Palamara: Centofanti amico di tante toghe

“Non ho mai piegato la mia funzione a fantomatici interessi del gruppo Amara, della cui attività sono totalmente all’oscuro avendo avuto rapporti di amicizia e frequentazione esclusivamente con Fabrizio Centofanti, amicizia che per altro ha anche con importanti figure di vertice della magistratura ordinaria e amministrativa“. Lo afferma in una nota il pm Luca Palamara indagato a Perugia per corruzione.

Rif: http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/06/07/palamaracentofanti-amico-tante-toghe_3283303c-fbfd-4f05-bf27-ce2a6a2f6490.html

Quel telefonino di Palamara che terrorizza la giustizia

Il Pm indagato per corruzione è stato intercettato con un «trojan» per 9 giorni. E molti suoi colleghi tremano.

Dopo nove giorni in cui il suo nome è diventato il nome-simbolo del caso che scuote la magistratura italiana, Luca Palamara esce allo scoperto. 

Il pm romano, ex membro del Consiglio superiore della magistratura ed ex presidente della Associazione nazionale magistrati, indagato per corruzione dalla Procura di Perugia, rilascia una lunga dichiarazione pubblica: nessuna traccia di autocritica, neanche di fronte alla trivialità di alcune espressioni che il trojan installato sul suo telefono ha documentato, neanche davanti alla cruda realtà degli incontri con il renziano Lotti, con il piddino Ferri. Palamara rivendica la correttezza del proprio operato, e chissà se è solo un modo per difendere se stesso o anche per tranquillizzare le decine e decine di magistrati famosi e oscuri che con lui hanno interloquito in questi anni, e che ora tremano per quanto potrà venire ancora fuori.

«Voglio dimostrare che non sono e non sarò mai un corrotto e che non sono mai stato eterodiretto da nessuno nelle mie scelte. Non ho mai ricevuto favori e non ho mai preso la somma di 40 mila euro», dice Palamara. «I viaggi ed i regali sono stati da me direttamente pagati», aggiunge. Nega di conoscere Pietro Amara, l’avvocato siciliano considerato il burattinaio della cricca; ammette di essere amico di Fabrizio Centofanti, lobbista di area Pd e in affari con Amara, ma manda un messaggio esplicito: la frequentazione con Centofanti è «avvenuta peraltro anche con importanti figure di vertice della magistratura ordinaria e amministrativa». Non ero il solo a bazzicarlo, insomma. Se non è una chiamata in correità, poco ci manca.

Sul vero nocciolo dell’inchiesta, sul suo ruolo di smistatore di nomine e di carriere, dice solo di non essere mai stato «eterodiretto». Ma non nega, e sarebbe impossibile, di essere stato uno dei registi di una intera stagione di nomine giudiziarie, lottizzate tra correnti e sottocorrenti. Parla di un solo episodio, la nomina del procuratore di Gela per cui Amara voleva il pm di fiducia, Giancarlo Longo: «In plenum non prese neanche un voto», dice.

Ma le altre nomine? Cosa ha raccontato il cellulare di Palamara ai finanzieri del Gico? È questa la domanda che agita i sonni di molte toghe. Il virus inoculato dalle Fiamme gialle all’inizio di maggio ha raccontato in presa diretta le nomine dell’ultima fase, soprattutto le manovre intorno alla scelta del nuovo procuratore di Roma. Ma un buon trojan può avere succhiato la memoria interna del telefono, soprattutto i messaggi, per un periodo consistente.

Secondo indiscrezioni, sono state documentate le attività di Palamara a partire dal 2017. Più indietro non si è riusciti ad andare, anche per alcune accortezze dell’indagato (che di mestiere, va ricordato, fa il pm). Chi in questi anni ha avuto contatti telefonici con il leader di Unicost sostiene che nei quattro anni in cui è rimasto in carica al Csm Palamara avrebbe cambiato per tre volte il telefono.

Questo significa che comunque l’ultimo anno di attività del vecchio Csm può oggi venire raccontato attraverso i messaggi di Palamara. A venire illuminati possono essere non solo una sfilza di nomine chiave ma anche le relazioni di potere. Di Palamara, di leader pronti a trattare le nomine non nel Csm ma negli incontri privati con i politici e i loro emissari, ce n’erano anche altri, e anche questi nomi prima o poi verranno fuori.

Certo, ne sarebbero usciti altri, e più recenti, se l’indagine fosse andata avanti. Se il trojan a un certo punto non fosse stato disattivato. E se il suo collega Luigi Spina non avesse avvisato Palamara di essere indagato.

Intanto «Magistratura indipendente» se la prende con i giornalisti. La corrente invita i suoi uomini – Cartoni, Criscuoli e Lepre, tre dei quattro autosospesi del Csm – a «riprendere senza indugio le attività consiliari» e parla di «faziosa campagna di stampa» contro di loro.

Rif:http://www.ilgiornale.it/news/politica/telefonino-palamara-che-terrorizza-giustizia-1707739.html

Banca Etruria: L’ultima valanga di fango colpisce il procuratore di Arezzo Roberto Rossi

È cominciato come il più tradizionale dei polizieschi: il delitto è stato commesso dal maggiordomo, nella fattispecie il guardiano, il vigilante, cioè la Banca d’Italia. Ma più va avanti, più la commissione parlamentare d’inchiesta sulla crisi bancaria assomiglia al giallo di Agatha Christie “Assassinio sull’Orient Express”: molte mani hanno inferto la coltellata (ben dodici nel racconto della scrittrice inglese) tanto che è impossibile decidere quale sia stata davvero letale.

Troppi colpevoli, nessun colpevole? Il rischio che finisca così esiste. L’ultima valanga di fango travolge il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, già consulente di palazzo Chigi, il quale avrebbe omesso di rivelare che Pierluigi Boschi, padre di Maria Elena, è stato indagato nel caso Banca Etruria insieme ad altri amministratori per aver fornito informazioni false alla clientela e lacunose alla Consob. In merito a questo è stato ascoltato dalla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche presieduta da Pierferdinando Casini difendendo la propria posizione. A questo punto, non resta che indossare le vesti di Poirot, ghette incluse, e mettere in ordine tutti gli indizi.

I non performing loans

In cima ci sono i non performing loans, cioè i crediti marci(deteriorati secondo la diplomatica definizione ufficiale) che in Italia ammontano a 200 miliardi di euro molto più che in qualsiasi altro paese europeo. Gli npl sono l’equivalente nostrano dei mutui subprime che tra il 2007 e il 2008 hanno fatto saltare le banche americane. Diversi nella tecnica, sono simili nella sostanza: prestiti concessi a chi, per una serie di ragioni, non li avrebbe mai restituiti. 

Una parte di questi prestiti sono marciti perché, con la recessione, imprese e famiglie hanno visto crollare il loro reddito. Emergono nomi altisonanti: la Sorgenia controllata dalla Cir di Carlo De Benedetti, l’Alitalia, Ligresti, Zunino, Coppola, la serie è davvero molto lunga ed è ormai pubblica. In alcuni casi come per Sorgenia e Alitalia, le banche hanno trasformato i crediti in azioni, ma ciò non ha alleggerito i bilanci. I grandi debitori sono la punta, ma l’iceberg è ben più grande e finora stava nascosto sott’acqua.

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La gestione delle banche

La crisi, però, è il detonatore, non la causa prima che va ricercata nel modo in cui sono state gestite le banche. Si diceva che il sistema italiano era sano e solido perché non aveva giocato con i derivati, tuttavia i prestiti concessi in modo clientelare hanno avuto un effetto anche peggiore. Basta leggere i bilanci del Monte dei Paschi di Siena che con 40 miliardi di euro guida ancora la classifica dei crediti marci. Circa un terzo delle sofferenze è dovuto ai grandi clienti, il resto è diffuso in mille rivoli per sostenere il territorio, o meglio per alimentare il consenso politico-elettorale. Ciò vale anche per la Popolare di Vicenza, per Veneto banca, per la Banca dell’Etruria e tutte le altre. L’intero sistema delle banche locali e popolari era bacato e il verme si chiama proprio clientelismo. 

Quando la crisi ha rivelato che non c’era capitale a sufficienza per andare avanti, i banchieri sono ricorsi a ogni escamotage possibile: veri e propri trucchi contabili come il Montepaschi con i contratti Alexandria o Santorini, un sostegno artificioso al valore dei titoli come a Vicenza, la vendita di obbligazioni alla clientela minuta (la Banca dell’Etruria), forzando le regole se non violando apertamente le norme come nel caso delle cosiddette operazioni baciate (prestiti concessi ai clienti per indurli a comperare le azioni della banca).    

I vigilanti

E le autorità di vigilanza? In molti casi hanno chiuso gli occhi. La Consob, per esempio, non ha preteso che nei prospetti informativi si avvertisse chiaramente che anche le obbligazioni subordinate erano a rischio in caso di crac bancario. In altre hanno indagato, hanno multato, hanno avvisato i banchieri, hanno inviato i loro bei rapporti alla magistratura che, come è accaduto a Vicenza, talvolta li hanno messi nel cassetto. Ma non hanno lanciato l’allarme, forse per paura di non creare il panico in una economia già molto indebolita.

In ogni caso, hanno preferito che i panni sporchi venissero lavati in famiglia. Come nel caso della Popolare di Vicenza. Nonostante una lunga serie di ispezioni e di allarmi che risalgono indietro negli anni, ancora nel 2014 la Banca d’Italia riteneva che potesse rimettersi in piedi con le proprie gambe. Non solo. Quando la Bpv ha proposto di comperare la Banca dell’Etruria, ha consigliato di stare attenti, ma non ha detto chiaramente che un cieco voleva guidare uno storpio sull’orlo dell’abisso. 

Come è finita

E qui veniamo al grande equivoco che attraversa i lavori della commissione. Si sta discutendo sul perché non sono state salvate in tempo banche le quali, stando ai loro bilanci e al modo in cui erano gestire, non avevano più alcuna ragione di esistere. Tanto che, dopo anni di tergiversazioni e di pasticci, non esistono più. Vicenza e Veneto Banca sono state assorbite da Banca Intesa, le quattro banchette del Centro Italia cedute per un euro. Il Monte dei Paschi è stato nazionalizzato.

Era meglio chiudere subito i battenti, salvare i depositanti e i risparmiatori imbrogliati (quelli che davvero sono stati turlupinati, non chi ha perso in soldi e adesso vuole essere rimborsato dai debitori onesti e dai contribuenti), mettere i bancari in cassa integrazione e ricominciare su basi nuove. Secondo alcune stime i costi dei salvataggi superano già i 30 miliardi di euro. Il falso dogma che una banca non debba fallire ha solo coperto l’azzardo morale e la cattiva gestione.

I responsabili

Le responsabilità dei guardiani, dunque, esistono. Consob e Bankitalia sono già sotto tiro e nel mirino entra anche il Tesoro che ha sottovalutato la crisi delle banche insistendo con il mantra che il sistema è saldo. Ma ci sono, grandi come palazzi, anche le responsabilità politiche. Le ispezioni della Banca d’Italia a Vicenza e Montebelluna venivano tacciate come intrusioni dal governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia. Tutta Siena si è arroccata a difesa del Montepaschi (e qui è in ballo il Pd). Il conflitto d’interessi su Banca Etruria ha coinvolto Maria Elena Boschi e, per la proprietà transitiva, Matteo Renzi. Mentre a Genova la crisi della Cassa di Risparmioche ha portato in prigione i vecchi amministratori è stata accompagnata da un incredibile silenzio di Beppe Grillo e del suo movimento.

La commissione continua, questa settimana verranno ascoltati altri testimoni e protagonisti, ma tutti attendono il neo confermato governatore Ignazio Visco (verrà convocato la prossima settimana? Per ora si parla di martedì 12). Dunque, non possiamo mettere fine al nostro giallo, rinviamo gli appassionati del genere alla prossima puntata.
Rif: https://www.panorama.it/economia/aziende/banca-etruria-e-le-altre-la-caccia-ai-responsabili-della-crisi/

Banca Etruria, nuova richiesta di archiviazione dal PM Rossi per Pierluigi Boschi

Era contestato il reato di bancarotta fraudolenta per la liquidazione da 700.000 euro all’ex dg dell’istituto di credito Luca Bronchi. Ora l’attesa è per la decisione del gip di Arezzo

Roberto Rossi

Nuova richiesta di archiviazione, nell’ambito dell’inchieste sull’ex Banca Etruria, per Pierluigi Boschi, per il reato di bancarotta fraudolenta contestato per liquidazione da 700.000 euro all’ex dg dell’istituto di credito Luca Bronchi. Ora l’attesa è per la decisione del gip di Arezzo. La liquidazione era stata approvata dall’ultimo cda guidato da Lorenzo Rosi, di cui faceva parte come consigliere Pierluigi Boschi

Il pool guidato dal procuratore della Repubblica Roberto Rossi non ha ravvisato elementi contro il 70enne padre dell’ex ministro e sottosegretario Maria Elena. A febbraio scorso era stata archiviata per Boschi l’accusa di falso in prospetto. Con l’eventuale accoglimento della nuova richiesta di archiviazione, Boschi, dal 2011 consigliere di Bpel e dal 2014 vice presidente fino alla messa in risoluzione del 22 novembre 2015, vedrà cadere tutte le contestazioni penali ipotizzate nei suoi confronti, restando in piedi l’azione di responsabilità promossa dal liquidatore Giuseppe Santoni e le sanzioni elevate da Banca d’Italia (recente la conferma in Cassazione per 144 mila euro).

L’ultimo consiglio della Banca, deliberò una liquidazione milionaria all’allora direttore generale. Nella riunione, tutti i componenti del cda si espressero a favore della liquidazione, con un solo astenuto, il consigliere Giovanni Grazzini. Alcuni mesi dopo, nel febbraio 2015, la banca venne commissariata e, un anno dopo, dichiarata insolvente con trasmissione degli atti dal Tribunale fallimentare alla procura
di Arezzo per l’apertura di un fascicolo per bancarotta fraudolenta.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/02/banca-etruria-nuova-richiesta-di-archiviazione-per-pierluigi-boschi-ad-arezzo/5080926/

Banca Etruria e il caso del pm Roberto Rossi: ecco gli altri magistrati con incarichi a Palazzo Chigi e ministeri

Quella della toga toscana è solo una delle tantissime situazioni di potenziale conflitto di interesse determinato dalla attrazione fatale tra politica e magistratura. Sono centinaia i giudici in organico che per almeno una volta hanno avuto incarichi extragiudiziari. Anche tra esponenti del Consiglio di Stato e Corte dei conti. Da Palazzo Chigi ai dicasteri, ilfattoquotidiano.it offre una prima, veloce rassegna.

A questo punto resta solo una domanda: il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi ha il dovere oppure no di astenersi dalle inchieste su Banca Etruria? Su questo ci si concentra dopo il baillamme scoppiato con la scoperta che Rossi è anche consulente di Palazzo Chigi. Incarico in scadenza tra pochi giorni al Dipartimento affari giuridici, che però è passato del tutto inosservato anche quando, proprio al Dagl che è il cuore pulsante del governo, si lavorava al decreto Salva-Banche. Ora che il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi è uscita indenne dalla mozione di sfiducia personale proprio per il caso della banca di cui è stato vicepresidente suo padre Pierluigi, restano gli interrogativilegati all’attività del procuratore di Arezzo finito nel vortice delle polemiche.

ATTRAZIONE FATALE Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha aperto una pratica per verificare l’eventuale incompatibilità del magistrato. Che contrattacca a testa bassa: l’incarico è stato autorizzato proprio dal Csm e, comunque, il procuratore generale (che avrebbe potuto disporne l’astensione dall’inchiesta su Etruria e, eventualmente, esercitare l’azione predisciplinare) ne era al corrente. Caso chiuso? Nemmeno un po’. E non solo nel caso di Arezzo. Perchè quella del procuratore Rossi è solo una delle tantissime situazioni dipotenziale conflitto di interesse determinato dalla attrazione fatale tra politica e magistratura.

SACRO PRINCIPIO Il caso in questione dimostra infatti come un incarico ancorchè perfettamente legittimo possa minare fino a metterlo in dubbio il principio in base al quale il magistrato non solo deve essere, ma deve anche apparire indipendente. Un principio che vale per tutti, anche per le magistrature speciali come il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. Alla Presidenza del Consiglio, per esempio, compaiono consulenze di cui sono titolari magistrati di ogni genere: si tratta certamente di servitori dello Stato di cui nessuno può mettere in dubbio l’autorevolezza. Ma altrettanto indubbio è che la loro nomina avviene per scelta discrezionale della politica tra tanti altri che pure avrebbero lo stesso altissimo profilo.

TUTTI A PALAZZO Di eccellente livello è il curriculum di Angelo Canale, consulente a titolo gratuito di Palazzo Chigi, che è magistrato della Corte dei Conti, tra l’altro delegato al controllo del gruppo Fs, prima di Sogei. E che fino alla fine del 2014 è stato procuratore regionale per la Toscana (adesso lavora in Umbria). I suoi incarichi al di fuori della suprema magistratura contabile sono innumerevoli e tutti prestigiosissimi: vanno dalla giustizia sportiva in epoca più recente, alla consulenza sulle tecnologie nel settore aeronautico per conto del ministero delle Attività produttive. Prima ancora l’incarico di sub-commissario con delega al bilancio del comune di Roma (1993) di cui è stato anche assessore nel biennio ’95-’97 ai tempi in cui era sindaco Francesco Rutelli. Il quadro non cambia se si guarda alla magistratura amministrativa che consolida la sua presenza al servizio (tecnico-giuridico) della politica anche in questa legislatura, sia con incarichi di consulenza che a tempo pieno. Il legame, a volte con i ministri per esempio, sembra fortissimo, quasi fiduciario: per tutti il caso del consigliere di Stato,Rosanna De Nictolis, capodigabinetto di Andrea Orlando prima al ministero dell’Ambiente e poi suo capo della segreteria al ministero della Giustizia.

TOSCANA ALLA CARICA Ma anche i magistrati ordinarivanno forte. A Palazzo Chigi, sempre al Dipartimento affari giuridici, Riccardo Fuzio, sostituto pg di Cassazione (ed ex membro del Csm) è consulente nelle materie riguardanti il diritto pubblico, diritto dell’ambiente, tutela del paesaggio e sulla responsabilità nel settore sanitario. Ma più in generale non c’è commissione ministeriale senza che vi sieda almeno un magistrato. Solo a prendere in esame la procura di Siena si scopre che il sostituto procuratore presso il tribunale, Aldo Natalini è stato voluto dal ministero della Giustizia come componente della commissione sui reati agroalimentari. Il presidente del tribunale, sempre di Siena, Mauro Bilancetti è nella commissione consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva del ministero della Salute. Il capo della procura, Salvatore Vitello? Anche lui ha avuto un incarico fino a pochi mesi fa: coordinatore del gruppo di lavoro, sempre al ministero di via Arenula, per l’elaborazione di un regolamento sugli uffici giudiziari.

COSI PER SPOT Fin qui gli incarichi spot. Poi ci sono i legami più duraturi e cioè a tempo pieno. I magistrati che risultano in organico (e cioè non ancora in pensione) e che, per almeno una volta nella loro carriera sono stati destinati a funzioni non giudiziarie sono circa 800. Moltissimi di loro sono tornati a fare i magistrati. Altri sono ancora fuori ruolo, per esempio presso i ministeri: è il caso di Enza De Pasquale, giudice del tribunale di Catania in servizio sempre al famoso Dipartimento affari giuridici della presidenza del Consiglio. O di Mariella De Masellis della Corte di Appello di Roma che è consigliere giuridico del ministro dell’Economia oltre ad essere stata designata dal governo anche nel Consiglio direttivo dell’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Il gruppo più numeroso di magistrati ordinari però si trova al ministero della Giustizia: il più influente tra loro è il capo di gabinetto del Guardasigilli, Giovanni Melillo che è approdato al ministero di Orlando dalla Direzione nazionale antimafia dopo essere stato consigliere giuridico del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale.

TOGHE ONOREVOLI Parte di questo esercito, come detto, torna prima o dopo a fare il magistrato. Poi ci sono quelli che scelgono di passare direttamente alla politica, nazionale o locale. E che, pur restando in magistratura, la toga forse non la rimetteranno mai. Ma questa è un’altra storia.

Boschi e sottoboschi: il caso Banca Etruria – Pm Roberto Rossi

Cosa faceva esattamente Pier Luigi Boschi nel consiglio di amministrazione di Banca Etruria? Pier Luigi Boschi, il padre di Maria Elena, l’ex ministro, ora sottosegretaria alla Presidenza, si difende dalle accuse per il fallimento della banca dicendo: “Non avevo nessuna delega operativa”. Ma se non aveva nessuna delega, cosa faceva esattamente papà Boschi in Banca Etruria?

Il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, ha detto che papà Boschi “non era nella banca” quando il consiglio di Etruria ha approvato la maggior parte delle delibere su prestiti superiori a 500mila euro dati senza garanzie, soldi che non sono stati restituiti e sono diventati sofferenze. Queste delibere – secondo il pm Rossi – sono concentrate tra il 2008 e il 2010.

Infatti Boschi, che è un notabile della provincia di Arezzo, è stato presidente della Confagricoltura di Arezzo e dirigente della Coldiretti, è diventato consigliere di Etruria soltanto nell’aprile 2011. E il procuratore Rossi ha anche detto che dal 2011 in poi i prestiti sopra i 500mila euro diventati sofferenze “sono solo 17” e che Boschi non ha partecipato a queste delibere. Per questo Boschi non è stato rinviato a giudizio per la bancarotta.

Allora, se non partecipava alle delibere del consiglio, cosa faceva papà Boschi in Banca Etruria? Per esempio si era accorto del falso in prospetto per cui adesso è indagato? E’ accusato, con altri ex consiglieri, di non aver dato ai risparmiatori tutte le informazioni sui rischi quando Banca Etruria nel 2013 ha venduto le obbligazioni subordinate. Titoli ad alto rischio, ma sono stati venduti come bond a basso rischio. Quando la banca è andata a gambe all’aria, nel novembre 2015, chi le aveva comprate ha perso tutti i soldi.

La Consob ha fatto una multa a Boschi di 120mila euro e indaga la Procura. Boschi si è difeso dicendo che le strutture interne non avevano avvertito il consiglio che ci fossero problemi e di non aver partecipato alle riunioni in cui erano stati esaminati i rilievi della Banca d’Italia.

Allora cosa faceva esattamente papà Boschi in Banca Etruria? Di sicuro nel marzo 2014 Pier Luigi Boschi ha incontrato a casa sua il direttore generale di Veneto Banca, Vincenzo Consoli. C’era anche sua figlia, Maria Elena, da poco diventata ministro nel governo Renzi.

La Banca d’Italia voleva che Etruria venisse venduta a una banca più forte, l’unico possibile salvatore era la Popolare di Vicenza, che era in pista per assorbire anche Veneto Banca. Ma Etruria non voleva fondersi con la Vicenza di Gianni Zonin, perché i notabili locali avrebbero perso autonomia. E anche la Vicenza, ha detto il procuratore di Arezzo, aveva dei problemi “simili a Etruria”.

E faceva anche altro papà Boschi in Banca Etruria? Nel maggio 2014 Boschi è stato nominato vicepresidente della banca.

Un’altra cosa sicura è che ha cercato di trovare un direttore generale per aiutare la banca a risollevarsi. Attraverso un intermediario che dice di essere massone, Pier Luigi Boschi ha incontrato a Roma Flavio Carboni, che ha avuto rapporti con il capo della loggia P2, Licio Gelli, ed è stato condannato per concorso in bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Carboni ha suggerito il nome di Fabio Arpe, ma non se ne è fatto nulla.

Nel gennaio 2015 il governo Renzi ha approvato la riforma delle Popolari, con la quale anche Etruria dovrebbe trasformarsi in società per azioni. Dieci giorni dopo il direttore generale di Veneto Banca, Consoli, ha telefonato a papà Boschi, intercettato. A una domanda Boschi ha risposto: “Ne parlo con mia figlia, col presidente domani e ci si sente in serata”.

Ma non è servito a niente. Etruria cercava un salvatore, ma Boschi non lo ha trovato. Una settimana dopo la banca è stata commissariata dalla Banca d’Italia. Allora, come consigliere non ha fatto nulla, come facilitatore nemmeno: che se ne faceva Banca Etruria di uno come papà Boschi?

Rif: https://www.michelesantoro.it/2017/12/boschi-e-sottoboschi-scandalo-banca-etruria/

Dubbi sulla conferma del procuratore Roberto Rossi a Arezzo: pesa Etruria

Slitta alla prossima settimana la conferma del pm Roberto Rossi per altri 4 anni alla guida della procura di Arezzo: la nomina è stata rinviata dopo che sono emersi dubbi nel plenum del Csm. Le perplessità riguardano la famosa vicenda dell’incarico di consulente giuridico di Palazzo Chigi ricoperto da Rossi mentre erano in corso da parte del suo ufficio le indagini su Banca Etruria, di cui era vice presidente il padre di Maria Elena Boschi, allora ministro.

Una vicenda che aveva portato il precedente Csm ad aprire un fascicolo sul magistrato, concluso nel 2016 con l’archiviazione per mancanza di elementi che potessero giustificare l’apertura di una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità. La V Commissione del Csm ritenendo che il caso non fosse di ostacolo alla conferma del procuratore, aveva messo oggi sul tavolo del plenum la sua proposta favorevole, approvato all’unanimità. Ma alcuni consiglieri laici di area FI e M5S hanno chiesto approfondimenti su alcuni particolari emersi nel 2016 (il silenzio sulle inchieste in corso e l’autoassegnazione dei fascicoli su Etruria): non è passato il rinvio in commissione, quindi ne riparlerà il plenum.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2018/10/18/dubbi-sulla-conferma-del-procuratore-rossi-a-arezzo-pesa-etruria/4701198/

Sull’ex pm di Etruria Roberto Rossi, si spacca ancora il Csm

Quando c’è di mezzo il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, finito sotto procedimento al Csm perché per un periodo fu consulente del governo Renzi e pm dell’inchiesta su Banca Etruria, le divisioni dentro al Consiglio sono garantite.

Così è stato per la Quinta commissione che si è spaccata esattamente a metà sulla sua riconferma a capo dei pm aretini. Tre consiglieri hanno votato perché Rossi resti altri quattro anni , e altri tre consiglieri hanno votato contro la riconferma.

Il presidente della Quinta Gianluigi Morlini, di Unicost, (la corrente centrista a cui appartiene anche il procuratore), Antonio Lepre di Magistratura Indipendente (la corrente più conservatrice) e Mario Suriano, consigliere di Area (sinistra) hanno votato a favore del magistrato. Contro la riconferma di Rossi, invece, Piercamillo Davigo, di Autonomia e Indipendenza ( la sua corrente, trasversale) e i laici Fulvio Gigliotti, M5S ed Emanuele Basile, Lega.

I relatori delle due mozioni, Morlini e Davigo devono scrivere le motivazioni delle proposte che andranno in plenum per il voto finale, in attesa, a grandi linee, si può dire che chi ha votato contro il rinnovo dell’incarico ha tenuto conto del comportamento, ritenuto evidentemente inopportuno, del procuratore che per un periodo era contemporaneamente pm dell’inchiesta su Banca Etruria, con Pierluigi Boschi nel Cda, e consulente di Palazzo Chigi, con Maria Elena Boschi al governo, all’insaputa del Csm. Sulla valutazione negativa di Rossi come procuratore, per Davigo, Gigliotti e Basile, avrà pesato anche quanto detto da Rossi , nel 2016, al Csm su cosa poteva fare banca Etruria privata, per esempio, ma anche quanto non detto, che aveva già indagato su Boschi senior. I consiglieri della Prima proposero un’archiviazione e non il trasferimento per incompatibilità ambientale ma chiesero una valutazione disciplinare all’ex Pg della Cassazione Pasquale Ciccolo, finita anche quella con un’archiviazione.

Morlini, Lepre e Suriano, invece, ritengono che quella vicenda, archiviata, non incida sulle buone capacità di Rossi procuratore, di cui magistrati e avvocati aretini parlano bene e che ha ricevuto pure un parere favorevole del Consiglio giudiziario.

Sull’ex pm di Etruria si spacca ancora il Csm

Era il 21 luglio del 2016 quando il plenum del Csm votò l’archiviazione della pratica a carico di Rossi ma i relatori Morosini ( Area) e Balduzzi (laico di Scelta Civica) ritirarono la firma e si astennero, così come tutti i togati di Area perché, su proposta di Uncost, dalla relazione fu eliminata la proposta di inviare il fascicolo alla Commissione competente per le valutazioni professionali. Già quel Consiglio avrebbe dovuto votare sul rinnovo o meno di Rossi a procuratore, dato che i quattro anni sono scaduti nell’estate 2018 ma i consiglieri, divisi anche allora, e in scadenza a settembre, lasciano la pratica rovente ai loro successori. A ottobre il nuovo Plenum eredita un parere favorevole, relatore l’ex presidente della Quinta, Luca Palamara, anche lui di Unicost. Per Rossi sembrava cosa fatta, ma tra il 17 e il 24 ottobre sono stati votati due ritorni in Commissione a partire da un imput di laici di FI e Lega.

Ora il voto finito tre a tre in Commissione, ma se in plenum Area, che ha quattro consiglieri, voterà così come il suo componente della Quinta commissione, allora Rossi, per la legge dei numeri, resterà procuratore di Arezzo.

Rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/03/12/sullex-pm-di-etruria-si-spacca-ancora-il-csm/5030316/

La rete di Palamara e i magistrati usati per depistare le inchieste

Da Trani a Gela, l’intrigo per fermare i pubblici ministeri di Milano. Al centro l’avvocato Amara, il cui arresto ha svelato il mercato delle poltrone. La denuncia di un falso complotto doveva servire a spiare e boicottare l’inchiesta sulle mazzette in Africa.

BARI – Nel verminaio delle nomine ai vertici delle Procure italiane, c’è una storia che, da sola, spiega qual era e qual è la posta in gioco del Grande Domino. E documenta come alcune delle scelte cruciali di una delle più influenti correnti della magistratura associata, Unicost, siano state indirizzate e condizionate dall’uomo che sussurrava all’orecchio dei magistrati e trafficava per aggiustare sentenze. Un ragno dell’intrigo. L’avvocato siciliano …

Rif:https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/06/02/news/corruzione-227823080/

Tutte le ombre, penali e non, che si sono allungate sul Csm

Galeotto fu il conto e chi lo pagò, verrebbe da dire. Già, perché è partita anche da una serie di riscontri su pagamenti di soggiorni alberghieri e regali costosi, l’inchiesta della procura di Perugia che da una settimana sta squassando dall’interno il Consiglio superiore della magistratura, rallentando le decisioni sui vertici di alcune procure e generando fibrillazioni in seno all’Anm, nonché seria preoccupazione sul Colle più alto delle istituzioni repubblicane. Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza e coordinate dai pm perugini, nei giorni scorsi hanno portato all’emissione di un decreto di perquisizione dell’ufficio di Luca Palamara, pm a Roma, ex presidente dell’Anm ed ex consigliere del Csm. Dagli atti dell’inchiesta emerge uno scenario inquietante a diversi livelli: penale, correntizio, politico. 

IL PM E QUEI CONTI PAGATI 
L’indagine di Perugia prende le mosse da investigazioni pregresse su Fabrizio Centofanti, imprenditore rinviato a giudizio in un’inchiesta siciliana in cui sono coinvolti pure due avvocati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Indagando su quel ginepraio, gli uomini delle Fiamme gialle hanno individuato fatture sospette, con pagamenti di conti per soggiorni in ho- tel italiani (a Madonna di Campiglio, nell’isoletta di Favignana, a Siena) o esteri (a Dubai), in favore del pm di Roma Luca Palamara, già presidente dell’Associazione nazionale magistrati ed ex consigliere togato del Csm (come esponente della corrente centrista di Unicost). Secondo gli inquirenti, mentre era in carica a Palazzo dei Marescialli, avrebbe ricevuto denaro per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela, poi non avvenuta. Proprio Longo (arrestato nel febbraio 2018 in un’inchiesta a Messina su casi di corruzione in atti giudiziari), interrogato dai pm siciliani nel luglio 2018, disse che «Calafiore gli avrebbe riferito di aver dato unitamente ad Amara la somma di euro 40mila a beneficio di Palamara per la sua nomina a procuratore di Gela», poi non concretizzatasi. Ancora, secondo la ricostruzione dei pm perugini, Centofanti avrebbe corrisposto a Palamara sin dal 2011 (quando il pm non ricopriva ruoli al Csm) utilità e vantaggi economici, destinati non solo a lui, ma anche alla sorella Emanuela e alla sua amica Adele Attisani (compreso un anello da 2mila euro): da soggiorni a Taormina, Favignana, in Toscana e a Dubai, fino a un cenone di Capodanno nel 2015 (456 euro). Secondo i pm, l’imprenditore avrebbe «operato come rappresentante » di un «centro di potere» anche «mediante atti corruttivi di esponenti dell’autorità giudiziaria». E «le utilità percepite nel corso degli anni da Palamara, dai suoi conoscenti e familiari ed erogate da Centofanti appaiono direttamente collegate alla sua funzione di consigliere dell’organo di autogoverno della magistratura ». Inoltre, si legge nel decreto di perquisizione, «il numero di donativi e il valore degli stessi non è spiegabile sulla base di un mero rapporto di amicizia ». Palamara, indagato per corruzione, è già stato interrogato due volte dagli inquirenti. E ha respinto ogni addebito: «Su di me si stanno abbattendo i veleni della Procura di Roma, ma non mi faccio intimidire – ha affermato –. Non ho ricevuto pagamenti, né regali, né anelli e non ho fatto favori a nessuno. Non ho mai parlato di Giancarlo Longo, né ho danneggiato qualche altro collega». 

RIVELAZIONE DI SEGRETI 
Indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento personale è il sostituto procuratore di Roma Stefano Rocco Fava: secondo i pm perugini, «comunicando con Palamara e rispondendo alle sue plurime e incalzanti sollecitazioni» gli avrebbe rivelato come gli inquirenti erano giunti a lui con accertamenti partiti «dalle carte di credito» di Centofanti e dalle verifiche sui pernottamenti negli alberghi. Per i medesimi reati è indagato anche Luigi Spina (membro togato del Csm, anche lui della corrente Unicost). Gli inquirenti sostengono che abbia rivelato a Palamara notizie relative all’inchiesta di Perugia, apprese per il suo ruolo nel Csm. Spina si è dimesso dal Consiglio superiore e tornerà a fare il pm a Castrovillari. 

INCONTRI CON POLITICI SULLA PROCURA DI ROMA
La vicenda penale si intreccia – con contorni ancora da accertare – con eventi legati alla decisione del Csm sulla successione, a capo della procura di Roma, di Giuseppe Pignatone. Da un lato c’è l’esposto, presentato a marzo dal pm Fava al Csm su presunte ragioni di astensione in capo all’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e al suo aggiunto Paolo Ielo per gli incarichi che sarebbero stati assunti dai due fratelli dei magistrati, entrambi avvocati. Lo scorso 9 maggio (ignorando di essere ascoltati dai pm di Perugia, attraverso un ‘trojan’ inserito nel cellulare di Palamara), quest’ultimo e Spina incontrano i deputati del Pd Luca Lotti (indagato a Roma per l’inchiesta Consip) e Cosimo Ferri (ex sottosegretario alla Giustizia) e parlano della successione alla procura capitolina. A dei pourparler sullo stesso tema avrebbero partecipato anche i consiglieri del Csm Antonio Lepre, Corrado Cartoni, Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli (non indagati, ora autosospesi). Negli stessi giorni, il Csm sta vagliando le candidature, ristrette a una corsa a tre: Marcello Viola, Giuseppe Creazzo e Francesco Lo Voi. Ma questo terremoto mediatico e giudiziario allungherà i tempi della decisione.

Rif: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/toghe-e-nomine-la-grande-matassa