Un “professionista della corruzione”: ecco chi è Giuseppe Mineo, giudice del Cga finito in manette

Il giudice lo descrive come una persona «avvezza a una particolare professionalità a delinquere in spregio alla funzione pubblica ricoperta»

Il suo maestro è stato il catanese Pietro Barcellona, fine giurista e storico deputato comunista. Giuseppe Mineo, arrestato oggi per corruzione in atti giudiziari, tenta di seguirne le orme e diventa professore associato di diritto privato all’Ateneo di Catania. Nel 2010, in quota Lombardo, l’ex governatore siciliano sotto processo per concorso in associazione mafiosa, approda al Cga, massima autorità giudiziaria amministrativa che in Sicilia svolge le funzioni del Consiglio di Stato. E’ tra i giudici non togati.

Nel 2016 il Consiglio dei Ministri lo inserisce nella lista dei giudici del Consiglio di Stato di nomina politica, Mineo aveva allora solo 54 anni. A impedirgli l’ascesa a Palazzo Spada è il procedimento disciplinare aperto a suo carico per il ritardo nel deposito delle sentenze scritte da magistrato del Cga. Una macchia che stoppa la carriera velocissima del professore.

Il Comune di Vittoria lo ha recentemente nominato a capo del nucleo di valutazione dei dirigenti dell’ente e delle performance dell’amministrazione. Dovrebbe controllare la regolarità contabile e amministrativa del Comune. «Funzioni – scrive il gip di Messina che ne ha disposto l’arresto su richiesta della Procura – che lo rendono particolarmente esposto ad accordi corruttivi».

Il giudice lo descrive come una persona «avvezza a una particolare professionalità a delinquere in spregio alla funzione pubblica ricoperta». E per la sua «capacità di piegare a interessi privati» il suo ruolo lo manda in carcere. Ritenendo che gli arresti domiciliari, pure quelli aggravati dall’uso del braccialetto elettronico, non siano misure sufficienti a impedirgli di tornare a delinquere.

Rif: https://www.lasicilia.it/news/cronaca/172517/un-professionista-della-corruzione-ecco-chi-e-giuseppe-mineo-l-ex-giudice-del-cga-finito-in-manette.html

Verdini indagato: “Prese 300mila euro da un avvocato e sponsorizzò il giudice corrotto col Governo Renzi”

Verdini indagato: “Prese 300mila euro da un avvocato e sponsorizzò il giudice corrotto col Governo Renzi”

l nome dell’ex politico compare nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Giuseppe Mineo, ex magistrato del Cga siciliano che Matteo Renzi voleva a Palazzo Spada, accusato di corruzione in atti giudiziari. Secondo la Procura di Messina l’ipotesi di reato è il finanziamento illecito ai partiti: il leader di Ala avrebbe preso soldi dall’avvocato Piero Amara e caldeggiato la nomina del magistrato. Poi candidato da Salvini alle comunali del 10 giugno a Catania

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/26/verdini-indagato-prese-300mila-euro-per-spingere-governo-renzi-nominare-al-consiglio-di-stato-il-giudice-arrestato/4518045/

Bologna, giudice corrotto. Spuntano vip e imprenditori

Mazzette per aggiustare contenziosi col Fisco, tredici indagati. Nell’inchiesta il re dei salumi Sante Levoni e il commercialista di un personaggio tv

Le indagini sono state condotte dalla Guardia di Finanza

Bologna, 10 aprile 2018 – Il pm Morena Plazzi ha chiuso l’inchiesta sul giudice tributario Carlo Alberto Menegatti, 74 anni, accusato di due tipi di corruzione (per l’esercizio della funzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio), e la novità rispetto a un anno fa, quando è scoppiato il caso, è che gli indagati sono saliti da cinque a tredici. Nei giorni scorsi la Guardia di finanza ha notificato a tutti l’atto di fine indagine, di solito preludio alla richiesta di rinvio a giudizio, e fra loro ci sono nomi eccellenti.

Giudice corrotto: indagato anche Sante Levoni

Il primo è quello di Sante Levoni, 76 anni, residente a Castelnuovo Rangone (Modena), patron della famosa azienda modenese produttrice di salumi, accusato di aver corrotto Menegatti fra aprile e luglio 2016, regalandogli prosciutti e salami e promettendogli soldi, in cambio di consulenze proibite prestate dal giudice tributario in merito a ricorsi pendenti davanti alla Commissione tributaria regionale per la società Globalcarni Spa e in merito alla decisione di Levoni di trasferire la residenza a Montecarlo. Non solo. Menegatti per l’accusa si sarebbe «anche attivato per fornire alla famiglia Levoni informazioni riservate sulla sezione e sui giudici assegnatari del ricorso», scrive il pm nell’avviso.

La difesa di Levoni spiega però che «si tratta di un mero fraintendimento legato ad una vicenda passata che non ha alcuna attinenza con l’azienda. Un fraintendimento che presto verrà chiarito con l’autorità giudiziaria». Il secondo nome eccellente è quello di Giuseppe De Pascali, 75 anni, commercialista bolognese di un personaggio vip della televisione, accusato di aver corrotto Menegatti nel maggio 2016, per il tramite dell’ex dipendente dell’Agenzia delle entrate Alessandro De Troia, pagandogli 800 euro per «consigli professionali e annotazioni», scrive il pm Plazzi. Il tutto in merito a un ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Firenze che il vip aveva pendente. Va detto che l’illustre cliente non è indagato, dunque non c’è nessuna accusa a suo carico. Per la Procura l’iniziativa fu messa in atto esclusivamente da De Pascali.

Un altro ‘cliente’ di Menegatti era, secondo il pm, l’imprenditore bolognese Romano Verardi, 76 anni, che avrebbe corrotto il giudice durante «più incontri appositamente organizzati nello studio professionale della ragioniera Valentina Franceschini», pure lei indagata. Menegatti anche in questo caso avrebbe fornito, in cambio di una somma al momento imprecisata, consulenze illecite per ricorsi che la società di Verardi stava per presentare davanti alla Commissione tributaria dell’Emilia Romagna.

Menegatti è inoltre accusato di aver fornito la solita consulenza a un contribuentein lite con il fisco, Stefano Mutti, accusato di averlo corrotto con una somma imprecisata. In questo caso il giudice avrebbe fatto anche di più, si sarebbe cioè «adoperato per cercare di realizzare un incontro, per carpire informazioni riservate, con un altro componente della Commissione tributaria regionale». Menegatti infine nel luglio 2016 si sarebbe messo a disposizione di un’immobiliare di cui era socio Ippolito Piersanti (pure lui indagato) in vista di ricorsi che sarebbero stati presentati di lì a breve.

Fin qui la posizione del giudice Menegatti. Ma i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria, indagando, pedinando e intercettando le telefonate, si sono imbattuti anche in altri presunti reati commessi da un impiegato dell’Agenzia delle entrate, Flaviano Giannangeli, 63 anni, accusato (in concorso con la moglie Valentina Franceschini) di accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio perché avrebbe consultato illecitamente nelle banche dati del fisco la posizione di una quarantina di persone.

Infine, un dipendente di Equitalia è accusato degli stessi due reati, in concorso con Troia, per altre intrusioni nella banca dati del fisco.

rif: https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/giudice-corrotto-vip-imprenditori-1.3839782

Sentenze vendute, indagato il giudice del Tar di Catania Dauno Trebastoni

La Guardia di finanza ha perquisito i suoi uffici della sezione etnea. E’ accusato di corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta che vede coinvolti anche gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore (che collaborano con gli inquirenti)

Il giudice del Tar di Catania Dauno Trebastoni è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Catania. Il magistrato è indagato per corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta che vede già coinvolti gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore che, come è noto, stanno collaborando con gli inquirenti. La notizia è emersa dopo che in mattinata i finanzieri avevano effettuato una perquisizione negli uffici del Tar di Catania. Notizia che era stata rivelata da Live Sicilia Catania e che la Procura etnea ha confermato.

Due lettere, una destinata al Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, e l’altra al Presidente del Tar Catania Pancrazio Savasta sono partite – a quanto si apprende – da Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato a Roma. Le lettere sono volte ad ottenere elementi utili per l’adozione di eventuali iniziative di competenza del Presidente del Consiglio di Stato o dell’Organo di autogoverno della magistratura amministrativa (Cpga), in relazione alle notizie di stampa sull’indagine e la perquisizione a carico di Trebastoni.

rif: https://www.lasicilia.it/news/catania/216223/sentenze-vendute-indagato-il-giudice-del-tar-di-catania-dauno-trebastoni.html

Truffe: accusato di aver causato incidente, ma la macchina era in Albania ed il Giudice corrotto

avvocati legge tribunale

A giudicare il caso di uno jesino difeso dall’Avvocato anconetano Gabriele Galeazzi sarebbe stato un Giudice di Pace accusato di corruzioni a pochi giorni dall’udienza. Il CTU: “Costretto a pagare per lavorare”.

Uno jesino si era visto notificare una strana accusa: nel 2015 in quel di Torre del Greco avrebbe causato un incidente stradale uscendo da un parcheggio e danneggiando un’auto senza peraltro essere assicurato. Strana accusa, visto che l’uomo non era mai stato a Torre del Greco e la sua macchina in quell’anno era già stata trasferita in Albania, suo Paese di origine e che in quella data si era regolarmente recato a lavoro. Dubbioso portava le carte del processo al suo Avvocato di fiducia, il noto Avvocato del Foro di Ancona Gabriele Galeazzi, il quale verificava che, oltre l’infondatezza delle accuse, l’atto presentava numerose anomalie. Infatti mancava all’appello il verbale delle Forze dell’Ordine o una eventuale costatazione amichevole. La vicenda, poi, era stata ricostruita in modo generico e confuso ed era assente anche una valutazione del danno, stimato forfettariamente 1,032 euro, inoltre veniva chiesta l’ammissione di testimoni senza specificarne l’identità. Tutti fattori che spingevano l’Avvocato a consigliare il suo cliente di costituirsi al processo.

Una decisione non scontata, essendo infatti la macchina priva di assicurazione (non essendo più in Italia non figurava infatti nel registro della motorizzazione), si sarebbe potuta costituire la compagnia delle Assicurazioni Generali, nella qualità di Fondo di Garanzia per le Vittime della strada, ma l’avvocato di Ancona voleva vederci chiaro in quella ingarbugliata faccenda.

A pochi giorni dal processo, preparando la trasferta in Campania, Galeazzi scopriva che il suo intuito aveva colto nel segno, il Giudice di Pace A.I.che avrebbe dovuto giudicare il caso, dopo aver rimandato l’udienza in maniera anomala al 12 ottobre, omettendo di pronunciarsi sulle eccezioni presentate dall’Avvocato, veniva arrestato su ordine del Gip del tribunale di Roma della Guardia di Finanza di Torre Annunziata per corruzione. Un vero e proprio blitz delle forze dell’ordine, che smantellava con 22 arresti tra Giudici di Pace, avvocati e professionisti, un sistema di truffe a danno dell’assicurazione consolidato e reiterato presso Torre del Greco.

Piccole somme (tra i 500 e i 1000 euro) divise tra avvocato e giudice, che scrivevano le sentenze a quattro mani. Ininfluenti le numerose irregolarità e omissis nelle citazioni, infatti grazie al criminoso accordo con il giudice le cause venivano vinte ogni volta dall’avvocato colluso, come hanno confermato le numerose intercettazioni acquisite dagli inquirenti. Una truffa basata sul fatto che l’imputato quasi mai si presentava in udienza, lasciando che fosse la compagnia assicuratrice a gestire la causa. Elementi che lascerebbero pensare che anche il processo dell’incolpevole jesino, nonostante l’attenta difesa dell’Avvocato Galeazzi, avrebbe avuto un esito negativo.

Appresa la condanna e le modalità della truffa seriale lo Studio di Ancona di Galeazzi valuterà un esposto alla Procura competente per costituirsi parte civile nel processo che riguarderà il Giudice di Pace in questione

Rif: https://www.vivereancona.it/2018/10/15/truffe-accusato-di-aver-causato-incidente-ma-la-macchina-era-in-albania-ed-il-giudice-corrotto/701976/

Scandalo Csm, i pm: “Altri 6 mesi di indagine”

I magistrati di Perugia vogliono continuare a indagare sulle trame nel Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) e sull’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara. Per questo i pm Gemma Miliani e Mario Formisano hanno chiesto al gip altri sei mesi per lavorare all’inchiesta che ha terremotato la magistratura. Nella richiesta di proroga inviata al gip […]

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/09/05/scandalo-csm-i-pm-altri-6-mesi-di-indagine/5431416/

Barca, soldi e sesso per «aggiustare» indagini: arrestato un pm a Lecce. In manette anche dirigenti Asl

Il magistrato Emilio Arnesano in carcere: avrebbe favorito le cause di una avvocatessa e «venduto» indagini relative ai manager sanitari

Emilio Arnesano, pubblico ministero a Lecce, è stato arrestato stamani su ordine del gip di Potenza, nell’ambito di un’inchiesta della Procura della Repubblica del capoluogo lucano su favori e prestazioni sessuali ottenuti dal magistrato. È stato disposto anche il sequestro di un’imbarcazione e di oltre 18 mila euro nei confronti dello stesso magistrato, «in quanto profitto del reato di corruzione».

Il gip di Potenza ha posto agli arresti domiciliari altre quattro persone nella stessa inchiesta che ha portato all’arresto del pm di Lecce, Emilio Arnesano. Sono tre dirigenti dell’Asl di Lecce – Ottavio Naracci, direttore generale, e due dirigenti, Giorgio Trianni e Giuseppe Rollo, e dell’avvocato Benedetta Martina. Inoltre, è stato ordinato il divieto di dimora a Lecce dell’avvocato Salvatore Antonio Ciardo. In carcere, invece, è finito anche Carlo Siciliano, un altro dirigente dell’Asl della 
città salentina. Lo si è appreso a Potenza. Siciliano, secondo l’accusa, è coinvolto nella rete di favori e scambi della quale il magistrato era protagonista.

Corruzione a Lecce: ecco il magistrato e i suoi ‘amici’ alla Asl

Arnesano è accusato di «delitti commessi con abuso e vendita delle proprie funzioni» di magistrato. Durante indagini durate circa quattro mesi, sono emersi, a carico del pm di Lecce, «episodi di corruzione in atti giudiziari, di induzione a dare o promettere utilità e di abuso di ufficio». Arnesano avrebbe «venduto, in più procedimenti, l’esercizio della sua funzione giudiziaria in cambio di incontri sessuali ed altri favori». In particolare è finito sotto la lente investigativa della Procura della Repubblica di Potenza il «rapporto corruttivo, consolidato e duraturo», con l’avvocato Benedetta Martina (agli arresti domiciliari): il pm «pilotava procedimenti in cui gli indagati erano assistiti dall’avvocato Martina, ottenendo in cambio prestazioni sessuali» dal legale.

LA BARCA A PREZZO STRACCIATO – Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, in particolare, è Siciliano che ha venduto ad Arnesano la barca di 12 metri «a un prezzo di gran di lunga inferiore al prezzo di mercato». In quell’occasione, il magistrato ha «accettato un pagamento in mazzette di denaro contante», sulla cui provenienza sono in corso accertamenti. Inoltre, nell’atto di acquisto dell’imbarcazione, è stato indicato un prezzo d’acquisto «simbolico, non corrispondente a quello realmente pagato». In seguito Arnesano si è impegnato “personalmente, quale pm di udienza, in una strategia processuale tesa a fare ottenere l’assoluzione» dal reato di peculato a Ottavio Naracci» (direttore generale dell’Asl di Lecce, «legato» a Sicliano) che «in effetti riusciva ad ottenere»

LE ARCHIVIAZIONI PER I VERTICI ASL – In relazione agli arresti domiciliari decisi dal gip per i tre dirigenti della Asl di Lecce, Arnesano avrebbe garantito loro «l’esito positivo di procedimenti giudiziari a carico», ottenendo in cambio una barca di 12 metri a piccolo prezzo, soggiorni gratuiti e interventi medici agevolati.

Il pm è accusato di aver chiesto (e poi ottenuto dal Tribunale di Lecce) l’assoluzione di Narracci dall’accusa di peculato e abuso d’ufficio, indagine nata a seguito di una denuncia anonima recapitata all’allora governatore Nichi Vendola e relativa all’uso personale, da parte di Narracci (all’epoca direttore sanitario della Asl di Lecce), di un’auto aziendale che avrebbe utilizzato per gli spostamenti personali dalla residenza di Fasano alla sede della Asl di Lecce.

AVEVA ANCHE AGEVOLATO L’ESAME DI UN AVVOCATO – Emilio Arnesano, il pm di Lecce arrestato stamani su ordine del gip di Potenza (la Procura del capoluogo lucano è competente per i reati commessi dai magistrati del distretto della Corte di Appello di Lecce), agevolò anche l’esame orale di avvocato di una «giovane collega” dell’avvocato Martina. Arnesano contattò l’avvocato Ciardo, componente della commissione d’esame, e l’avvocato Federica Nestola superò la prova. Nell’ufficio del pm ci fu un incontro (fra Arnesano, Ciardo e Nestola) in cui furono «definite le domande» da porre alla candidata. 
Il pm, inoltre, intervenne presso il presidente del collegio di disciplina dell’Ordine degli avvocati di Lecce, Augusto Conte, su richiesta dell’avvocato Manuela Carbone. Anche in tal caso ci fu un incontro fra Arnesano e Conte, durante il quale “la richiesta veniva avanzata e accettata”: il pm, poi, chiese all’avvocato Carbone, «in cambio del suo intervento, delle prestazioni sessuali».

Le indagini che hanno portato all’arresto, stamani, del pm di Lecce, Emilio Arnesano, sono cominciati con una «singola e specifica notizia di reato» a carico del magistrato da parte della Procura salentina, inviata alla Procura della Repubblica di Potenza. 
La segnalazione riguardava un provvedimento di dissequestro di una piscina di Giorgio Trianni, dirigente dell’Asl di Lecce, “con successiva richiesta di archiviazione della notizia di reato». Arnesano, in cambio, ottenne da Triani «un soggiorno con annesse battute di caccia». 
Oggi il gip ha disposto il sequestro della piscina «risultata oggetto di mercimonio» fra Arnesano e Trianni, di una barca e di 18.400 euro del magistrato, «in quanto profitto del reato di corruzione».

EMILIANO: «FATTI NON LEGATI ALL’ATTIVITA’ DELLA ASL» – «Ho preso atto dell’ordinanza e voglio specificare che nessuno dei capi di imputazione ha a che fare con le attività dell’Asl di Lecce». Lo ha sostenuto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, parlando oggi a Bari con i giornalisti dei tre dirigenti dell’Asl di Lecce – Ottavio Naracci, direttore generale, e due dirigenti, Giorgio Trianni e Giuseppe Rollo – posti agli arresti domiciliari su ordine del gip di Potenza nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto del pm di Lecce, Emilio Arnesano. «Nessuna delle imputazioni ha a che fare quindi con le attività dell’Asl di Lecce e men che mai della Regione Puglia. Sono relazioni personali, per quel che ho capito ed ammesso che – ha spiegato Emiliano – siano provate dagli uffici giudiziari, tra singole persone effettivamente dipendenti Asl con un singolo magistrato. Si tratta di fatti privati che la magistratura esaminerà e giudicherà ma che nulla hanno a che vedere con nostra attività. Ora dovrò nominare – ha concluso Emiliano – un commissario che sostituisca il direttore generale in questo momento agli arresti domiciliari».

Rif: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/lecce/1088483/favori-sessuali-e-corruzione-arrestato-pm-a-lecce-sequestrati-una-barca-e-18mila-euro.html

Lecce, archiviò come suicidio la morte del dj: pm indagata dopo la denuncia dei genitori della vittima

Lecce, archiviò come suicidio la morte del dj: pm indagata dopo la denuncia dei genitori della vittima

LECCE – Non hanno mai creduto all’ipotesi del suicidio tanto da denunciare il pubblico ministero che aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine sulla morte del loro figlio, il Dj salentino Ivan Ciullo, in arte Ivan Navi. Il sostituto procuratore del Tribunale di Lecce Carmen Ruggiero, titolare dell’inchiesta, è indagata dalla Procura di Potenza per omissione d’atti d’ufficio.

Ivan Ciullo è stato trovato impiccato ad un albero di ulivo nelle campagne tra Taurisano e Acquarica del Capo il 22 giugno del 2015. I genitori del 34enne si sono opposti per due volte alla richiesta di archiviazione presentata dal pm. Nel giugno scorso, attraverso il loro legale Francesca Conte, hanno presentato una denuncia querela ai carabinieri di Acquarica e per competenza alla Procura di Potenza.

L’avvocato ha segnalato una serie di presunte omissioni nelle indagine che avrebbero impedito di conoscere realmente cosa è accaduto all’uomo. In particolar modo nella denuncia viene evidenziato come il pm, nonostante il gip Vincenzo Brancaccio, il 27 febbraio 2017, avesse chiesto un ulteriore approfondimento investigativo, chiedendo l’acquisizione delle celle telefoniche agganciate sia dal cellulare in uso alla vittima che dai dispositivi in uso ad un altro uomo, avrebbe conferito l’incarico al consulente tecnico solo il 21 giugno successivo.

Troppo tardi per le compagnie telefoniche per fornire la documentazione del traffico storico e la localizzazione delle celle. I dati sono andati persi. Secondo la famiglia del dj, quel materiale avrebbe potuto rivelare almeno in parte la verità sulla misteriosa morte. Intanto il padre e la madre di Ivan Ciullo nei giorni scorsi sono stati ascoltati dalla polizia giudiziaria di Potenza.

Rif: https://bari.repubblica.it/cronaca/2018/09/03/news/lecce_pm_indagata-205528374/

Dj morto nel 2015, indagata pm

 © ANSA

ANSA) – LECCE, 3 SET – Il sostituto procuratore Carmen Ruggiero, in servizio presso il Tribunale di Lecce, è stata indagata dalla Procura presso il Tribunale di Potenza per omissione d’atti d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Ivan Ciullo, in arte Ivan Navi, il 34enne dj radiofonico salentino trovato impiccato la mattina del 22 giugno 2015 ad un albero di olivo nelle campagne di Acquarica del Capo.
    Un suicidio a cui i genitori di Ivan non hanno mai creduto, tanto da opporsi per due volte alla richiesta di archiviazione e arrivando a denunciare la pm per una serie di presunte omissioni nelle indagini tali, a loro avviso, da impedire ad oggi di arrivare alla verità. Il padre e la madre di Ivan Ciullo sono stati ascoltati nei giorni scorsi a Potenza dagli investigatori della locale polizia giudiziaria

Rif: http://www.ansa.it/puglia/notizie/2018/09/03/dj-morto-nel-2015-indagata-pm_467e369b-280c-48b9-a746-e42ce4756f3b.html

Magistrato irrispettoso di colleghi e avvocati: va trasferito

Per il Consiglio di Stato (sentenza n. 5783/2019) tale comportamento innesca infatti un contesto difficoltoso per funzionalità e affidabilità dell’ufficio

Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5783 del 2019 (testo in calce), ha evidenziato che, a seguito della riforma del 2006, il trasferimento d’ufficio dei magistrati deve aver luogo quando “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità.” 

Nella specie, il Presidente di un Tribunale piemontese, al termine dell’espletamento dell’incarico quadriennale, aveva formulato un’auto-relazione, nella finalità di essere confermato. Il Consiglio giudiziario del capoluogo, tuttavia, tenendo conto della proposta avanzata dal competente Presidente della Corte d’Appello, esprimeva parere contrario alla conferma nell’incarico direttivo, come pure convalidato, in seguito, da una delibera del CSM. I motivi per cui l’assegnazione non veniva confermata coincidono con quelli che avevano originato un disciplinare, nei suoi stessi confronti, ad opera del Procuratore Generale della Cassazione. Quindi la I Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura proponeva il relativo trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale. 

Il magistrato impugnava la delibera di trasferimento presso la giustizia amministrativa, peraltro lamentando il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma II, del R.D.Lgs. n. 511 del 1946. Inoltre, impugnava la delibera che lo aveva assegnato ad ulteriore ufficio giudiziario. Il ricorso veniva respinto dalla I sezione del Tar Lazio, quindi il magistrato si rivolgeva alla giustizia amministrativa di seconde cure, dove hanno resistito sia il Consiglio Superiore della Magistratura che il Ministero della Giustizia. 

La V Sezione del Consiglio di Stato, con la Sentenza depositata il 22 agosto 2019, n. 5783, ha rigettato il gravame, ritenendolo infondato, anzitutto precisando che il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, ai sensi dell’articolo 2, del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511 (cd. “legge sulle guarentigie della magistratura”), fino all’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento giudiziario (D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109), veniva previsto per i magistrati quando per qualunque causa, anche non dipendente da una loro colpa, non potessero, nella sede che occupavano, amministrare la giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario. 

In seguito, secondo quanto si legge nella pronuncia, l’assetto normativo è variato col D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109. Più in particolare, l’art. 13 della stessa riforma aveva provveduto a emendare il precitato art. 2, pertanto il trasferimento d’ufficio dei magistrati non si verificava più “quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario”, bensì “quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”.

In altre parole, le novità normative che interessavano la vicenda de qua, erano rappresentate:

a) dalla nuova individuazione del presupposto del trasferimento d’ufficio, che viene delineato con esclusivo riferimento alle cause indipendenti da colpa del magistrato;
b) dalla individuazione dell’oggetto della tutela: non più il “prestigio dell’ordine giudiziario”, ma lo svolgimento delle funzioni “con piena indipendenza e imparzialità”.

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La citata novella, come evidenziato dal collegio della V sezione del Consiglio di Stato, ha fatto coincidere il presupposto per il trasferimento amministrativo con l’incompatibilità “incolpevole”, differenziando in tal modo i trasferimenti derivanti da veri e propri procedimenti disciplinari, da quelli amministrativi. Per l’effetto, ciò che riveste rilievo per gli scopi del trasferimento, è perciò la situazione in senso oggettivo che insorge nel contesto degli uffici giudiziari, che può essere originata dalla condotta sia involontaria che volontaria del magistrato, sebbene non riprovevole. In altri termino, rileva quindi l’insorgere di un obiettivo pericolo per l’immagine della funzionalità e dell’affidabilità dell’ufficio. 

Tra i vari episodi oggetto di contestazione, il Consiglio di Stato ha posto l’accento su una vicenda occorsa nel 2016, quando il ricorrente si era lamentato pubblicamente del parere non favorevole manifestato dal locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati in merito alla sua conferma nelle funzioni di Presidente del Tribunale, impiegando espressioni sarcastiche nel ringraziare lo stesso consiglio dell’Ordine, come pure il suo Presidente per tale parere.

Anche con riferimento alla vicenda delle “patologiche interferenze” denunziate da un collega dell’ufficio, ed oggetto di ulteriore apprezzamento disciplinare, i magistrati amministrativi hanno osservato che il richiamo non veniva operato per farne oggetto, ai fini del trasferimento, di un addebito di negligenza, bensì unicamente al fine di evidenziare la compromissione dei valori fondamentali tutelati, nel generale esercizio della funzione giurisdizionale, dalla disciplina che la regola.

In definitiva, il rapporto conflittuale coi membri del foro locale e coi colleghi magistrati del Tribunale, si era manifestato tale da legittimare l’autonomo apprezzamento della compromissione dei requisiti di credibilità e di fiducia nell’operato della magistratura, e ciò a prescindere dal giudizio di potenziale negligenza professionale.

Rif: https://www.altalex.com/documents/news/2019/09/03/magistrato-irrispettoso-colleghi-avvocati-va-trasferito