Il Palamara-gate e i veleni del palagiustizia

Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm finito al centro della bufera per lo scandalo nomine nella giustizia

La presidente del tribunale Rizzo a processo disciplinare per le chat con la toga dello scandalo. Le accuse: “Suggerì le nomine”.

Il “Palamara-gate” non risparmia neanche Firenze. La presidente del tribunale, Marilena Rizzo, finisce sotto procedimento disciplinare per le chat in cui suggeriva soluzioni per i posti da coprire, scambiate con l’ex membro togato del Consiglio superiore della magistratura protagonista dello scandalo nel mondo della Giustizia non ancora sopito. Rizzo e Palamara appartengono alla stessa corrente, Unicost. Dallo smartphone di Palamara, indagato per corruzione a Perugia, sono state estrapolate decine di chat con magistrati di tutta Italia (e di tutte le correnti).

https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/il-palamara-gate-e-i-veleni-del-palagiustizia-1.5562447

Terremoto al processo Saguto: “Procederemo per falsa testimonianza contro altri magistrati”

inita questa requisitoria trasmetteremo gli atti perché si proceda per falsa testimonianza nei confronti di una serie di magistrati, avvocati, amministratori giudiziari, coadiutori e alcuni di coloro che hanno fatto da testimoni in questo processo. Lo ha detto il Pm Maurizio Bonaccorso, nel corso della requisitoria del processo al cosiddetto “Sistema Saguto”, l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermoaccusato di una gestione disinvolta nella nomina degli amministratori dei beni confiscati.

L’accusa, sostenuta in aula anche dal Pm Claudia Pasciutti, ha preannunciato la richiesta alla fine della requisitoria di pene molto severe – ha detto Bonaccorso -, non esemplari perché le pene esemplari non fanno parte della nostra cultura giuridica, ma adeguate alla gravità dei reati contestati”.

Tremano dunque gli amici del cosiddetto “cerchio magico” della Saguto, radiata definitivamente dalla magistratura.

Durissimo l’affondo del pm Bonaccorso: “Questo è stato definito erroneamente il processo all’antimafia ma è solo il processo a carico di alcuni pubblici ufficiali che hanno tradito la loro funzione pubblica per interessi privati”. Comincia così la requisitoria all’aula Bunker di Caltanissetta. “Dobbiamo riconoscere che gli imputati hanno svolto un ruolo di contrasto nella lotta alla mafia – ha aggiunto Bonaccorso – ma aver fatto l’antimafia non dava una sorta di ‘licenza di uccidere’, una ‘licenza a delinquere’. Non si può consentire di mortificare la funzione di magistrato con attività predatorie”. E ancora: “Non credano gli indiziati di mafia che hanno avuto i beni confiscati, di rifarsi una verginità con questo processo, non ci sarà alcuna riabilitazione per loro”.

Saguto e Cannizzo

Quindici gli imputati nel processo. Sotto accusa, oltre a Silvana Saguto, ci sono il padre, Vittorio Saguto, il marito Lorenzo Caramma e il figlio Emanuele, gli amministratori giudiziari Gaetano Cappellano Seminara, Walter Virga, Aulo Gigante e Nicola Santangelo, il colonnello della Dia Rosolino Nasca, i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano, la moglie e la collaboratrice di Provenzano, Maria Ingrao e Calogera Manta, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, l’ex giudice della sezione misure di prevenzione Lorenzo Chiaramonte. Gli imputati sono accusati di aver gestito in maniera disinvolta i beni confiscati alla mafia.

L’AUTODIFESA DELLA SAGUTO: “Mai contatti con Virga”

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“Vorrei partire dalle modifiche dei capi di imputazione. Non c’è una conversazione, una frase, o un rapporto con il dottore Tommaso Virga. L’ho incontrato rare volte andando a messa e neanche mi ricordavo il nome tanto che lo chiamavo Antonio. Quindi quale potrebbe essere l’interesse di nominare il figlio?”. Lo ha detto questa mattina Silvana Saguto, nel corso dell’udienza all’aula bunker di Caltanissetta.

Ho portato la famosa agendina – ha continuato Saguto – di cui tanto si è parlato. Non l’ho prodotta soltanto per evitare ulteriori gossip. Sono tutte le persone che mi annotavo come persone di fiducia, brave, che già si erano occupate di attività simili. Ma Tommaso Virga non mi ha manifestato questa intenzione. L’unica cosa che mi ha manifestato è stato che ci ha pregato di toglierlo. L’unica volta in cui ho parlato con Tommaso Virga di suo figlio è quando mi ha detto per favore fatelo dimettere. Io lo definisco un ragazzino da niente perché non ha retto l’impatto mediatico che tutti gli altri avevamo retto”. Il processo ha avuto inizio il 22 gennaio del 2018, le udienze previste per le discussioni proseguiranno fino ad aprile.

“CON RAPPA NON C’ENTRO NULLA”

“Io di Rappa ho saputo soltanto da Fabio Licata che aveva avuto una lettera di encomio da parte della concessionaria che avevano aumentato le vendite. E basta. Io con Rappa non c’entro nulla. Ha aggiunto Silvana Saguto, rendendo dichiarazioni spontanee. Vincenzo Corrado Rappa, nipote dello storico costruttore palermitano a cui è stato sequestrato e poi parzialmente restituito un patrimonio milionario, nel processo si è costituito parte civile contro Walter Virga. “Più volte – ha continuato Saguto – ho avuto contestato di essere stata l’artefice di provvedimenti. I provvedimenti giudiziari si fanno in tre. Non avevo degli sprovveduti accanto. Tutte le persone che portavano un curriculum avevo interesse a nominarli considerato che li vagliavamo in tre? Io motivavo i decreti, erano corposi”.

“DA PARTE MIA MASSIMA DILIGENZA”

Silvana Saguto-Le Iene

“Io ho dato tutto quello che ho potuto e ho gestito con il massimo della diligenza possibile. Gli errori sono sempre possibili”. Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, protagonista principale del processo sul cosiddetto Sistema Saguto, ha concluso con queste parole le sue dichiarazioni spontanee rese stamane nel corso dell’udienza all’aula bunker di Caltanissetta.
“Mi è capitato una volta di nominare un perito nuovo: un ragazzo – ha ricordato -, che stando a quanto mi era stato detto quella perizia non la sapeva fare. E quindi informalmente ho incaricato un’altra persona. Quello che noi guardavamo era il buon andamento generale e comunque nel massimo della trasparenza. I miei provvedimenti sono tutti motivati. Quella che non motivava mai era la dottoressa Claudia Rosini. Quelli sì erano quasi monocratici. Anche se la Rosini si erge e dice di mostrarsi dispiaciuta del lavoro che svolgevamo, il marito aveva tre incarichi. E’ rimasto fino a quando io me ne sono andata”.

“SONO INNOCENTE, LA PROVA È LA MIA AGENDA”

“L’accusa sostiene che con questa agenda blu io voglio sostenere che sono tutti colpevoli, io invece l’ho esibita per provare che sono innocente”. Così ha proseguito la Saguto in aula, riferendosi all’agenda nella quale l’ex giudice, radiato dalla magistratura, ha conservato i bigliettini da visita di colleghi che le avevano segnalato i nomi di persone da nominare come amministratori giudiziari.

L’imputata non ha ritenuto di dovere consegnare l’agenda, come invece ha sollecitato il Pm Maurizio Bonaccorso, protagonista di un acceso diverbio con il difensore della Saguto.

Rif: https://www.ilsicilia.it/terremoto-al-processo-saguto-procederemo-per-falsa-testimonianza-contro-altri-magistrati/

Processo Saguto, indagati due avvocati: “Avrebbero istigato testimoni a mentire”

Mafia: Cassazione conferma, giudice Saguto via da magistratura

La Procura di Caltanissetta ha notificato l’avviso di conclusione indagini nei confronti di cinque persone – tra cui due avvocati – nell’ambito del processo a Silvana Saguto. Si tratta degli avvocati Liborio Paolo Pastorello e Antonio Maria Falzone, dei testimoni Roberto Pagano e Alessandro Bonanno e dell’amministratore giudiziario Carmelo Provenzano. Secondo la ricostruzione dell’accusa – sopportata da alcune intercettazioni – i due avvocati avrebbero istigato i testimoni a dichiarare il falso.

Rif:https://www.grandangoloagrigento.it/giudiziaria/processo-saguto-indagati-due-avvocati-avrebbero-istigato-testimoni-a-mentire

Accusato di mafia assolto dopo 12 anni, “Ci hanno preso tutto”

Accusato di mafia assolto dopo 12 anni, “Ci hanno preso tutto”
Giudice Saguto a processo per corruzione

Pubblichiamo, in collaborazione con Nessuno tocchi Caino, la sesta di un ciclo di storie sulle vittime delle misure interdittive e di prevenzione antimafia.

Luglio 2008, ho 15 anni. Apprendo da un quotidiano acquistato all’edicola che mio padre è un mafioso, vedo la sua faccia stampata su quella pagina di giornale. Mi faccio prendere dal panico e gli telefono: lui mi rassicura, mi dice che è tutto falso e di stare tranquillo perché si tratta soltanto di un errore. In quegli stessi giorni, i giornali in Umbria titolavano: «Arrestato Paolo Faraone, Ministro della mafia in Umbria. Sequestrati beni per 2.500.000 euro». Anche qualche telegiornale diede la notizia.

Secondo l’accusa, il boss di Palermo Lo Piccolo aveva fornito le referenze di mio padre alla famiglia mafiosa dei Madonia per riciclare capitali illeciti nel sito umbro. In realtà mio padre a Terni aveva rilevato un ristorante con il ricavato della vendita di alcune proprietà e con i prestiti bancari. Insomma, tutto tracciabile, nulla a che vedere con ipotesi di intestazioni fittizie. Tant’è che lo stesso Tribunale di Terni ritenne che le indagini erano a tal punto sommarie da non poter formulare alcun capo d’accusa. Ai tempi ci sembrò che fosse tutto finito, ma ci sbagliammo.

I magistrati di Palermo, per gli stessi fatti, avviarono un altro processo penale e sequestrarono tutti i beni della mia famiglia. Il sequestro fu poi revocato dal Tribunale del Riesame che lo ritenne di origine lecita. Anche questa volta, ci illudemmo che tutto fosse finito, ma ci sbagliammo nuovamente. Lo stesso patrimonio appena dissequestrato venne risequestrato dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, allora presieduta da Silvana Saguto, la stessa che qualche anno dopo sarebbe stata radiata dalla Magistratura perché accusata di reati gravissimi che vanno dall’associazione a delinquere alla truffa, passando per il peculato e l’abuso d’ufficio.

Dalle “motivazioni” di quel provvedimento emergeva che mio padre, da ministro della mafia in Umbria, era stato “declassato” a prestanome di un certo Lo Cricchio. A questo punto mio padre viene stretto nella morsa micidiale di due processi: il processo penale e quello delle misure di prevenzione. Il primo si è concluso con un nulla di fatto perché i giudici, dopo anni e anni, si sono accorti che i fatti erano avvenuti in un distretto diverso da quello di Palermo. Il secondo si è definito con l’applicazione della confisca di tutto il patrimonio e della sorveglianza speciale per due anni. Il tutto da innocente. Da quando è cominciata questa maledetta vicenda, la vita della mia famiglia è cambiata bruscamente e irrimediabilmente. Il sequestro ha reso impossibile a mio padre anche pagare per un buon avvocato. Si è ritrovato senza reddito, senza lavoro, senza casa. Un padre che, nonostante la distanza geografica che lo separava dai suoi due primi figli, me e mia sorella Flavia, riusciva a tornare giù a Palermo ogni fine settimana o quasi; un padre che garantiva economicamente per i suoi tre figli, ora non più in grado di poter garantire nemmeno sé stesso. Mia sorella è stata costretta ad abbandonare la sua passione, la danza; abbiamo perso la casa; le volte in cui io e mia sorella riuscivamo a spendere del tempo con nostro padre e nostro fratello più piccolo Gabriele si ridusse prepotentemente.

La sensazione di essere vittima dello Stato – o meglio, di chi dice di rappresentarlo – è difficile da descrivere. Ci si sente traditi, perché ci si vede attaccati da chi dovrebbe difendere te, i tuoi diritti; ci si sente schiacciati, perché non è possibile difendersi dal sospetto. A lungo mi sono chiesto se la valanga che ci ha travolto fosse stata innescata da un errore giudiziario, uno di quelli che in una democrazia, seppur atrocemente, possono capitare perché l’uomo non è infallibile. La cattiva sorte che ci è capitata è la stessa di quella che ha colpito tanti imprenditori per bene le cui aziende sono state abbattute sotto i colpi di un sistema criminale para-legale che ha distrutto il tessuto economico siciliano. Persino tra i miei amici, ce ne sono alcuni che sono stati costretti a emigrare negliUsa per lavorare e vivere. Ma si può davvero spiegare un esproprio su così vasta scala col cattivo operato di qualche giudice che avrebbe creato un’associazione a delinquere per arricchirsi sulle spalle della gente?

Le reali cause vanno ricercate più a monte, esattamente in una legge radicalmente incostituzionale che permette di distruggere la vita di intere famiglie sulla base di semplici sospetti. Mi è stato spiegato che nella maggioranza dei casi a subire le misure di prevenzione sono persone che non hanno commesso alcun reato. Anche se un cittadino riesce a smentire le accuse più infamanti subirà comunque la confisca.
Devo ammettere che all’inizio non riuscivo a credere che nella “civilissima” Italia potessero esistere leggi tipiche dell’inquisizione ma alla fine la forza dei fatti mi ha costretto a ricredermi. Siamo di fronte alla negazione stessa dello Stato di Diritto! Il paradosso è che, all’ombra dell’antimafia, si è radicata una sorta di “dirigismo giudiziario dell’economia” che contende a ciò che resta della mafia vera il monopolio dell’oppressione del popolo siciliano. Una macchina infernale che garantisce vere e proprie posizioni di rendita a tutti coloro che gravitano attorno al mondo delle amministrazioni giudiziarie. Non occorre essere giuristi per capire che alla base delle diverse opinioni riguardo alle misure di prevenzione vi è una scelta di campo di tipo culturale.

Da un lato c’è chi ritiene che una persona che non ha mai subito una condanna sia un innocente; dall’altro c’è chi l’accusa di essere un colpevole sfuggito alle maglie troppo larghe della giustizia penale. La seconda opzione, purtroppo, raccoglie molto consenso nella popolazione, in alcuni settori della Magistraturae sui media. È per questo che le misure di prevenzione sono considerate uno strumento “efficiente” e “indispensabile” nella lotta alla mafia: un congegno raffinato per rimediare ai processi penali troppo garantisti e agli errori dei giudici che non hanno condannato.

Mio padre non è mai stato condannato per mafia, in compenso è stato punito e distrutto da una misura di prevenzione antimafia. Prevenire è stato peggio che reprimere. Oggi, dopo dodici lunghi anni, la mia famiglia è ancora sommersa nella palude delle conseguenze dell’infame attacco giudiziario che abbiamo subito. Nonostante i danni economici, esistenziali e sociali, non ci siamo arresi e stiamo cercando di ottenere giustizia. A fianco di Nessuno tocchi Caino ci battiamo affinché la lotta alla mafia non sia un pretesto per sopraffare gli inermi cittadini.
Colpire degli innocenti, semplicemente, non è lotta alla mafia e una legge che lo consente non è una buona legge. Bisogna reagire a questa deriva autoritaria chiamata impropriamente “prevenzione antimafia” per difendere la dignità inviolabile dell’uomo, il diritto al lavoro e la libertà di impresa.

rif: https://www.ilriformista.it/accusato-di-mafia-assolto-dopo-12-anni-ci-hanno-preso-tutto-152185/

La Cassazione conferma: destituito dalla magistratura l’ex pm di Siracusa Maurizio Musco

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso avanzato dall’ex Pm Maurizio Musco confermando così la destituzione proposta dal Csm per non essersi astenuto da un’udienza il cui imputato era assistito dall’avvocato Piero Amara, con cui aveva un rapporto di amicizia. La sentenza – si legge sull’articolo de La Sicilia firmato da Francesco Nanìa – è stata emessa il 3 settembre al termine di un lungo iter nel corso del quale il magistrato aveva impugnato la decisione del Csm. La difesa di Musco, rappresentata dall’ex magistrato Marcello Maddalena, ha annunciato che ricorrerà alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

La Sezione disciplinare del Csm, a giugno del 2019, aveva già deciso di destituire dalla magistratura l’ex pm di Siracusa Maurizio Musco per aver tenuto comportamenti che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria e per non aver osservato l’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge.

Rif: https://www.siracusanews.it/la-cassazione-conferma-destituito-dalla-magistratura-lex-pm-di-siracusa-maurizio-musco/

Magistrati, ogni anno vengono archiviati 1200 procedimenti disciplinari ma nessuno sa perché

Magistrati, ogni anno vengono archiviati 1200 procedimenti disciplinari ma nessuno sa perché

Con il tacito consenso del ministro della Giustizia, ogni anno il Pg presso la Suprema Corte emette mediamente oltre 1200 provvedimenti d’archiviazione disciplinare, ma neppure il Csm li può leggere.

di Rosario Russo*

Lo scandalo delle Toghe Sporche è oggetto di procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Perugia. Inoltre, tutte le condotte dei magistrati inquisiti o coinvolti a diverso titolo dalle intercettazioni pubblicate dalla stampa sono – o saranno – oggetto di indagine disciplinare da parte del Procuratore generale della Suprema Corte di Cassazione.

Per legge, il Pg ha l’obbligo di esercitare l’azione disciplinare, per prevenire che egli possa agire pro amico vel contra inimicum, mentre il ministro della Giustizia ne ha soltanto la facoltà, che esercita in base a valutazioni sostanzialmente politiche.

Tuttavia, ricevuta una notizia disciplinare, con motivato provvedimento il Pg può discrezionalmente archiviare se il ministro non si oppone. Questo per effetto della riforma Mastella (2006) con cui è stata abrogata la disposizione che riservava al Csm la declaratoria di non luogo a procedere richiesta dal Pg al Csm, titolare del potere sanzionatorio nei confronti dei magistrati ordinari. Al Consiglio pervengono quindi soltanto le notizie disciplinari discrezionalmente non archiviate dal Pg.

Non è l’unica grave anomalia del sevizio disciplinare: malis mala succedunt. Con sentenza 6 aprile 2020 n. 2309 – in netto contrasto con lo spirito dell’Adunanza Plenaria 2 aprile 2020, n. 10 – il C.D.S. ha statuito che l’archiviazione del Pg è accessibile soltanto al ministro della Giustizia, restando perciò interamente opacaper l’autore della segnalazione disciplinare e perfino per il magistrato indagato e il Csm

Perché sono importanti questi rilievi? Perché nel periodo 2012-2018 (sette anni) risultano iscritte mediamente ogni anno 1380 notizie d’illecito disciplinare(segnalazioni con cui avvocati o cittadini denunciano abusi dei magistrati). Ogni anno il 91,6% di tali notizie (cioè 1264) è stato archiviato dal Pg e quindi soltanto per 116 di esse è stata esercitata l’azione disciplinare. Consegue che mediamente ogni anno oltre 1260 archiviazioni sono destinate al definitivo oblio, sebbene conoscerne la motivazione è tanto importante quanto apprendere le ragioni (a tutti accessibili) per cui le sanzioni vengono disposte dal Csm.

La ‘casa’ della funzione disciplinare, pilastro e primo avamposto della legalità, è dunque velata senza alcuna concreta ragione. Non è così infatti per altre archiviazioni. In ambito penale, se sia stata emessa l’archiviazione, qualunque interessato (indagato, terzo, denunciante o querelante) normalmente ha diritto di averne copia (art. 116 c.p.p.), essendo venute meno le ragioni della segretezza. Le archiviazioni disciplinari nei confronti degli avvocati sono d’ufficio notificate al denunciante; anche quelle nei confronti dei magistrati amministrativi sono ostese a chiunque ne abbia interesse. La segretezza delle archiviazioni disciplinari del Pg è quindi un inquietante unicum, specialmente a volere considerare che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo “l’abbandono di schemi obsoleti… secondo cui la miglior tutela del prestigio dell’ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare” (sent. n. 497/ 2000). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha sposato il principio generale della trasparenza (delibera del 5.3.2014).

e indagini penali nei confronti di taluni magistrati membri del Csm, coinvolti nello scandalo delle Toghe sporche, inevitabilmente hanno avuto – o avranno – anche un risvolto disciplinare. Se in qualche caso il Pg archiviasse – com’è in suo potere – non ne sapremo mai la ragione; eventuali archiviazioni in sede penale sarebbero invece accessibili. Absurdissimum, se si considera che, in sede disciplinare (come in sede penale), per il magistrato indagato l’archiviazione rappresenta l’esito più fausto e ambito (una… medaglia al valore giudiziario), anche rispetto alla sentenza di assoluzione emessa dal Csm o dalle Sezioni Unite (a tutti accessibile).

Introdotta finalmente la legge sulla trasparenza (D. lgs. n. 33/2013), è tempo che – specialmente in questa grave contingenza storica – anche la ‘casa’ dell’archiviazione disciplinare cessi di essere opaca senza alcuna plausibile ragione. Se la decisione amministrativa o giurisdizionale si distingue da “un pugno sul tavolo” soltanto in virtù della motivazione, non è ormai accettabile che al cittadino che abbia segnalato qualche abuso dei magistrati si risponda dicendo: archivio perché… archivio!

La rinascita della Giurisdizione, disfatta dal recente scandalo delle Toghe sporche, ne presuppone la piena e completa trasparenza.

* già sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte. Classe 1947, catanese, si laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti e la lode. Vincitore di borsa di studio, è professore a contratto presso l’Istituto di diritto privato etneo, diretto dal prof. G. G. Auletta. Nominato magistrato ordinario, presso i Tribunali di Caltagirone e Catania si occupa di diritto civile ma anche di maxiprocessi in Corte di Assise d’appello. Ha fatto parte dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia. Prima del pensionamento, ha svolto per oltre diciotto anni le funzioni (civili, penali e disciplinari) di sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte. Si è occupato dell’informatizzazione del sistema giudiziario e dei maxiprocessi. È autore di articoli e monografie di carattere prevalentemente giuridico. Scrive abitualmente sul sito Judicium.it, diretto dal prof. B. Sassani.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/07/10/magistrati-ogni-anno-vengono-archiviati-1200-procedimenti-disciplinari-ma-nessuno-sa-perche/5862432/

Rinascita Scott, Petrini e le promesse di danaro di Pittelli per aggiustare processi

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Nella cospicua mole di atti consegnati dalla Dda di Catanzaro al gip Claudio Paris nel corso dell’udienza preliminare su Rinascita Scott, l’inchiesta che ha fatto tremare le famiglie di ‘ndrangheta del Vibonese, compaiono i verbali di interrogatorio del magistrato Marco Petrini resi nell’ambito dell’inchiesta della distrettuale di Salerno, nome in codice “Genesi”, che svela un sistema corruttivo tra toghe sporche, legali e professionisti, un “patto” finalizzato ad “aggiustare processi in cambio di soldi”. In questi interrogatori emerge il nome di Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia, in arresto dal 19 dicembre dell’anno scorso, quando i carabinieri del Ros gli misero le manette ai polsi, nell’ambito della maxi operazione Rinascita Scott, coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri.

“L’omicidio Gentile e le promesse di Pittelli”

Il carteggio comprende l’interrogatorio di Petrini datato 5 febbraio 2020, in parte omissato, in cui il magistrato riferisce di conoscere il noto legale catanzarese, in quanto difensore di imputati in procedimenti da lui decisi come presidente del collegio di Corte di appello. Petrini confessa di aver ricevuto la promessa della dazione di una somma di denaro di 2.500 euro in cambio dell’esito favorevole di un processo a carico di un imputato da lui difeso, condannato in primo grado, collocando l’episodio in epoca successiva alla sua cessazione dalla carica parlamentare. “Dico ciò anche perchè durante il suo mandato parlamentare l’avvocato Pittelli aveva di fatto smesso di esercitare la professione di avvocato e comunque non era più presente in udienza, come prima di diventare parlamentare. La proposta corruttiva fattami personalmente dall’avvocato Giancarlo Pittelli avvenne nei locali della Corte di appello” e risale al 2016, ammettendo di aver accettato la promessa di ricevere il danaro in cambio dell’assoluzione dell’imputato da lui assistito. “L’imputato venne assolto dalla Corte di assise di appello se ben ricordo”. Il magistrato non rammenta in quella sede il fatto omicidiario che vedeva coinvolto l’imputato difeso da Pittelli, ma sarà più chiaro nell’interrogatorio del 25 febbraio  quando, dopo aver riferito di non aver ricevuto, nonostante l’esito favorevole, alcuna somma da Pittelli e dopo aver precisato di non aver avuto un buon rapporto con lui, parla del processo riguardante l’omicidio Gentile, ucciso nei pressi dei giardini di San Leonardo e che ha come imputato Nicholas Sia. I ricordi si fanno più nitidi ricordando che la Corte ridusse all’imputato la pena su sua proposta.  “Ribadisco che io ero relatore e la somma promessami da Pittelli non mi fu poi consegnata. Poi parla del  procedimento di Rocco Delfino: “mi fu promesso denaro ugualmente da Pittelli, si trattava di un procedimento di prevenzione patrimoniale per il quale si chiedeva la revocazione di un provvedimento di confisca definitivo emesso dal Tribunale di Reggio Calabria . Ricordo che il processo fu trattato alla presenza dell’avvocato Pittelli e dello stesso Delfino, il giorno precedente l’arresto di entrambi da parte della Dda di Catanzaro il 19 dicembre dell’anno scorso. Per questa vicenda la decisione non è stata adottata per quel che mi risulta.

Il patto da 2.500 euro

La promessa della somma di denaro per revisionare il provvedimento di confisca patrimoniale di Delfino  mi fu fatta da Pittelli nel novembre 2019 in Corte di appello. Ciò lo ricordo perché era in corso di trattazione il processo penale a carico di Nicholas Sia per il quale, come ho detto, ho accettato la promessa di 2.500 euro dallo stesso avvocato Pittelli

Sentenze truccate: niente patteggiamento per giudice Antonio Iannello

SCAFATI – Respinta la richiesta di patteggiamento, l’ex giudice di pace Antonio Iannello ora rischia di finire a processo insieme ad altri sette co-imputati. Il procedimento penale è quello sulle cosiddette “toghe sporche” di Torre Annunziata, fascicolo in mano al pm Anna Chiara Fasano del Tribunale nocerino. Nei giorni scorsi, infatti, il gip ha respinto la richiesta dell’avvocato Iannello, originario di Scafati, personaggio cardine dell’inchiesta, coinvolto nel presunto giro di mazzette e abusi al tribunale di città Oplontina.

L’ex magistrato onorario, sotto accusa per corruzione in atti giudiziari, aveva chiesto di patteggiare la pena al termine della fase preliminare partita con il blitz del 27 settembre 2018, nel quale furono coinvolti altri 22 soggetti accusati a vario titolo sempre di corruzione in atti giudiziari. L’attività investigativa era parte di un più ampio contesto d’indagine sviluppato prima dalla Guardia di Finanza di Torre Annunziata, poi da quella di Roma, e infine dalle Fiamme gialle di Nocera Inferiore. Nel corso delle indagini, a seguito delle diverse verifiche incrociate svolte dalla polizia giudiziaria delle Fiamme gialle, Iannello aveva subito un sequestro penale per il pericolo di reiterazione e inquinamento del quadro indiziario, soprattutto in merito alla ricostruzione di sospette movimentazioni bancarie avvenute dopo la notifica dell’ordinanza cautelare. Nel frattempo l’inchiesta è giunta alle prime condanne, tutte con rito alternativo.

Nel mirino delle Fiamme gialle erano finiti Giudici di Pace, consulenti, avvocati e procacciatori. Alcuni hanno chiuso la pendenza giudiziaria con il patteggiamento. Su Iannello i finanzieri hanno ricostruito operazioni di acquisto di veicoli e immobili intestati alla figlia, depositi in nome di familiari, numerosi versamenti bancari in denaro contante. Operazioni accertate nel periodo tra il 2015 e il 2018. E ancora bonifici dalle causali più svariate che coinvolgono anche le collaboratrici di studio, finite a loro volta nell’inchiesta che fece tanto scalpore.

Gli investigatori hanno intercettato acquisti sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati nonché captato intercettazioni telefoniche con un luogotenente dei carabinieri, a sua volta indagato, sulle preoccupazioni di Iannello sui possibili accertamenti bancari. Anche i social, definite dal gip “fonti di informazioni aperte”, offrirono altri spunti per la ricostruzione del tenore di vita di Ianiello e della sua famiglia ritenuto non confacente con i redditi dichiarati: viaggi e spostamenti dai costi importanti e una crescita patrimoniale quanto mai sospetta. Per la procura costituirebbero variabili illecite, indicatrici preziose.

L’inchiesta è arrivata ora alla fase finale e l’ex giudice rischia il rinvio a giudizio insieme ad altri sette correi. Per quanto riguarda Iannello, l’avvocato di fiducia Francesco Matrone aveva scelto per lui lo scivolo del patteggiamento. Richiesta che aveva incassato anche il parere favorevole del pm Fasano. Il gip del Tribunale dell’Agro, invece, non è stato dello stesso avviso ed ha rigettato la proposta, rinviando a giudizio l’ex magistrato ordinario. Ora si attende la convocazione dell’udienza preliminare che dovrà decidere se Iannello dovrà essere mandato a processo per le gravi accuse di corruzione.

Rif: https://www.lacittadisalerno.it/cronaca/scafati-sentenze-truccate-niente-patteggiamento-1.2502127

Magistratura corrotta, Paese infetto

Il vero obiettivo della politica sembra essere quello di riconquistare il controllo sul sistema giudiziario italiano che viene gestito ormai da tempo da un’associazione di magistrati all’interno della quale si continuano a verificare scontri e guerre intestine senza esclusioni di colpi, al cui confronto la battaglia politica sembra un gioco per educande..

ROMA – Le chat private di alcuni magistrati che esprimevano giudizi pesanti su Matteo Salvini sono state l’ultimo durissimo colpo alla credibilità della giustizia. Claudio Martelli, ex guardasigilli all’epoca del governo Craxi (1991-1993) ha commentato lo scambio di messaggi tra i magistrati Luca Palamara e Paolo Auriemma: “Da Palamara che cosa vuole aspettarsi? In questa situazione bisognerebbe arrivare a un rimedio decisivo. È del tutto evidente che l’Anm è diventata un’organizzazione che parassita lo Stato e permette di condizionare le scelte del Csm, perché influisce sull’elezione dei suoi membri. Si comporta come un partito politico. Contesta le decisioni del Parlamento, del governo e del ministro della Giustizia ogni due minuti. È un organismo che non si capisce più bene che cos’è, ma che comunque sembra votato a mal fare”.

Per Martelli a questo punto c’è solo una cosa da fare: “L’Anm andrebbe sciolta. Fa del male ai magistrati e alle istituzioni, dunque è una minaccia”. Un commento profetico. Adesso l’Anm, l’ Associazione nazionale dei magistrati, o meglio le sue correnti interne, sono state travolte dal grave contenuto delle intercettazioni, cercando di trascinare con sè persino il Consiglio Superiore della Magistratura.

Più di qualcuno adesso chiede al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di sciogliere l’attuale Consiglio Superiore della Magistratura che egli stesso presiede, di mandare a casa il vicepresidente David Ermini e i suoi consiglieri, nonostante il Capo dello Stato in realtà non abbia alcun potere in proposito, e peraltro sia anche prossimo alla scadenza del suo mandato presidenziale. 

Luca Palamara

Pochi ricordano e molti dimenticano che soltanto quasi un anno fa, quando esplose il “caso Palamara” ed il conseguente terremoto che propagò all’interno della magistratura inducendo alle dimissioni dei componenti togati (cioè magistrati) al Csm, era stato lo stesso Mattarella a chiedere un cambio di comportamento, intervenendo in qualità di presidente al plenum del Csm pronunciando parole durissime con le quali chiedeva un “cambio dei comportamenti” sostenendo che “accanto a questo vi è quello di modifiche normative, ritenute opportune e necessarie, in conformità alla Costituzione“. Ruoli diversi, tra magistratura e politica, con quest’ultima che avrebbe dovuto provvedere ad «una stagione di riforme sui temi della giustizia e dell’ordinamento giudiziario». 

Sei mesi dopo attraverso il deposito degli atti d’indagine sul “caso Palamara” al Giudice delle Indagini Preliminari di Perugia trapelano le intercettazioni acquisite grazie al “trojan” inoculato nel cellulare di Palamara, che coinvolgono anche molti giornalisti di importanti quotidiani nazionali come la Repubblica, la Stampa, il Corriere della Sera, e strani collegamenti (peraltro vietati dalla Legge) di alcuni di loro con delle costole dei “servizi” italiani.

“E secondo te io mollo? Mi devono uccidere. Peggio per chi si mette contro“. Con queste parole Luca Palamara la mattina del 23 maggio 2019 contenute nei messaggi inviati al suo collega (anche di corrente) Cesare Sirignano , si mostrava aggressivo e sicuro del fatto suo . La 5a Commissione Incarichi direttivi del Csm aveva appena espresso con il proprio voto i tre candidati per la guida della Procura di Roma, che vedeva in testa Marcello Viola, appoggiato dal gruppo Magistratura Indipendente e reale candidato “occulto” di Palamara, anche se la battaglia finale si sarebbe combattuta al plenum del Csm, e quindi l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (nonché ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura) si “armava” contro i membri togati di Area, il cartello che raduna la sinistra giudiziaria più estremista , decisi ad ostacolare la nomina sponsorizzata da Palamara. il quale li definiva con queste parole: «Sono dei banditi, vergognosi».

Palamara a cena con la sua “amica” del cuore… Adele Attisani 

Questa parte del dialogo intercettato si è rivelato utile per capire quale fosse la reale posta in gioco per la quale l’ex pm della procura di Roma oggi indagato per corruzione si preparava a giocare partita della sua carriera. Tutto questo è diventato “pubblico” la settimana successiva, contenuto nel decreto di perquisizione con il quale la Procura di Perugia rese pubbliche di fatto le trame occulte con cui Palamara stava “manovrando” dall’esterno del Csm la nomina del nuovo procuratore capo di Roma, venendo sostenuto e spalleggiato spalleggiato dai deputati del Pd Cosimo Ferri (giudice in aspettativa e “leader” riconosciuto della corrente di  Magistratura indipendente) e Luca Lotti.

Luca Lotti (Pd) 

La rivelazione di quelle trame oscure provocò un vero e proprio “terremoto” all’interno del Csm, con le dimissioni di tre componenti di Magistratura Indipendente e due di Unicost e contestualmente la prima crisi interna all’Anm. La maggioranza a tre fra AreaMagistratura Indipendente ed Unicost si azzerò allorquando Magistratura Indipendente venne accusata di non aver agito con la necessaria fermezza nei confronti dei propri consiglieri che partecipavano alle “riunioni segrete notturne” organizzate dal “trio” Palamara-Ferri-Lotti, e fu così nacque una nuova maggioranza della giunta dell’ Anm composta da Area, Unicost che aveva «epurato» il suo leader Luca Palamara e i due componenti del Csm dimissionari, ed i togati di Autonomia e indipendenza la corrente guidata da Piercamillo Davigo.

Piercamillo Davigo

Dopo solo un anno siamo punto e capo con la nuova crisi dei nostri giorni. Ma questa volta la rottura fra le correnti della magistratura è avvenuta tra Area e Unicost, a seguito della chiusura dell’indagine nei confronti di Luca Palamara, per la quale la Procura di Perugia (competente sugli uffici giudiziari di Roma) ha depositato tutti gli atti d’inchiesta comprese le “bollenti” ed imbarazzanti intercettazioni.

Ma non soltanto, ci sono anche le chat delle conversazioni su WhatsApp dal 2017 in avanti,  trovate sul cellulare di Palamara che all’epoca delle intercettazioni era componente del Csm, sino al settembre 2018, e di fatto “governava” la magistratura raggiungendo spesso e volentieri accordi e alleanze con i togati di “Area” e i laici di centrosinistra, anche perché tra il 2008 e il 2012 aveva guidato l’Anm proprio al fianco di Area ).

Pietro Argentino e Maurizio Carbone

Un esempio calzante delle manovre dietro le quinte del Csm, fu l’archiviazione del procedimento disciplinare nei confronti del magistrato tarantino Pietro Argentino, accusato dal Tribunale di Potenza e dal Gip di Potenza di aver mentito per coprire le malefatte del collega Matteo Di Giorgio(attualmente in carcere dove sta scontando 8 anni di carcere), il quale subito dopo è diventato procuratore capo a Matera, incarico scambiato a tavolino con la nomina di Maurizio Carbone, ex segretario dell’ ANM, nominato “all’unanimità” (con l’appoggio di Unicost e Palamara) procuratore aggiunto di Taranto al posto proprio di Argentino ! Attualmente nei confronti dei magistrati “scambisti” Argentino e Carbone pende un procedimento dinnanzi alla 1a Commissione del Csm, che qualcuno aveva cercato di insabbiare e fare sparire. Inutilmente.

Gli attacchi a Salvini

Le conversazioni di Palamatra con i colleghi della sua stessa corrente (ma non mancano quelli di Area e di Mi), che rivelano e portano alla luce patti e manovre occulte per piazzare questo o quel magistrato nei vari posti, per poi “fotterne” altri , risalgono a quel periodo. Una vera e propria spartizioni di nomine e incarichi decisi con un bilancino correntizio, «espressive di un malcostume diffuso di correntismo degenerato e carrierismo spinto, fino a pratiche di vera e propria clientela», per usare un comunicato firmato da Area che pretendeva delle prese di posizione più rigide da parte di Unicost, e così ha origine la seconda crisi nel sindacato dei giudici. 

Palamara è stato in realtà un alleato della sinistra giudiziaria sino all’autunno 2018, ed è proprio da questa alleanza inimmaginabile che hanno origine gli attacchi al leader leghista Matteo Salvini in alcune conversazioni private, a cui hanno fatto seguito delle folli aperture di indagini sul leader leghista.

Alla fine agosto 2018 il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma ex membro togato del Csm e compagno di corrente in Unicost di Palamara manifesta il suo dissenso sull’ inchiesta aperta a carico del ministro dell’Interno, per la vicenda dei migranti trattenuti a bordo della nave Diciotti.  Palamara al telefono gli rispondeva: «Hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo». Chi era il mandante ? Probabilmente il PD in cui all’epoca dei fatti militavano Renzi, Ferri e Lotti.

Pochi giorni dopo Palamara manda una foto Francesco Minisci (sempre di Unicost) a quell’epoca presidente dell’Anm, scattata a Viterbo alla festa di Santa Rosalia, che così commenta: «C’è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto». Minisci risponde diplomaticamente «Va dappertutto». Qualche mese dopo proprio Minisci a finire “azzoppato” da Palamara, che così scriveva a Sirignano: “Già fottuto Minisci”.

Saltano gli equilibri: le nuove alleanze

Conclusosi il mandato al Csm a fine settembre cambiano alleanze, equilibri e schieramenti fra le correnti dei magistrati.. Perché nel nuovo plenum di Palazzo dei Marescialli (sede del Csm – n.d.r.) la corrente di Area non è più quell’alleato affidabile come prima e soprattutto Palamara ha intuito che non potrà contare sul loro sostegno per l’ambita poltrona di procuratore aggiunto a Roma , lasciata libera dal collega Giuseppe Cascini, da poco eletto al Csm, proprio grazie all’appoggio dell’ex pm che così manovrando aveva preparato una vera e propria staffetta a tavolino. 

E’ così che ha origine l’alleanza raggiunta da Palamara con la corrente di Magistratura Indipendente guidata dal “nume tutelare” Cosimo Ferri ex magistrato diventato deputato, ben noto per le sue capacità di trasformismo politico, passato dalla corte di Berlusconi , per poi passare con il Pd guidato da Matteo Renzi, che ha recentemente seguito ad Italia Viva). Un’accordo con la politica finalizzato alla nomina del nuovo procuratore capo di Roma e subito dopo di se stesso come procuratore aggiunto. 

Ma l’inchiesta per corruzione a suo carico ha fatto saltare il “banco”. portando alla luce un anno tutte le manovre dietro le quinte del Csm, l’intreccio delle sue imbarazzanti relazioni e vergognose opinioni. Non mancano gli intenti vendicativi (da buon calabrese…) contro i colleghi di Area. “Bisogna sputtanarli”, gli scriveva Sirignano, magistrato che il Csm ha trasferito la settimana scorsa dalla Procura Nazionale Antimafia, a causa di un’altra intercettazione in cui parlando al telefono con recentemente del suo ufficio e della prossima nomina del nuovo procuratore di Perugia, replicava convinto: «Esatto».

Luca Palamara e Cosimo Ferri

L’appello del Capo dello Stato in realtà aggiunge quindi ben poco allo scenario già noto di una continua e mai interrotta spartizione di poltrone ed incarichi in cui il Csm diventa la “centrale operativa” di magistrati eletti che ubbidiscono alle corrente che li hanno candidati ed eletti. Un sistema malato ricordato anche ieri con comunicati e prese di posizione che inducono il Governo e la maggioranza a ricordarsi che così la giustizia non può funzionare, e che occorre intervenire incidendo anche sui meccanismi di nomina del Csm. Qualcuno però dimentica che in questa maggioranza governativa politica siano presenti anche Cosimo Ferri (un magistrato in aspettativa) deputato del Pd ora passato con Italia Viva di Matteo Renzi, e Luca Lotti a lungo il braccio destro dell’ex-premier fiorentino, ora a capo di una propria corrente interna nel Partito Democratico.

Al momento però il vero obiettivo della politica sembra essere quello di riconquistare il controllo sul sistema giudiziario italiano che viene gestito ormai da tempo da un’associazione di magistrati all’interno della quale si continuano a verificare scontri e guerre intestine senza esclusioni di colpi, al cui confronto la battaglia politica sembra un gioco per educande.. 

Alquanto improbabile che si arrivi ad una reale riforma ed alla separazione delle carriere dei giudici come sono tornati a chiedere nuovamente anche ieri gli avvocati. La pubblicazione delle intercettazioni che continuano ad essere pubblicare in questi giorni dimostra che l’uso diabolico delle stesse continua ad essere utilizzato anche da parte di coloro che da tempo lo hanno criticato. Adesso più di qualcuno vorrebbe accompagnare alla porta d’uscita l’avvocato fiorentino Davide Ermini, il vicepresidente del Csm (indicato proprio dal Pd di cui è stato deputato ) , l’unico ad essere uscito a testa alta dallo scandalo scoppiato un anno fa, dimostrando di non aver mai ceduto alle pressioni di Lotti, Ferri e del magistrato Palamara i cui comportamenti gli sono costati in via cautelare la sospensione dalla magistratura senza stipendio ed a breve un processo per corruzione.

il magistrato Nicola Gratteri

Questa nuova stagione di intercettazioni ha colpito e mandato in pezzi l’Anm. I nuovi scandali hanno riguardato il rapporto tra il Guardasigilli Bonafede, i magistrati del suo staff pressochè tutti dimissionari, intercettati e coinvolti in vari scandali, hanno un filo rosso che li collega fra di loro: l’inchiesta sulla famosa “trattativa Stato-Mafia“. E tutto ciò fa capire come mai Renzi fu bloccato dal Quirinale (presidenza Napolitano) quando voleva nominare ministro di Giustizia nel suo Governo il magistrato Nicola Gratteri , e spiega la mancata nomina ai nostri giorni del magistrato antimafia Nino Di Matteo a capo del DAP il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

E dire che questa la chiamano anche “giustizia”…

Rif:https://www.ilcorrieredelgiorno.it/magistratura-corrotta-paese-infetto/

Inchiesta di Firenze, indagati ex pm Duchini e Colaiacovo: le accuse

Inchiesta di Firenze, indagati Duchini e Colaiacovo: le accuse

Avviso di conclusione delle indagini a 7 persone tra cui l’ex pm di Perugia | Tra i reati contestati, abuso d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio

La Procura di Firenze ha chiuso l’inchiesta sull’ex procuratore aggiunto di Perugia Antonella Duchini, indagata per corruzione, abuso d’ufficio, rivelazione di segreto istruttorio e peculato.

Tra gli indagati (l’avviso di conclusione delle indagini è arrivato a sette persone) anche Carlo Colaiacovo, patron Colacem ed ex presidente di Confindustria Umbria, gli ex sottufficiali del Ros, Orazio Gisabella e Costanzo Leone, e l’imprenditore Valentino Rizzuto.

Secondo la procura di Firenze, Colaiacovo avrebbe istigato i concorrenti nella commissione dei reati di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto. I fatti risalgono agli anni tra il 2016 e il 2017, quando Duchini, che indagava su un procedimento penale relativo alla famiglia Colaiacovo, “comunicava – si legge nelle carte – a Gisabella, e per suo tramite a Leone, notizie relative alla tempistica del compimento di atti di indagine del procedimento”.

Violando i loro doveri di ufficio”, sarebbero state fatte visionare a un dipendente delle consulenze tecniche e le trascrizioni di conversazioni telefoniche intercettate e una nota della guardia di finanza di Perugia. Inoltre, a Carlo Colaiacovo sarebbe stata “comunicata l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza della quota della società Financo di proprietà della Franco Colaiacovo Gold”, fatto – secondo l’accusa – concordando contenuti e tempistica dell’emissione, al solo scopo di “impedire l’erogazione di finanziamenti in favore di Giuseppe e Franco Colaiacovo”, favorendo quindi Carlo Colaiacovo nel suo progetto di acquistare quote.

Tesi che il diretto interessato respinge: contattato dal Corriere dell’Umbria, fa sapere di non aver commesso i fatti contestati, tra cui l’acquisto delle quote che non si è mai verificato.

Accuse respinte al mittente, in passato, anche dagli avvocati del magistrato, Nicola Di Mario e Michele Nannarone, che a metà luglio 2018 definivano gli addebiti “privi di fondamento giuridico”.

Tesi ribadita con una nota oggi, con cui Duchini, insieme a Gisabella e per tramite dei legali Di Mario e Nannarone, scrivono che “la lettura delle evidenzia delle criticità di contenuto, che riguardano da un lato l’inquadramento giuridico della vicenda e dall’altro la ricostruzione del suo profilo storico-fattuale”. I legali in particolare segnalano un “assoluto difetto degli elementi costitutivi dei reati” e che “le contestazioni di peculato riguardano decreti di liquidazione compensi per attività di consulenze tecniche svolte in modo effettivo e corretto e perciò doverosamente retribuite”.

Duchini è inoltre indagata, insieme a Gisabella, all’imprenditore Valentino Rizzuto per corruzione. Nel mirino della Procura i 108mila euro che Rizzuto avrebbe dato a Gisabella, “insieme ad altre utilità, consistenti nel pagamento di viaggi all’estero, per avere Duchini, d’intesa con l’avvocato Pietro Gigliotti (che non è indagato) compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio, quali, tra gli altri, avere definito favorevolmente il procedimento contro Rizzuto”.

A Gisabella, Duchini e altre due persone viene anche contestato il peculato (ma le accuse sono prescritte, in quanto risalgono a prima del 2011) e, nello specifico, di essersi appropriati di parte delle somme liquidate in favore di consulenti della procura, circa 400.000 euro.

Rif: https://tuttoggi.info/inchiesta-di-firenze-indagati-duchini-e-colaiacovo-le-accuse/538882/