Magistrati arrestati, D’Introno: «Ai giudici escort, mazzette e frullatori»

A Michele Nardi un milione e mezzo, oltre ai soldi e i regali ottenuti dall’imprenditore Paolo Tarantini. Mezzo milione ad Antonio Savasta e alla sua famiglia. Altri 75mila a Luigi Scimè. «L’accordo coinvolgeva tutti e tre i magistrati», scrive Flavio D’Introno nel memoriale depositato davanti al gip di Lecce dove oggi pomeriggio riprende l’incidente probatorio per la giustizia truccata nel Tribunale di Trani. In 65 pagine c’è il racconto delle tangenti, degli incontri carbonari, di quelle che D’Introno ritiene essere state estorsioni e vessazioni ai suoi danni: «Ero solo un evasore fiscale», dice lui. Ma per la giustizia italiana D’Introno è un usuraio in attesa di scontare una pena definitiva a cinque anni e mezzo, e la Procura di Lecce accusa anche lui di associazione a delinquere finalizzata (tra l’altro) alla corruzione in atti giudiziari. Fatta un’ulteriore premessa (questa è la versione di D’Introno, non la verità dei fatti), leggiamo.


I SOLDI
«Ho versato al giudice Nardi una serie di somme per il pagamento delle sue utenze di casa e della villa, la ristrutturazione dell’immobile di sua proprietà in Roma, la ristrutturazione della villa in Trani della signora Di Lernia, viaggi in Italia ed all’estero, un rolex con cinturino in oro, due brillanti da un carato ciascuno, pagamento dell’Hotel Excelsior e del Grand Hotel Veneto in Roma, denaro in contanti dato in tempi vari per un totale di un milione e 500 mila euro. Ho dato al dottor Savasta (Zagaria Patruno Zaccaro) complessivi euro 500mila in contanti, 160 mila per ristrutturazione ed arredo comprensivo di attrezzi di una palestra». Poi 60mila euro al falso testimone nei confronti dei messi notificatori, Giancarlo Patruno, che minacciava di raccontare tutto, «nonché l’estorsione della scrittura privata che prevedeva l’esenzione del pagamento del canone (della palestra, ndr) per 20 anni (canone mensile di euro 1.400), utenze della palestra da me pagate». E soldi anche al poliziotto Vincenzo Di Chiaro, finito in carcere e anche lui ora testimone («Ha ricevuto circa 70mila euro), soldi e regali al suo avvocato Simona Cuomo: «Ha ricevuto ristrutturazione, l’arrredamento e pagamento canone di locazione dello studio legale in Corato alla via Duomo 38, e pagamento delle utenze del detto studio, viaggi in Italia ed all’estero anche con la famiglia, pagamento Cassa Forense, in contanti centomila euro».


E ancora, sempre su Nardi: «Aveva un potere superiore in relazione alla vita della Procura di Trani», tanto da avere le tabelle con i turni dei magistrati così da indirizzare l’assegnazione delle denunce. Un giorno si era arrabbiato, racconta D’Introno, dopo che lui ne aveva presentata una non concordata: «Mi disse che mi perdonava solo perché durante il viaggio a Dubai che mi aveva estorto il 9 maggio 2009, dopo le misure cautelari, io era stato gentile con lui pagandogli tutte le sue richieste (escort comprese)». A Nardi dice di aver pagato viaggi a Londra, a Cortina, in Sardegna. A Savasta un viaggio in Turchia per tutta la famiglia «compresa la sorella Emilia, il cognato e un’amica che non so chi sia», nell’unico albergo sei stelle di Istanbul, con trattamento full credit («pagavo io pure gli extra») per una spesa di 20.000 euro.


NARDI
D’Introno dice di aver conosciuto Nardi nel 2006 tramite un geometra della sua azienda (allo stato non indagato) che portò all’allora gip di Trani una copia del suo avviso di garanzia per usura: «In Corato, poi, era noto che anche per il caso Ferri era stato il geometra Attilio De Palma a presentare Nardi alla famiglia Ferri», gli imprenditori di Corato recentemente assolti per prescrizione dall’accusa di bancarotta che hanno raccontato la loro storia alla Procura di Lecce. Il primo appuntamento con Nardi a novembre 2006 in via Tasselgardo, a Trani in un bar nei pressi di Trony, sotto casa di Nardi, posto che diventerà centrale in questa storia: per il solo incontro pagò 30.000 euro. Di solito, dice, si vedevano «nel negozio Trony nel reparto della musica», che era «uno dei posti dove Nardi mi portava quando bisognava parlare di cose illecite perché c’era la musica alta. Mi impose di non comprare un telefono tipo smartphone perché temeva le intercettazioni con i trojan».


A febbraio 2017 Nardi «mi chiese 200.000 euro se volevo evitare la custodia in carcere, io non gli credetti (…). Il giorno 8 aprile 2007 si presentarono nella Ceramiche Base il dottor Nardi e il geometra De Palma dicendo che sarei stato arrestato e mi avrebbero sequestrato i beni in via cautelare». È l’indagine «Fenerator», quella per usura: gli arresti scattano, D’Introno non si fa trovare ma si consegna dopo alcuni giorni e finisce in carcere. Ad agosto 2007 «Nardi tramite il geometra chiese 30.000 euro per far convertire gli arresti domiciliari in obbligo di dimora». Il gip Roberto Del Castillo il 17 agosto aveva rispedito Nardi in carcere prima di andare in ferie, il 25 agosto il gip di turno gli concede l’obbligo di dimora. Quando rientra, il 10 settembre, Del Castillo ripristina il carcere. Nardi, dice D’Introno, gli chiese altri 60.000 euro per evitare delle verifiche fiscali che poi puntualmente arrivarono e portarono all’emissione di cartelle esattoriali milionarie. Quelle che poi Savasta si presterà a sequestrare.


SAVASTA
D’Introno dice di aver conosciuto l’ex pm Savasta quando fu sentito a Lecce per il caso Nardi-Caserta. Savasta «mi ha chiesto soldi sia per fare atti normali per il suo lavoro che per assicurarmi di non perseguitarmi». Anche di recente, nel 2018, «Savasta si è interessato alla mia vicenda tributaria in Cassazione, dopo il suo trasferimento a Roma. Parlava con un commercialista che era amico del relatore», un giudice napoletano: l’ex pm riferì a D’Introno che questo giudice non poteva intervenire proprio perché la vicenda era oggetto dell’indagine di Lecce.
L’ex cognato di Savasta, Savino Zagaria, anche lui indagato, «si è prestato a fare da corriere per la consegna del denaro a Savasta, anche in relazione ai soldi da me versati per il procedimento delle cartelle esattoriali», facendo una cresta di almeno 40.000 euro. «Il Savasta – prosegue D’Introno – mi ha chiesto soldi per tutta la sua famiglia a partire dai lavori di ristrutturazione alla palestra compresi tutti gli attrezzi scelti da Emilia Savasta e Zagaria Savino». La signora Savasta al momento non risulta indagata e sostiene di essere estranea a ogni accordo illecito.


LA STANGATA
A Paolo Tarantini (che in questa storia è vittima) vengono tolti 400.000 euro per far sparire un (falso) avviso di garanzia per reati fiscali. Il primo incontro di Tarantini con Savasta e Nardi, racconta D’Introno, avvenne a Barletta («In zona Patalini presso la palestra di Emilia» Savasta: «L’ho allestita io interamente per circa 50-60 mila euro»). D’Introno racconta di essere arrivato con Tarantini e di aver aspettato fuori in macchina, e quando l’incontro terminò la sorella di Savasta «mi diede una bustina piccola tipo quelle dei bigliettini di condoglianze, chiusa, dicendomi di darla al signor Tarantini». Dentro la busta, su un bigliettino, era scritta la somma di 400.000 euro. Quando andarono via Tarantini la aprì «e si mise a piangere disperato». 
D’Introno dice che prestò all’imprenditore 150mila euro per far fronte alla richiesta, soldi che avrebbe poi scontato in viaggi presso l’agenzia di Tarantini. La consegna avvenne in due tranche, sempre con D’Introno accompagnato in macchina da Tarantini. I primi 200mila euro in una stazione di servizio Esso tra Trani e Corato, dove si presentò una Bmw («Era con certezza la macchina utilizzata da Nardi e a bordo c’era la sorella»), la seconda in Corato, «sempre in contanti in una cartellina chiusa, di fronte al magazzino di mio zio», dove D’Introno e Tarantini andarono «sempre su indicazione di Nardi»: «Trovai una macchina alta e scura a bordo della quale si trovava la sorella di Savasta». Dopo una settimana ci fu un incontro a casa di Savasta dopo una settimana con Di Chiaro: «Savasta gli dette una busta con 30.000 euro e disse “divideteveli”», con chi aveva partecipato alla stangata a Tarantini, che tra l’altro fu costretto a comprare da Trony «10-15 telefonini, 4-5 pc portatili, un frullatore a immersione Moulinex». Tutta roba per Nardi.


SCIMÈ
Fu Savasta, dice D’Introno, a preannunciargli le richieste che l’allora pm Luigi Scimè avrebbe fatto a suo carico nel procedimento per usura: lo fece «sul terrazzino di casa della madre di Savasta, a Barletta». Non gratis: «Non avevo avuto alcun contatto diretto con Scimè, la somma venne da me consegnata nelle mani di Savasta il giorno prima della requisitoria: 30.000 euro in banconote da 500 all’interno della “Gazzetta” che consegnai a Savasta all’interno del bar». Per il rinvio a giudizio di una testimone che lo accusava di usura, la Frualdo, «Scimè pretese 15.000 euro, andai sotto casa di Nardi e gli consegnai una busta gialla da imballaggio che Nardi consegnò direttamente a Scimè che era lì ad aspettare» sotto i portici. D’Introno dice di aver assistito allo scambio: poi «Scimè si allontanò e io e Nardi bevemmo l’aperitivo al Bar dello Studente». Infine, i soldi per far archiviare le indagini sugli attentati alle ville della moglie di D’Introno. «Nardi mi disse che dovevo dare 30.000, ma io gli portai solo 20mila» sempre nel solito Trony. Il saldo del debito, dice D’Introno, avvenne a Milano in un bar in zona piazza Duomo. «Giorno e ora dell’incontro me li indicò Savasta. Io mi limitai a dire “buongiorno dottore” e gli consegnai la busta con i soldi». Gli ultimi 10mila euro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.