Il marcio nella magistratura e chi non lo vuole estirpare

Il caso Palamara rivela che c’è del marcio nella Danimarca della magistratura. E non si tratta di qualche mela, ma di una vera e propria questione morale. Una crisi degenerativa che dovrebbe imporre le dimissioni di tutti i coinvolti e riforme strutturali – a cominciare dalla riforma radicale dell’elezione al CSM – per contrastare il verminaio e non far piombare le toghe nel discredito presso i cittadini.di Paolo Flores d’Arcais
Un’indagine della magistratura di Perugia, ancora in corso, ha messo in luce, al di là dei reati penali che eventualmente verranno contestati, “gravissime violazioni di natura etica e deontologica”, “inammissibili interferenze nel corretto funzionamento del Csm”, e insomma “l’esistenza di una questione morale nella magistratura”. I fatti, giustamente stigmatizzati con i giudizi sopra riportati, sono purtroppo ormai accertati, attraverso le registrazione tramite “trojan”: riunioni clandestine nelle quali Luca Palamara, leader per anni e anni della corrente Unicost, discuteva con altri magistrati (quattro si sono autosospesi dal Csm) e soprattutto con Cosimo Maria Ferri, dominus per decenni della corrente Magistratura indipendente e ora deputato Pd (sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi, Gentiloni), e con Luca Lotti, onorevole del Pd e braccio destro di Renzi, sulle nomine dei capi delle Procure dell’intero stivale. 

Qualche spudorato dice che i rapporti tra politica e magistratura sono normali e anzi doverosi: se i membri del Consiglio superiore della magistratura, per due terzi magistrati e per un terzo di nomina politica, discutono fra loro in Csm, va da sé che fanno solo il loro lavoro. Se ne discutono invece con Palamara, che dal Csm è fuori, e soprattutto con due onorevoli che sulla scelta dei Procuratori non hanno alcuna voce in capitolo, allora realizzano esattamente “inammissibili interferenze nel corretto funzionamento del Csm” e “gravissime violazioni di natura etica e deontologica”, come denuncerà il tempestivo documento dell’Associazione nazionale magistrati, votato all’unanimità il 5 giugno dal proprio comitato direttivo centrale. 

Una delle nomine in ballo, quella di peso massimo, è la direzione della Procura di Roma. Dove Lotti è indagato. Ci vuole tutta la bulemica impudenza di Matteo Renzi, perciò, per dire che “sull’inchiesta del Csm ho visto tanta ipocrisia solo per attaccare i nostri”. I nostri. Puerilità che vale quasi una confessione. 

Del resto è un europarlamentare Pd appena eletto, l’ex Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, ad aver chiesto con toni ultimativi al Partito Democratico “finora silente, di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti”, visti i comportamenti “assolutamente certi” per “manovrare sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone”, dove il riferimento a Luca Lotti e Cosimo Maria Ferri è lapalissiano. Con l’aggiunta di una denuncia senza mezzi termini del governo Renzi come causa prima della degenerazione: “nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa era palesemente dettata da un duplice interesse: liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti, in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica”. E a “tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più ‘sensibili’ di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico. Il disegno è almeno in parte riuscito perché da allora, mentre il Csm si affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della ‘decapitazione’, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle procure. Il caso Palamara ne è, dopo cinque anni, la prova tangibile, sebbene temo sia soltanto la punta dell’iceberg”. 

Insomma, c’è del marcio nella Danimarca della magistratura, e non si tratta di qualche mela, ma di una vera e propria “questione morale nella magistratura”, come denunciato il 3 giugno dall’assemblea di 400 magistrati del distretto dell’Anm di Milano. Del resto Davide Ermini, vicepresidente del Csm e in stretto contatto col capo dello Stato che del Csm è presidente, parlerà di “giochi di potere e traffici venali”. 

Sarebbe perciò ovvio, se la decenza avesse corso, che i quattro magistrati “autosospesi” (una misura che rasenta l’aria fritta), si fossero ormai dimessi. Ma la loro corrente, dopo aver votato in sede Anm tutte le durissime frasi sopra riportate, ha deciso, almeno nella sezione della Cassazione, un ignominioso voltafaccia: “piena fiducia”, “totale solidarietà”, tornino a sedersi nel Csm. Se si dimettessero, infatti, due dei quattro subentranti apparterrebbero alla corrente/non corrente di Pier Camillo Davigo, che dell’intransigenza contro la degenerazione ha fatto la sua ragione d’esistenza. 

Allora meglio il marcio? È questo che volete, signori magistrati di Magistratura indipendente? Le altre correnti, malgrado alcune abbiano loro esponenti coinvolti, hanno immediatamente reagito, dichiarando chiusa l’esperienza di direzione unitaria nell’Anm, chiedendo la convocazione immediata degli organismi direttivi, e denunciando “le gravi responsabilità di fronte alla magistratura e al Paese” che Magistratura indipendente, se continuasse su questa strada, si assumerebbe, col rischio di creare “un incidente istituzionale senza precedenti [che] potrebbe condurre all’adozione di riforme dell’organo di autogoverno dal carattere ‘emergenziale’”. In realtà è anche peggio. I partiti tutti, infatti, tranne il M5S (ma qualcuno tra i loro è sensibile alle sirene), non vedono l’ora di realizzare il disegno non riuscito a Berlusconi: separare le carriere e mettere procure e pubblici ministeri al guinzaglio del potere politico. 

Aggiungiamo che alla ultimativa richiesta di Franco Roberti Nicola Zingaretti ha risposto con un inverosimile “Luca [Lotti] mi ha assicurato che non ha commesso alcun atto di illegalità”, argomento inoppugnabile che palesemente taglia la testa al toro, e il quadro (allo stato attuale) è completo. 

Abbiamo una crisi degenerativa della magistratura e della sua autonomia, abbiamo una corrente che pur di non perdere scranni di potere (Magistratura indipendente, con Cosimo Maria Ferri per decenni suo dominus) se la prende con la “faziosa campagna di stampa” anziché con l’immondo traffico delle indulgenze denunciato dal moderatissimo vicepresidente Ermini (che in questi giorni assai improbabilmente apre bocca senza il previo consenso del Capo dello Stato, che del Csm è presidente). 

Abbiamo l’urgenza improcrastinabile delle dimissioni di tutti i coinvolti e della sostituzione secondo le attuali modalità di legge, che fortunosamente e fortunatamente, per provvidenza divina (noi atei preferiamo chiamarla “il caso”) vedrebbero al Csm una iniezione di autonomia e intransigenza morale. Abbiamo la necessità che le nomine in ballo avvengano sotto i riflettori, con tutta la discontinuità necessaria rispetto a troppe opacità di alcune vicende recenti (la nomina di Lo Voi a Palermo, in barba a tutti i criteri statuiti, e per volontà catafratta di Giorgio Napolitano, è solo l’esempio più eclatante). 

Abbiamo, last but not least, la necessità delle riforme strutturali che rendano sempre più arduo il riprodursi e il semplice allignare o anche solo germogliare del verminaio. Necessità di dimettersi dalla magistratura prima di candidarsi a cariche elettive. Proibizione di incarichi extragiudiziari retribuiti. Tanto per cominciare e per “non indurre in tentazione”. Abrogazione delle controriforme Castelli (Lega al governo con Berlusconi) del 2005 e Mastella 2006 (centro-sinistra con Prodi), che abrogano l’ultraventennale autonomia dei sostituti procuratori, facendo del Procuratore Capo un vero e proprio dominus anziché primus inter pares (come i Borrelli, Caponnetto, Caselli delle migliori stagioni della giustizia eguale per tutti), oltre a numerose altre nefandezze di quella stagione di inciucio. 

E abbiamo, davvero ineludibile, la riforma radicale dell’elezione al Consiglio superiore della Magistratura. 

Credo che ricorrere al sorteggio per i componenti magistrati (i due terzi) sia la soluzione migliore. Eventualmente stabilendo che sia necessario avere una certa anzianità di servizio (cinque o dieci anni) per conoscere i colleghi. I magistrati sono solo alcune migliaia. Se fanno seriamente il loro lavoro, aggiornandosi sulle sentenze oltre che sulle leggi, e partecipano anche alla ricca vita associativa, culturale e ideale, che le “correnti” dovrebbero garantire, praticamente si conoscono tutti. Il loro status costituzionale li mette tutti sullo stesso piano, sono “soggetti soltanto alla legge” e “inamovibili”, si “distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni” (artt. 101 e 107 della Costituzione). Che necessità c’è che siano dei “rappresentanti”, con l’inevitabile lotta per il consenso e i suoi strascichi? Ciascuno può garantire l’autonomia della magistratura nel Csm, esattamente come ciascuno deve garantire il cittadino, che entri in un tribunale come accusato o parte lesa, che “la legge è eguale per tutti”. Il sorteggio ha una nobile tradizione democratica, fin dai primordi greci. Sorteggiati sono i cittadini comuni, in maggioranza nelle Corti d’Assise italiane, che giudicano i reati da ergastolo (negli Usa è l’intera giuria ad essere sorteggiata). 

Resta la componente di nomina politica (un terzo). Qui la riforma appare più ardua, visto il precipitare verso il basso della qualità dei politici ad ogni generazione, che la riforma dovrebbero oltretutto votare. La cosa migliore sarebbe farli eleggere fra gli ex presidenti della Corte Costituzionale, o misure analoghe. 

Perché una magistratura autonoma e degna del nome, inattaccabile moralmente, soggetta solo alla legge, cioè alla Costituzione repubblicana e ai suoi valori, è il bene democratico più prezioso, il “potere dei senza potere”. Contro questa magistratura ha iniziato il suo lavoro eversivo il potere politico con Berlusconi, proseguito poi con i ministri della giustizia bipartisan e il susseguirsi di controriforme quasi identiche, governasse il centro-destra o il centro-sinistra. Fino a che una parte della magistratura è diventata soggetto attivo nell’opera di “normalizzazione” che ha umiliato “la legge eguale per tutti” a favore dei soliti “eccellenti” e impuniti. 

Ora le vie di mezzo non sono più possibili. O la magistratura troverà la forza dentro di sé per pulire le stalle di Augia con erculea intransigenza, o piomberà nel discredito presso i cittadini, come già per le forze politiche e il resto dell’establishment, quel kombinat affaristico corruttivo che trascina l’Italia verso il disastro, di cui anche la magistratura finirebbe o comunque rischierebbe di diventare parte.

Rif: http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-marcio-nella-magistratura-e-chi-non-lo-vuole-estirpare/

Csm, coinvolti altri consiglieri nel caso delle nomine pilotate

Ci sono altri consiglieri del Csm coinvolti nella trattativa per la nomina dei procuratori di Roma, Perugia e Brescia, che ha già fatto esplodere la bufera su Palazzo dei Marescialli portando alle dimissioni di Luigi Spina, l’unico indagato del Csm, e all’autosospensione di Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Paolo Criscuoli e Gianluigi Morlini, intercettati mentre discutevano della successione a Giuseppe Pignatone con i parlamentari del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri. Mentre le dimissioni, invocate da più parti, tranne dalla corrente di Magistratura Indipendente, tardano ad arrivare, altre notizie scuotono il Consiglio superiore della magistratura, travolto da una crisi istituzionale senza precedenti.Previous

IL CELLULARE
Nuove indiscrezioni sulle conversazioni registrate attraverso il trojan, collocato dal 7 al 16 maggio nel telefonino dell’ex presidente dell’Anm e membro del Csm Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione. Quel microfono ha svelato alla Guardia di finanza il coinvolgimento, anche a loro insaputa, di altre persone nelle conversazioni sulla trattativa per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari di Roma, Perugia e Brescia. Durante i dialoghi sulle strategie da adottare per portare Marcello Viola alla guida dei pm di Roma, Luca Lotti millantava contatti e rapporti anche con il Quirinale. Così come lo stesso pm, indagato per corruzione dalla procura umbra, avrebbe sostenuto di essere stato informato delle intercettazioni a suo carico proprio da ambienti vicini al Colle.
Ma, come emerge dagli atti, l’interesse di Palamara riguardava anche la procura di Perugia: il suo obiettivo era vedere indagato il collega Paolo Ielo. Affrontava spesso la questione, ne discuteva anche con il sostituto della direzione nazionale Antimafia Cesare Sirignano. Nella conversazione intercettata il 7 maggio, Palamara parla del candidato che può soddisfare il suo desiderio di vendetta nei confronti di Ielo, sul quale il collega Stefano Fava aveva già presentato un esposto al Csm: «Chi glielo dice che deve fare quella cosa lì – dice a Sirignano – Deve aprire un procedimento penale su Ielo…cioè stiamo a parlà di questo… non lo farà mai». Il magistrato in questione era Giuseppe Borrelli, attualmente aggiunto a Napoli, che si è candidato, insieme ad altri diciannove colleghi come capo della procura di Perugia. Sirignano avrebbe risposto di avere già affrontato l’argomento con Borrelli che sarebbe stato disponibile a procedere.
Per questo, nei giorni scorsi, l’aggiunto di Napoli ha consegnato una relazione di servizio al procuratore Giovanni Melillo, che ha trasmesso il documento a Perugia, titolare del fascicolo. Nell’esaminare le varie candidature utili al suo obiettivo, Palamara valutava quelle di colleghi che non fossero vicini a Paolo Ielo. Così, nelle sue conversazioni, prendeva in considerazione anche l’ipotesi di Francesco Prete, attuale procuratore di Velletri, ed Erminio Amelio, pm di Roma, entrambi candidati a Perugia.

LE REAZIONI
In serata Giuseppe Borrelli ha diffuso una nota: «Apprendo con sorpresa e indignazione che mi sono state attribuite affermazioni mai pronunciate e intenzioni mai nutrite, nell’ambito di una vicenda alla quale sono completamente estraneo. Da giorni ho provveduto a depositare al procuratore della Repubblica la documentazione comprovante la mia più totale estraneità a quei fatti, per l’inoltro della stessa agli organi competenti. Ho già dato mandato per tutelare in ogni sede giudiziaria la mia onorabilità di uomo e magistrato». Sulla stessa linea Erminio Amelio: «Apprendo con stupore – dichiara – che venisse fatto il mio nome da parte di una persona con la quale non ho avuto nulla a che fare (Palamara ndr) e tutelerò la mia onorabilità in tutte le sedi competenti. Non sono mai stato nemico di Ielo con il quale sto ancora lavorando e lo stesso Ielo qualche mese fa, d’iniziativa, ha espresso parole lusinghiere sulla mia professionalità a colleghi anche del Csm».

Rif: https://www.ilmessaggero.it/italia/csm_nomine_pilotate_palamara-4551516.html
 

Bufera procure, consigliere Csm Pierluigi Morlini si è dimesso

Bufera procure, consigliere Csm Pierluigi Morlini si è dimesso

Il consigliere togato Gianluigi Morlini (ex Unicost) si è dimesso dal Csm. Morlini si era autosospeso dopo essere stato coinvolto nello scandalo nomine emerso dall’inchiesta di Perugia, nella quale comunque non risulta penalmente indagato. “Le dimissioni sono l’unico modo per tutelare l’Istituzione, anche se, in questo momento davvero terribile, ritengo umiliante essere accomunato a chi ha fatto anche solo alcune delle cose che si leggono”, ha scritto.

Rif:https://www.tgcom24.mediaset.it/politica/bufera-procure-consigliere-csm-pierluigi-morlini-si-e-dimesso_3214173-201902a.shtml

Procure e toghe nel caos: il consigliere Morlini si dimette anche dal Csm

Si è dimesso dal Csm Gianluigi Morlini, uno dei quattro togati che la scorsa settimana si era autosospeso dalle attività di Palazzo dei Marescialli, per la partecipazione agli incontri notturni con l’ex consigliere Luca Palamara e i due deputati del Partito Democratico Cosimo ferri e Luca Lotti. 

Morlini, ex presidente della Commissione che si occupa delle nomine al vertice degli uffici giudiziari ed ex esponente di Unicost (da cui si era già dimesso, come avevano scritto), ha comunicato la sua decisione al vicepresidente David Ermini, con una lettera, dopo aver appreso che nei suoi confronti è stata avviata l’azione disciplinare.

Nella missiva inviata all’attenzione di Ermini, Morlini, pur ribadendo la correttezza dei propri comportamenti, comunica che “essendo stato proposto nei miei confronti un procedimento disciplinare, per senso di responsabilità istituzionale e per potere difendermi al meglio nelle sedi opportune, ritengo necessario presentare le mie dimissioni da Consigliere”.

Infine, il magistrato scrive: “Le dimissioni sono l’unico modo per tutelare l’Istituzione, anche se, in questo momento davvero terribile, ritengo umiliante essere accomunato a chi ha fatto anche solo alcune delle cose che si leggono”.

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/procure-e-toghe-nel-caos-consigliere-morlini-si-dimette-1710125.html

Palamara conservava fascicoli a casa Il Colle: mai intervenuti sulle nomine

Il consigliere giuridico di Mattarella reagisce alle frasi delle intercettazioni: calunnie gravi.

Luca Palamara

Qualcuno avvisò il magistrato Luca Palamara che nel suo telefono c’era un trojan. È proprio lui a parlarne in una conversazione intercettata con il parlamentare del Pd Cosimo Ferri che dice di averlo saputo da alcuni componenti del Csm, a loro volta, sostengono, informati dal consigliere giuridico del Quirinale Stefano Erbani. Non è l’unica volta in cui il Colle viene citato nei colloqui finiti agli atti dell’inchiesta di Perugia. Luca Lotti — anche lui deputato del Pd, imputato a Roma per la vicenda Consip — racconta a Palamara di essere stato ricevuto al Quirinale proprio per discutere della sua vicenda giudiziaria. E di poterci tornare «quando voglio».

«Mai intervenuti»

La smentita che arriva dal Colle è netta: «Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha mai parlato di nomine di magistrati né è mai intervenuto per esse. La presidenza della Repubblica non dispone di notizie su indagini giudiziarie e dal Colle non sono uscite informazioni al riguardo. Gli interventi messi in atto sono stati di carattere generale, per richiamare il rispetto rigoroso dei criteri e delle regole preposte alle funzioni del Csm. Per quanto riguarda invece Luca Lotti, l’ultimo incontro risale al 6 agosto 2018 quando è cessato dalla carica di ministro».

«Calunnie gravi»

La vicenda del trojan emerge nell’interrogatorio di Palamara del 31 maggio scorso, il giorno dopo la perquisizione nel suo ufficio e nel suo appartamento. «A Roma girava voce che fossi intercettato, ma io non ho niente da nascondere», dichiara. I pm chiedono chiarimenti e lui aggiunge: «Se ne parlava alle cene». A quel punto gli viene contestata la conversazione con Ferri e lui esclama: «Allora già sapete di Erbani». Adesso si cercherà di scoprire chi tra i consiglieri del Csm possa aver raccontato a Ferri che Erbani sapeva del trojan, ma intanto il diretto interessato reagisce seccamente: «Chi ha fatto il mio nome in questa vicenda risponderà di calunnia. Si tratta di una circostanza falsa, si colpisce me per colpire il presidente. Tutte le informazioni che ho avuto su questa vicenda le ho avute quando erano di pubblico dominio, evidentemente da parte di queste persone c’è un risentimento nei miei confronti e per questo cercano di coinvolgermi in una vicenda alla quale sono totalmente estraneo».

«Non farla fissare»

L’indagine delegata alla Guardia di Finanza riguarda centinaia di colloqui intercettati per «pilotare» le nomine dei procuratori di Roma, Perugia e altre grandi città; le manovre che proprio Palamara avrebbe messo in atto per bloccare l’arrivo nella Capitale di Francesco Lo Voi, ritenuto «in continuità» con il predecessore Giuseppe Pignatone. Ma adesso si concentra pure su quanto è stato sequestrato durante le perquisizioni compiute il 30 maggio scorso. Nell’appartamento del magistrato sono stati infatti trovati alcuni fascicoli processuali che non erano a lui assegnati e anche un biglietto con elencati alcuni numeri di procedimento e un’annotazione: «Non farla fissare». Il riferimento è all’udienza di un processo che doveva essere celebrato in appello e questo ha fatto nascere il sospetto che Palamara abbia influito sui suoi colleghi proprio per orientare le loro scelte in merito alle indagini e all’esito dei dibattimenti. «Non avevo questo potere, mi limitavo a ricevere documenti da persone che conoscevo ma poi non facevo nulla», si è difeso durante l’interrogatorio come confermano i suoi avvocati Mariano e Benedetto Buratti. Ma per verificarlo i pm di Perugia hanno già disposto il controllo su tutti i fascicoli ritrovati nella sua casa.

Rif:https://roma.corriere.it/notizie/politica/19_giugno_12/palamara-conservava-fascicoli-casa-colle-mai-intervenuti-nomine-bdcbeb34-8d4c-11e9-98ba-037337dafe50.shtml

Caos procure, si dimette dal Csm il consigliere Morlini

Azione disciplinare per i togati autosospesi promossa dal procuratore generale della Cassazione. Palamara e Fava rischiano trasferimento.

Caos procure, si dimette dal Csm il consigliere Morlini

ROMA. Al Csm si spacca il fronte dei quattro consiglieri coinvolti nell’indagine di Perugia. A sorpresa si dimette dal Consiglio Gianluigi Morlini, ex presidente della quinta commissione che nomina i capi degli uffici, e che in una cena con l’ex pm di Roma Luca Palamara, ha incontrato anche il deputato Pd Luca Lotti, uno degli indiziati dell’inchiesta Consip dalla stessa procura di Roma.

Morlini, esponente di Unicost, che ieri aveva già dato le dimissioni dal suo gruppo, spacca il fronte dei quattro consiglieri coinvolti, perché i tre di Magistratura indipendente – Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli – restano invece al loro posto. Tutti e quattro hanno ricevuto oggi dalla procura generale della Cassazione la notifica dell’inizio di un’indagine disciplinare nei loro confronti. Che ovviamente li rende incompatibili con la permanenza nello stesso Csm.

Il procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, ha promosso l’azione disciplinare nei confronti dei quattro consiglieri togati del Csm che si sono autosospesi, (Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli, di Magistratura Indipendente), e Gianluigi Morlini, che nei giorni scorsi ha lasciato Unicost, per la vicenda degli incontri con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara e i deputati del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti, sulla nomina del nuovo procuratore di Roma. I quattro consiglieri togati si erano impegnati a decidere, entro la fine della settimana, se tornare al Csm, come vorrebbero e come gli chiede di fare la corrente di Magistratura Indipendente, o se dimettersi, come invece sollecita  l’Anm. L’avvio dell’azione disciplinare non comporta automaticamente la sospensione dal Csm, che in questi casi è facoltativa.

Per quanto riguarda invece Luca Palamara e Stefano Rocco Fava, i due pm di Roma rischiano il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale. La Prima Commissione del Csm già domani potrebbe avviare la procedura nei confronti dei due magistrati coinvolti nell’inchiesta di Perugia. Al vaglio della commissione  presieduta dal laico di Fi Alessio Lanzi anche la posizione dell’ex consigliere del Csm Luigi Spina.

Rif:https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/12/news/csm_azione_disciplinare_togati_autosospesi-228599562/

Magistrati indagati, nelle carte nuovi nomi di consiglieri del Csm. E Lotti vantava legami col Quirinale

Magistrati indagati, nelle carte nuovi nomi di consiglieri del Csm. E Lotti vantava legami col Quirinale

La novità – riportata da Repubblica e Corriere della Sera – emerge dalle trascrizioni integrali delle intercettazioni operate con il trojan installato sul cellulare di Palamara, consegnate alla procura di Perugia dal Gico della Guardia di Finanza. L’ex ministro sosteneva di essere andato da Sergio Mattarella la propria vicenda giudiziaria, dipingendosi come una vittima della procura romana che vuole processarlo per favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta Consip.

Ci sono almeno altri due consiglieri del Csm che incontravanoLuca LottiLuca Palamara e Cosimo Ferri per discutere dei giochi di corrente che avrebbero portato alla conquista della procura di Roma. La novità – riportata da Repubblica e Corriere della Sera – emerge dalle trascrizioni integrali delle intercettazioni operate con il trojan installato sul cellulare di Palamara, consegnate alla procura di Perugia dal Gico della Guardia di Finanza. Alle riunioni notturne per discutere del futuro della procura capitolina, dunque, non partecipavano solo i consiglieri Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Paolo Criscuoli, Gianluigi Morlini (non indagati, si autosospesi) e Luigi Spina, accusato di favoreggiamento e violazione di segreto: si è dimesso alcuni giorni fa. Ma c’erano anche altri due membri di Palazzo dei marescialli.

Lo scandalo nato con l’inchiesta della procura di Perugia su Palamara, dunque, sembra destinato ad allargarsi. E a terremotare ulteriormente il mondo della magistratura. Anche perché nei dialoghi registrati, Lotti anche detto a Palamara di essere andato addirittura al Quirinale. Il motivo? Raccontare a Sergio Mattarella la propria vicenda giudiziaria, dipingendosi come una vittima della procura romana che vuole processarlo per favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta Consip. Il braccio destro di Matteo Renzi sosteneva di essersi lamentato col presidente della Repubblica del procuratore Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo. Lotti avrebbe anche sostenuto di essere in grado di tornare al Colle per provare a trovare una sponda nel risiko che avrebbe dovuto portare alla nomina del nuovo capo dell’ufficio inquirente capitolino. Affermazioni al momento senza alcun riscontro che potrebbero anche essere solo delle millanterie. 

 I veleni sul Quirinale si allungano anche nell’interrogatorio reso da Palamara, accusato di corruzione, con la procura di Perugia. L’ex presidente dell’Anm ha raccontato che, pochi giorni prima delle perquisizioni ai suoi danni, una persona a lui vicina (già identificata dai pm umbri) gli aveva raccontato di aver saputo da una misteriosa talpa del Colle che sul suo telefonino era installato un trojan. Non si sa chi è quella persona autrice di quella fuga di notizia e se esista davvero. È un fatto però che a Palamara quella notizia è arrivata. Ma è anche vero che il pm nei giorni successivi ha continuato a usare il suo cellulare come se niente fosse.  

E infatti il suo smartphone ha continuato a registrare ogni dialogi. Come quelli con Cesare Sirignano, pm della procura nazionale Antimafia iscritto a Unicost, la stessa corrente di cui Palamara eè leader. Il magistrato sotto inchiesta ha interesse affinché a Perugia fosse nominato un magistrato a lui vicino in modo da affossare l’inchiesta ai suoi danni. Sirignano fa il nome del procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli. Palamara non  convinto ma Sirignano insiste dipingengo Borrelli come un magistrato avvicinabile. Borrelli, però, ha denunciato Sirignano a Perugia “producendo una documentazione che comprova la più totale estraneità ai fatti”, come recita una nota fatta avere a Repubblica.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/12/magistrati-indagati-nelle-carte-nuovi-nomi-di-consiglieri-del-csm-e-lotti-vantava-legami-col-quirinale/5249494/

Depistaggio sulla strage Borsellino: due magistrati indagati dalla Procura di Messina.

Nuovo colpo di scena nelle indagini sul depistaggio Borsellino. I magistrati Annamaria Palma e Carmelo Petralia sarebbero indagati per calunnia aggravata dalla Procura di Messina.

A Palma, avvocato generale di Palermo, e Carmelo Petralia, procuratore aggiunto di Catania-come apprende l’Adnkronos-sarebbero stati notificati oggi pomeriggio gli avvisi di accertamento tecnico non ripetibile della Procura di Messina. Al vaglio dei giudici 19 cassette contenenti alcune registrazioni prodotte in passato.

A novembre magistrati di Caltanissetta, che indagano sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, avevano inviato ai pm di Messina un fascicolo, contenente i nomi dei magistrati che si erano occupati delle indagini sulla strage Borsellino, e anche i documenti della sentenza del Borsellino quater. In quest’ultima si denunciavano  gravi omissioni nel coordinamento dell’indagine, al termine della quale venne stabilita la condanna all’ergastolo di otto innocenti. Il coordinamento delle indagini spettava ai magistrati dell’epoca. Tra costoro c’erano anche Carmelo Petralia, Annamaria Palma e Giovanni Tinebra, che nel frattempo è defunto.
Rif:http://www.strettoweb.com/2019/06/strage-borsellino-procura-messina-magistrati-indagati/854127/

Borsellino: depistaggio, indagati i pm Palma e Petralia

arebbero gli ex pm in servizio nel pool che indagò sulla strage di via D’Amelio, Carmelo Petralia ed Annamaria Palma, i magistrati indagati per il depistaggio dell’inchiesta sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino. L’indagine, che ipotizza il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra, è condotta dal procuratore di Messina Maurizio De Lucia.

La strage di via D'Amelio © ANSA

Annamaria Palma attualmente è avvocato generale a Palermo, mentre Petralia ricopre la carica di procuratore aggiunto a Catania. Nell’ipotesi accusatoria, in concorso con i tre poliziotti sotto processo a Caltanissetta, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, avrebbero depistato le indagini sulla strage. Un depistaggio definito clamoroso nella sentenza di primo grado del processo Borsellino quater, costato l’ergastolo a sette innocenti. Il reato contestato ai magistrati e ai funzionari di polizia è la calunnia: i pm e i poliziotti avrebbero imbeccato tre falsi pentiti, costruiti a tavolino tra cui Vincenzo Scarantino, suggerendo loro di accusare falsamente dell’attentato persone ad esso estranee. Ai magistrati si contesta, oltre all’aggravante di avere favorito Cosa nostra, anche l’aggravante che deriva dal fatto che dalla calunnia è seguita una condanna a una pena maggiore di 20 anni. A Palma e Petralia oggi è stato notificato dalla Procura di Messina, che indaga in quanto è coinvolto un magistrato in servizio a Catania, un avviso di accertamenti tecnici irripetibili. Stesso avviso è stato notificato ai sette condannati ingiustamente: Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino, persone offese dal reato. Tranne Urso e Gambino, che non hanno nominato legali, gli altri sono difesi dagli avvocati Rosalba Di Gregorio e Pino Scozzola.

Rif:http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/06/11/borsellino-depistaggio-indagati-gli-ex-pm-palma-e-petralia_43ea4508-932e-4424-b041-8a97d289f673.html

Depistaggio strage di via DʼAmelio, la figlia di Borsellino: “Il Csm non ha fatto nulla”

“Menti esterne alla mafia hanno ordinato a Cosa nostra di anticipare il progetto di omicidio di Paolo Borsellino, ha invece detto il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato.

Il Consiglio superiore della magistratura “non ha fatto nulla sul piano disciplinare” in merito al depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Lo ha denunciato Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso nel 1992, aggiungendo: “Quando il Csm si è mosso non l’ha fatto di sua iniziativa, ma solo su input di noi familiari e questo per me è abominevole”.

Presunto depistaggio strage di via D'Amelio, la figlia di Borsellino: "Il Csm non ha fatto nulla"

Il riferimento della Borsellino è ad eventuali responsabilità disciplinari dei magistrati che indagarono sulla strage. Indagine condizionata da una clamoroso depistaggio su cui è in corso un processo a tre funzionari di polizia. “Ad oggi nei nostri confronti – ha aggiunto – non c’è stata alcuna riparazione. Io sono stata convocata dal procuratore generale della Cassazione. Ci si chiedono contributi a cui non ci siamo mai sottratti, contrariamente ad altri. Ma non c’è stata alcuna riparazione”.

“Menti esterne alla mafia hanno ordinato a Cosa nostra di anticipare il progetto di omicidio di Paolo Borsellino e hanno dato anche ai clan il supporto logistico per fare la strage”, ha invece detto il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, intervenuto con Fiammetta Borsellino al dibattito “Furti di verità, a Palermo. Scarpinato si è soffermato sui depistaggi dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, riportando dati di indagini e ricordando il mix di verità e menzogna che ha offerto una ricostruzione falsata dei fatti costata l’ergastolo a sette innocenti.

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