Bonafede, entro dicembre ok riforma processo e Csm

Il ministro della Giustizia dopo il Cdm: “Vertice andato molto bene a 360 gradi; ora confronto con partiti”

Bonafede, entro dicembre ok riforma processo e Csm

ROMA – “Il vertice è andato molto bene: abbiamo affrontato tutti i temi a 360 gradi. Entro dicembre approveremo una riforma del processo penale e civile che riduca i tempi della giustizia. Una riforma che deve riguardare anche il Csm e le carriere dei magistrati che vanno determinate sulla base della meritocrazia”. Lo ha affermato il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, al termine del vertice sulla Giustizia a Palazzo Chigi.

“Per me è fondamentale che una riforma del Csm e della magistratura possa rilanciare agli occhi dei cittadini l’immagine della giustizia”, ha spiegato Bonafede parlando di intervento non solo sul Csm ma “proprio sulla carriera del magistrato affinché la meritocrazia abbia uno spazio centrale nell’avanzamento della carriera”. Con la Lega “siamo d’accordo sui settori di intervento, chiaramente sia io che Giulia Bongiorno dopo questo confronto ci siamo detti che dobbiamo confrontarci con le nostre forze politiche di riferimento di modo da avere un altro incontro nel dettaglio”.

l Guardasigilli ha confermato di volere andare avanti sul tetto di 240mila euro per gli stipendi ai magistrati. “Il vertice è andato molto bene, entro dicembre dovrà essere approvata la riforma della giustizia che riguarda il processo civile e quello penale per avere tempi certi dei processi, l’obiettivo è il dimezzamento”.

“Si deve decidere che se c’è un tempo che va rispettato, quel tempo” dei processi “deve essere rispettato e chiaramente ci sono delle conseguenze se il magistrato che è stato messo in condizione di rispettare i tempi non lo ha rispettato. Conseguenze che potrebbero esser di carattere disciplinare” ha continuato Bonafede ponendo l’accento anche sui tempi delle indagini disciplinare, fase “di limbo in cui il cittadino non ha alcuna certezza”.

“Abbiamo deciso di tenere le intercettazioni in un altro provvedimento” diverso dalla riforma dei processi e del Csm, ha concluso. “Le intercettazioni e il trojan sono strumenti fondamentali”.

rif: https://www.repubblica.it/politica/2019/06/20/news/bonafede_entro_dicembre_ok_riforma_processo_e_csm-229194676/

C’è una sola strada per riformare il Csm: trasparenza

I verbali della commissione che ha scelto i candidati alla Procura di Roma sono segreti. Gli unici che possono ottenerli sono i dieci esclusi. Lo facciano

uando uno scandalo scoppia, come sempre accade, si torna a parlare di riforme “indifferibili”. Il Consiglio superiore della magistratura (e la magistratura nel suo insieme) attraversa il peggiore periodo della sua storia. E per rimediare al bubbone delle pressioni indebite, del mercanteggio tra correnti, delle nomine fatte su dettatura, ecco che si torna a pensare a nuove regole per l’elezione dei magistrati, a sistemi per frenare i baratti interessati, il “mercato delle vacche”.

Volete sapere quale sarebbe una soluzione vera, e facile facile? Imporre una totale trasparenza al lavoro delle commissioni. Altro che O-ne-stà, o-ne-stà, come gridano i grillini: qui serve tra-spa-ren-za. E basterebbe poco.

Vediamo. Al centro del caso è la Quinta commissione, quella che si occupa delle nomine alle più alte cariche dirigenziali, cioè seleziona tra i candidati a questa o a quella Procura della Repubblica. Ma i suoi verbali, come quelli di altre commissioni del Csm, non sono raggiungibili. Una gentile funzionaria del Csm conferma a Panorama.it che “il regolamento interno” del Csm stesso fa dei verbali di quella commissione “atti privati non ostensibili”: cioè segreti, inviolabili.

Cerchiamo di capire che cosa è accaduto. Il caso che ha scoperchiato questo verminaio è iniziato lo scorso 23 maggio, il giorno in cui la quinta commissione del Csm, che per l’appunto si occupa del “conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi”, ha indicato al plenum quale fosse la terna dei candidati per il posto di procuratore di Roma lasciato libero da Giuseppe Pignatone, andato in pensione. In commissione i tre nomi “passati” quel giorno sono stati quelli di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze; di Francesco Lo Voi, procuratore di Palermo; e di Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze: Viola ha incassato quattro voti, lasciandone uno a testa agli altri due candidati.

Ma all’inizio di quest’anno, quando era stato chiaro che la poltrona di Pignatone stava per liberarsi, a candidarsi al suo posto non erano stati solo questi tre “concorrenti”: altri dieci alti magistrati avevano fatto regolare domanda alla quinta commissione del Csm.

Chi sono? Ecco i loro nomi: si erano fatti avanti (in ordine alfabetico)

Giuseppe Corasaniti, capo del dipartimento degli Affari di giustizia del ministero della Giustizia; 

Giuseppe De Falco, procuratore di Frosinone;

Claudio Di Ruzza, procuratore del Tribunale dei minori di Campobasso;

Alessandro Mancini, procuratore di Ravenna;

Antonio Maruccia, procuratore generale di Lecce;

Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Roma;

Francesco Prete, procuratore di Velletri;

Leonida Primicerio, procuratore generale di Salerno; 

Cuno Tarfusser, vicepresidente della Corte penale internazionale dell’Aja ed ex procuratore di Bolzano;

Salvatore Vitello, procuratore di Siena.

Tutti e dieci, come si nota a colpo d’occhio, sono magistrati assolutamente non di secondo ruolo, rispetto ai tre prescelti. Al contrario, sono importanti ed esperti, dotati di competenze evidenti e di capacità organizzative. In alcuni casi, si tratta anche di gente di fama: veri personaggi. Alcuni, di loro (difetto fondamentale!), forse non hanno una corrente che li sostenga…

Ecco. La domanda centrale, ma se si vuole il vero busillis originario dello scandalo del Csm, è tutto qui: come sono stati scelti fra i 13 candidati i tre della terna proposta al Csm, e sulla quale poi si è scoperto che si stava esercitando un gioco illegittimo di pressioni e ricatti?

La domanda è: come sono stati esclusi, i dieci magistrati concorrenti? Perché sono stati eliminati uno dopo l’altro, proprio come “i dieci piccoli indiani” del famoso romanzo di Agatha Christie? Ci spiace, ma a questo (almeno per ora) non possiamo rispondere. Proprio perché, come dice la gentile funzionaria del Csm, i verbali della quinta commissione sono segreti, riservati, “non ostensibili”. A precisa domanda, la funzionaria aggiunge che soltanto i “diretti interessati”, cioè i dieci magistrati esclusi, potrebbero fare richiesta per accedere alla documentazione. Non abbiamo capito se li otterrebbero, ma intanto è una strada: anzi, è l’unica strada per la tra-spa-ren-za.

Ecco: il nostro sommesso suggerimento è che i verbali da adesso in poi diventino integralmente e totalmente pubblici. In più, ci piacerebbe tanto che i dieci facessero quella domanda, che chiedessero di sapere perché mai i sei membri della quinta commissione (per la cronaca, i consiglieri Mario SurianoFulvio GigliottiGianluigi Morlini, Emanuele BasilePier Camillo Davigo e Antonio Lepre) hanno preferito i loro tre colleghi. A noi interesserebbe saperne qualcosa di più e loro, “i dieci piccoli indiani eliminati dal Csm”, sono l’unica via per la trasparenza.

rif: https://www.panorama.it/news/in-giustizia/csm-come-riformare-trasparenza/

Sentenze pilotate, due giudici del Consiglio di Stato vogliono patteggiare. Dall’indagine è nato l’esposto del pm Fava contro Ielo che ha dato il via alla guerra tra le toghe romane

Vincere un ricorso davanti al Consiglio di Stato non era affatto difficile. Bastava sapere a chi rivolgersi, sganciare una mazzetta e attendere la sentenza tanto desiderata. Uno scandalo per il quale ieri hanno chiesto di patteggiare l’ex presidente del Consiglio di Giustizia amministrativa (Cga) della Sicilia Raffaele Maria De Lipsis, l’ex magistrato della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso e, in ultimo, il deputato dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso.

I tre sono accusati dalla Procura di Roma di aver messo in piedi una cricca specializzata nella compravendita di verdetti amministrativi capace, tra il 2014 e il 2015, di incassare ben 150mila euro. Una richiesta di patteggiamento su cui, il 26 giugno, dovrà esprimersi il gup di Roma, Costantino De Robbio. La quarta persona coinvolta in questa inchiesta, il giudice in pensione del Consiglio di Stato Nicola Russo, ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario che inizierà il prossimo 15 luglio.

Questa vicenda, di per sé molto importante, si intreccia con i recenti problemi interni al Csm. Si tratta del procedimento su cui lavoravano il procuratore aggiunto Paolo Ielo (nella foto) e il pm Stefano Fava, quest’ultimo poi spogliato dell’inchiesta, e in cui figuravano gli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore. Un’indagine che convinse Fava a scrivere il famoso esposto contro Ielo e Giuseppe Pignatone da cui, di fatto, ha preso il via la cosiddetta guerra delle toghe.

Rif:http://www.lanotiziagiornale.it/sentenze-pilotate-due-giudici-del-consiglio-di-stato-vogliono-patteggiare-da-indagine-e-nato-esposto-pm-fava/

SICURO GRECO CHE AL NORD TUTTO FILI LISCIO, VISTO CHE L’INCHIESTA ENI-NIGERIA È IN BALLO DA UN DECENNIO E NON ACCENNA A CONCLUDERSI?

l procuratore della Repubblica Francesco Greco nel commemorare mercoledì a Milano Walter Mapelli, il procuratore di Bergamo morto lo scorso aprile, ha fatto anche un accenno alla bufera sul Csm generata dall’inchiesta sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. E lo ha fatto riferendosi proprio alla nomina di Mapelli a Bergamo dicendo che quel «mondo che vive nei corridoi degli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana e che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del Nord, ci ha lasciato sconcertati».

Walter Mapelli

WALTER MAPELLI

Il procuratore Greco ha ricordato Mapelli fin da quando era uditore a Milano raccontando che «già allora si capiva la sua passione per la finanza» e per i temi economici e sottolineando la «sua intelligenza capace di interconnettere saperi e culture diverse che gli hanno permesso di approcciare il lavoro» in modo completo «e di vedere oltre» e cioè «capire cosa accadeva dopo».

Palamara e Pignatone

PALAMARA E PIGNATONE

Inoltre di Mapelli ha ricordato la capacità di «organizzare» gli uffici e la sua «disponibilità e generosità», spiegando che lo avrebbe voluto come aggiunto a Milano. Invece aveva fatto domande, respinte, per Piacenza e altre procure. «Io penso che una domanda come la sua – è il ricordo personale di Greco – avrebbe dovuto portare i consiglieri del Csm a stappare bottiglie di champagne. Invece non è stato facile. Ci siamo resi conto che il suo lavoro di recuperare soldi per l’erario non era un lavoro utile per ottenere un incarico direttivo».

GIANNI BARBACETO FRANCESCO GRECO MARCO TRAVAGLIO

GIANNI BARBACETO FRANCESCO GRECO MARCO TRAVAGLIO 

E qui la parentesi sul metodo per l’assegnazione degli incarichi direttivi che «ci ha lasciato sconcertati, umiliati. Abbiamo capito che le logiche sono altre. Sono quelle di mondo che vive nel buio degli alberghi, nei corridoi e nelle retrovie della burocrazia romana e che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del Nord».

FRANCESCO GRECO ROBERTO DAGOSTINO


Rif:https://www.dagospia.com

Francesco Greco contro le “sconcertanti e umilianti logiche romane” nel Csm

Nella commemorazione del collega e amico Walter Mapelli, il procuratore di Milano ha parlato di un mondo dei corridoi di alberghi che “non appartiene ai magistrati del Nord”

Francesco Greco contro le

Il mondo della magistratura è stato travolto da “logiche romane” che non appartengono ai magistrati del Nord e che “ci ha lasciato sconcertati e umiliati”. Il procuratore della Repubblica Francesco Greco, nel commemorare a Milano Walter Mapelli, il procuratore di Bergamo morto lo scorso aprile dopo una lunga malattia, ha fatto un accenno alla bufera sul Csm generata dall’inchiesta sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. E lo ha fatto riferendosi proprio alla nomina di Mapelli a Bergamo dicendo che quel “mondo che vive nei corridoi degli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana e che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del Nord, ci ha lasciato sconcertati e umiliati nelle sue logiche di funzionamento”.

Un legame fra Greco e Mapelli iniziato tanti anni fa a Milano e proseguito anche nel difficile confronto con il Csm, dove “abbiamo vissuto la stessa sensazione di umiliazione”, ossia “aver lavorato per tutelare l’economia sana ma come se queste non fossero cose utili per ottenere un incarico direttivo”. Un mondo, spiega il procuratore Greco facendo riferimento al Csm, “che abbiamo dovuto conoscere, apprendere, nelle sue logiche di funzionamento e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati, perché dicevamo ‘beh, noi in fondo abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domande’ e invece poi capisci che le logiche sono altre”.

Per Mapelli “poi per fortuna le cose sono andate bene. Però ricordo che Walter come tanti altri magistrati questo tipo di esperienza non la meritavano”, sottolinea il procuratore capo di Milano durante un convegno al Palazzo di Giustizia. “Lo dico perché in questi giorni mi è venuto proprio da pensare a queste chiacchierate”, conclude con tono commosso Greco, che ha ricordato l’amico magistrato e il loro “legame che non finirà mai”

Rif: https://www.huffingtonpost.it/entry/francesco-greco-contro-le-sconcertanti-e-umilianti-logiche-romane-nel-csm_it_5d0a4314e4b0e560b70c9e54

Il procuratore Greco: «Nel Csm umilianti logiche romane»

L’affondo del magistrato di Milano: «Un mondo lontano dai magistrati del Nord». Una vicenda di «inaudita gravità» che ha fatto «emergere l’esistenza di una questione morale nella magistratura»

Il procuratore Greco: «Nel Csm umilianti logiche romane»

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La frase ha un valore catartico per molti dei magistrati presenti al convegno intitolato al collega Walter Mapelli, morto di recente dopo una lunga malattia. «È un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana», dice il Procuratore di Milano Francesco Greco il quale, ricordando commosso il collega, sembra rimarcare la differenza tra chi lavora lontano dai centri del potere romano, politico e giudiziario, e chi è costretto suo malgrado o, peggio, si acconcia a fare i conti con essi per convenienza personale, come sembra emergere dall’inchiesta che sta squassando il Csm travolgendo l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. La voce di Greco si incrina più volte mentre parla del procuratore della Repubblica di Bergamo scomparso l’8 aprile scorso a 60 anni, che svolse con lui l’uditorato all’inizio della carriera negli anni 80. L’affollata aula magna del Palazzo di giustizia di Milano è la stessa in cui, quando deflagrò l’inchiesta sulle toghe romane, l’Anm locale approvò all’unanimità un severo documento in cui si chiedevano le dimissioni dei componenti del Csm coinvolti in una vicenda di «inaudita gravità» che ha fatto «emergere l’esistenza di una questione morale nella magistratura». 

«Sconcertati e umiliati»

Come Greco, anche Walter Mapelli prediligeva le indagini sui reati economici e finanziari, più volte si confrontava con il Procuratore di Milano su questi argomenti. Nonostante fosse riconosciuto come un ottimo investigatore ed organizzatore, ha dovuto attendere non poco prima di ottenere la nomina a Procuratore. «Abbiamo vissuto la stessa situazione di umiliazione per avere lavorato per tutelare l’economia sana, ma queste non erano cose utili per ottenere un incarico direttivo», dice Greco prima di pronunciare la frase con cui prende le distanze dalle vicende romane. Esse rappresentano un mondo che «abbiamo dovuto conoscere, apprendere nelle sue logiche di funzionamento e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati», aggiunge. Lui e molti altri ritenevano che bastasse aver fatto il proprio dovere per presentare domanda al Csm: «Ci chiedevamo “in fondo noi abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domande” e invece poi capisci che le logiche sono altre». 

«Termine Nord valore metaforico»

Le cose, riconosce il magistrato, alla fine «sono andate bene», visto che sia lui che Mapelli sono stati nominati Procuratori, ma l’amico scomparso «questo tipo di esperienza non la meritava». L’affermazione sulle vicende romane in serata suscita qualche disappunto di chi, tra i magistrati, ritiene che sia inopportuno fare distinzioni «territoriali» nella categoria. «Il mio pensiero è stato caricato di un significato che non ha», precisa Greco, che ha origini napoletane e ha vissuto a Roma. «Il termine Nord aveva un mero valore metaforico, ciò che mi premeva sottolineare era il disinteresse spesso mostrato nella valutazione dell’impegno professionale dei magistrati. E questo vale per tutti i magistrati italiani che oggi giustamente si ritengono danneggiati da ciò che è emerso».

rif:https://milano.corriere.it/19_giugno_19/procuratore-greco-bufere-procure-sconcertano-logiche-romane-5e7801ec-929f-11e9-8993-6f11b6da1695.shtml?refresh_ce-cp

Scandalo Csm, Greco: “Le dinamiche romane? Sconcertanti e umilianti”

Durissime attacco di Francesco Greco ai colleghi romani. Il procuratore di Milano, celebre per aver contribuito a inchieste quali Mani pulite e il Crac Parmalat, non usa giri di parole per condannare senza appello il torbido intreccio capitolino tra magistrati, politica e maneggioni che ha travolto il Csm.

Chiamato a commemorare, oggi a Milano Walter Mapelli, il procuratore di Bergamo morto lo scorso aprile – strappato alla vita da un brutto male –, è intervenuto a gamba tesa, nella sulla bufera sul Csm legata dall’inchiesta sull’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara

Proprio in riferimento al compianto amico e collega Mapelli, commuovendosi più volte nel suo discorso, Greco ha dichiarato: “Quel mondo che vive nei corridoi degli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana e che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del Nord, ci ha lasciato sconcertati umiliati nelle sue logiche di funzionamento”.

Greco, riferendosi al Csm, ha detto: “Un mondo che abbiamo dovuto conoscere, apprendere, nelle sue logiche di funzionamento e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati, perché dicevamo ‘beh, noi in fondo abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domande’ e invece poi capisci che le logiche sono altre…”.

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/scandalo-csm-greco-dinamiche-romane-sconcertanti-e-umilianti-1713747.html

Csm, il procuratore di Milano Greco: “Sconcertati dalle logiche di funzionamento della burocrazia romana”

Csm, il procuratore di Milano Greco: “Sconcertati dalle logiche di funzionamento della burocrazia romana”

Il procuratore capo del capoluogo lombardo ricorda l’amico Mapelli, ex procuratore di Bergamo scomparso ad aprile dopo una lunga malattia: “Abbiamo vissuto la stessa sensazione di umiliazione”, ossia “aver lavorato per tutelare l’economia sana ma come se queste non fossero cose utili per ottenere un incarico direttivo”. Riferimento diretto alle logiche di Palazzo dei marescialli, svelate dall’inchiesta su Luca Palamara

“Un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord, e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana“. Parola di Francesco Greco, procuratore capo di Milano che in questo modo ha ricordato Walter Mapelli, l’ex procuratore di Bergamo morto ad aprile dopo una lunga malattia. Il riferimento del capo degli inquirenti milanesi è per l’inchiesta che ha travolto il Consiglio superiore della magistratura,  svelando in che modo i giudici e politici progettavano d’influire nelle influire sulle nomine dei magistrati.

Ricordando l’amico e collega Mapelli, Greco ha parlato del loro rapporto, cominciato a Milano negli anni ’90 e proseguito anche nel difficile confronto con il Csm, dove “abbiamo vissuto la stessa sensazione di umiliazione”, ossia “aver lavorato per tutelare l’economia sana ma come se queste non fossero cose utili per ottenere un incarico direttivo”. Un mondo, spiega il procuratore Greco facendo riferimento a Palazzo dei Marescialli, “che abbiamo dovuto conoscere, apprendere, nelle sue logiche di funzionamento e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati, perché dicevamo ‘beh, noi in fondo abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domandè e invece poi capisci che le logiche sono altre”.

Mapelli iniziò la sua carriera con un lungo tirocinio a Milano al fianco proprio di Greco, prima di coordinare importanti inchieste sulle tangenti a Monza e infine essere nominato procuratore capo a Bergamo. “Poi per fortuna le cose sono andate bene. Però ricordo che Walter come tanti altri magistrati questo tipo di esperienza non la meritavano”, ha detto sempre il procuratore capo di Milano durante un convegno al Palazzo di giustizia di via Freguglia. “Lo dico perché in questi giorni mi è venuto proprio da pensare a queste chiacchierate”, spiega Greco.

Il procuratore ha ricordato Mapelli fin da quando era uditore a Milano raccontando che “già allora si capiva la sua passione per la finanza” e per i temi economici e sottolineando la “sua intelligenza capace di interconnettere saperi e culture diverse che gli hanno permesso di approcciare il lavoro” in modo completo “e di vedere oltre” e cioè “capire cosa accadeva dopo”. Sempre di Mapelli Greco ha ricordato la capacità di “organizzare” gli uffici e la sua “disponibilità e generosità”, spiegando che lo avrebbe voluto come aggiunto a Milano. Invece aveva fatto domande, respinte, per Piacenza e altre procure. “Io penso che una domanda come la sua – ha spiegato  – avrebbe dovuto portare i consiglieri del Csm a stappare bottiglie di champagne. Invece non è stato facile. Ci siamo resi conto che il suo lavoro di recuperare soldi per l’erario non era un lavoro utile per ottenere un incarico direttivo”. E qui la parentesi sul metodo per l’assegnazione degli incarichi direttivi che “ci ha lasciato sconcertati, umiliati. Abbiamo capito che le logiche sono altre. Sono quelle di mondo che vive nel buio degli alberghi, nei corridoi e nelle retrovie della burocrazia romana e che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del Nord”.

PRIMA DI CONTINUARE

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Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/19/csm-il-procuratore-di-milano-greco-sconcertati-dalle-logiche-di-funzionamento-della-burocrazia-romana/5267470/

MAGISTRATI… toh, c’è anche la Saguto!!!

La vicenda che sta coinvolgendo l’ANM e il CSM., ovvero gli organi di rappresentanza della magistratura, trova coinvolti una serie di personaggi, dai due rappresentanti politici, Cosimo Ferri e Luca Lotti del PD a diversi magistrati, alcuni dei quali in grado di orientare delicate nomine a prestigiosi incarichi, anche attraverso sistemi di dossieraggio che ricordano quelli usati da Montante. Nell’attuale caso leggasi Palamara. Al centro degli interessi c’è la successione al vertice della Procura di Roma, rimasta vacante dal 9 maggio, dopo il pensionamento del titolare Pignatone. Nella famosa riunione notturna, tenutasi nella stessa data, Lotti ha chiaramente indicato Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, che, nella votazione del 23 maggio è risultato il più accreditato, con quattro voti, rispetto a un voto preso da Giuseppe Creazzo, procuratore capo di Firenze, responsabile, ahimè, dell’indagine sul padre di Renzi, e Francesco Lo Voi procuratore capo di Palermo. Proprio Magistratura indipendente, che per anni è stata la corrente moderatamente di destra più importante della Magistratura, sembra essere finita nel mirino. Va precisato che di essa fanno parte Cosimo Ferri, già sottosegretario alla giustizia nei governi Letta, Renzi, Gentiloni, già componente del CSM dal 2006 al 2010, poi, dal 2011 segretario generale di Mag. Ind. Questa corrente ha visto tra i suoi iscritti Paolo BorsellinoPier Luigi VignaPiercamillo DavigoGiovanni Tinebra, e, in tempi più recenti, Giuseppe PignatoneTommaso VirgaClaudio Galoppi e, senti senti, persino Silvana Saguto. Ferri è stato uno di quelli che nel marzo 2010 ha formulato la proposta, poi ratificata il 1° Maggio dello stesso anno, di nominare Silvana Saguto alla presidenza dell’Ufficio Misure di prevenzione di Palermo. Le intercettazioni evidenziano come la Saguto, chiedesse, in tempi lontani a Lo Voi e in tempi più recenti a Pignatore, di essere tutelata e assistita in alcuni procedimenti nei suoi confronti, da magistrati validi da costoro possibilmente indicati o consigliati. Pareva che la tela tessuta da Ferri e da Lotti, potesse essere definitiva con l’indicazione di Marcello Viola alla Procura romana, e Viola si presentava come un candidato con ottime referenze, avendo per anni diretto la Procura di Trapani e lavorato in quella di Palermo negli anni roventi.
Il 23 maggio la Commissione incarichi direttivi faceva una prima scrematura attribuendo quattro voti a Viola e uno rispettivamente a Creazzo e a Lo Voi, traditi dalla loro stessa corrente. Proprio nei confronti di Magistratura indipendente sembrano ultimamente essersi indirizzati gli strali di coloro che si stanno scagliando contro l’organismo rappresentativo dei magistrati: i tre rappresentanti Corrado CartoniAntonio Lepre e Paolo Criscuoli, avrebbero partecipato alla misteriosa cena con Lotti, ma rifiutano di dimettersi e chiedono di vedere “le carte” in cui sarebbero compromessi. Secondo Palamara Lo Voi avrebbe avuto la nomina alla Procura di Palermo, scavalcando altri più titolati, grazie a Pignatone: per alcuni versi a Roma egli assicurerebbe una sorta di continuità, ma resta da vedere se gli equilibri tra le correnti e il parere del Ministro della Giustizia, ammesso che conti, possa contare quanto quello dell’altro ministro, Salvini, al quale Magistratura Indipendente ha dato nel febbraio scorso un endorcement a proposito delle sue dichiarazioni sulla, legittima difesa per il caso Peveri. La nomina di Lo Voi a Palermo è stata votata dai rappresentanti di Magistratura Indipendente, (tra cui Claudio Galoppi), di cui fa parte, dalla laica di Forza Italia Maria Elisabetta Alberti Casellati, in commissione incarichi direttivi, dai consiglieri del centro destra e dai laici del Pd, quindi con una grande convergenza di forze politiche, tipica del primo renzismo: allo stato attuale egli rimane ancora favorito a meno che l’attuale maggioranza di governo non si orienti verso qualche outsider, per evitare polemiche.
E, a proposito di cene, comunque più aperte, non si può fare a meno di citare quella del 15 gennaio 2019 a Roma, sulla terrazza coperta de la Lanterna cui hanno partecipato imprenditori, eleganti signore, qualche politico e pochi magistrati, circa 200 persone paganti, tavoli da nove posti (“a partire da 6 mila euro”, spiegava l’iscrizione), ospite d’onore Matteo Salvini seduto accanto alla padrona di casa, la giornalista Annalisa Chirico, e l’ex ministro Guardasigilli Paola Severino, insieme al procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, al Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, ai renziani Maria Elena BoschiFrancesco Bonifazi, ai ministri leghisti Salvini, Fontana, Buongiorno e al capogruppo Molinari e a una serie impressionante di vip, come Briatore, Lotito, Luca Cordero di MontezemoloTronchetti Provera, l’editore Urbano Cairo, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e il presidente del Coni Giovanni Malagò. Diciamo che tutti progettavano un migliore funzionamento della giustizia in Italia. Ah, non c’era il ministro della giustizia.
Cosa c’entra la Saguto in tutto questo? C’entra come espressione dell’operato di alcuni settori della magistratura che, dall’alto degli incarichi ricoperti da chi li occupa, hanno fatto il bello e il cattivo tempo, disponendo chi indagare, chi assolvere, chi condannare, con chi schierarsi, al di là di qualsiasi etica legata alla delicatezza del ruolo ricoperto e alla fiducia del cittadino nell’imparzialità della giustizia. Il “sistema Saguto”, con il suo cerchio magico di avvocati, giudici, cancellieri, docenti universitari, politici, economisti, consulenti ecc. non è molto diverso dal sistema Montante o dal sistema Palamara. E in tutti si evidenziano sempre alcune linee di autodifesa, come quella del “così fan tutti”, o così si fa da sempre, per giustificare nomine “di fiducia” affidate a parenti, amici, mariti, figli di amici ecc…, oppure per ritenere abituale e quindi giustificata e ammessa l’interferenza della politica nella lottizzazione delle cariche affidate ai magistrati. La Saguto che si lamenta perché alla Fallimentare si possono nominare parenti, mentre se lo fa lei crea scandalo, non è molto diversa da Lotti che trama con Palamara per mettere nel posto giusto colui che, oltre ad avere l’appoggio del suo partito, dovrebbe poi magari occuparsi delle vicende giudiziarie in cui è coinvolto. E poi c’è la giustificazione finale, il paletto che tenta di estendere il silenzio su tutto e di evitare di parlarne: così facendo si delegittima tutta la magistratura: non è vero. Se la magistratura è capace di individuare i suoi corpi infetti e di amputarli, essa stessa si rilegittima e si apre alla fiducia dei cittadini. Non bisogna cercare se “ci sarà un giudice a Berlino”, ma, al contrario, non avere bisogno di cercare un giudice a Berlino per avere giustizia e fede nella giustizia. Il polverone di oggi, così come quello di qualche anno fa non sono stati sufficienti a sollevare il problema sulla riforma dell’intero sistema della giustizia, sulla responsabilità civile dei giudici che non pagano mai per le loro malefatte, sulla divisione delle carriere e sulla necessità di tracciare una netta linea di demarcazione tra magistratura e politica, una divisione rigida dei ruoli, visto il continuo tentativo dei due poteri di mettere le mani uno sull’altro.
Solo per curiosità e con la precisazione che il citato incontro tra Ferri e Saguto, programmato dal giudice Tommaso Virga, poi non avvenne, riportiamo un’intercettazione del maggio 2018 tra Costantino Visconti, professore Universitario palermitano e la Saguto:

SILVANA: Tant’è che quando non capivo niente ero di M.I. perché c’era Paolo Borsellino e pensavo che M.I. fosse indipendente, in tempo tre ore circa mi sono dovuta ricredere di corsa, ma che ne sapevo io giovane uditrice come funzionava? 
COSTANTINUCCIO: Va beh, salutami il mitico Cosimo Ferri.
SILVANA: Va bene, senz’altro.
COSTANTINUCCIO: E’ un simpaticone, è una persona, vedrai…
SILVANA: E meno male!
COSTANTINUCCIO: Sì, sì, è un poco cazzaro , però ha…
SILVANA: Ma lo conosco, lo conosco un poco perché quando si portò…
COSTANTINUCCIO: …un grande istinto corporativo…
SILVANA: …al consiglio lui venne e fece tutta la propaganda, è venuto pure da me ai tempi, quindi l’ho conosciuto. 
COSTANTINUCCIO: Però guarda, è uno che io ho rivalutato perché ha un grosso istinto protettivo nei confronti dei pp.s..
SILVANA: Sì, poi lui ha una cosa: non mistifica niente. 
COSTANTINUCCIO: Sì, dice quello che è, è vero.
SILVANA: Quello che è, quello che ti dice è vero, cioè lui lo farà e lo pensa.
COSTANTINUCCIO: Sì, sì, sì, è così.
SILVANA: Non è uno di quelli che ha le dietrologie alla Petralia Petralia che non sai mai quello che realmente pensa.
COSTANTINUCCIO: No, no, no!
SILVANA: E men che meno riuscirà a prevedere cosa farà, quindi…
COSTANTINUCCIO: E’ meglio neanche chiederglielo come pensa.
SILVANA: No, appunto. Va bene.

Rif:http://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/239-parla/74923-magistrati-toh-c-e-anche-la-saguto.html

Giustizia truccata, imprenditore D’Introno: «A Bari ho parlato di altri magistrati»

«Per altri magistrati sono stato ascoltato dalla Procura di Bari». Flavio D’Introno lascia cadere lì, durante una delle ultime udienze dell’incidente probatorio davanti al gip di Lecce, Giovanni Gallo, l’ennesimo indizio sulle nuove indagini partite dal fascicolo sulla giustizia svenduta nel Tribunale di Trani. Quelle nate dallo stralcio di alcuni atti che il procuratore Leonardo Leone de Castris e i pm Roberta Licci e Giovanni Gallone hanno trasferito, per competenza, ad altre sedi giudiziarie.

Sul fascicolo aperto a Bari c’è, ovviamente, massimo riserbo. «Questo non è il luogo in cui si può riferire una circostanza di questo genere», ha tagliato corto il pm Gallone per interrompere il racconto di D’Introno in sede di controinterrogatorio, il 6 giugno, davanti al gup di Lecce. L’incidente probatorio riprende stamattina con Antonio Savasta, l’ormai ex pm che ha confessato di aver accettato soldi da D’Introno per manomettere fascicoli di indagine. Ma, nel frattempo, l’inchiesta va avanti.
Lo stralcio di Bari potrebbe riguardare la gestione di alcuni procedimenti davanti alla giustizia tributaria, procedimenti che hanno riguardato lo stesso D’Introno e in particolare le cartelle esattoriali emesse nei suoi confronti per circa 8-9 milioni: queste cartelle furono annullate dalla Commissione tributaria provinciale, in primo grado, sulla base di un’eccezione di inesistenza delle notifiche, ma l’appello dell’Agenzia delle Entrate ribaltò la sentenza poi confermata in Cassazione.

’Introno ne ha parlato, nel corso dell’esame del 6 giugno, rispondendo alle domande di Francesco Paolo Sisto, difensore di Simona Cuomo, l’ex avvocato dell’imprenditore di Corato sottoposta a interdizione dall’attività professionale. A Mario Malcangi, difensore di Luigi Scimè, l’altro ex pm di Trani coinvolto nell’incidente probatorio (D’Introno dice di aver pagato anche lui, l’interessato smentisce), l’imprenditore ha raccontato «delle minacce da parte di un altro magistrato» di cui avrebbe parlato «presso la Procura di Bari». Una situazione intricatissima, nella quale si inserisce anche delle dichiarazioni che lo stesso D’Introno avrebbe reso il 4 febbraio, raccontando ai carabinieri di Barletta delle minacce a suo dire ricevute da un noto avvocato della città ed in qualche modo riconducibili all’episodio delle cartelle esattoriali.

D’Introno è per il momento il perno dell’accusa agli indagati che rispondono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari: ha raccontato di aver dato due milioni di euro all’ex gip Michele Nardi (che è in carcere) e a Savasta (ai domiciliari), ma anche – in un secondo momento – di 75mila euro dati a Scimè, oltre al coinvolgimento di altri magistrati i cui nomi sono al momento coperti da omissis negli atti depositati. Anche per questo le difese si sono concentrate, oltre che nel far emergere alcune incongruenze nel lunghissimo racconto dell’imprenditore, anche di minare la sua stessa credibilità: facendo emergere che D’Introno è in cura presso il Sert di Andria per problemi di alcolismo che sarebbero esplosi dopo la sentenza di condanna in Appello per l’usura. Sentenza poi divenuta definitiva (cinque anni e mezzo) e finora non eseguita proprio per via del trattamento in corso.

Dell’esistenza di nuove indagini, del resto, c’è traccia nell’ordinanza con cui il gip Gallo ha prorogato di altri tre mesi, al 14 ottobre, le misure cautelari a carico di Nardi, Scimè e dell’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro (anche lui in carcere). Dopo gli arresti di gennaio, ha scritto il gip, sono state presentate denunce «da altri soggetti (imprenditori del luogo e avvocati) che hanno riferito di vicende di natura corruttiva coinvolgenti gli indagati, sui quali sono in corso riscontri particolarmente complessi anche in considerazione dell’epoca remota di datazione dei fatti». Alcuni fatti sembrerebbero essere prescritti, ma in ogni caso – nell’impostazione della Procura di Lecce – dimostrerebbero l’esistenza di un accordo stabile tra i magistrati per svendere la loro funzione in cambio di denaro regali.
Oggi dunque toccherà a Savasta, che nella scorsa udienza ha detto di essere stato «incastrato» da Nardi cui ha dato la colpa di aver inventato il sistema corruttivo.

Rif: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1151825/giustizia-truccata-imprenditore-d-introno-a-bari-ho-parlato-di-altri-magistrati.html