nave, la procura era già giunta alla conclusione che, per quanto emerso dalle indagini, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina fosse da ritenere insussistente, e allora, contestualmente al dissequestro, avrebbe dovuto chiedere l’archiviazione del procedimento – ipotizza Dubolino – oppure riteneva che il reato fosse rimasto comunque configurabile, e allora, essendo pendente il relativo procedimento penale, avrebbe dovuto chiedere la trasformazione del sequestro probatorio in sequestro preventivo a garanzia, nell’eventualità della condanna, della eseguibilità della confisca obbligatoria”.

Le ombre sulla magistratura sono dunque notevoli. “Se questo fosse un Paese serio – conclude Dubolino – qualcuno, nelle opportune sedi istituzionali, dovrebbe chiedere a chi di dovere le opportune spiegazioni”. Ma si sa è difficile (se non impossibile) che i magistrati paghino per degli errori commessi.

Rif:http://www.ilgiornale.it/news/politica/tutti-quei-dubbi-sui-magistrati-che-hanno-favorito-sea-watch-1711646.html

Via d’Amelio: quei pm che dimenticarono di depositare i verbali

La decisione dei magistrati di Caltanissetta. La commissione antimafia siciliana ha evidenziato che quella scelta ha «determinato una grave deviazione processuale» soprattutto nella valutazione dell’attendibilità del pentito Scarantino

Per ora sarebbero due i magistrati finiti nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra. Parliamo del nuovo colpo di scena relativa alla vecchia indagine sulla strage di Via D’Amelio, definita dal Borsellino Quater il «il più grande depistaggio della Storia».

Ma è un depistaggio che ha visto anche come protagonista l’irritualità dello svolgimento del processo, tant’è vero che lo scorso novembre la Procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo del Borsellino Quater, aveva trasmesso una tranche dell’inchiesta ai colleghi messinesi perché accertassero se nella vicenda, ci fossero responsabilità di magistrati.

Così la Procura di Messina ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi, una sorta di attività pre- investigativa sfociata adesso in una inchiesta per calunnia aggravata. Ora dovranno conoscere i contenuti delle registrazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino quando era nel programma protezione, dove aveva a disposizione un telefono fisso e poteva solo ricevere le chiamate.

Parliamo di un accertamento tecnico non ripetibile, avente ad oggetto il riversamento di 19 supporti magnetici contenenti registrazioni prodotte con strumentazione della Radio Trevisian, denominata RT2000, trasmessi alla procura di Messina, in originale, dalla procura di Caltanissetta.

Ma rimane ancora inevaso un interrogativo, proprio sulla conduzione dell’iter processuale che è costata la condanna di otto innocenti, sulla base delle dichiarazioni di Scarantino. Lo spartiacque, o meglio quello che avrebbe dovuto essere, è da ritrovare nella data del 13 gennaio del 1995, quando c’è stato il confronto tra Scarantino e i collaboratori di giustizia Totò Cancemi, Gioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo.

Ed è proprio in quel confronto che emerse la totale mancanza di attendibilità di Scarantino. Ma è accaduto che il verbale del confronto è rimasto nel cassetto per diverso tempo. Alla data dei confronti, ovvero il 13 gennaio 1995, nessuno dei processi riguardante la strage di via D’Amelio era stato ancora definito. La sentenza del primo processo concluso, il Borsellino 1, viene pronunciata solo nel gennaio del 1996, a distanza di oltre un anno dall’avvenuta assunzione dei confronti.

Il deposito di quei verbali demolitori della figura di Scarantino, quanto al profilo e criminale quanto al contenuto delle dichiarazioni, avrebbe potuto quindi incidere sensibilmente sulle conclusioni di quel processo. Che invece, com’è noto, si concluse accettando l’intero impianto accusatorio basato sulla parola di Scarantino e condannando all’ergastolo.

Il verbale uscì fuori grazie alla tenacia dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che all’epoca difese alcuni imputati poi condannati ingiustamente per la strage. Lo racconta in audizione dinnanzi la commissione antimafia della Sicilia presieduta da Claudio Fava.

«Siamo all’udienza preliminare del bis, quindi siamo se non ricordo male nel 1996 – ha spiegato Di Gregorio – facciamo le copie degli atti, tra le copie degli atti spunta fuori una missiva strana, una lettera di trasmissione dal Procuratore aggiunto di Caltanissetta Paolo Giordano, al procuratore aggiunto Guido Lo Forte di Palermo dove gli dice: «Ti mando, per quanto di interesse, i confronti fra Scarantino- Cancemi, Scarantino- Santino Di Matteo, Scarantino – Gioacchino La Barbera».

Cerchiamo questi confronti ma non ci sono, cioè non sono stati depositati, quindi noi chiediamo al giudice dell’udienza preliminare di fare depositare i confronti. La risposta a verbale è “Non esistono”. Gli abbiamo detto: “Non è possibile che non esistono, se li avete trasmessi a Palermo, evidentemente esistono quindi non ci dite non esistono, dite non ve li vogliamo depositare», «Non esistono e se esistono non riguardano gli imputati di questo processo, quindi voi non li potete avere».

A quel punto l’avvocato ha fatto un’istanza al dott. Guido Lo Forte come indagine difensiva ed è andata a parlargli. «Mi ha detto – racconta sempre la Di Gregorio: «Lei è pazza – graziosamente, cordialmente – se pensa che io le do una cosa che Caltanissetta non le vuole dare». Io ho detto «No, no, ma io lo voglio messo per iscritto: non te la posso dare, fattela dare da Caltanissetta».

E così abbiamo fatto. Il dott. Lo Forte scrive nella mia istanza «Non te la do, te la fai dare da Caltanissetta», quindi io prendo la risposta e la porto a Caltanissetta a Paolo Giordano dicendo: «Siccome esistono e me li devi dare tu, ti dispiace che me li dai?» «Non se ne parla assolutamente, non ti interessano, non ti riguardano, non riguardano gli imputati, non riguardano questo processo». Alla fine, nel febbraio del 97 ( e cioè dopo più di un anno dalla richiesta rigettata in udienza preliminare), l’avvocato Di Gregorio chiese e ottenne il deposito del confronto tra i collaboratori di giustizia e Scarantino nel processo “Borsellino ter”.

La commissione antimafia della Sicilia, nella sua relazione, ha evidenziato che il mancato deposito di detti verbali nella segreteria del pubblico ministero ha «sicuramente determinato una grave deviazione processuale, perché ha impedito alla Corte di Assise di Caltanissetta una piena cognizione ed una corretta valutazione dell’inesistente affidabilità di Scarantino». Un iter processuale, quindi, che già nel 1995 avrebbe avuto un esito diverso, se solo si fosse portato a conoscenza di quel verbale, il perno principale che avrebbe fatto decadere tutte le accuse senza arrivare fino al Borsellino Quater.

Bongiorno a Gaia Tortora: “Un giudice può uccidere e lei sa cosa significa”

Ospite del programma Omnibus, il ministro della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno ha sottolineato l’importanza di una riforma della giustizia completa.

 quanto ha dichiarato il ministro Giulia Bongiorno, ministro della Pubblica amministrazione e corresponsabile della Lega alla Giustizia, ospite di Gaia Tortora nel programma di La7 Omnibus.

“Io non credo che un magistrato non possa avere una sua idea ma se questa sua idea diventa, poi, oggetto di una disputa con altri magistrati e poi da questa idea della giustizia invece si arriva a indicare quel procuratore per quella sede per interessi personali, questo non è più correntismo buono, questo è un correntismo che coltiva interessi personali. Un magistrato non può coltivare interessi personali”.

Per questo, l’esponente leghista sottolinea l’importanza di una riforma della giustizia completa. Una riforma attuata non solo per rendere più veloci i processi. “Il magistrato può togliere la libertà, far stare sotto processo per anni una persona che poi resta condannata a vita. E lei sa bene cosa significa”, dice la Bongiorno rivolgendosi direttamente alla conduttrice, figlia di Enzo Tortora, ricordano il calvario giudiziario subito dal padre. La giornalista, forse colta di sorpresa dall’affermazione, è rimasta spiazzata ed ha risposto con un “sì”.

Rif:http://www.ilgiornale.it/news/politica/bongiorno-correntismo-nella-magistratura-causa-patologia-cui-1711134.html

MAGISTRATURA, LA RIFORMA PIÙ IMPORTANTE DEVE PARTIRE DA DENTRO

Conciliaboli notturni in alberghi romani, in cui membri del Consiglio superiore della magistratura titolati a occuparsi di nomine di magistrati in ruoli apicali avrebbero parlato di queste nomine con persone non titolate a occuparsene, ma interessate (politici ed ex consiglieri del Csm, alcuni dei quali indagati). Emergono dall’indagine perugina che sta facendo tremare il Csm. A quanto se ne sa non sarebbero incontri penalmente rilevanti, ma fanno ugualmente strame del motto simbolo dell’indipendenza della magistratura ordinaria: sine spe ac metu, senza speranza e senza timore.

Perché proprio di questo, stando a quanto si evince dagli atti di incolpazione che hanno fatto scattare l’avvio dei procedimenti disciplinari, là dentro si parlava: di mettere «paura» a qualcuno – tramite dossier – per «togliere di mezzo» (ma là lo si diceva con un “francesismo”) dalla corsa a un posto un nome sgradito; di dirigere voti per scongiurare alcune nomine in sedi in cui persone presenti agli incontri stanno sotto indagine. A determinare gli spostamenti, a quel che si comprenderebbe leggendo le parole volate, criteri funzionali a interessi personali, e dunque alle speranze, di alcuni.

Fossero anche state soltanto chiacchiere, ora che sono visibili a occhio nudo, nessuno può più fare finta di niente. Perché ci diciamo da quando esiste la Costituzione che l’indipendenza della magistratura non basta, occorre salvarne anche l’apparenza. E con ogni evidenza in questo suk l’apparenza è andata a rotoli. Tra l’altro esiste una possibilità che non siano state solo parole che si porta il vento, perché almeno in Commissione alla fine i voti per la Procura di Roma (prima che lo scandalo congelasse tutto) sono andati proprio nella direzione che sarebbe stata auspicata in quei consessi, con parole molto dirette, da un deputato indagato proprio a Roma: uno come minimo fuori posto e come minimo in conflitto di interessi. Che siano andati in quella direzione per caso oppure no, l’ombra del sospetto rimane.

Occorre un sussulto di dignità e di responsabilità da parte delle istituzioni tutte, magistratura in primis, perché si è andati oltre il “così fan tutti” di cui tanti hanno parlato nei giorni scorsi. Un cittadino può forse afferrare – pur senza apprezzarla – quale fosse la logica delle appartenenze, di cui ci si lamentava da tempo, che faceva intendere che in Consiglio superiore potessero entrare, tra i componenti di nomina parlamentare, membri scelti più per l’appartenenza partitica che per il curriculum. E che le nomine degli uffici giudiziari potessero contemplare, tra i criteri ufficiosi, anche la spartizione in base all’appartenenza alle correnti. Una lottizzazione deprecabile in entrambi i casi, ma di cui si capisce il significato, benché in base ad argomenti non dei più nobili e neanche giustificabili.

Spiegare invece a un cittadino quale sia la logica secondo cui esponenti della corrente considerata più a destra nell’Associazione nazionale magistrati, trovassero una convergenza sulle nomine con esponenti politici, pure indagati, di un partito di sinistra, è parecchio arduo: come minimo ne ricaverà l’impressione che qualsiasi funzione, dalla rappresentanza politica, al ruolo consiliare, alla funzione magistratuale possa soccombere davanti agli appetiti privati. 

Nessuno ne esce bene, non il Csm, non la politica, non la magistratura, quest’ultima meno di tutti perché la sua indipendenza è il bene di tutti e perché l’arbitro sulle regole ha doveri maggiori. È ad essa dunque che si deve chiedere un sussulto di dignità, di orgoglio, di senso delle istituzioni che si traducano in un chiaro e profondissimo sforzo autoriformatore in direzione della trasparenza, della prova dell’indipendenza, per allontanare anche solo il minimo sospetto che sul dovere prevalga qualsivoglia interesse di bottega, personale o di corrente.

È un debito morale e civile nei confronti della cittadinanza perché l’indipendenza della magistratura, come ci hanno ripetuto a ragione, non è un privilegio suo ma un diritto nostro, la nostra garanzia di una legge uguale per il potente e per l’ultimo di noi. In questo clima da periferia dell’impero c’è il pericolo, concreto, che – nel discredito generale – se questo intervento riformatore non arriva con urgenza da dentro, qualcun altro vi provveda da fuori, magari cogliendo l’occasione per regolare conti mai del tutto nascosti, per mettere in discussione proprio l’istituto dell’indipendenza come disegnato dalla Costituzione. Sarebbe una toppa peggiore del buco nero che le carte di Perugia scoperchiano, perché sortirebbe l’effetto di istituzionalizzare il buco.

Rif: https://www.famigliacristiana.it/articolo/magistratura-la-riforma-piu-importante-deve-partire-da-dentro.aspx

Csm, Robledo: “Magistratura si faccia esame coscienza. Ma non ne ha la forza, per anni ha tollerato questo”

Caos procure e Csm? Sì, siamo assolutamente di fronte a una situazione grave e pericolosa per le istituzioni. Non c’è dubbio”. Così, ai microfoni di “24 Mattino”, su Radio24, l’ex procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, commenta lo scandalo sul Csm e le ultime intercettazioni, registrate da un trojan nel cellulare dell’ex presidente di Anm, Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione, e riguardanti le conversazioni tra lo stesso Palamara, alcuni consiglieri del Csm (togati del Csm autosospesi Antonio Lepre, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli e i dimissionari Gianluigi Morlini e Luigi Spina) , il deputato Pd Cosimo Ferri e l’ex ministro Luca Lottisulla nomina del successore dell’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Dalle intercettazioni è emerso che uno dei candidati, il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, è stato escluso, perché indagava sui genitori di Matteo Renzi.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/13/csm-robledo-magistratura-si-faccia-esame-coscienza-ma-non-ne-ha-la-forza-per-anni-ha-tollerato-questo/5253431/

Alessandro Sallusti a Piazzapulita: “Pensavano che i magistrati fossero dei, ma il loro tasso di porcherie..”

“Il tasso di porcherie che ci sono all’interno della magistratura non è diverso da quello che c’è nella politica e in altre categorie”, tuona Alessandro Sallusti ospite di Corrado Formigli a Piazzapulita su La7, “mentre fino ad oggi ci hanno fatto credere che fossero degli dei, una casta di eletti unti dal Signore, che non potevano sbagliare anche loro”. Questa inchiesta, conclude il direttore de Il Giornale, “dimostra innanzitutto che la magistratura che è fatta da uomini e quindi ha lo stesso tasso di corruzione e tentazione”.

Rif: https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/13473053/alessandro-sallusti-piazzapulita-magistrati-dei-tasso-porcherie.html

Le inchieste sulla magistratura e la nascita della terza repubblica

E dunque è così che finisce la seconda repubblica. Finisce in una battuta di Adriano Sofri – “Non esistono magistrati onesti. Esistono solo magistrati non ancora intercettati” – contrappasso di quell’altra che Piercamillo Davigo pronunciò in piena Mani pulite, “Non esistono politici innocenti, ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove”. Battuta che ha perfettamente rappresentato quell’epoca fino ad oggi. Finisce soprattutto con il disfacimento del proprio mito fondante: la separazione antropologica e aprioristica dei buoni dai cattivi. E con la drammatica crisi di credibilità dell’unico potere – dei tre che compongono lo stato – rimasto finora, e nonostante tutto, impregiudicato: il potere giudiziario, travolto da un’indagine per corruzione che ha coinvolto Luca Palamara, ex componente del consiglio superiore della magistratura (Csm) ed ex presidente dell’associazione nazionale magistrati (Anm). 

Non è la prima volta che una crisi attraversa la magistratura. Non è la prima volta che una crisi si muta in questione giudiziaria. Ma questa volta è diverso. E la diversità risiede soprattutto nel contesto politico e istituzionale che oggi non appare più in grado di proteggere l’impalcatura dal terremoto che la sta scuotendo, visto che lo stato in quanto insieme di tre poteri – esecutivo, giudiziario e legislativo – è esso stesso oramai disarticolato, e da tempo. Quello che sta emergendo in queste settimane, insomma, sembra rappresentare la chiusura del cerchio aperto nel 1992 con le inchieste che spazzarono via quasi tutti i vecchi partiti e che travolsero il parlamento, unico potere che rappresenta direttamente i cittadini, d’improvviso relegato a soggetto residuale. 

A partire da quei giorni, quando ogni cosa era annichilita dall’accavallarsi delle indagini sulla corruzione e dagli esiti drammatici della strategia stragista di cosa nostra, camera e senato cominciarono a perdere la centralità che avevano avuto nei decenni precedenti. Ciò accadde per molte ragioni che si intrecciarono e che infine produssero, senza neppure bisogno che fossero modificate le regole costituzionali, una sorta di presidenzializzazione della democrazia parlamentare. La leva più potente che consentì di forzare la mano fu l’introduzione, da parte di Silvio Berlusconi, di un richiamo alla legittimazione popolare diretta del governo, e dunque a un rapporto immediato tra governo e popolo che di fatto finì perfino per interferire con il rapporto di fiducia tra la maggioranza politica e il parlamento stesso, aprendo una lacerazione tra costituzione formale e costituzione materiale, mai più sanata. All’irrilevanza politica delle camere si aggiunse presto anche quella funzionale. 

Vuoti di potere
Lo spazio lasciato vuoto venne occupato dagli altri due poteri. L’esecutivo assunse la funzione legislativa attraverso un ricorso sempre più massiccio ai decreti, per non dire dell’uso parossistico della questione di fiducia, che quasi esautorò del tutto il parlamento dal mettere mano alle materie più importanti. La storia dell’approvazione delle leggi finanziarie avrebbe molto da raccontare in questo senso. La magistratura, invece, cominciò a svolgere come mai prima di allora un ruolo da legislatore indiretto, per così dire, riempiendo sempre di più i vuoti di legislazione attraverso il suo potere di interpretazione. La via giudiziaria ai diritti civili ne è un ottimo esempio, dalle unioni civili alla disciplina del fine vita. Inoltre, e soprattutto, la magistratura come potere si vide delegare dalla società un’astratta funzione moralizzatrice che però non rientra nei compiti che l’ordinamento costituzionale gli assegna. 

Fatto sta che la seconda repubblica ha vissuto uno scontro inevitabile e continuo tra questi due poteri, mentre il parlamento scomparve dalla scena. Ora la risacca dell’onda di quegli anni si sta portando via il resto. 

Da un lato, ci sono segnali evidenti dell’indebolimento anche del ruolo dell’esecutivo. Il consiglio dei ministri da tempo quasi non si riunisce, e se lo fa rinvia le decisioni. In pratica non esiste, soppiantato da alcune leadership carismatiche. Dall’altro, le inchieste di queste settimane stanno facendo emergere un aspetto inquietante dell’attuale natura del potere giudiziario, anch’esso strumento di gestione e governo di interessi partigiani, come fu il sistema dei partiti negli anni del declino. Interessi, peraltro, sempre più di tipo personale. Anche sulle correnti è il momento di aggiungere qualcosa a quello che spesso si sostiene, e cioè che il correntismo è il contraltare della partitocrazia. Il punto è questo: le degenerazioni interne al potere giudiziario non stanno, come si sostiene in questi giorni, nell’esistenza delle correnti, non più almeno. Stanno invece nel fatto che sono diventate sostanzialmente inesistenti. 

Nate all’inizio degli anni sessanta, per come oggi le conosciamo, le correnti svolsero a lungo una funzione di elaborazione culturale della funzione della magistratura. Poi, come altrove nella società, la spinta ideale si affievolì e divennero anche e soprattutto strumento di gestione degli assetti interni al potere giudiziario. Infine, a quanto si capisce dalle notizie di questi giorni, sono diventate strumenti dedicati unicamente o quasi alla gestione del potere, un potere di natura personale o al massimo da gestire in cordata. Se è così, il problema sta insomma nella trasformazioni delle correnti in altro o, per meglio dire, nel loro definitivo superamento, in favore anche in questo caso di leadership carismatiche e personali. 

Insomma, con molti anni di ritardo, la magistratura si trova adesso sul bordo dello stesso abisso nel quale era precipitata la politica con la fine dei partiti tradizionali e la nascita di quelli carismatici, da quello di Silvio Berlusconi ai casi più recenti: il Movimento 5stelle di Beppe Grillo, il Partito democratico di Matteo Renzi, la Lega di Matteo Salvini. È questo il punto decisivo di tutta questa storia: la mancanza di corpi intermedi pone sempre – in politica, tra i magistrati, ovunque – un evidente problema di rappresentanza democratica, liberando nello stesso tempo il desiderio di potere. 

Il problema, detto altrimenti, è nella storia stessa della seconda repubblica. Anzi: il problema è la seconda repubblica. Oggi, con i tre poteri dello stato in crisi, esautorati di ogni funzione politica e perfino istituzionale, e soppiantati da una gestione sempre più personalistica, non è ben chiaro su quale impalcatura potrà poggiare la democrazia parlamentare. L’unica certezza è che la terza repubblica è ancora solo un deserto inquietante, popolato da leader carismatici. 

Rif: https://www.internazionale.it/opinione/alessandro-calvi/2019/06/14/palamara-inchiesta-magistratura

Il guaio del Csm non sono le correnti, ma Lotti. Maddai!

Davanti all’intercettazione di Luca Lotti che dice del vicepresidente del Csm David Ermini “però qualche messaggio gli va dato forte”, mi piacerebbe poter esclamare, come una Francesca Cipriani qualsiasi al cospetto di Salvini: “Quella voce mi ha scombussolato”. Ma non va così, il circo mediatico è una ruota, e se sei caduto in basso come Lotti la tua voce fa schifo. Però qualcosa non quadra. Luca Lotti è un deputato, ed è anche come si sa un imputato, ma in una faccenda che nulla c’entra col Csm. E’ stato intercettato, intercettazione ambientale, mentre inopportunamente (certo) parlava con Palamara e altri di magistratura. L’intercettazione è pubblicata, ed è regolare che lo sia, anche se è del tutto inutile. Parlare con Palamara non è un reato, seppure il pg di Cassazione Riccardo Fuzio abbia detto che “si è determinato l’oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell’ufficio di procura”, eccetera. L’oggettivo sfugge un po’. Ma soprattutto, fare di Lotti (o del prossimo politico) il simbolo del male di un sistema in cui il male è invece altro, e sono i comportamenti dei magistrati, e non dei politici, è truccare le carte, è impedire la comprensione dei fatti. E quando l’ex procuratore nazionale antimafia e fresco europarlamentare del Pd Franco Roberti sentenzia che “ci troviamo di fronte a fatti gravissimi, che aprono una questione morale… che riguarda i magistrati ma anche la politica. A partire dal Pd”, è chiaro che la comprensione dei fatti è proprio poca. Se lo ricorda, Roberti, quel che diceva Caponnetto del Csm?

rif: https://www.ilfoglio.it/contro-mastro-ciliegia/2019/06/14/news/il-guaio-del-csm-non-sono-le-correnti-ma-lotti-maddai-260343/

Lo scandalo Csm è il 1992 della magistratura (anzi, è ancora peggio)

Inutile cercare di negarlo: la Magistratura si trova al centro di uno scandalo di proporzioni e ramificazioni mai viste, che mina la consistenza di uno dei poteri fondamentali dello Stato. Urge l’intervento di Mattarella.

Non è solo una questione di soldi e regalie per influenzare le indagini e le sentenze. Non è solo una storia di fughe di notizie e di violazioni del segreto istruttorio. Non è solo una storia di influenze e di ricatti politici per influenzare le nomine dei magistrati in questa o in quella procura. E no, non è nemmeno un caso Lotti, o un caso Mattarella, come oggi prova a definirlo qualche organo di stampa. L’indagine sul giudice Luca Palamara, ogni giorno che passa e che emergono nuovi dettagli, squarcia il velo dietro il quale si nascondeva il sistema giudiziario italiano e in particolare il suo principale organo di autogoverno, quel Consiglio Superiore della Magistratura di cui, a oggi, sono dimissionari tre membri su sedici, più due autosospesi. Ed è, al pari di quanto accaduto nel 1992 con la politica, l’amara attestazione di ciò che tutti sospettavamo. Che dietro il paravento dell’autogoverno e dell’autonomia del potere giudiziario si cela un sistema profondamente malato, in cui sembra essere regola ciò che è perlomeno inopportuno, pervaso da un senso di impunità simile, se non identico, a quello dei politici della prima repubblica.

Ricapitoliamo, per chi si fosse perso qualche passaggio. Stando alle intercettazioni – pubblicate dai giornali e arrivate loro non si sa bene come, ça va sans dire – Luca Palamara, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati avrebbe ottenuto soldi e regali da alcuni lobbisti vicini a importanti imprenditori per influenzare alcune sentenze. Palamara sarebbe poi venuto a conoscenza dell’indagine su di lui grazie alle sue amicizie tra i colleghi. A quel punto avrebbe cercato di influenzare la nomina del prossimo procuratore di Perugia, in modo da avere un alleato a capo dei magistrati che stavano indagando su di lui. E per farlo, avrebbe avvicinato Luca Lotti, braccio destro e uomo forte di Matteo Renzi nel governo Gentiloni e Cosimo Ferri, sottosegretario alla giustizia, pure lui Pd e pure lui renziano, dopo un passato in Forza Italia. Le intercettazioni, in questo contesto, avrebbero coinvolto diversi membri del Csm, cosa che ha portato tre di loro a dimettersi, e due ad autosospendersi. Ciliegina sulla torta, Palamara sarebbe stato informato di avere un trojan all’interno del proprio telefono da una non meglio precisata “fonte del Quirinale”, così da coinvolgere nel presunto scandalo anche il presidente della repubblica Sergio Mattarella, che del Csm è il Presidente, e che finora, sorprendentemente, non aveva proferito parola sullo scandalo.

Dietro il paravento dell’autogoverno e dell’autonomia del potere giudiziario si cela un sistema profondamente malato

Lo diciamo subito. Siamo ancora nell’alea delle indagini, a commentare intercettazioni non ancora depositate e comportamenti che in molti casi non hanno nulla di illecito, ma solo un gigantesco profilo di inopportunità. Per dire, che Lotti, indagato a Roma, parli della nomina del procuratore capo di Roma con Palamara non è niente di bello da leggere. Quel che atterrisce, semmai, sono le reazioni allo scandalo. “O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti”, ha dichiarato il vice presidente del Csm Davide Ermini. “L’unica vicenda che mi pare assimilabile, sotto più aspetti a quella che stiamo vivendo in questi giorni è quella dello scandalo P2 dei primi anni ’80 del secolo scorso”, ha rincarato la dose il consigliere Giuseppe Cascini di Area, la corrente di sinistra della magistratura. “Ci troviamo di fronte a fatti gravissimi, che aprono una questione morale, di etica della responsabilità, che riguarda i magistrati ma anche la politica”, ha chiosato l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, ora eurodeputato Pd.E pure il no comment dietro cui si è trincerato il presidente della repubblica e del Csm Sergio Mattarella, a suo modo, fa più rumore di mille parole.

Dall’altra parte del palco ci siamo noi tutti, e non è un bello spettacolo. Che assistiamo a queste dichiarazioni senza capire bene cosa stia succedendo dentro un organismo, il Consiglio Superiore della Magistratura, che ha un potere enorme, garantito dalla Costituzione e confermato da decenni di pratica politico-istituzionale. Se l’indagine riguarda il solo Palamara, perché getta discredito su tutta la categoria? Se l’influenza dei politici sulle nomine riguarda i soli Lotti e Ferri, perché si parla di “giochi di potere e traffici venali”, come se fossero pratiche diffuse? E ancora: perché Pignatone, stando a quanto dicono le intercettazioni, andava spesso cena con Centenaro, l’amico di Palamara? E come mai, nello stesso giorno, due giornali come La Repubblica e Il Fatto Quotidiano escono con notizie e intercettazioni così diverse e contrastanti tra loro? È tutto qua, quello che stiamo vedendo, o Luca Palamara è una specie di Mario Chiesa della magistratura, la prima tessera di un devastante effetto domino?

Quanto ci fideremmo di un’assoluzione, sapendo di membri del Csm che pilotavano indagini e sentenze in cambio di mazzette?

Sono domande pesanti, cui speriamo indagini accurate e qualche fuga di notizia in meno daranno presto risposta, nonostante i tempi biblici della giustizia italiana. Anche perché un Paese come l’Italia, in cui proliferano alcune tra le mafie più potenti del mondo e in cui il malaffare e la corruzione sono malattie ormai endemiche e auto-immuni, una delegittimazione totale dell’indipendenza e della terzietà della magistratura avrebbe effetti devastanti. Se da domani un politico o un imprenditore fosse indagato da una procura, ad esempio, saremmo portati a pensare che possa essere un favore a un suo avversario. E quanto ci fideremmo di un’assoluzione, sapendo di membri del Csm che pilotavano indagini e sentenze in cambio di mazzette?

Ultimo, ma non meno importante dei problemi: non abbiamo alcuno strumento per incidere su questa situazione. La magistratura si autogoverna proprio a partire dal Csm. E a meno che la politica non si prenda la responsabilità di una radicale riforma della giustizia – con tutti i rischi del caso – a partire proprio dal suo principale istituto di autogoverno, saranno gli stessi magistrati a decidere se e come eradicare il problema. Per questo, silente o meno, il ruolo del Presidente della Repubblica – non di Mattarella, ma dell’istituzione che rappresenta – è centrale. Perché solo lui, anello di congiunzione tra i tre poteri di questo Paese, può garantire una soluzione interna che non sia un colpo di spugna, o in alternativa una soluzione parlamentare che non sia una prevaricazione del potere legislativo ed esecutivo su quello giudiziario. Non ci azzardiamo a dire, nel Paese dei gattopardi, che nulla sarà più come prima. Ci limitiamo a rimarcare come negli stretti passaggi della Storia d’Italia, oggi come nel 1992, la crisi dell’economia e quella delle istituzioni vadano singolarmente a braccetto. Singolarmente, fino a un certo punto.

Rif: https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/14/palamara-csm-lotti-scandalo-mattarella-magistratura/42533/

Caos procure, Mattarella convoca elezioni Csm

Caos procure, Mattarella convoca elezioni Csm

lezioni suppletive per sostituire i due membri togati del Csm dimissionari, Luigi Spina e Antonio Lepre, rappresentanti della componente dei pm, in quanto non sostituibili con i primi dei non eletti, per “voltare pagina, restituendo alla magistratura prestigio e fiducia” incrinati per le vicende delle ultime settimane. E’ questa la motivazione alla base della decisione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha indetto le elezioni suppletive per i prossimi 6 e 7 ottobre dopo il caso procure.

Per il Capo dello Stato si tratta di un primo passo, al quale ne dovranno e ne potranno seguire altri, come ad esempio la modifica dei criteri di scelta dei membri del Csm. Proprio per questo, fanno notare fonti qualificate del Quirinale, Mattarella ha preferito indire le elezioni suppletive, “doverosamente” come recita il comunicato ufficiale del Colle, e non procedere allo scioglimento immediato del Consiglio. Questo infatti avrebbe comportato nuove elezioni con i criteri attuali, in contrasto con la volontà espressa da diverse parti politiche di arrivare ad un cambiamento delle procedure elettorali. In ogni caso occorreva dare subito un segnale, per restituire alla magistratura quella fiducia e quel prestigio incrinati dalle vicende emerse nelle ultime settimane. Considerazioni che il Presidente della Repubblica ha condiviso con i vertici del Csm e con il ministro della Giustizia, con i quali è stato ed è in continuo contatto.

Rif:https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/06/13/caos-procure-attivate-procedure-disciplinari_yVdZZvztCu5En4vNTN7eRI.html?refresh_ce