Tiscali: Tsunami Csm: corruzione, lottizzazione, rivalse e progetti “eversivi”. La resa dei conti tra toghe

C’è la corruzione, presunta. La lottizzazione dei vertici di procure e tribunali. I giornalisti amici che si prestano a diffondere dossier farlocchi per non dire avvelenati. C’è il disegno, anche questo presunto e al limite dell’eversivo, di controllare gli uffici chiave delle procure italiane, Brescia che controlla Milano, Perugia che controlla Roma, Caltanissetta che controlla Palermo. Ci sono i magistrati più anziani, costretti ad andare in pensione a 70 anni per via della riforma Renzi del 2014, che adesso intravedono la possibilità di una rivalsa. C’è anche, infine, l’occasione servita su un piatto d’argento, di regolare i conti con quel che resta del renzismo che dalle parti del Pd è sempre una presenza ingombrante nel progetto di rinascita del centrosinistra.

Giuseppe Pignatone, ex 'dominus' della Procura romana, e il magistrato Luca Palamara

I sei filoni dell’inchiesta

Si fa presto a dire “l’inchiesta sul CSM”. Il fatto è che dietro e dentro quella “comoda” frasetta ci sono almeno altre 5-6 storie tutte importanti, persino gravi, talvolta intrecciate ma che non si deve fare l’errore di confondere. Cosa che invece sta puntualmente accadendo. In questo modo la magistratura, indebolita dallo scandalo, diventa territorio di conquista di chi da anni cerca di limitarne l’autonomia e l’indipendenza. Dopo dieci giorni di silenzio – quasi che nessuna forza politica, meno che mai quelle adesso in maggioranza, potessero o volessero mettere bocca in una faccenda che tutto sommato conoscono e accettano da anni, per non dire da sempre – ieri è partito il coro di chi chiede la riforma del Csm e, più in generale, della magistratura. Tanto che il dossieraggio del ministro dell’Interno sui magistrati che hanno scritto sentenze che hanno demolito il decreto sicurezza e l’osanna di dichiarazioni e interventi “adesso basta, la magistratura è fuori controllo – non sono gli effetti collaterali dell’inchiesta sul Csm ma forse il vero obiettivo di questa incredibile storia.

La corruzione

Sei filoni, che menti raffinatissime stanno legando insieme in un gigantesco ed incomprensibile nodo per poi magari buttare via il bimbo insieme all’ acqua sporca. Tutta questa storia inizia nel febbraio 2018 quando l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo ricevono dai colleghi di Messina il fascicolo sulla rete di contatti di due avvocati, Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, che dalla Sicilia avevano messo in piedi un sistema di corruzione dove viaggi a Dubai, vacanze in hotel di lusso,bustarelle fatte recapitare in ufficio tra bottiglie di champagne erano la merce di scambio per condizionare sentenze o confezionare dossier farlocchi per armare esposti contro i nemici del momento. La rete partiva dalla Sicilia, arrivava a Roma e si allungava fin dove c’era bisogno. Amara e Calafiore hanno patteggiato. E riempito verbali. Una maglia di questa rete è, secondo la procura di Perugia, il pm della procura di Roma Luca Palamara, ex membro del Csm ed ex presidente dell’Anm, in predicato fino a dieci giorni fa di diventare aggiunto a piazzale Clodio. Anche per lui viaggi all’estero, vacanze di lusso, un anello di brillanti da regalare ad un’amica. Persino soldi (40 mila )per nominare il collega (ora ex) Longo a procuratore capo di Gela. Nomina mai avvenuta perché non gradita al Presidente Mattarella.

La lottizzazione

E’ grande e amaro lo stupore nell’opinione pubblica nel leggere che l’assegnazione della procura di Roma, l’ufficio della pubblica accusa più importante del paese ed equivalente ad un paio di ministeri, è una faccenda tra correnti della magistatura. Ora però sarebbe da ipocriti fare le vergini e stupirsi del fatto che i vari incarichi direttivi della magistratura rispondono anche a criteri di appartenenza ad una corrente o all’altra e al peso specifico che quella corrente misura in quel momento. Dopo un ventennio in cui la correnti di sinistra (Md e Verdi) hanno goduto di ottima salute, adesso siamo tornati al predominio delle correnti più di centro (Unicost, quella di Palamara) e destra (Mi) (Cosimo Ferri, deputato pd) lasciando alla novella A&I di Davigo, ex di Mi, la libertà di posizionarsi dove meglio crede. Tutti sanno – compresi Lega e 5 Stelle che adesso chiedono la riforma del Csm – che l’assegnazione avviene per titoli, certamente, per meriti, ma anche per appartenenza. E se potessimo leggere la mappa delle procure d’Italia in base alla corrente di appartenenza, vedremmo venir fuori un disegno di perfetto bilanciamento e specchio dei rapporti di forza attuali. Nella guerra per la procura Roma, il fatto che i tre candidati siano di Unicost (Creazzo) o Mi (Viola e Lo Voi) , ha certamente fatto arrabbiare Area (sinistra) che è rimasta fuori dalla grande spartizione. Anche Primo Presidente e Procuratore generale della Cassazione sono infatti di quelle due correnti. Non si può escludere che anche questo elemento abbia dato pubblicità ai fatti – corruzione e nomine – legandoli insieme. Così fan tutti e così tutti sanno. Il timore di una serie di ricorsi a raffica contro gli ultimi anni di nomine è fondato ma sarebbe una gigantesca ipocrisia. Auspicabile che il meccanismo cambi una volte per tutte. Ma da ora in avanti perché finora è andata bene così a tutti.

Giornalisti “amici”

E’ un altro aspetto della cosiddetta “inchiesta sul Csm”. Giornalisti che seguono la giudiziaria e su cui poteva contare il pm di Roma Stefano Fava (indagato per violazione di segreto e favoreggiamento) nella costruzione del dossieraggio contro l’aggiunto Paolo Ielo obiettivo di due diversi rancori: Palamara lo considerava nemico perché è stato Ielo ad inviare a Perugia le carte dell’inchiesta Amara in cui lui stesso risulta parte del sistema; Fava ce l’aveva con lui perché nel tempo gli aveva contestato il modo di condurre le indagini, quella su Amara ad esempio, ritirando la delega. Anche qui, niente di nuovo: i giornalisti coltivano fonti, soprattutto nella giudiziaria, di cui diventano spesso canali esclusivi.Giusto? Sbagliato? L’inchiesta sul Csm è stata, fin da subito, anche una guerra tra giornali. Il Giornale ieri ipotizzava anche un giro di danaro utile alla fabbrica dei dossier. La differenza sta nell’essere una buca delle lettere. E nel farlo a pagamento. Vedremo.

Il controllo delle procure chiave

Nella geografia del potere giudiziario, le procure di Brescia, Perugia e Caltanissetta sono tra gli incarichi più strategici. Questione di potere di indagine: quegli uffici controllano Milano, Roma e Palermo tre procure che possono incidere e molto sul piano politico con le loro inchieste. Roma, poi, nel settennato di Pignatone ha dimenticato il porto delle nebbie e aperto l’abisso sui sistemi criminali della Capitale. Un’operazione di svelamento che deve essere portata avanti. Secondo l’informativa del Gico della Finanza, braccio operativo della procura umbra, il king maker Luca Palamara, e non solo lui, mirava a questo tipo di controllo territoriale posizionando ai vertici degli uffici toghe amiche. Per questioni di puro potere. Sarebbero una quarantina i nomi di magistrati coinvolti, consapevolmente o meno, in questo progetto. Che in procura a Roma è stato definito “eversivo”.

La vendetta delle toghe contro gli ultimi scampoli di renzismo

La goccia che ha reso insostenibile – molti magistrati già non la sopportavano più, gli stessi che ora chiedono le dimissioni dalla magistratura dei colleghi coinvolti – la grande ipocrisia del potere delle correnti sulle nomine è stata la presenza di Luca Lotti, deputato Pd, ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio, uomo ombra di Matteo Renzi , agli incontri per definire il nome del nuovo procuratore di Roma. Scelta sofferta e fratricida perché alla fine Lo Voi, il favorito, e Viola (che invece è stato il più votato in Commissione al Csm) sono entrambi di Mi. Il fatto grave è che Lotti è un imputato della procura di Roma (inchiesta Consip) e nei fatti era come se stesse dando il gradimento a chi dovrà giudicarlo. Il fatto che fosse presente anche Ferri (ora Pd ma un tempo legato a Verdini) è meno rilevante perché Ferri da anni è il consulente del centrosinistra sul fronte magistratura. Su questo dato si è scatenato un doppio fuoco di fila. L’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti (ora eurodeputato Pd) è stato chiarissimo: “Nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa era dettata da un duplice interesse: liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti anche come consiglieri di ministri; tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più “sensibili”. Roberti è stato una delle tante vittime illustri del pensionamento anticipato. Lo stesso di cui sarà vittima a breve anche Pier Camillo Davigo (salvo proroghe che potrebbe riconoscergli lo stesso Csm) e ministro Guardasigilli ombra dei 5 Stelle. Nota margine su Lotti: par di capire che l’ex sottosegretario non accetterà di passare per un puparo che trama di notte nelle hall degli alberghi con un pugno di magistrati.

Il faccia a faccia

Tirato per il bavero perché nessuno, fino a ieri, e neppure il Pd ha detto una parola sull’indagine e le sue mille facce, il segretario Zingaretti ieri ha incontrato Lotti“per ascoltare le spiegazioni e tentare una prima valutazione comune”. Lo staff del segretario si è molto risentito quando l’incontro è passato per “atto di solidarietà”. Il fatto è che lo stesso Zingaretti ha un po’ le mani legate visto che è indagato per finanziamento illecito, fondi ricevuti – ma è ancora tutto da accertare – dai due avvocati Amara e Calafiore che sono all’origine di questo caos. E non può fare del tutto ciò che una parte del Pd, come Roberti, sta chiedendo: affondare quel che resta del renzismo prima che si possa riorganizzare.

La riforma sul tavolo

Lo tsunami Csm offre uno straordinario assist a chi da trent’anni vuole mettere le mani sulla magistratura. E anche i 5 Stelle, paladini delle toghe e del giustizialismo, si ritrovano, loro malgrado, dalla stessa parte di Salvini e di chi mal sopporta le indagini della magistratura. Ieri il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il ministro dell’Interno hanno parlato della necessità di “un intervento urgente” sul Csm. Salvini tira per la giacca anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, numero uno del Consiglio superiore e regista silenzioso in queste lunghe giornate della tutela e dell’operatività dell’attuale plenum dove, prima volta nella storia, cinque membri togati sono dimessi o autosospesi perché presenti agli incontri per decidere le nomine a tavolino. Salvini è sicuro che “il Capo dello Stato dirà o farà qualcosa sulla vicenda visto che è il supremo garante” dell’organo di autogoverno della magistratura”. Come si interverrà, è ancora tutto da decidere. Anche perché si tratta di una riforma costituzionale che richiede tempi lunghi. Riforma del Csm (prevista dal contratto di governo) e riforma del processo penale (voluta da Salvini) potrebbero cambiare presto ruolo e funzioni della magistratura. Come mai è successo nei settant’anni della Repubblica.

Rif: https://notizie.tiscali.it/politica/articoli/tsunami-csm/

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