Bari, giudice corrotto “vendeva” le sentenze “Pagato 30mila euro”

Arrestato De Benedictis: mazzette per liberare pure i mafiosi. Trovati 1,2 milioni in 3 zainetti

Bari, giudice corrotto "vendeva" le sentenze "Pagato 30mila euro"

«Che sputtanamento». Il commento è del gip barese Giuseppe De Benedictis, arrestato ieri insieme all’avvocato Giancarlo Chiariello con il quale aveva stretto un accordo corruttivo evidentemente vantaggioso per entrambi soldi al giudice, libertà per i clienti del legale ma non per la collettività, visto che l’avvocato barese curava in particolare gli interessi di esponenti della malavita barese e foggiana.

Il virgolettato è tratto da un’intercettazione di un paio di settimane fa che, secondo i pm di Lecce Alessandro Prontera e Roberta Licci che hanno coordinato le indagini, è di fatto una confessione. Di sicuro è uno sfogo di un uomo al quale, tre giorni prima, i carabinieri hanno sequestrato una mazzetta da 5.500 euro in un blitz nel suo ufficio a Palazzo di giustizia, per poi trovare altri 58mila euro, sempre in contanti, a casa del giudice, nascosti nelle scatole di derivazione dell’impianto elettrico.

Così il gip che si è dimesso per la «vergogna» con una lettera al Csm all’indomani della prima perquisizione – chiama un amico (usando il cellulare della fidanzata del figlio) e gli racconta quello che è successo, spiegandogli di attendere ormai solo l’arresto, oltre appunto a commentare, amareggiato, «che sputtanamento», sperando solo nei «domiciliari».

Ma la sua omologa leccese Giulia Proto ha invece firmato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, spegnendo anche questa speranza per il giudice barese.

Ad aprire un varco nel patto di ferro tra gip e avvocato era stato l’esponente pentito di un clan barese, che in un verbale di febbraio 2020 aveva riportato le voci che giravano da diversi anni su quel gip, «che si diceva che prendeva le mazzette, dai, diciamola tutta».

Da lì è cominciato il lavoro degli inquirenti, che li ha portati a intercettare un pregiudicato della mala garganica, Danilo Della Malva, detto U meticcio, arrestato alle Canarie a ottobre 2019 per narcotraffico e poi spedito a fine anno a Rebibbia. Ma poi, assistito dall’avvocato Chiariello, era stato mandato ai domiciliari a Vasto Marina ad aprile 2020, e a giugno dello stesso anno, conversando con la moglie in terrazza, intercettato, raccontava: «Ho speso trentamila euro e mi sono comprato il giudice a Bari».

Il cerchio ha cominciato a stringersi, man mano che gli investigatori trovavano riscontri (anche della presenza del giudice presso lo studio legale dell’avvocato in prossimità dei provvedimenti di scarcerazione, per incassare la «parcella» richiesta), fino a quando, a inizio mese, i carabinieri hanno ricostruito l’ennesimo accordo corruttivo, stavolta per la concessione dei domiciliari a un 49enne foggiano arrestato per associazione mafiosa, Antonio Ippedico. Seguendo l’avvocato fino allo studio e poi filmandolo quando, rientrato nel suo ufficio, infilava la mazzetta in una tasca dei pantaloni. A quel punto sono entrati, beccando le banconote avvolte nell’elastico e trovando, a casa del giudice, gli altri soldi.

Altra sorpresa a casa del figlio dell’avvocato, Alberto Chiariello, anche lui indagato, dove i militari hanno trovato 1,2 milioni di euro in contanti conservati all’interno di tre zainetti.

Tra gli indagati, anche un appuntato dei Carabinieri, Nicola Vito Soriano, che aveva rivelato già a gennaio al gip di una indagine a carico dell’avvocato, che non era bastata, osserva sconcertato il gip di Lecce, perché il collega barese interrompesse gli accordi per le scarcerazioni.

Corruzione in atti giudiziari, chiesto il processo per Manna e il giudice Petrini

SALERNO – La Procura di Salerno ha chiesto il rinvio a giudizio per l’avvocato (e attuale sindaco do Rende) Marcello Manna e per Marco Petrini ex presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro. Entrambi sono accusati di corruzione in atti giudiziari. Secondo l’accusa Marcello Manna, difeso dall’avvocato Armando Veneto, avrebbe corrotto l’ex Presidente per far assolvere Francesco Patitucci, condannato in primo grado condannato a 30 anni di carcere per concorso nell’omicidio di Luca Bruni, avvenuto a Castrolibero nel 2012 e assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, con una mazzetta di 5mila euro come corrispettivo in cambio della sentenza “aggiustata”.

L’attuale sindaco di Rende ha più volte proclamato la sua estraneità alla vicenda parlando di “atti processuali travisati” e di “accuse infondate da parte di Petrini, letteralmente indotto e costretto a fare il mio nome, accusandomi di averlo corrotto, dopo che per ben sette volte, nel corso dell’interrogatorio del 31 gennaio 2020, aveva espressamente negato ogni mio coinvolgimento nella vicenda, e solo dietro espressa dettatura del Pubblico Ministero che lo interrogava, capendo che la relativa ammissione poteva giovargli per fargli “guadagnare” gli arresti domiciliari, ha poi cambiato versione, pure incorrendo, ovviamente, in plurime imprecisioni, falsità ed inverosimiglianze, dando luogo sia il dichiarante, che chi lo interrogava a gravi irregolarità anche di rilevanza penale che non potranno restare impunite”

Il tribunale del Riesame di Salerno, lo scorso 30 dicembre, in accoglimento parziale del ricorso fatto dalla procura salernitana ha emanato una misura del Divieto di esercitare la professione forense per 12 mesi per l’avvocato Marcello Manna e sospesa in attesa della pronuncia della Cassazione.

Rif: https://www.quicosenza.it/news/area-urbana/439786-corruzione-in-atti-giudiziari-chiesto-il-processo-per-manna-e-il-giudice-petrini

ARRESTATO GIUDICE TRIBUTARIO CORROTTO

L’inchiesta è stata effettuata dalla Guardia di Finanza e dal pubblico ministero Francesco Carlo Milanese

Il potentino Donato Arcieri, in servizio in Lombardia, così vendeva le sentenze: un giro da 90mln di €

Secondo l’impianto accusatorio costruito dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, riguardo all’«articolato sistema di evasione fiscale per oltre 90 milioni di euro», 2 i lucani che hanno svolto un ruolo importante: un giudice tributario ed un consulente fiscale.

Per entrambi il Gip, in prima istanza, ha disposto gli arresti domiciliari. Si tratta del giudice tributario della sezione bresciana, il potentino Donato Arcieri, e del consulente fiscale, il titese Giuseppe Fermo. Nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Francesco Milanesi e condotta dalla Guardia di Finanza, le altre 2 misure cautelari, anche in questo caso arresti domiciliari, hanno riguardatore l’imprenditore 75enne Luigi Bentivoglio, attivo nel settore delle macchine utensili con azienda a Rovato, e Antonino Sortino. Sortino compare nel fascicolo di indagine come prestanome che avrebbe emesso fatture false.

Contestati, a vario titolo, i reati di corruzione in atti giudiziari, autoriciclaggio, dichiarazione fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

ARCIERI, IL GIUDICE IN ODORE DI CORRUZIONE 
Il 59enne Donato Arcieri, commercialista nato a Potenza il 2 agosto 1962, residente nel Milanese è giudice in tre delle 26 sezioni della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, una delle quali, quella bresciana, presieduta dall’ex procuratore aggiunto Carlo Nocerino che fino alla sua permanenza a Brescia, prima del trasferimento come procuratore capo a Busto Arsizio nelle scorse settimane, ha supervisionato l’inchiesta sulla maxi evasione fiscale da oltre 90milioni di euro in cui risultano indagate 90 persone. Ogni commissione tributaria esercita le proprie funzioni tramite un numero di sezioni giudicanti, in relazione al numero degli abitanti e delle cause pendenti.

Ad ogni sezione è assegnato, generalmente, un Presidente, un Vicepresidente, almeno quattro giudici tributari ed un segretario. Proprio come giudice tributario, Arcieri risulta nell’organigramma delle sezioni 1, 25 e 26. Secondo quanto emerso dalle indagini della Guadia di Finanza, Arcieri avrebbe pilotato, nel 2019 e in favore di una società riconducibile agli imprenditori arrestati, la sentenza di un processo tributario inerente a 255mila euro di imposte non versate.

Per l’accusa, Arcieri per evitare alla società il pagamento, ricevette in cambio sostanziose mazzette dal consulente fiscale, a sua volta pagato dall’azienda coinvolta. Nel procedimento in questione, il consulente avrebbe difeso gli interessi dei contribuenti, e il magistrato era giudice relatore. Stando alla prospettazione del pm Milanesi l’operazione era stata oliata da numerosi trasferimenti di denaro dalla società favorita nella causa al consulente fiscale Fermo, successivamente veicolato ad altre società facenti capo ad Arcieri. Nel complesso sono state eseguite 34 perquisizioni a varie società tra Brescia, Milano, Bergamo, Cremona, Novara, Modena e Bologna. Sono state, inoltre, sequestrate e controllate fino cassette di sicurezza riconducibili ai principali indagati, nonchè bloccati anche numerosi conti correnti.

QUELLA MAZZETTA RIFIUTATA DAI FINANZIERI: COSÌ LE FIAMME GIALLE SONO ARRIVATE PRIMA AL LUCANO FERMO E POI AD ARCIERI

Nel 2020, i militari hanno perquisito un padiglione industriale di una delle società coinvolte, sequestrando complessivamente oltre 779 mila euro in contanti, nascosti tra le travi del tetto, in un muletto e in un tagliaerba.
In tale contesto, l’imprenditore è stato arrestato in flagranza di reato per istigazione alla corruzione in quanto, durante le ricerche, al momento del rinvenimento di parte del denaro, ha offerto ai Finanzieri tutti i contanti rinvenuti a quel momento, circa 70mila euro, per interrompere le ricerche e chiudere senza contestazioni l’accertamento

La prosecuzione della perquisizione ha consentito di sequestrare gli ulteriori 709mila euro. Nel mese di novembre 2020, lo stesso soggetto è stato condannato a due anni e due mesi di reclusione per il reato di istigazione alla corruzione, mentre i 779mila euro sono stati confiscati.

Le successive indagini hanno condotto al consulente tributario operante a Milano, il lucano Fermo, di cui i correi si sono avvalsi per ideare e attuare la frode. Il Pubblico ministero bresciano, pertanto, ha disposto la perquisizione di tutti i luoghi nella disponibilità del consulente. Tra questi, scoperto un ufficio locato ad una società amministrata dal magistrato tributario Arcieri.

L’ufficio in questione «è risultato utilizzato anche dal consulente fiscale». Nel locale dove aveva sede la società del magistrato della commissione tributaria, inoltre, copie di fatture false e proprio la documentazione di una causa, un cliente del consulente Fermo, che grazie alla sentenza, Arcieri giudice relatore, aveva evitato di pagare tasse per 255mila euro. L’anno precedente, nel 2019, la Guardia di Finanza aveva eseguito un controllo fiscale nei confronti di una ditta bresciana, evasore totale per le annualità dal 2013 al 2019, che risultava aver emesso false fatture per circa 12 milioni di euro nei confronti di numerose imprese del nord Italia.

La successiva analisi dei flussi finanziari sottostanti alla fitta rete di società coinvolte, ha messo in luce un articolato sistema di frode che prevedeva il mascheramento della provenienza illecita degli introiti dell’evasione fiscale anche attraverso l’acquisto di oltre 17 milioni di euro in fiches utilizzate presso i casinò di Venezia, Campione d’Italia, Sanremo e Saint Vincent.

MAZZETTE PER OLTRE 70 MILA EURO AL GIUDICE DE BENEDICTIS.

Secondo la Dda della Procura di Lecce, l’ex giudice bare insieme all’avvocato Chiariello e altri indagati, avrebbe aiutato gruppi criminali della regione ad accrescere il loro potere.

Concluse le indagini della la Direzione distrettuale antimafia (Dda) della Procura di Lecce sul giudicedimissionario del Tribunale di Bari, Giuseppe De Benedictis, arrestato il 24 aprile scorso , accusato di aver incassato mazzette per 77.500 euro in cambio di attenuare le misure cautelari emesse a carico di appartenenti alla mafia del Nord della Puglia, e dell’avvocato Giancarlo Chiariello, 70, anche lui barese, nella cui abitazione sono stati ritrovati un milione e 200mila euro in banconote, che è stato sospeso dalla professione per dieci mesi dopo aver manifestato la volontà di cancellazione dall’albo ed alcuni giorni fa è stato scarcerato con concessione dei domiciliari. Stralciata la posizione , con richiesta di archiviazione, di un altro avvocato Paolo D’Ambrosio del foro di Foggia, inizialmente coinvolto nell’indagine.

È circoscritta ai soli episodi del blitz di fine aprile l’inchiesta principale per corruzione in atti giudiziari, con l’aggravante dell’agevolazione delle associazioni mafiose. Insieme al giudice De Benedictis e l’avvocato Chiariello sono indagati anche suo figlio Alberto Chiariello, 30 anni, di Bari, avvocato; Marianna Casadibari, 45 anni, avvocatessa; Danilo della Malva, 35 anni, di San Giovanni Rotondo, collaboratore di giustizia; Roberto Dello Russo, 41 anni, di Terlizzi; Antonio Ippedico, 49 anni, di Foggia; Pio Gianquitto, 42 anni, di Foggia; Matteo Della Malva, 50 anni, di Vieste; Valeria Gala, 26 anni, di Vieste; ed il carabiniere Nicola Vito Soriano, 58 anni, di Bari, in servizio nella sezione di Polizia giudiziaria della Procura di Bari.

Sono quattro gli episodi di corruzione in atti giudiziari, uno di rivelazione del segreto di ufficio contestati dalla procura di Lecce. Quest’ultimo è in relazione alle notizie riservate che il carabiniere Soriano avrebbe fornito secondo le accuse, al giudice De Benedictis sui collaboratori di giustizia che stavano parlando di provvedimenti favorevoli ai clienti dell’avvocato Giancarlo Chiariello emessi dal giudice De Benedictis, grazie all’operato di Marianna Casadibari, che secondo gli accertamenti delle indagini , dell’inchiesta manteneva i contatti fra il giudice ed il noto avvocato del Foro di Bari.

Il primo episodio sulle corruzioni in atti giudiziari, riguarda Danilo Della Malva che lo scorso l’11 marzo ottenne dal Gip De Benedictis la revoca degli arresti in carcere, trasformati in domiciliari con braccialetto elettronico da trascorrere nel comune di Vasto Marina (in provincia di Chieti) . Questo provvedimento sarebbe stato concesso attraverso il versamento di 30mila euro dall’avvocato Chiariello al giudice, anche attraverso Matteo Della Malva , zio dell’indagato, e di Valeria Gala. Per questo episodio viene contestata l’aggravante di avere agevolato il “clan” mafioso di Vieste di cui farebbe parte  Danilo della Malva.

Il secondo episodio riguarda Roberto Russo che il 24 giugno 2020 fu fatto uscire dal carcere con destinazione alla comunità Airone di Trepuzzi. Questa concessione dell’ attenuazione della misura cautelare avrebbe consentito al giudice di incassare 15mila euro e poi successivamente altri 18mila euro. Ed altri 4.000 euro per consentire all’indagato di essere successivamente trasferito nella comunità Spazio Esse di Bari-Loseto. Per questi episodi viene contestata l’aggravante di avere agevolato l’associazione mafioso-camorristica di Bitonto.

Il terzo episodio coinvolge il pregiudicato Pio Gianquitto che lasciò il carcere il 16 novembre 2020 ottenendo in cambio di 5mila euro pagati al giudice, l’obbligo di dimora nella sua citta, Foggia. Anche in questo caso è stato contestata l’aggravante di avere favorito il clan mafioso Società Foggiana

L’ultimo dei quattro episodi riguarda Antonio Ippedico anche lui appartenente al clan mafioso Società Foggiana. che lo scorso 31 marzo ottenne i domiciliari, pagando 5.500 che sarebbero andati per questa concessione al giudice De Benedictis

I pubblici ministeri Roberta Licci ed Alessandro Prontera sotto il coordinamento del procuratore Leonardo Leone de Castris hanno stralciato il fascicolo di indagine su altri quattro episodi contestati nell’inchiesta principale, secondo cui il giudice De Benedictis  sia sceso a patti con altri avvocati o imputati in cambio di somme di denaro o di altri vantaggi.

Procedono invece autonomamente le indagini della squadra mobile di Bari, coordinate dalla stessa Dda di Lecce, sul ritrovamento dell’arsenale di armi in possesso del giudice De Benedictis fatte custodire nella masseria di Andria dell’imprenditore Antonio Tannoia, in cui è indagato anche il sottufficiale maggiore dell’Esercito, Antonio Serafino.

Vi è anche un terzo procedimento, gestito dai magistrati della Procura di Bari, nei confronti di Giancarlo Chiariello e suo figlio Alberto, entrambi indagati per riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, dichiarazione infedele e sottrazione fraudolente al pagamento delle imposte. L’inchiesta viene coordinata direttamente dal procuratore facente funzione Roberto Rossi(che la 5a commissione cariche direttive del CSM ha recentemente indicato all’unanimità come prossimo procuratore capo del capoluogo, in attesa della decisione finale del plenum) , ed è stata avviata dopo gli arresti disposti dai magistrati della Procura di Lecce nell’ambito dei quali, nel corso di una perquisizione domiciliare a casa del figlio Alberto Chiariello, gli investigatori hanno scovato due borsoni occultati in un divano, contenenti la somma di un milione 200mila euro in contanti.

Rif:https://www.ilcorrieredelgiorno.it/mazzette-per-oltre-70-mila-euro-al-giudice-de-benedictis-la-procura-di-lecce-chiude-le-indagini/

Giustizia: Cassano, questione morale su magistrati corrotti

 © ANSA

 “Le cronache quotidiane ci consegnano una realtà devastante di magistrati arrestati, inquisiti, condannati per fatti di corruzione, che testimoniano una questione morale che non può essere sempre sottovalutata”.

E’ un passaggio della relazione del presidente della Corte di Appello di Bari, Franco Cassano, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario.

Il distretto giudiziario di Bari, nel 2021, ha assistito all’arresto per corruzione di un giudice, l’ex gip Giuseppe De Benedictis, accusato di aver intascato tangenti in cambio di scarcerazioni e all’inchiesta di Taranto sull’ex procuratore Carlo Maria Capristo. 
    Per Cassano “la magistratura è un’istituzione fragile, da tempo in crisi”, citando il Consiglio superiore della magistratura, “accusato di nomine correntizie dei dirigenti, che prescinderebbero dal merito; di consentire troppi incarichi extragiudiziari; di non riuscire a valutare adeguatamente i magistrati; di assecondarne una visione corporativa della funzione”. Ma secondo il presidente “la crisi della magistratura, ed è questa la novità, riguarda persino le sue dinamiche interne, visto che è in atto da tempo un processo di rottura del sistema della rappresentanza, che involge non solo l’autogoverno, ma anche l’associazionismo giudiziario, al quale pure in larga parte i magistrati ancora aderiscono”. 
    “Alla fine – ha rilevato – i magistrati sono avvertiti come un corpo impenetrabile all’innovazione, fondamentalmente autoreferenziale, preoccupato più di esercitare un potere che di rendere un servizio. La crisi di fiducia transita, così, dai soggetti alla funzione, vista ora come gravata da formalismi e contraddizioni, ora come inidonea ad assicurare una soddisfazione effettiva della domanda di giustizia”. 

rif: https://www.ansa.it/puglia/notizie/2022/01/22/giustizia-cassano-questione-morale-su-magistrati-corrotti_981d36fe-4896-40d3-9b0c-128f94bc659b.html

Mattarella “assente”, l’apertura dell’anno giudiziario è una farsa

Mattarella “assente”, l’apertura dell’anno giudiziario è una farsa

Si è alzato il sipario sull’Anno Giudiziario 2022 nell’illegalità: ouverture del primo attore abusivo, poi ognuno ha recitato la sua parte facendo finta di niente. Come se il Palazzo della giustizia non fosse in macerie. Il Presidente abusivo della Corte di Cassazione Pietro Curzio –prima licenziato dal Consiglio di Stato, poi riassunto in zona Cesarini dal Csm- ha parlato di “chiaroscuro” della giustizia, dopo aver snocciolato i soliti dati che sentiamo senza in realtà ascoltare a ogni inaugurazione, anno dopo anno. Come se la giurisdizione fosse solo una tabellina di numeri e non riguardasse persone, corpi e menti di vittime e di colpevoli e di innocenti e al centro di tutto non ci fosse la massima tortura che, prima ancora del carcere, è il processo.

La ministra Cartabia si è limitata a replicare la relazione che aveva tenuto pochi giorni fa al Senato, con la giusta soddisfazione per le riforme fatte in meno di un anno e per aver portato a termine e reso esecutivo (a partire dal mese di febbraio) l’Ufficio del processo, ottomila tecnici del diritto pronti a dare una mano ai giudici. Se questi glielo consentiranno, e ci permettiamo di avere qualche dubbio, con tanti galli nel pollaio delle toghe. Ma ha solo sfiorato, ancora una volta, il tema cruciale del Consiglio superiore della magistratura. Hic Rhodus, hic salta, vien da dirle. Ma già i pettegolezzi di palazzo sussurrano che sia stato lo stesso presidente Draghi a frenarne la riforma, in leggero conflitto di interessi, nell’attesa dell’elezione del prossimo capo dello Stato. Resta il fatto che questa calma piatta è quanto meno anacronistica, come se gli uomini e le donne di giustizia si fossero rinchiusi in una sorta di bolla separata, una monade senza porte né finestre, per non vedere e non sapere che cosa succede là fuori.

Ben lontani i tempi in cui il Presidente Sandro Pertini aveva cercato di sciogliere il Csm, lasciandosi contaminare dai fatti della realtà, prima per un asserito coinvolgimento nella vicenda-bufala della P2 del suo vice, e poi per il famoso “scandalo dei cappuccini” per un’inchiesta per peculato aperta dalla procura di Roma. Non un gesto proprio di stampo garantistico, ma almeno lui ci aveva provato, a non considerare il Csm un sacrario intoccabile. Poi finì che, consultati (come prescrive l’articolo 31 della legge istitutiva) i presidenti delle Camere e il comitato di presidenza e avuto parere negativo, lasciò perdere. E il Csm non fu sciolto. È inutile girarci intorno, il presidente Mattarella non ci ha neppure provato, ad avviare la procedura, nonostante la radiografia scandalosa che ne ha fatto Luca Palamara e le conseguenti dimissioni a catena che ne erano succedute. Eppure ieri mattina è stato un coro, dalla ministra Cartabia al vicepresidente Ermini, tutti a ringraziarlo perché ne aveva più volte auspicato la riforma. Ma ci sono situazioni in cui il bubbone va reciso. E Sergio Mattarella,che tutti considerano un ottimo Presidente, sulla giustizia è stato decisamente assente, quasi facendoci dimenticare che del Csm lui è il numero uno.

Abbiamo ricordato Pertini, ma come dimenticare Cossiga, l’unico che forse ha seriamente tentato, finché non gli hanno dato del pazzo, di metterne in discussione il potere assoluto? Il primo scontro fu decisamente politico. Una bella lezione, quando i membri del Csm volevano discutere sulle affermazioni del presidente del Consiglio, che era Bettino Craxi e che aveva criticato la magistratura. Cossiga impedì quell’ordine del giorno e i membri togati si dimisero in gruppo. Un vero ammutinamento, che poi rientrò, e il primo round fu a favore del Presidente. Anche se le scaramucce furono continue, tra il 1990 e il 1991, sempre sugli ordini del giorno, perché il Csm voleva far politica e discutere sui vari scandali politici, come per esempio quello su Gladio. Ci vollero i carabinieri fino in aula, e varie minacce di scioglimento del Consiglio, per far tornare la situazione alla normalità.

Se il settennato di Cossiga fu sicuramente il più turbolento, ma anche quello più segnato dal tentativo da parte del Presidente di ridimensionare il potere dell’organo di autogoverno, quello di Mattarella è più riconducibile alle tradizioni di Gronchi (che lo volle istituire nel 1958), Segni, Saragat e Leone.Navigazione tranquilla, ma allora il mare non era ancora in tempesta. E la tempesta non può che riguardare i vertici della magistratura. Perché non c’è riforma possibile, se non esiste chi la sappia e la possa applicare. In poche parole, la barca non va se nessuno la sa condurre e governare. Poi, certo, a ogni inaugurazione dell’anno giudiziario ci si dà una priorità nei temi da valorizzare. Come dimenticare il politicissimo “resistere resistere resistere” di Saverio Borrelli contro Berlusconi a Milano? Nel forzato regime di calma piatta di ieri, ognuno è andato per la propria direzione. Si è data una certa sottolineatura ai femminicidi, anche se ancora, dopo la riforma del “Codice rosso”, che è servita almeno a rompere il silenzio e l’indifferenza, non si è trovata la soluzione legislativa che impedisca alle donne di essere assassinate quando scelgono l’indipendenza nelle relazioni affettive.

oi c’è stata l’improvvisa (e improvvida, secondo noi) uscita del procuratore generale Giovanni Salvi, quello che ha perso il telefonino in contemporanea al suo collega Francesco Greco proprio quando lo aveva chiesto loro un pm, sull’ergastolo ostativo e l’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Per un attimo, ci è parso di sentir parlare il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri o un esponente del Movimento cinque stelle, che infatti ha applaudito tutto intero. «Il 41-bis e l’ergastolo ostativo-ha detto il procuratore- non sono carcere duro, ma strumenti per impedire che i mafiosi continuino a comandare dal carcere, come avveniva prima del 1992». Un vero intervento controriformatore, alla vigilia della scadenza che la Corte Costituzionale ha dato al Parlamento perché l’istituto dell’ergastolo ostativo, creato proprio nel 1992 dopo le stragi di mafia in clima emergenziale, venga abolito e non collegato alla necessità del “pentimento” da parte del detenuto, tenendo conto del processo di cambiamento del singolo e del passare del tempo.

alvi ha preferito invece sottolineare l’importanza della collaborazione, allineandosi alla parte più reazionaria e immobile della magistratura e alla cultura politica grillina, contro la ministra Cartabia, impegnata in prima persona in quella riforma. Che importa se poi ha anche buttato lì che il Parlamento deve «restituire al Csm il ruolo disegnato dalla Costituzione»? Sulle macerie, senza aver prima messo un punto e a capo? A volte è meglio il silenzio. O non entrare neppure in scena.

Rif: https://www.ilriformista.it/mattarella-assente-lapertura-dellanno-giudiziario-e-una-farsa-274753/