Trani, magistrati arrestati: anche Nardi pronto a dire la sua verità

TRANI – Dopo l’ex pm di Trani Antonio Savasta, anche l’ex gip Michele Nardi racconterà presto per la prima volta la sua verità sull’inchiesta della Procura di Lecce sul cosiddetto «sistema Trani» che lo vede in carcere dal gennaio scorso con l’accusa di concorso in associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari oltre che, a vario titolo, di minacce, millantato credito, estorsione e truffa aggravata con lo stesso Savasta. É stato lo stesso Nardi, dopo mesi di silenzio, ad annunciarlo nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup di Lecce Cinzia Vergine a carico di 10 indagati. Con i due magistrati è imputato anche il giudice Luigi Scimè, accusato di corruzione in atti giudiziari. L’ascolto di Nardi dovrebbe avvenire nella prossima udienza del 13 settembre. Nardi e Savasta furono arrestati nel gennaio scorso insieme con l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro. L’accusa è di avere pilotato sentenze e inchieste in cambio di mazzette quando erano in servizio a Trani.

Oggi hanno chiesto di essere ammessi al rito abbreviato l’ex Pm Antonio Savasta, che è stato il primo a collaborare ammettendo responsabilità e si è dimesso dalla magistratura, dal giudice Luigi Scimé e dagli avvocati Ruggiero Sfrecola e Giacomo Ragno, e dall’immobiliarista Luigi D’Agostino. L’avvocatessa barese Simona Cuomo ha chiesto di essere esaminata venerdì, per poi decidere se ricorrere o meno al rito abbreviato. Sono imputati anche Gianluigi Patruno, titolare di una palestra, Vincenzo Di Chiaro (ispettore di polizia di Corato ancora in carcere) e Savino Zagaria ex cognato di Savasta. 
Oggi sono state anche presentate 14 richieste di costituzioni di parte civile, tra cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Il Ministero della Giustizia, l’Ordine degli avvocati di Trani, gli imprenditori coratini Paolo Tarantini e Flavio D’Introno (quest’ultimo limitatamente alle posizioni di Michele Nardi e Gianluigi Patruno). D’Introno, che con le sue dichiarazioni ha dato il via all’inchiesta giudiziaria, resta indagato, ma la sua posizione é stata stralciata dalla Procura di Lecce, così come quella del carabiniere Martino Marangia

Rif:https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/bat/1171803/trani-magistrati-arrestati-anche-nardi-pronto-a-dire-la-sua-verita.html

Csm, Di Matteo: “Dare spallata a sistema invaso dal cancro”

Csm, Di Matteo: "Dare spallata a sistema invaso dal cancro"

Trasmessa in diretta streaming su Radio radicale, la presentazione dei programmi dei 16 pm che si sono candidati alle elezioni suppletive del Csm del prossimo 6 e 7 ottobre

Dalla sede dell’ Anm in Cassazione la presentazione – trasmessa in diretta streaming su Radio radicale – ecco la presentazione dei programmi dei 16 pm che si sono candidati alle elezioni suppletive del Csm del prossimo 6 e 7 ottobre. I 16 competitor, come si sono definiti, sono in lizza per i due posti rimasti liberi dopo l’inchiesta di Perugia che ha sconvolto il Csm. Per la prima volta chi è sceso in campo lo ha fatto in prima persona, senza la sponsorizzazione delle correnti che hanno fatto un passo indietro. E’ presente il presidente dell’Anm Luca Poniz, e il segretario Giuliano Caputo. Il nome più conosciuto tra i pm che hanno scelto di candidarsi è quello di Nino Di Matteo, pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, ora in forza alla Direzione nazionale antimafia.

“L’appartenenza a una cordata è l’unico mezzo per fare carriera e avere tutela quando si è attaccati e isolati, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso”, ha esordito il pm antimafia Nino Di Matteo presentando in streaming la sua candidatura al Cam contro la “degenerazione del correntismo” “Al Csm vorrei fare soprattutto il
giudice dei magistrati fuori dal sistema, di quei colleghi che sono stati ostacolati nella loro attività. Il caso Palamara rappresenta una situazione di cui siamo tutto responsabili e penso anche a coloro i quali hanno espresso il loro voto con una mentalità clientelare, per ricevere poi un favore”. “Nel momento più buio della magistratura ho sentito il bisogno e la voglia di mettere la mia umiltà e il mio coraggio per dare una spallata a questo sistema, ha concluso Di Matteo esprimendo anche il suo no al sorteggio e a “riforme punitive”. Per il Csm “non serve una riforma punitiva”, ma bisogna “ridargli autorevolezza costituzionale senza distinzioni legate all’appartenenza, al gradimento politico, alla capacità dei singoli di tessere reti relazionali”, ha continuato il pm. “Non condivido le proposte di riforma sul Csm e il sorteggio dei togati, rispetto i colleghi che per spezzare le patologie del correntismo hanno proposto il sorteggio, ma penso che sia una proposta incostituzionale ed è devastante che i magistrati, che decidono su ergastoli o su patrimoni, non possano avere l’autorevolezza per eleggere i rappresentanti al Csm.

“Negli ultimi 15 anni la magistratura è cambiata, pervasa da un cancro che ne sta invadendo il corpo, i cui sintomi sono la burocratizzazione, la gerarchizzazione degli uffici, il collateralismo politico, la degenerazione clamorosa del correntismo”.  Il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, oggi sostituto alla Dna, ha sottolineato di non aver “mai pensato prima” di candidarsi a Palazzo dei Marescialli, “non sono mai stato iscritto a una corrente e sono sono intenzionato a farlo in futuro” e, ha aggiunto, “spero che la magistratura tutta, con questo voto, dimostri con i fatti di non volersi arrendere a prassi e a un sistema che la sta soffocando: una rivoluzione culturale, insomma, eleggendo chi ha dimostrato di essere estraneo e di voler contrastare le degenerazioni”. Se venisse eletto, l’attenzione di Di Matteo sarebbe rivolta, oltre che alla tutela dei giovani magistrati di prima nomina, alla “trasparenza” delle attività del Csm, alla “questione morale”.

Rif:https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/15/news/csm_di_matteo_dare_spallata_a_sistema_invaso_dal_cancro_-236073702/

Csm, Di Matteo: «Per fare carriera criteri simili a metodo mafioso»

Il pm antimafia ha presentato la sua candidatura

«L’appartenenza a una cordata è l’unico mezzo per fare carriera e avere tutela quando si è attaccati e isolati, e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso». Lo ha detto il pm antimafia Nino Di Matteo presentando in streaming la sua candidatura al Csm contro la «degenerazione del correntismo».

«Non serve una riforma punitiva del Consiglio superiore della magistratura, ma bisogna dargli l’autorevolezza di organo costituzionale senza distinzioni legate all’apparenza o al gradimento politico». Netta la contrarietà di Di Matteo anche all’ipotesi di sorteggio per l’elezione dei togati: «Rispetto i colleghi che lo hanno proposto per superare il correntismo, ma è incostituzionale – ha spiegato- E inammissibile che magistrati che decidono su ergastoli e patrimoni non possano avere competenza e autorevolezza per eleggere i consiglieri del Csm». 

«Negli ultimi 15 anni la magistratura è cambiata, pervasa da un cancro che ne sta invadendo il corpo, i cui sintomi sono la burocratizzazione, la gerarchizzazione degli uffici, il collateralismo politico, la degenerazione clamorosa del correntismo». Di Matteo ha spiegato che la sua candidatura al Csm (le elezioni per due nuovi togati si svolgeranno il 6/7 ottobre) è legata al «bisogno di mettermi in gioco in un momento così buio, a disposizione di chi vuole dare una spallata a un sistema che ci sta portando verso il baratro». Il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, oggi sostituto alla Dna, ha sottolineato di non aver «mai pensato prima» di candidarsi a Palazzo dei Marescialli, «non sono mai stato iscritto a una corrente e sono intenzionato a farlo in futuro» e, ha aggiunto, «spero che la magistratura tutta, con questo voto, dimostri con i fatti di non volersi arrendere a prassi e a un sistema che la sta soffocando: una rivoluzione culturale, insomma, eleggendo chi ha dimostrato di essere estraneo e di voler contrastare le degenerazioni». Se venisse eletto, l’attenzione di Di Matteo sarebbe rivolta, oltre che alla tutela dei giovani magistrati di prima nomina, alla «trasparenza» delle attività del Csm, alla «questione morale». Perché, spiega il magistrato, «negli ultimi anni la magistratura è pervasa da un cancro che si sta espandendo, i cui sintomi sono evidenti: la burocratizzazione, la gerarchizzazione degli uffici il collateralismo con la politica, la degenerazione correntizia».

rif:https://www.corriere.it/cronache/19_settembre_15/csm-matteo-per-fare-carriera-criteri-simili-metodo-mafioso-bf5b37ee-d7a6-11e9-9016-c6193fcbf5c4.shtml

L’onorabilità dei magistrati è a rischio.

Da Toghe rotte a Toghe sporche il passo è lungo ben dodici anni. Era il 2007 ed il Procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, dava alle stampe il suo libro “Toghe rotte. La giustizia raccontata da chi la fa” in cui raccoglie le testimonianze di Tinti e di altri colleghi sulla situazione della giustizia italiana e sulle compromissioni della magistratura. Dodici anni dopo, lo scandalo Luca Palamara deflagra come una bomba nell’aula ovattata del Consiglio Superiore della Magistratura. È così che magistrati, giudici, pubblici ministeri vengono travolti da un’ondata popolare di sdegno. L’onorabilità dei giudici, quel sentimento che comprende la reputazione, l’auto percezione e l’identità morale di un individuo, terreno imprescindibile su cui far attecchire la professione di giudice, traballa sotto le pesanti mazzate dell’inchiesta che vede coinvolti membri del Csm e della Corte di Cassazione. Il comportamento di pochi giudici corrotti, inopportuni, avventati, di colpo investe una maggioranza attonita e formata da magistrati capaci, integerrimi, brillanti, onorabili.

Tra quei magistrati che hanno macchiato l’onorabilità della categoria va annoverato senza dubbio il Procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi. Colui che “ha fatto il viottolo al Csm”, quel giudice già finito sotto indagine della Commissione parlamentare sulle banche, lo stesso che nega di fronte ai suoi colleghi togati l’esistenza di conflitti di interesse. E non solo. Il procuratore Rossi è al centro di un’inchiesta della Squadra Mobile della Questura di Arezzo che ne ha messo in evidenza la non idoneità assoluta a ricoprire un ruolo così delicato. L’inchiesta, venuta alla luce solo recentemente dopo che era rimasta chiusa, inspiegabilmente, in un cassetto della Procura di Genova, racconta una brutta storia davvero. Potrebbe essere la trama di uno squallido film in cassetta anni ’70. Al centro vi è uno spaccato di vita ambientato ad Arezzo, raccontato da due temerari e coraggiosi poliziotti pronti a mettere a rischio la propria carriera pur di far emergere fatti e vicende di certo rilievo penale. 
Una storia dai contorni pruriginosi e con risvolti penali di cui sono protagonisti satiri lussuriosi con la toga, in appuntamenti galanti impegnati con avvocatesse libertine disponibili a raggiungere remote case di campagna, messe a disposizione da poliziotti prodi e fedeli che per agevolare tali incontri non esitano a chiedere denari a imprenditori senza scrupoli alla presenza di avvocati compiacenti. Un ruolo non marginale è quello dello scribacchino di corte che come un araldo in piazza indottrina il popolo con notizie veicolate ad arte dalle misere pagine del suo giornalino di provincia.
Un racconto dai contorni di boccaccesca memoria, impregnato di abusi, minacce, ricatti, minuziosamente scritto in una sorta di diario quotidiano dai due poliziotti. 

Tutto si svolge ad Arezzo, un paesone di provincia, noto per il caso Banca Etruria e prima ancora per essere la città dell’oro. È qui che nel 2008 fa la comparsa il Sostituto Procuratore Roberto Rossi, originario di Perugia, un magistrato che per quattro anni, dal 2008 al 2012, siede nella giunta dell’Associazione Nazionale Magistrati insieme al sodale Luca Palamara che di quel consesso ne è presidente e assunto recentemente alle cronache nazionali per lo scandalo “Toghe Sporche” 
Rossi è un magistrato importante, temuto e ossequiato che a suon di inchieste roboanti assurge spesso alle cronache nazionali.

Fino all’ aprile del 2012 quando la cappa grigia che aleggia sulla Procura di Arezzo e alimentata da sempre più frequenti e incontrollabili “vox populi”, quel detto non detto che cammina veloce tra i vicoli dei paesi, viene squarciata da un evento deflagrante: l’incriminazione per millantato credito di Antonio Incitti. 

Incitti non è un poliziotto qualsiasi. È il braccio destro del Sostituto Procuratore Roberto Rossi. È suo vicino di ufficio in Procura e condivide per anni vizi e segreti del potente magistrato di cui custodisce “particolari di vita irriferibili”.
E’ lui che contatta un imprenditore aretino, Stefano Fabbriciani, sotto indagine della Procura per una storia di usura, per farsi consegnare 50 mila euro in cambio di un interessamento di Rossi e del Procuratore capo dell’epoca Carlo Maria Scipio.  
Fabbriciani acconsente e sentito il parere del fido avvocato, consegna i denari prelevati da una cassetta di sicurezza di Banca Etruria (sigh) a Marta Massai, compagna dell’Incitti. La singolarità è che la consegna del “prestito” non avviene tra le confortevoli mura domestiche che i due condividono, ma addirittura in Procura ed ancora più incredibilmente nell’ufficio del Procuratore Rossi!
Incitti per Rossi è più di un agente di polizia. È un tuttofare, una sorta di maggiordomo, sempre pronto ad esaudire la più piccola richiesta del capo.

Rossi ha bisogno di un pied a terre per incontrarsi con le sue amanti, tra le quali anche giovani avvocatesse del foro aretino? Non c’è problema. Incitti si mette alla ricerca della garçonnière che viene individuata in un appartamento a Poggio Fabbrelli, nel comune di Monte San Savino in provincia di Arezzo. Di affitto, luce, acqua, gas, riscaldamento, si occupa Incitti che paga tutte le utenze. Per arredarla Rossi, insieme a Incitti, si reca a Pisa a ritirare del mobilio “regalato” da un consulente della Procura…
Ma evidentemente i festini organizzati nella garçonnière e che vedono protagonista il noto magistrato, infastidiscono i vicini che durante una accesa riunione di condominio chiedono a gran voce di allontanare quello scomodo personaggio e i suoi amici di merende. È sopra tutti uno dei condomini ad alzare la voce, un tale Emiliano, che si lamenta di dover assistere a spettacoli indecorosi messi in scena sui balconi del condominio. In particolare lamenta il fatto di esibizioni seni al vento, ben visibili a tutti, anche ai bambini che giocano in cortile.
Le proteste contro quella presenza indesiderata e imbarazzante sono così forti che Rossi viene invitato a non frequentare più quel luogo.
Venuta meno la disponibilità dell’appartamento a Poggio Fabbrelli, Rossi chiede al suo prode e valoroso poliziotto di trovare un altro “pied a terre”. Questa volta la scelta cade su un appartamento in località Vitiano, sempre in provincia di Arezzo. Sarà proprio in quell’appartamento che a detta del proprietario, Rossi si incontrerà con un’avvocatessa del foro aretino.
Anche in questo caso i costi di affitto, luce, acqua e riscaldamento vengono sostenuti da Incitti. Anche se l’appartamento è in uso a Rossi.

Oltre ad usufruire di questi appartamenti, Rossi si rende protagonista di molti altri abusi e illeciti.   Incitti, dopo essere stato abbandonato da Rossi e temendo di finire in galera dopo la denuncia di millantato credito a suo carico, rende testimonianze verbali all’ispettore della squadra mobile Alfio Motta. In particolare racconta che Rossi avrebbe addirittura fatto installare di nascosto e illegalmente delle telecamere nell’ufficio del Procuratore capo Scipio per controllare chi incontrava e cosa diceva. Ciò che veniva registrato durante il giorno dalle telecamere nascoste veniva poi visonato la sera al circolo Chimera Calcio di Arezzo presso il quale Incitti e Rossi si ritrovavano spesso. L’accesso a tali telecamere sarebbe avvenuto tramite un computer in uso a Incitti che è stato immediatamente posto sotto sequestro da Rossi appena uscì la notizia di indagini a suo carico.
Molti altri sono gli illeciti e gli abusi compiuti da Rossi e denunciati dalla Squadra Mobile alla Procura di Genova, tra i quali sono elencati casi di trasferimenti di funzionari perché a lui antipatici (è il caso di Marco Dalpiaz ex capo della squadra mobile aretina) e di altri carabinieri e poliziotti piegati alle isterie di Rossi.
Senz’altro l’abuso più eclatante è proprio quello fatto nei confronti dei due poliziotti che hanno osato indagare su di lui. Isadora Brozzi, capo della squadra mobile e Alfio Motta, suo vice, sono stati entrambi sottoposti a procedimento disciplinare e poi trasferiti.

Dopo anni di abusi e comportamenti che niente hanno a che fare con la nobiltà di una professione come quella di Giudice, questa settimana Rossi si trova per l’ennesima volta al cospetto dell’organo di auto governo della magistratura. Il CSM dovrà infatti esprimersi sull’idoneità di Rossi a ricoprire il ruolo di procuratore. Il Ministro della Giustizia Bonafede ha già espresso parere negativo facendo notare “l’inopportunità e l’avventatezza delle condotte del magistrato”.
Al giudizio del Ministro si è uniformato il parere negativo della V Commissione Incarichi Direttivi del Consiglio Superiore della Magistratura, presieduta da Piercamillo Davigo. L’ultima parola spetta adesso al plenum del CSM. 
L’onorabilità della categoria passa anche da questo voto. 

Rif: https://www.eutelia.life

Torre Annunziata – Toghe sporche, anzi sporchissime

Una microcamera nascosta alle spalle del Dr.Antonio Iannello.Ciak si gira e 27 professionisti dell'area torrese-stabiese finiscono in manette

Una microcamera nascosta alle spalle della scrivania del Dr.Antonio Iannello. Ciak si gira e 27 professionisti finiscono in carcere.

La legge è uguale per tutti” – mai menzogna fu più grossa!

La Giustizia, a Torre Annunziata, veniva venduta a 500,00 euro, non un soldo in meno per non suscitare lo sdegno del Dr.Antonio Iannello che provvedeva, dietro compenso, ad emettere sentenza favorevole.

Un sistema ben “oliato” da parte di consulenti, periti ed avvocati.

Occorreva solo concordare la cifra.

Gli avvocati, pagando un compenso di 500.00 euro, ottenevano la sentenza favorevole e la liquidazione di un cospicuo onorario; i consulenti, invece, ottenevano la nomina per gli incarichi e poi versavano al Giudice una parte del loro compenso liquidato in maniera oltremodo esoso dallo stesso Giudice.

Insomma, il Dr.Antonio Iannello guadagnava su tutto.

Le accuse

Le accuse contestate vanno dalla corruzione in atti giudiziari alla truffa aggravata, passando per il falso e la rivelazione di segreti d’ufficio.

Ventotto le persone coinvolte, di cui ventisette in carcere.

Solo Tommaso Forte, maresciallo della Guardia di Finanza, anch’egli indagato, è attualmente a piede libero.

Il maresciallo Forte era la talpa, forniva notizie circa l’attività investigativa svolta dai suoi colleghi al fine di coprire il giudice e l’intero sistema di corruzione che ruotava intorno allo stesso.

Ecco i nomi:

Antonio Ianniello di Scafati (giudice di pace)
Paolo Formicola di Napoli (giudice di pace)
Raffaele Ranieri di Scafati (giudice di pace)

Aniello Guarnaccia di Castellammare (avvocato)
Rosaria Giorgio di Scafati (avvocato)
Carmela Coppola di Pompei (avvocato)
Filippo Costanzo di Scafati (avvocato)
Eduardo Cuomo di Pagani (avvocato)
Nicola Basile di Castellammare (avvocato)
Ivo Garofalo Varcaccio di Torre Annunziata (avvocato)
Guido Garofalo Varcaccio di Torre Annunziata (avvocato)
Rodolfo Ostrifate di Castellammare (avvocato)
Pasquale Esposito di Gragnano (avvocato)

Gennaro Amarante di Scafati (carabiniere)
Antonio Cascone di Scafati (carabiniere)
Tommaso Forte di Altamura (finanziere)

Francesco Afeltra di Sant’Antonio Abate (perito)
Enrico Guerritore Tramontano di Poggiomarino (perito)
Fabio Donnarumma di Castellammare (perito)
Liberato Esposito di Castellammare (consulente)
Dario Luzzetti Torre del Greco (perito)
Salvatore Verde di Torre Annunziata (perito)
Vincenzo Elefante di Castellammare (consulente)
Marco Vollono di Castellammare (perito)
Luigi Coppola di Castellammare (perito)

Vincenzo Calvanese di Nocera Inferiore (medico)
Ciro Guida Pompei (medico)
Luigi Ascione di Portici (medico)

Più che un palazzo di giustizia, un “palazzaccio”

Per il gip, tutti, a vario titolo, si sono resi protagonisti di questa triste vicenda criminale.
I protagonisti, oltre al carcere, rischiano la sospensione dall’esercizio della professione e probabilmente le sentenze “incriminate” saranno annullate.
Insomma, dopo il recente scandalo dei “bolli falsi”, il palazzo di giustizia oplontino resta sotto i riflettori e continua a tremare.

Così il giudice Pagano aiutava il costruttore Rainone

Nel processo al giudice Mario Pagano, accusato di corruzione, si parla dei rapporti con l’imprenditore Eugenio Rainone. E spunta fuori l’incontro con un ex senatore del Pdl. Davanti al collegio C della IV sezione penale del tribunale di Napoli, è il giorno del controesame dell’ispettore Edoardo Napolitano. Autore di un’informativa sul presunto “sistema Pagano”, agli atti del processo, è un poliziotto in forza al nucleo di polizia giudiziaria della procura di Napoli. E al teste d’accusa si rivolgono i difensori di Pagano, gli avvocati Claudio Botti e Domenico Ciruzzi. Le pm Ida Frongillo e Celeste Carrano contestano a Pagano di essere il capo di una “cricca” della sezione civile del tribunale di Salerno. E quindi di aver pilotato sentenze in cambio di costosi regali e denaro, destinato alla Polisportiva Rocchese, di cui il giudice era tra i principali soci. Tra i presunti corruttori Eugenio Rainone, il costruttore del Crescent, alla sbarra in un processo parallelo. Nelle relazioni con Pagano «il gruppo Rainone aveva un peso economico importante. – dichiara l’ispettore Napolitano-. Dall’attività investigativa emerge che l’imprenditore andava una settimana sì e una no a casa del giudice. C’era un rapporto di amicizia, ma era anche a cause di interessi del Rainone». Nella ricostruzione, «i rapporti iniziano dal 2013, dal contenuto di un messaggio del 6 settembre di quell’anno è verosimile che si conoscano da non molto». Secondo l’accusa, Pagano ha talmente a cuore le sorti del costruttore, da recarsi a Roma per vedere un politico. Si tratta dell’ex senatore Rosario Giorgio Costa, eletto cinque volte in parlamento, l’ultima volta con il Popolo delle libertà. Costa, comunque, non risulta mai indagato nell’inchiesta. Il faccia a faccia avverrebbe nel settembre 2014, quando lui non è più a Palazzo Madama da quasi due anni. «Pagano vide Costa nell’interesse di Rainone – sostiene il testimone -, quell’incontro lo abbiamo ricostruito dalla sequenza di messaggi su Whatsapp. L’incontro con l’ex senatore ebbe esito positivo». L’ispettore precisa di averlo «dedotto nel momento in cui Pagano ha comunicato a Rainone, via messaggio, l’esito». Alla richiesta di dettagli, il poliziotto però aggiunge: «Non sappiamo nulla sull’oggetto dell’incontro». La difesa chiede al teste anche se, nelle indagini, vi siano approfondimenti sull’attività della polisportiva. Ad esempio, sul centinaio di ragazzi della scuola calcio, alcuni di famiglie disagiate, oppure sulla prima squadra. La risposta è tuttavia negativa. «Sapevamo comunque – chiarisce l’ispettore – che aveva anche finalità sociali». Al termine, l’avvocato Ciruzzi ritiene che «dal controesame emerge un pregiudizio significativo dell’accusa, molte cose non hanno rilevanza penale». La prossima udienza è fissata il 9 luglio, proseguendo la deposizione di Napolitano.

Rif:https://salernosera.it/cosi-il-giudice-pagano-aiutava-il-costruttore-rainone/

CSM, Frank Cimini denuncia l’uso “personale” della Giustizia

Fughe di notizie e violazioni del segreto investigativo. Soldi e regali per “influenzare” indagini e sentenze. Pressioni e ricatti politici per condizionare le nomine dei magistrati nelle varie procure. Il Csm, negli ultimi tempi, sta dimostrando che dietro il paravento dell’autogoverno, fin troppo spesso, si nasconde un sistema che poco o nulla ha da invidiare agli impuniti della Prima Repubblica.

A rammentarlo è (anche) Frank Cimini, uno dei migliori cronisti giudiziari d’Italia, per oltre 25 anni inviato del Mattino al Palazzo di Giustizia di Milano. Un giornalista che ha vissuto gli anni di Tangentopoli, tanto per capirsi. Quindi sa di cosa parla quando, su Facebook, scrive:

“Io non ho le password per accedere alle chat dei magistrati ma alcuni di loro mi riferiscono che sta dilagando il caso del pm milanese con importante incarico che vestito da volpe con doppia coda aveva chiesto di non essere formalmente identificato durante un controllo di polizia in un locale. Insomma ne discutono in privato. I comuni mortali per sapere devono aspettare gli eventi. Intanto litigano tra loro perché ovvio c’è chi minimizza e chi dice che bisognerebbe procedere. Quasi quasi siamo al bis del caso di tre estati fa… nelle chat le toghe passarono tre giorni a parlare di corna dopo che un messaggio a luci rosse di un membro togato del CSM era finito per errore alla moglie. Lui disse che gli era stato sottratto lo smartphone e su pressione della consorte presentò pure formale denuncia. Purtroppo quel giorno risultarono non funzionanti le telecamere del circuito interno, la denuncia fu archiviata perché non fu trovato il responsabile del presunto molto presunto furto. Procura di Roma e CSM insabbiarono il caso. Accadrà anche per la storia della volpe a due code?” 

Il riferimento è all’episodio, denunciato da “Il Giornale” lo scorso luglio, in cui, durante un blitz antidroga in un elegante club gay, furono chiesti i documenti a tutti i presenti, tra i quali un famoso Pubblico Ministero (totalmente estraneo allo spaccio di droga).

Per carità, ognuno nel privato fa quello che vuole. Peccato però che in quell’occasione il Pm – che durante il festino era “vestito” da volpe con doppia coda – avesse chiesto alla Polizia di non essere identificato.

L’essersi esposto a situazioni di ricattabilità, l’aver messo a rischio l’onorabilità della categoria e, soprattutto, l’aver invocato un “trattamento di favore” ancora non bastano per limitare, in qualche modo, i privilegi autoconcessisi della categoria?

Rif:https://www.sassate.it/csm-frank-cimini/

Csm in ostaggio del caso Criscuoli, nuova bagarre in vista del primo plenum

Csm in ostaggio del caso Criscuoli, nuova bagarre in vista del primo plenum

Non si dimette il consigliere coinvolto nel caso Palamara

Non c’è pace al Csm. Nonostante i reiterati inviti del presidente della Repubblica, nonché del Csm, Sergio Mattarella, rivolti con frequenza prima delle vacanze agli inquilini di palazzo dei Marescialli, a rispettare rigidamente leggi e conseguenti comportamenti congrui, ecco che un’ennesima polemica si preannuncia proprio in coincidenza con il primo plenum che si aprirà domani mattina alle 10. Per comprendere le possibili conseguenze pesanti va tenuto in mente che nell’orizzonte politico del nuovo governo c’è, nel capitolo sulla giustizia, anche la riforma del Csm, il sistema di elezione dei componenti togati e anche le regole interne, nonché leggi fortemente divisive, e sulle quali può contare proprio il parere consultivo del Consiglio, come quelle sulle intercettazioni e sulla prescrizione. Va da sé che un Csm screditato pesa poco, o nulla, sulle future leggi. Molti magistrati di peso hanno già compreso la portata della prossima partita e invitano il Csm a rimettersi velocemente in pista dopo l’inchiesta di Perugia sull’ex pm di Roma Luca Palamara che ha coinvolto ben cinque cinque consiglieri-magistrati su sedici, portandone quattro alle dimissioni, cui va aggiunto il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio.

Che succede invece al Consiglio proprio nel giorno – mercoledì 11 settembre – del primo plenum della stagione? Ecco che il caso Palamara e le sue conseguenze si ripresentano. Da giorni circola la voce che l’ultimo consigliere coinvolto perché anche lui tra quelli che hanno partecipato agli incontri tra magistrati e politici per discutere i vertici degli uffici giudiziari tra cui la procura di Roma – Palamara, il deputato Pd Luca Lotti indagato dalla procura di Roma, il collega di partito Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa di Magistratura indipendente e deputato dem) – e cioè Paolo Criscuoli di Mi, sospeso ma non ancora dimessosi, sarebbe intenzionato a restare al suo posto, chiedendo un pieno reintegro in quanto non ritiene di essere coinvolto nella vicenda al pari degli altri.

Un caso che già infiamma una situazione comunque tesa, su cui incombono le elezioni dei due pubblici ministeri che devono sostituire quelli già dimissionari. I posti lasciati vacanti da Luigi Spina di Unicost e da Antonio Lepre di Mi non sono coperti da consiglieri non eletti, perché nelle elezioni del luglio 2018 le correnti pensarono bene di candidare solo quattro concorrenti per altrettanti posti. Quindi si vota il 6 e 7 ottobre, e la partita si annuncia molto dura per il parterre dei concorrenti, ben 16, tra cui spiccano i nomi di Nino Di Matteo per la corrente di Davigo, di Anna Canepa per Area, di altri magistrati come Fabrizio Vanorio (pm a Napoli) e Tiziana Siciliani (pm a Milano), noti per le loro inchieste. Domenica, in streaming dall’Anm, presenteranno il loro programma. Ma nel frattempo proprio il Csm – tallonato dall’Anm sul caso Palamara, che sabato terrà un’assemblea di tutti gli iscritti – rischia di incartarsi sul caso Criscuoli, le cui dimissioni o meno, ovviamente, per la polemica che scatenano, possono incidere anche sugli equilibri del voto di ottobre.

Il caso Criscuoli, che non è indagato a Perugia, è singolare, perché dimostra come ci sia una sorta di insensibilità rispetto al comportamento che dovrebbe tenere chi entra a far parte di un’istituzione importante come il Csm. Criscuoli faceva parte della sezione disciplinare, quella che giudica i colleghi che hanno commesso errori, ma da lì si è dimesso. Adesso anche lui a sua volta è sotto azione disciplinare proprio per via dei fatti su cui indaga Perugia. Se dovesse rientrare in Consiglio si verificherebbe l’assurdo di un consigliere che, nelle commissioni e nel plenum, siede accanto ai colleghi che poi a loro volta dovranno giudicarlo nell’ambito della sezione disciplinare. Su di lui, inoltre, potrebbero incombere gli interventi disciplinari del ministro della Giustizia e del pg della Cassazione. Va tenuto presente che tra le future norme in discussione nella riforma del Guardasigilli Alfonso Bonafede c’è anche quella di aumentare il numero dei membri del Csm – da 16 a 20 i togati, da 8 a 10 i laici – proprio con l’obiettivo di creare una sezione disciplinare i cui consiglieri, giudici dei loro stessi colleghi, non facciano parte di altre commissioni, ma siano una sorta di tribunale interno isolato dal resto.

Le ore, ovviamente di febbrili contatti, che precedono il plenum diranno alla fine se la linea del vicepresidente David Ermini – ex Pd di area renziana, ma che ha sposato la linea della totale indipendenza una volta entrato al Csm, e con un forte legame con Mattarella – sarà destinata a prevalere. In questo cado Criscuoli dovrà recedere dalla sua volontà di restare e sarà costretto a dimettersi definitivamente. In caso contrario la sua permanenza al Csm aprirà un caso anche in vista dell’assemblea degli iscritti all’Anm di domenica convocato proprio per esaminare i fatti e gli effetti vicini e lontani del caso Palamara sulla magistratura.

Dall’asse M5S-Pd i magistrati si aspettano sì leggi migliori piuttosto dei decreti sicurezza e delle polemiche con Salvini, ma anche scarsa clemenza rispetto agli inciuci delle correnti. Complessivamente l’impressione è che nella querelle tra Bonafede e l’ex Guardasigilli dem Andrea Orlando, il primo potrebbe avere la meglio, perché soprattutto le scelte fatte su intercettazioni e prescrizioni vengono preferite a quelle di Orlando. Ma proprio Bonafede, nei conversazioni riservate, viene criticato per l’assetto del ministero e per i magistrati scelti, mentre vengono preferiti quelli selezionati dal suo predecessore.

Il Csm, oggi, non può più permettersi una sola sbavatura. “Graziato” soprattutto per l’intervento di Mattarella dopo il caso Palamara, deve dimostrare di essere realmente una “casa di vetro”, e non solo perché cerchi di ostacolare il lavoro dei giornalisti con rigide circolari interni che ne bloccano il libero accesso e la visione dei documenti, anche quelli non riservati, proprio l’opposto della necessaria trasparenza (per esempio delle carte dei processi contenuta nella riforma delle intercettazioni di Orlando) e sintomo che nessuno di fida di nessuno. Proprio la “casa di vetro” invece è necessaria in vista di nomine importanti. Innanzitutto, se Criscuoli lascia (e il suo passo pare inevitabile), a prendere il suo posto non potrà essere l’ultimo rimasto dei non eletti, Bruno Giangiacomo della sinistra di Area, perché a sua volta sotto inchiesta disciplinare per via di una indagine sulla sua compagna. Area gli ha già espresso il non gradimento, invitandolo a farsi da parte. Anche per questo posto servirà dunque un’elezione suppletiva. Ma poi ci sono le nomine, a cominciare da quella del procuratore generale della Cassazione, che saranno gestite dalla quinta commissione, presieduta da Mario Suriano di Area, scelto da Ermini proprio per sostituire uno dei dimissionari (Gianluigi Morlini) del caso Palamara. Un ruolo strategico, quelle del pg della Cassazione, anche perché componente di diritto del Csm, nonché titolare dell’azione disciplinare al pari del Guardasigilli. In pole il pg di Roma Giovanni Salvi di Area e quello di Venezia Antonio Mura di Mi. Ottime carriere, ma Mi è la stessa corrente che esprime anche l’attuale presidente della Cassazione Giovanni Mammone in scadenza a ottobre dell’anno prossimo. Senza contare che Salvi gode di maggiore anzianità. Nella partita delle nomine, che seguiranno un ordine rigidamente temporale (si sceglie prima chi ha lasciato prima), la nomina del pg della Cassazione potrebbe cadere all’inizio di ottobre. Seguirà la procura di Torino, vacante da dicembre 2018 dopo il pensionamento di Armando Spataro. Poi toccherà ad altri uffici tra cui le procure di Frosinone e Torre Annunziata, per cui corre l’attuale presidente dell’Anac Raffaele Cantone, che giusto domani sarà rimesso in ruolo e tornerà a fare il giudice, collega tra i colleghi. In coda sia la procura di Roma che quella di Perugia, vacanti da meno tempo. Un Csm con impegni come questi non può dare adito ad alcuna polemica, come quella di far sedere al suo interno consiglieri chiacchierati.

Rif:https://www.repubblica.it/politica/2019/09/10/news/csm_plenum_criscuoli-235692297/

Csm, ribaltone in commissione: no alla conferma del procuratore Rossi

Roberto Rossi

Colpo di scena al Csm. La commissione direttivi, a larga maggioranza (4-1) ha proposto al plenum di non confermare Roberto Rossi a capo della procura di Arezzo. Il ribaltone arriva dopo il parere negativo del ministro Bonafede alla conferma, il cosiddetto «concerto», che pure inizialmente era stato accordato dal Guardasigilli. E’ quest’ultimo il terzo pronunciamento della commissione: il primo favorevole a Rossi, il secondo interlocutorio e adesso il terzo negativo. 

Rif:https://www.lanazione.it/arezzo/cronaca/csm-ribaltone-in-commissione-no-alla-conferma-del-procuratore-rossi-1.4714193

Processo magistrati arrestati, l’Ordine degli avvocati di Trani si costituisce parte civile

Il tribunale di Lecce

Il Consiglio dell’Ordine ha già dato mandato ad un legale di propria fiducia di costituirsi parte civile nel processo che vede coinvolte complessivamente 10 persone. Tra queste anche due avvocati iscritti nell’albo tranese

’Ordine degli Avvocati di Trani si costituisce parte civile nel processo “Giustizia Svenduta” che inizierà domani a Lecce.

«È una scelta sicuramente delicata, ma il nostro agire deve sempre contemperare attenzione e rispetto per tre componenti: la classe forense tranese; i magistrati e, infine ma non da ultima, l’opinione pubblica» rende noto il presidente dell’Ordine degli avvocati di Trani, Tullio Bertolino, al termine di una riunione del Consiglio dell’Ordine convocata ad hoc.

«Per rispetto di tutte le parti in causa, la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani non poteva che essere quella di costituirsi parte civile nel processo che si aprirà nelle prossime ore a Lecce sull’inchiesta ribattezzata “Giustizia Svenduta”, che ha portato alla luce una presunta “giustizia truccata” ad opera di magistrati, avvocati e rappresentanti delle forze dell’ordine.

Il nostro è un atto dovuto prosegue il presidente – perché il comportamento asseritamente deviato di uno sparuto gruppo di rappresentanti delle istituzioni non può e non deve inficiare il lavoro quotidiano di migliaia di persone tra avvocati, magistrati e rappresentanti delle forze di polizia, improntato sempre al rispetto della legge ed alla sua libera ed incondizionata applicazione. Umanamente auspichiamo che in sede processuale tutte le persone coinvolte riescano a dimostrare l’estraneità ai fatti contestati. Ma con altrettanta fermezza non possiamo esimerci dal pretendere giustizia per il danno di immagine riportato dall’intera categoria nei confronti di chi invece dovesse essere condannato per comportamenti che hanno gettato ombre nerissime sul Tribunale di Trani che da oltre 800 anni gode di fama indiscussa in tutto il mondo».

Il Consiglio dell’Ordine di Trani ha già dato mandato ad un legale di propria fiducia di costituirsi parte civile nel processo che vede coinvolte complessivamente 10 persone. Tra queste anche due avvocati iscritti nell’albo tranese. 

«Due avvocati su oltre 2.000 iscritti – conclude il Presidente Bertolino – sono un numero talmente esiguo che dovrebbe indurre tutti, sistema dell’informazione compreso, ad una maggiore prudenza. Ci sono migliaia di persone che svolgono onestamente e correttamente il proprio lavoro e che non meritano di essere etichettati come parte di un sistema corrotto».

rif:https://www.coratolive.it/news/cronaca/871350/processo-magistrati-arrestati-lordine-degli-avvocati-di-trani-si-costituisce-parte-civile