Giudici pilotavano sentenze, arresti

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SALERNO, 18 OTT – Nuovi arresti nell’ambito delle indagini sulla Commissione Tributaria di Salerno. Carcere per altri sette indagati tra giudici, funzionari, commercialisti ed imprenditori. Non si ferma, dunque, l’indagine che lo scorso 15 maggio ha portato all’arresto di 14 persone.
    Alcuni indagati, arrestati precedentemente, hanno svelato ulteriori episodi di corruzione. L’iter di ulteriori dieci sentenze di secondo grado pronunciate dalla Commissione Tributaria Regionale Sezione distaccata di Salerno, risulterebbe essere stato pilotato in cambio di denaro. Tra gli arrestati un professionista di Avellino il quale, dopo aver ricoperto per anni l’incarico di giudice tributario a Salerno, da settembre dello scorso anno fa parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. I fatti contestati, concorso in 5 episodi di corruzione in atti giudiziari, sono stati commessi non in qualità di giudice tributario o consigliere, ma come intermediario corruttore che operava avvalendosi della conoscenza del personale.

Rif: http://www.ansa.it/campania/notizie/2019/10/18/giudici-pilotavano-sentenze-arresti_baf7b9e1-4d05-48d5-b33e-187ba18aac03.html

Ingroia, la Procura chiede di condannarlo a 4 anni. E lui scopre che «in Italia c’è malagiustizia»

ingroia

«Mi aspettavo un grazie e invece mi sono ritrovato sotto processo». Per Antonio Ingroia la richiesta a 4 anni di condanna per peculato, avanzata dalla Procura di Palermo, è un boccone amaro da mandare giù. L’ex pm, poi patron della lista Rivoluzione civile, ora avvocato, è a processo con l’accusa di essersi appropriato di 117mila euro di soldi pubblici non dovuti. I fatti contestati risalgono al periodo in cui era liquidatore della società Sicilia e-servizi, su incarico ricevuto dall’ex presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta.ADVERTISING

L’accusa: «Per tre mesi si è fatto pagare un anno»

«La richiesta della procura non mi sorprende,  dato l’accanimento e l’evidente ostilità nei miei confronti. Quello che è importante è che io so di aver operato nel giusto e di avere la coscienza a posto. Ho capito che c’è un’interpretazione alla rovescia dei fatti», ha commentato Ingroia, intervistato dall’Adnkronos. L’ex pm, sotto processo col rito abbreviato dinanzi al gup Maria Cristina Sala, secondo l’accusa, avrebbe ricevuto nel 2013 l’indennità spettante come amministratore e non come liquidatore e per soli tre mesi di attività si sarebbe fatto pagare il compenso di un intero anno.

Ingroia: «Ora vedo la malagiustizia in Italia»

«Mi aspettavo un grazie per il lavoro che ho svolto e mi aspettavo che le mie denunce avessero un seguito e invece ho assistito a un rovesciamento della verità», ha lamentato Ingroia. «I crimini e le cose veramente gravi dentro Sicilia e-servizi sono state fatte prima che io arrivassi e le ho puntualmente denunciate. Peccato però che le mie denunce si sono dissolte nel nulla», ha poi sostenuto. Ingroia, che adesso fa l’avvocato, ha affermato di credere comunque nella giustizia. «Sono fiducioso che alla fine la verità verrà a galla. Ora che faccio l’avvocato ho visto tanti casi di mala giustizia per l’Italia, ma credo anche che i giudici sapranno riconoscere la verità. Io – ha concluso – ho la coscienza a posto».

rif:https://www.secoloditalia.it/2019/10/ingroia-la-procura-chiede-di-condannarlo-a-4-anni-e-lui-scopre-che-in-italia-ce-malagiustizia/

Peculato, chiesti 4 anni per l’ex pm di Palermo Antonio Ingroia

L’ex magistrato si sarebbe appropriato di indennità non dovute quando, nel 2013, era liquidatore della società partecipata regionale ‘Sicilia e-Servizi’. Secondo l’accusa, ottenne un’indennità di 117mila euro, riducendo l’utile della società a poco più di 33mila euro

Il pm Piero Padova ha chiesto la condanna a quattro anni di carcere in abbreviato nei confronti dell’ex magistrato della procura di Palermo, Antonio Ingroia, accusato di peculato, in quanto si sarebbe appropriato di indennità non dovute quando era liquidatore della società partecipata regionale ‘Sicilia e-Servizi’.

L’inchiesta

L’indagine che ha portato al processo, in corso davanti al gup Maria Cristina Sala, è nata da una segnalazione della Corte dei conti relativa al periodo in cui Ingroia, su nomina dell’ex governatore della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, aveva ricoperto la carica di amministratore di ‘Sicilia e-Servizi’, società in house della Regione a capitale interamente pubblico. L’inchiesta poggia su due aspetti: quello dei rimborsi indebiti e quello dell’indennità di risultato incassata, secondo la Procura, illegittimamente dall’ex pm. Ingroia venne nominato liquidatore di ‘Sicilia e-Servizi’, ruolo che ricoprì per tre mesi nel 2013 ma, anziché chiudere la società, ottenne utili per circa 150mila euro. Scavalcando l’assemblea dei soci, l’ex magistrato si liquidò, in conflitto di interessi, secondo l’accusa, un’indennità di risultato di 117 mila euro.

L’indennità

Oltre all’aspetto dell’autoliquidazione, il pm punta il dito contro l’ammontare dell’indennità. La legge, infatti, stabilisce che non possa essere superiore al doppio dello stipendio annuo lordo del manager. Stipendio fissato per Ingroia in 50 mila euro, ma che per il 2013, avendo lavorato solo tre mesi, era di molto inferiore. Peraltro, la somma intascata dall’ex manager – il governatore Nello Musumeci non l’ha confermato – ridusse l’utile della società informatica della Regione a poco più di 33 mila euro. Nel conto di Ingroia, insomma, finì poco meno dell’80% degli utili della società.

Rimborsi per spese di viaggio, vitto e alloggio

Sotto inchiesta anche rimborsi per spese di viaggio, estesi da Ingroia a vitto e alloggio con una delibera che lui stesso ha firmato. In venti mesi di viaggi tra Roma, città in cui viveva dopo aver lasciato la magistratura, e Palermo, dove ricopriva la carica di amministratore della società, l’ex pm spese 37mila euro solo per alberghi e ristoranti, tra cui hotel di lusso come il celebre ‘Villa Igiea’, storica residenza scelta da Giulio Andreotti nelle sue trasferte processuali nel capoluogo, e locali glamour come il “Castello a Mare” dello chef Natale Giunta. Tutti, secondo i magistrati, pagati indebitamente dalla Regione.

Ingroia rischia una condanna a quattro anni per peculato.

ANTONIO INGROIA

L’ex pm antimafia si sarebbe appropriato di somme non dovute quando era liquidatore di Sicilia e-Servizi

Colpo di scena nel processo all’ex pubblico ministero antimafia Antonio Ingroia (nella foto). Ieri la Procura di Palermo, nel procedimento abbreviato, ha chiesto quattro anni di reclusione per l’ex collega su cui pende l’accusa di peculato. A decidere il destino di Ingroia, che si è sempre detto innocente, sarà il gup Maria Cristina Sala. Sostanzialmente per l’accusa, l’ex pm si sarebbe appropriato di somme non dovute, durante il periodo in cui era liquidatore della società Sicilia e-Servizi, incarico ricevuto dall’ex presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta. L’ex magistrato, oggi avvocato, nel 2013 avrebbe ricevuto l’indennità spettante all’amministratore (e non al liquidatore) e per soli 3 mesi di attività avrebbe incassato il compenso spettante per l’intero anno.

Rif:http://www.lanotiziagiornale.it/ingroia-rischia-una-condanna-a-quattro-anni-per-peculato-ex-pm-antimafia-si-sarebbe-appropriato-di-somme-non-dovute/

Peculato, la procura di Palermo chiede 4 anni per l’ex pm Antonio Ingroia

Peculato, la procura di Palermo chiede 4 anni per l’ex pm Antonio Ingroia

Il pm di Palermo Piero Padova ha chiesto la condanna a quattro anni nei confronti dell’ex magistrato della procura del capoluogo siciliano Antonio IngroiaL’ex procuratore aggiunto è accusato di peculato. Per gli inquirenti si sarebbe appropriato di indennità non dovute quando era liquidatore della società partecipata regionale Sicilia e servizi per un totale di 117mila euro.

L’indagine che ha portato al processo, in corso davanti al gup Maria Cristina Sala, nasce da una segnalazione della Corte dei conti relativa al periodo in cui Ingroia, su nomina dell’ex governatore Rosario Crocetta, era stato nominato amministratore della società regionale Sicilia e-Servizi. Ingroia, creatore del pool che ha indagato sulla trattativa Stato-mafia, viene nominato liquidatore di Sicilia e-servizi, società in house della Regione a capitale interamente pubblico. Per tre mesi, nel 2013, ricopre l’incarico di liquidatore, ma invece di chiudere la società ottiene utili per circa 150mila euro. Secondo i pm bypassando l’assemblea dei soci, l’ex magistrato si liquida in conflitto di interessi, secondo l’accusa, un’indennità di risultato di 117 mila euro. Oltre all’aspetto dell’autoliquidazione, l’accusa punta il dito contro l’ammontare dell’indennità. La legge, infatti, stabilisce che non possa essere superiore al doppio dello stipendio annuo lordo del manager. Stipendio fissato per Ingroia in 50 mila euro, ma che per il 2013, avendo lavorato solo tre mesi, era di molto inferiore. 

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Peraltro la somma intascata – il governatore Nello Musumeci non l’ha confermato – riduce l’utile della società informatica della Regione a poco più di 33mila euro. Nel conto di Ingroia, insomma, finisce poco meno dell’80% degli utili della società. Sotto inchiesta, anche rimborsi per spese di viaggio. Dovuti solo per i trasporti, diceva una norma regionale, estesi a vitto e alloggio da Ingroia con una delibera che lui stesso ha firmato. In 20 mesi di viaggi tra Roma, città in cui viveva dopo aver lasciato la magistratura, e Palermo, dove ricopriva la carica di amministratore della società, solo di alberghi e ristoranti ha speso 37mila euro. Hotel di lusso come il celebre Villa Igiea, storica residenza scelta da Giulio Andreotti nelle sue trasferte processuali nel capoluogo, e locali glamour come il “Castello a Mare” dello chef Natale Giunta, tutti pagati dalla Regione. Indebitamente, dicono i magistrati che l’accusano di peculato.

“Mi aspettavo un grazie e invece mi sono ritrovato sotto processo. La richiesta della procura non mi sorprende dato l’accanimento e l’evidente ostilità nei miei confronti. Quello che è importante è che io so di aver operato nel giusto e di avere la coscienza a posto. Ho capito che c’è un’interpretazione alla rovescia dei fatti – dice Ingroia all’Adnkronos -. Sono fiducioso che alla fine la verità verrà a galla. Ora che faccio l’avvocato ho visto tanti casi di mala giustizia per l’Italia ma credo anche che i giudici sapranno riconoscere la verità. Io ho la coscienza a posto“.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/09/peculato-la-procura-di-palermo-chiede-4-anni-per-lex-pm-antonio-ingroia/5506586/

Disposto il processo immediato per il giudice Alberto Capuano

E come era prevedibile arriva puntualmente il decreto di giudizio immediato nei confronti dell’ex giudice della sezione distaccata di Ischia Alberto Capuano. A firmare il provvedimento è il giudice per le indagini preliminari Costantino De Robbio, lo stesso che ha firmato il 27 giugno scorso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, accogliendo la richiesta della procura della Repubblica del sostituto Varonecon il coordinamento del procuratore aggiunto Paolo Ielo.

Il gip ha anche fissato la prima udienza dinanzi al tribunale in conformazione collegiale per il prossimo dicembre. La mossa della Procura era prevedibile, avendo la necessità di portare l’imputato in stato di detenzione, come molti esperti del settore pronosticavano. Ad emettere una sentenza i giudici del tribunale di Roma, competenti nel giudicare reati commessi dai magistrati in servizio nell’ambito del tribunale di Napoli. Insieme a lui dovranno comparire alla stessa data gli altri imputati detenuti, vale a dire Antonio Di Dio, Giuseppe Liccardo e Valentino Cassini, che sono anche loro ininterrottamente posti nella casa circondariale di Napoli Poggioreale. 

E fino ad ora tutte le iniziative portate avanti dai difensori per modificare l’attuale stato in una misura meno afflittiva non hanno trovato alcuna valutazione favorevole. A quanto si sa, tutte le ipotesi di reato sono state confermate dal pubblico ministero e che non ha trovato alcuna obiezione da parte del giudice De Robbio. Anche in relazione a ciò che il tribunale del riesame si era espresso, ritenendo che alcuni episodi non fossero meritevoli di una misura coercitiva. Tant’è che anche per quelle accuse ove per i giudici della “libertà” non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza, la Procura ha voluto lo stesso che gli imputati comparissero dinanzi al tribunale per difendersi da episodi verso i quali la difesa riteneva che non dovessero finire in dibattimento. Né il giudice per le indagini preliminari ha voluto modificare il suo convincimento, andando dritto per la sua strada.

LA SCELTA DELLA DIFESA

A questo punto per la difesa si pone una scelta fondamentale e al tempo stesso delicata: prendere atto della volontà della pubblica accusa e iniziare il processo a dicembre; oppure accorciare i tempi e chiedere che il Capuano (o anche per gli altri imputati, se lo decideranno i difensori) possa affrontare la sua storia giudiziaria scegliendo il rito abbreviato. In questo caso gli atti torneranno nuovamente all’attenzione dell’ufficio gip, ma sarà un altro giudice ad emettere eventualmente la sentenza. In quanto il collegio difensivo, formato dagli avvocati Furgiuele e Lojacono, potrebbe chiedere il rito abbreviato condizionato. Che equivale ad una richiesta di sentire qualche testimone, un accertamento che vada alla ricerca della verità, deposito di documentazione nuova che possa anche fondarsi su indagini investigative della difesa, eccetera. A quel punto il giudice, di fronte ad un abbreviato condizionato, potrebbe anche respingere la richiesta e gli atti in quel caso ritornerebbero al tribunale. 

Consentendo alla difesa di riproporre la medesima istanza e anche qui è necessario il consenso del giudicante. E’ una valutazione delicata, come si vede, in quanto la sentenza verrebbe emessa sulla base degli atti raccolti dal pubblico ministero ed eventualmente sulle osservazioni documentali del collegio difensivo. Ma siamo in una ipotesi tutta da concretizzarsi. E in quella sede il pubblico ministero certamente riuscirebbe nell’impresa di dimostrare la penale responsabilità, avendo dalla parte sua più elementi da porre all’attenzione del giudice. Il rito abbreviato è quindi rischioso e la difesa azzarda a percorrere questa strada solo nel caso in cui ha elementi forti per convincere il gip ad emettere una sentenza di assoluzione. Nell’altro caso si sceglie questo rito anche quando vi sono condizioni di responsabilità pregnanti e che serve alla difesa per ottenere uno sconto di un terzo della pena.

Stesso ragionamento dovranno fare i difensori degli altri imputati, che si trovano a dover raggiungere insieme a Capuano il traguardo dei quattro mesi di detenzione. La data è del prossimo 3 novembre. E se dovessero convincersi che l’unica strada praticabile è quella di finire in dibattimento per rivisitare le accuse con l’esame testimoniale, la loro permanenza in carcere sarebbe di sicuro fino a quando non inizierà il processo. Ma anche in questi casi il tribunale, prima di modificare lo stato detentivo, attende qualche udienza ed ascolta i primi testimoni della pubblica accusa.

LA LUNGA DETENZIONE

Diciamolo francamente che la detenzione così lunga per il giudice Capuano è diventata quasi ingiustificabile. Una punizione troppo evidente e determinata, in quanto si basa esclusivamente sulle esigenze, che a quanto pare non sussistono più. Essendo le indagini ormai concluse già da prima del decreto di giudizio immediato con la notifica della chiusura delle indagini preliminari (il famoso 415 bis codice di procedura penale). Inoltre il Capuano è stato sospeso dalle funzioni di magistrato con delibera approvata dal Consiglio superiore della magistratura; gli altri imputati si ritrovano nelle medesime condizioni e quindi non vi è possibilità di incontro o di inquinamento probatorio. Essendo tutte le prove ritenute valide dall’accusa state raccolte già da un bel po’ di tempo. E negli ambienti giudiziari si sussurra, si sottolinea che mantenere la custodia cautelare in carcere in questo momento non è giustificabile e che in questa fase sussistono tutte le condizioni per la concessione quantomeno della detenzione domiciliare. E lo dicono eminenti avvocati e gli stessi magistrati in servizio nell’ambito del distretto della Corte di Appello di Napoli. Quali sono le ragioni di mantenere lo status quo? Mostrare i muscoli con un collega per dire che anche nell’ambito della magistratura l’azione è determinata, anche nei confronti di colleghi che si macchiano di responsabilità e di atteggiamenti sbagliati.

E allora resta inalterato ciò che hanno scritto oltre tre mesi fa e notificato agli interessati. Anzi la Procura ritiene che siano stati provati altri episodi sui quali è necessario svolgere un approfondimento immediato per accertare la sussistenza della penale responsabilità di un magistrato che avrebbe avuto rapporti troppo leggeri con gli altri soggetti che sono tuttora insieme a lui in stato detentivo. E lo si spiega nella misura cautelare, in cui si osserva che a Napoli alcuni personaggi cercano canali preferenziali per ottenere dalla giustizia risposte che a loro interessano. E’ un aspetto che, però, ha trovato dura risposta non solo dalla classe forense, ma soprattutto da alcuni rappresentanti della stessa magistratura partenopea che hanno rispedito al mittente certe osservazioni del gip romano. Il quale ha evidenziato che «Chiunque è costretto, suo malgrado, ad avere rapporti con gli uffici giudiziari del distretto interessato sembra poter usufruire, qualora lo voglia, di un canale sotterraneo per deviare il corso del procedimento in cui è interessato: è sufficiente contattare Di Dio perché questi vagli la questione e procuri il collegamento, reale o il più delle volte (si spera, ma le indagini sono tutt’altro che terminate) fittizio con un esponente della magistratura giudicante o requirente.

La sua capacità di piegare la pubblica funzione a fini privati sembra non conoscere confini: procedimenti penali, civili e fallimentari, nonché i concorsi per l’accesso in magistratura e per allievi ufficiali dei Carabinieri».

IL MOSAICO ACCUSATORIO

E che tale attività illecita avrebbe travalicato i confini della magistratura per intaccare i vertici delle forze dell’ordine, come è raccontato dallo stesso giudice, per consentire l’arruolamento di alcune persone sponsorizzate da uno degli attuali imputati, vale a dire il consigliere della Municipalità di Napoli: «Si tratta di un’attività con carattere seriale, come dimostra l’eloquente affermazione secondo cui uno dei suoi tramiti illeciti, il comandante della Capitaneria di porto, oltre a poter distorcere il concorso per allievi ufficiali dei Carabinieri, “ha fatto entrare mezza Napoli in Finanza”.

Nel suo caso, così come per gli altri indagati di cui si dirà, più che di “pericolo” di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per i quali si indaga sembra più corretto parlare di assoluta certezza che ciò che avverrà: il Di Dio è il principale protagonista di un sistema corruttivo che va avanti con impressionante cadenza da diversi anni e che potrà essere arrestato solo con l’adozione immediata della misura cautelare personale».

E secondo l’accusa tale comportamento sarebbe stato posto in essere dal giudice partenopeo in servizio presso la sezione distaccata di Ischia: «Considerazioni analoghe devono essere svolte per Alberto Capuano; il giudice del tribunale di Napoli ha mostrato disponibilità a tutte le proposte corruttive che Iovine, Cassini e Di Dio gli hanno avanzato.

Non esiste questione nella quale egli abbia rifiutato di entrare o corruzione alla quale abbia mostrato, se non distacco morale, almeno disinteresse: qualsiasi tentativo di avvicinamento di colleghi e cancellieri gli sia stato prospettato ha trovato in lui una sponda pronta e compiacente, si trattasse della procedura di abbattimento di un umile manufatto di un fabbro o dell’assoluzione di soggetti accusati di far parte della criminalità organizzata e del dissequestro dei loro beni.

Il Capuano ha messo a completa disposizione di chiunque volesse la propria competenza tecnica, offrendosi di visionare fascicoli processuali per suggerire strategie, imponendo la nomina di avvocati e contattando i magistrati assegnatari dei procedimenti per convincerli a decidere non secondo giustizia ma per il perseguimento di fini economici del tutto incompatibili con la funzione rivestita».

Bisognerà soltanto attendere alcuni giorni o al massimo qualche settimana per capire quali saranno le contromosse dei difensori, che ovviamente saranno prese di comune accordo con gli imputati, i quali dovranno attentamente valutare quali possono essere le ripercussioni negative nel caso in cui si dovesse scegliere la strada del rito abbreviato dinanzi ad altro giudice dell’ufficio gip di Roma, che non sono particolarmente pacati nell’emettere le sentenze di condanna.

Rif:https://www.ildispariquotidiano.it/it/disposto-il-processo-immediato-per-il-giudice-alberto-capuano/

Magistrati arrestati: no servizi sociali a D’Introno, va arrestato ma è irreperibile

l Tribunale di Sorveglianza dice no all’affidamento ai servizi sociali del grande accusatore Flavio D’Introno, che deve scontare 4 anni e mezzo per usura

Flavio D’Introno non ha il diritto di ottenere la sospensione della condanna definitiva per usura, perché la documentazione medica che ne attesta l’alcolismo è troppo risalente per questo. Il grande accusatore dei giudici di Trani, dunque, dovrà andare in carcere per scontare un residuo di pena pari a quattro anni e mezzo. Fino a ieri sera, però, le ricerche dei Carabinieri sono state vane.

Il Tribunale di sorveglianza (relatore Simonetta Rubino) ha infatti dichiarato inammissibile la richiesta presentata da D’Introno (avvocato Vera Guelfi) per ottenere l’affidamento ai servizi sociali. Anche la Procura generale, con il pg Giannicola Sinisi, nell’udienza di lunedì scorso si era opposta alla richiesta sottolineandone l’infondatezza. A ottobre del 2018, come lui stesso aveva raccontato durante l’incidente probatorio di Lecce, D’Introno aveva ottenuto la sospensione dell’esecuzione della condanna a cinque anni e otto mesi per usura, resa definitiva dalla Cassazione, presentando una serie di certificati che ne attestavano l’avvio di un percorso di cura al Sert di Andria per un problema di alcolismo esploso dopo la sentenza di appello.

D’Introno era stato arrestato nel 2007 nell’ambito dell’operazione Fenerator. Il nodo principale dell’inchiesta di Lecce sulla corruzione dei giudici del Tribunale di Trani è proprio il tentativo di D’Introno di evitare la condanna per usura e il conseguente sequestro dei beni: per questo l’imprenditore coratino ha raccontato alla Procura di Lecce di aver pagato due milioni di euro all’ex gip Michele Nardi (tuttora in carcere) e agli ex pm Antonio Savasta (ai domiciliari) e Luigi Scimè, e di aver regalato gioielli e viaggi a suo dire destinati ai magistrati.

A febbraio 2013 il Tribunale di Trani ha condannato D’Introno a 7 anni di reclusione: l’accusa, sostenuta da Scimè (che aveva ereditato il fascicolo dalla collega Carla Spagnuolo nel frattempo trasferita) ne aveva chiesto la condanna a 3 anni per corruzione ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria e l’assoluzione per l’usura e l’associazione a delinquere. In appello la condanna è stata ridotta a 5 anni e 9 mesi (la Procura generale ne aveva chiesto l’assoluzione): anche questo processo, secondo l’accusa di Lecce, sarebbe finito nel mirino di Nardi che avrebbe chiesto a D’Introno di acquistare diamanti da regalare ai giudici (che sono stati ritenuti totalmente estranei e ora sono parti offese nel procedimento a carico dell’ex gip). La Cassazione ha poi ridotto la pena (dicembre 2018) a cinque anni e mezzo, a seguito della prescrizione di alcuni reati, rendendo dunque definitiva la condanna.

La difesa di D’Introno aveva tentato di spostare la competenza sull’esecuzione lontano da Bari, ritenendo che «i componenti il Tribunale di Sorveglianza possono essere psicologicamente coartati e comunque non sereni» perché nelle sue confessioni a Lecce l’imprenditore ha parlato anche di un commercialista, fratello di un magistrato all’epoca in servizio alla Sorveglianza. Ma la Cassazione ha rigettato la richiesta di rimessione del giudizio, ritenendola inammissibile in quanto prevista dal codice soltanto per i procedimenti di merito.

La Procura generale ha affidato la notifica del provvedimento, con la contestuale esecuzione dell’arresto, ai Carabinieri. Fino a ieri sera, però, D’Introno non è stato rintracciato: non era a casa, a Corato, e potrebbe aver deciso di sottrarsi alla cattura recandosi all’estero. Nei giorni scorsi l’imprenditore aveva definito «molto ingiusta» la prospettiva di un rigetto del ricorso alla Sorveglianza che avrebbe comportato il suo ingresso in carcere, paventando anche l’ipotesi di costituirsi in un istituto penitenziario del Centro-nord così da evitare la detenzione in Puglia. Il processo per la giustizia truccata comincerà il 4 novembre a Lecce: D’Introno ha parlato a lungo durante l’incidente probatorio e resta il più importante testimone dell’accusa.

Rif.https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1178438/magistrati-arrestati-negato-affidamento-imprenditore-gola-profonda.html

Corruzione e falso. Chiesto il rinvio a giudizio per il procuratore Eugenio Facciolla

La procura di Salerno ha chiesto il processo per il procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, indagato insieme due carabinieri, un poliziotto e il titolare della società “Stm”, già coinvolta nell’inchiesta sul software “Exodus” e sulle intercettazioni abusive

CASTROVILLARI (CS) – Corruzione in atti d’ufficio e falsità ideologica. Sono queste le ipotesi d’accuse per le quali il Procuratore vicario di Salerno Luca Masini e il pm Vincenzo Senatore hanno chiesto il rinvio a giudizio per 56enne magistrato di Castrovillari Eugenio Facciolla e altre quattro persone. Si tratta del carabiniere della forestale Alessandro Vincenzo Nota, 35 anni di Cosenza, il maresciallo dei Carabinieri forestali Carmine Greco, 53 anni di Camigliatello Silano, il poliziotto Vito Tignanelli, 50 anni di Pietrafitta e la moglie Maria Aquino, 57 anni di Pitrafitta e titolare della società Stm, coinvolta nell’inchiesta condotta dalle Procure di Napoli e Roma sull’affare del software Exodus e sulle intercettazioni abusive.

Ingiusto vantaggio patrimoniale alla Stm

Secondo l’accusa il procuratore Facciolla avrebbe affidato alla Stm il noleggio di alcune apparecchiature per le intercettazioni e procurato “un ingiusto vantaggio patrimoniale alla Stm. In cambio avrebbe ottenuto il servizio di videosorveglianza della propria abitazione. In particolare “il servizio di videosorveglianza sarebbe stato attivato nella primavera del 2017 dalla Stm su espressa indicazione di Marisa Aquino in assenza di contratto o di documentazione idonea ad attestare la fornitura con l’installazione di due videocamere che inquadravano il parcheggio antistante e l’ingresso dell’abitazione del Magistrato a Cosenza e la contestuale installazione di un ponte radio per la trasmissione delle immagini remotizzate su un server posizionato presso la sede della società a Pietrafitta“. Per l’esercizio dei suoi poteri, inoltre, Facciolla avrebbe procurato un ingiunto vantaggio alla Stm anche per le violazioni del codice della strada. Quando un mezzo della società riceveva una multa, secondo la Procura di Salerno Facciolla “attestava l’improcrastinabilità dello svolgimento dell’attività d’indagine, allegando ai verbali di contestazione le sue giustificazioni“.

Rif:https://www.quicosenza.it/news/provincia-cosenza/317953-corruzione-e-falso-chiesto-il-rinvio-a-giudizio-per-il-procuratore-eugenio-facciolla

Così il giudice Pagano aiutava il costruttore Rainone

Nel processo al giudice Mario Pagano, accusato di corruzione, si parla dei rapporti con l’imprenditore Eugenio Rainone. E spunta fuori l’incontro con un ex senatore del Pdl. Davanti al collegio C della IV sezione penale del tribunale di Napoli, è il giorno del controesame dell’ispettore Edoardo Napolitano. Autore di un’informativa sul presunto “sistema Pagano”, agli atti del processo, è un poliziotto in forza al nucleo di polizia giudiziaria della procura di Napoli. E al teste d’accusa si rivolgono i difensori di Pagano, gli avvocati Claudio Botti e Domenico Ciruzzi. Le pm Ida Frongillo e Celeste Carrano contestano a Pagano di essere il capo di una “cricca” della sezione civile del tribunale di Salerno. E quindi di aver pilotato sentenze in cambio di costosi regali e denaro, destinato alla Polisportiva Rocchese, di cui il giudice era tra i principali soci. Tra i presunti corruttori Eugenio Rainone, il costruttore del Crescent, alla sbarra in un processo parallelo. Nelle relazioni con Pagano «il gruppo Rainone aveva un peso economico importante. – dichiara l’ispettore Napolitano-. Dall’attività investigativa emerge che l’imprenditore andava una settimana sì e una no a casa del giudice. C’era un rapporto di amicizia, ma era anche a cause di interessi del Rainone». Nella ricostruzione, «i rapporti iniziano dal 2013, dal contenuto di un messaggio del 6 settembre di quell’anno è verosimile che si conoscano da non molto». Secondo l’accusa, Pagano ha talmente a cuore le sorti del costruttore, da recarsi a Roma per vedere un politico. Si tratta dell’ex senatore Rosario Giorgio Costa, eletto cinque volte in parlamento, l’ultima volta con il Popolo delle libertà. Costa, comunque, non risulta mai indagato nell’inchiesta. Il faccia a faccia avverrebbe nel settembre 2014, quando lui non è più a Palazzo Madama da quasi due anni. «Pagano vide Costa nell’interesse di Rainone – sostiene il testimone -, quell’incontro lo abbiamo ricostruito dalla sequenza di messaggi su Whatsapp. L’incontro con l’ex senatore ebbe esito positivo». L’ispettore precisa di averlo «dedotto nel momento in cui Pagano ha comunicato a Rainone, via messaggio, l’esito». Alla richiesta di dettagli, il poliziotto però aggiunge: «Non sappiamo nulla sull’oggetto dell’incontro». La difesa chiede al teste anche se, nelle indagini, vi siano approfondimenti sull’attività della polisportiva. Ad esempio, sul centinaio di ragazzi della scuola calcio, alcuni di famiglie disagiate, oppure sulla prima squadra. La risposta è tuttavia negativa. «Sapevamo comunque – chiarisce l’ispettore – che aveva anche finalità sociali». Al termine, l’avvocato Ciruzzi ritiene che «dal controesame emerge un pregiudizio significativo dell’accusa, molte cose non hanno rilevanza penale». La prossima udienza è fissata il 9 luglio, proseguendo la deposizione di Napolitano.

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TORINO. Favori in procura: legale a magistrati, di quel pm ho paura

“Ho paura del dottor Padalino”. Così un avvocato di Torino, Stefano Manzoli, arrestato a febbraio per false fatturazioni ed evasione fiscale, ha risposto agli investigatori durante l’interrogatorio dell’8 maggio scorso, prima di cominciare a piangere. Parlava di Andrea Padalino, ex pm a Torino ora assegnato dal Csm al tribunale civile di Vercelli, indagato a Milano per abuso d’ufficio per una vicenda di favori all’interno del palazzo di giustizia subalpino. Per questo motivo nei giorni scorsi alcuni atti dell’inchiesta, tra cui appunto l’interrogatorio dell’avvocato, sono stati inviati alla procura milanese. A Torino gli inquirenti hanno interrogato Manzoli sulla sua attività all’hotel San Rocco di Orta San Giulio (Novara), dove il magistrato avrebbe trascorso alcuni giorni di vacanza. “Finalmente l’hanno beccato – diceva in una frase intercettata dagli inquirenti in merito alla notizia dell’inchiesta su Padalino -. Come si chiama quando tu vai gratis in un hotel con 12 persone per quattro notti a Pasqua del 2016?”. Agli inquirenti Manzoli ha raccontato del soggiorno del pm con la scorta e la famiglia per tre notti a suo dire a spese dell’imprenditore novarese Andrea Giacomini, proprietario della struttura, grazie alla mediazione di un brigadiere della guardia di finanza processato per altre vicende, Fabio Pettinicchio, “security manager” dell’hotel. L’indagine su Manzoli (ora libero) e altre dodici persone è stata conclusa a settembre.

Rif: https://www.giornalelavoce.it/torino-favori-in-procura-legale-a-magistrati-di-quel-pm-ho-paura-355309