Consiglio di Stato, il candidato alla vicepresidenza è indagato per corruzione in atti giudiziari

Consiglio di Stato, il candidato alla vicepresidenza è indagato per corruzione in atti giudiziari

Sergio Santoro domani potrebbe diventare il numero 2 di Palazzo Spada. Il suo nome nell’inchiesta sulle sentenze amministrative aggiustate a suon di mazzette.

ROMA – C’è un nome che scotta nel lungo elenco di consiglieri di Stato, imprenditori e avvocati che da anni pilotavano le sentenze amministrative in Italia. È quello di Sergio Santoro, indagato per corruzione in atti giudiziari. La Procura di Roma ha chiesto per lui una proroga di indagine. La vicenda è quella che riguarda una serie di sentenze amministrative aggiustate a suon di mazzette. Un’inchiesta, alla quale lavorano sia i pm capitolini sia quelli messinesi, per la quale, un anno fa, sono finite in carcere 15 persone e molte altre sono state inquisite. Avvocati, imprenditori e magistrati accusati di aver aggiustato processi in favore dei clienti dello studio guidato da Piero Amara e Giuseppe Calafiore, considerati le menti del sistema. Chi si rivolgeva a loro, era quasi sicuro di avere una pronuncia favorevole, pagata profumatamente.

L’indagine che aveva già coinvolto altre toghe: l’ex presidente di sezione del Consiglio di Stato Riccardo Virgilio, il suo collega Nicola Russo e il pm di Siracusa Giancarlo Longo. Ora se ne aggiunge una, di peso. Santoro, ex capo di gabinetto del sindaco Alemanno e discusso presidente dell’Autorità dei contratti pubblici, chiusa e assorbita dall’Anac di Cantone, sta per giocare l’ennesima partita di potere della sua vita. Da attuale presidente della sesta sezione del Consiglio di Stato, giusto domani è certo di ottenere almeno la vicepresidenza di palazzo Spada. È l’unico candidato in lizza perché la quarta commissione, presieduta dal collega Oberdan Forlenza, lo ha già indicato come il giudice più adatto eliminando altri due concorrenti, l’ex ministro Franco Frattini Giuseppe Severini, ex consigliere giuridico alla Difesa. La sua, quindi, è una nomina ormai certa.

Ha tentato in tutti i modi di diventare presidente del Consiglio di Stato, prima contestando la designazione dell’ex capo Alessandro Pajno e poi quella dell’attuale Filippo Patroni Griffi. Ha lavorato per ottenere almeno la vice presidenza e potrebbe ottenerla domani giocando la carta della sua anzianità. Ma le sei pagine firmate il 21 dicembre del 2018 dal procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo sembrano destinate a gettare nel cestino l’ultima aspirazione di una vita trascorsa alla caccia di incarichi di prestigio, tra cui quello di consigliere dell’ex premier Berlusconi per garantire la trasparenza legislativa. In bella evidenza, sin dalla prima pagina, il suo nome spicca al numero 9 di un elenco di 31 indagati: “Santoro Sergio, nato a Roma il 22 aprile del 1951”. Massimo riserbo su quello che gli viene contestato, su quali siano gli episodi che hanno messo in allarme gli inquirenti. Il decreto fa solo riferimento al reato: 319 ter, ovvero, appunto, corruzione in atti giudiziari.

È un uomo chiacchierato Santoro. Sicuramente di lui non parla affatto bene l’attuale presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, autore anche di un esposto alla procura di Roma. Da testimone al processo su Mafia capitale, nel settembre 2016 disse che sui contratti irregolari con le cooperative l’Avcp di Santoro, pur sapendo, non fece nulla. Cantone definisce “una vicenda inquietante” quella avvenuta a cavallo degli anni 2010 e 2011 quando l’Avcp venne meno al suo dovere di vigilanza sui contratti omettendo di denunciare le irregolarità nella gestione degli appalti affidati alle cooperative, tra cui quelle di Buzzi e Carminati, emersi solo con l’inchiesta di Mafia capitale.

Fece discutere anche la presa di posizione nel caso di Francesco Bellomo, il collega destituito a gennaio dell’anno scorso dopo lo scandalo dei sexy corsi. All’adunanza generale di Palazzo Spada finì con 75 voti contro Bellomo, uno a favore e 5 astenuti. Tra questi, appunto, c’era anche Santoro. La ricerca di posti di potere lo ha portato a occupare la presidenza della Gse, la società di gestione dei servizi elettrici, che dispone di 16 miliardi all’anno di incentivi alle fonti rinnovabili. Nell’autunno 2018 il suo nome veniva fatto tra quelli dei papabili alla presidenza.

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