Magistrati arrestati a Trani, i fratelli Ferri: «Ci chiesero 4mln per fermare indagini»

Ci hanno distrutto, aggredendo anche i nostri beni patrimoniali e lasciando in mezzo alla strada oltre tremila persone e distruggendo una azienda che fatturava 400 milioni di euro l’anno». Nel 2003 il gruppo Ferri aveva 400 negozi. Sedici anni dopo, la Cassazione ha chiuso con la prescrizione il processo per bancarotta a carico dei fratelli di Corato che, solo oggi, hanno denunciato di aver subito una estorsione: un avvocato, lo stesso di cui ha parlato anche il re del grano Francesco Casillo, avrebbe chiesto 4 milioni di euro per salvarli dall’indagine condotta dall’allora pm di Trani, Antonio Savasta, e dagli arresti e dalle altre misure cautelari disposte dall’allora gip Michele Nardi.

rif:https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1162646/magistrati-arrestati-a-trani-i-fratelli-ferri-ci-chiesero-4mln-per-fermare-indagini.html

Sentenze truccate a Trani, 12 indagati: per i magistrati arrestati un giro d’affari di 2 milioni

Sentenze truccate a Trani, 12 indagati: per i magistrati arrestati un giro d'affari di 2 milioni

Nel provvedimento di chiusura delle indagini compaiono i nomi dell’ex gip Michele Nardi, ora in carcere a Taranto e considerato “capo, promotore e organizzatore dell’associazione” e dell’ex pm Antonio Savasta

Sono 12 gli indagati nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla ‘giustizia truccata’ al Tribunale di Trani, con accuse di sentenze pilotate in cambio di mazzette avvenute tra il 2014 e il 2018. Nel provvedimento di chiusura delle indagini a firma dei sostituti procuratori Roberta Licci e Giovanni Gallone compaiono i nomi dell’ex gip di Trani Michele Nardi, ora in carcere a Taranto e considerato “capo, promotore e organizzatore dell’associazione”; dell’ex pm di Trani Antonio Savasta, che ha collaborato ammettendo responsabilità, si è dimesso dalla magistratura e ha ottenuto gli arresti domiciliari; dell’ispettore di polizia del commissariato di Corato (Bari) Vincenzo Di Chiaro, ora in carcere a Lecce.

Tutti e tre sono stati arrestati con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e falso. I magistrati avrebbero ottenuto illecitamente 2 milioni di euro.

Il provvedimento è stato notificato anche all’ex pm di Trani Luigi Scimè, all’imprenditore di Corato Flavio d’Introno, all’immobiliarista Luigi D’Agostino, agli avvocati Simona Cuomo, Ruggero Sfrecola e Giacomo Ragno; indagati anche Gianluigi Patruno, titolare di una palestra, Savino Zagaria (ex cognato di Savasta) e il carabiniere Martino Marancia.

A Savasta e Nardi – in concorso con Di Chiaro, D’Introno e l’avvocatessa Cuomo – viene contestata l’associazione a delinquere perché, si legge nel provvedimento, “si associavano tra di loro al fine di compiere plurimi delitti contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica e contro l’autorità giudiziaria, avvalendosi di volta in volta della collaborazione di soggetti non facenti parte dell’associazione, per la realizzazione di specifici obiettivi mirati finalizzati a conseguire guadagni illeciti a mezzo dello sfruttamento di disponibilità economiche da parte per lo più di soggetti esercenti attività imprenditoriali coinvolti in vicende giudiziarie che venivano gestite secondo modalità operative consolidate nel tempo ed elaborate in particolare dai due magistrati sin da quando entrambi esercitavano le funzioni nel circondario di Trani”

Rif: https://bari.repubblica.it/cronaca/2019/07/13/news/sentenze_truccate_a_trani_12_indagati_-231085359/

Caos Csm, gli intrecci degli anni bui della Repubblica sono ancora in piedi

Caos Csm, gli intrecci degli anni bui della Repubblica sono ancora in piedi

Negli incontri si celano i segreti della Repubblica, ma soprattutto si mettono in funzione gli ingranaggi di quel perverso rapporto tra politica, massoneria, mafia e magistratura che ha reso instabile la nostra democrazia. Seguendo le intercettazioni e le carte del processo di Lecce che ha portato all’arresto dei magistrati Antonio Savasta e Michele Nardi e individuato altri magistrati coinvolti, ci si accorge ad occhio nudo come questo intreccio che ha caratterizzato gli anni bui della Repubblica sia ancora in piedi, vivo e vegeto, e si muova sempre con gli stessi rituali.

Caos Csm, l’ipotesi di un filone pugliese. L’imprenditore che ha denunciato Savasta e Nardi: ‘Cene con Lotti, Palamara e Ferri’

Dagli incontri emersi dalle intercettazioni di Luca Palamara scopriamo che Luca Lotti, Ferri e altri magistrati si incontravano di notte per decidere gli incarichi direttivi da assegnare di giorno. Nelle intercettazioni del giudice Nardi, tuttora agli arresti per corruzione in atti giudiziari nel processo di Lecce, scopriamo che un riferimento essenziale a Roma del magistrato è Cosimo Ferri, parlamentare del Pd, membro del Csm e sottosegretario del ministero di Grazia e Giustizia del ministro Andrea Orlando.

Csm, Mattarella: “Quadro sconcertante e inaccettabile, ha minato autorevolezza delle toghe. Da oggi si volta pagina”

Nardi, come si apprende dalle intercettazioni dei Carabinieri, chiama Ferri – allora sottosegretario – per incontrarlo a proposito di un procedimento disciplinare che lo vede coinvolto e che può nuocere alla sua carriera. Ferri gli dice di passare dal ministero il martedì successivo. Dopo l’incontro Nardi, che ha una linea diretta con la segreteria di Ferri, manda al ministero tutte le carte che a suo dire potrebbero modificare le sorti di quella relazione negativa nei suoi confronti. In queste carte campeggia quello che Nardi definisce in altra intercettazione “asso nella manica”, “carta da giocare al momento giusto”, un parere in suo favore di Arcibaldo Miller.

Chi è Miller? Un magistrato in servizio a Napoli, con il quale questa storia ha una cosa in comune: cene e incontri notturni. Quello di Arcibaldo Miller, per cui verrà indagato insieme proprio a Cosimo Ferri sulla cosiddetta P3, avviene il 23 settembre del 2009. L’incontro si tiene proprio nell’abitazione di Denis Verdini. All’incontro erano presenti Flavio CarboniArcangelo MartinoPasquale LombardiMarcello Dell’Utri (condannato per mafia), Giacomo CaliendoAntonio Martone. Anche in questo incontro si decidevano cose importanti: le sorti della Regione Campania ed altre questioni su cui l’inchiesta è ancora aperta. Nardi, che ha il padre Vincenzo ex ispettore – come Miller, utilizzato da Bettino Craxi per controllare il pool di Mani pulite – con Miller condivide un’altra passione, per cui lo stesso Miller era stato indagato con archiviazione: la vicinanza ad ambienti massonici, accertata dagli investigatori, e a imprenditori legati alla criminalità organizzata.

In un’intercettazione dei Carabinieri, Nardi parla con un suo amico massone e non si scandalizza minimamente quando questi gli dice: “sto coi capi clan dei Capriati [di Bari, ndr] che devono partecipare a un’asta a Trani…” e quando questi gli dice che potranno aggiustare le cose col giudice a Catanzaro, relativamente al processo pendente contro Nardi, quando l’amico gli dice “in stile ‘ndrangheta”, non batte ciglio. Insomma il meccanismo che sta venendo fuori grazie anche alla legge Spazzacorrotti, alle captazioni e alla professionalità degli investigatori possiede delle costanti che si ripetono, e che rendono l’intreccio politica/magistratura/mafia/massoneria più vivo che mai anche in questi giorni.

Nardi, sapendo già di essere sotto inchiesta per corruzione a Lecce, in un messaggio sms rivolgendosi a Savasta che doveva trasferirsi scrive: ”Sarebbe l’ideale trasferirsi nel distretto di Lecce per liberarsi dalla loro persecuzione”. E Savasta, colto da un attimo di buonsenso e che come Nardi ha ricevuto un avviso di garanzia per corruzione dal Tribunale di Lecce, gli risponde: ”Non posso andarci”. Infatti alla fine Savasta andrà a Roma dove incontrerà Lotti, Ferri, entrando più a fondo nel meccanismo, cui Nardi era giunto per eredità paterna.

Altro elemento fondamentale del meccanismo che viene fuori dalle inchieste è che gli ispettori come Miller e Nardi padre hanno sempre da parte della politica una attenzione favorevole. Miller ottiene da Nicola Zingaretti, l’11 maggio del 2019, un incarico per un Ente regionale di pubblica assistenza a 2mila euro lordi al mese. Va meglio a Nardi padre, che ottenne dal Comune di Trani un incarico dal 2010 al 2018 come consulente in una municipalizzata a 4mila euro lordi, ritoccata negli ultimi quattro anni a 3mila. Un vitaliziodi fine carriera.

Giustizia truccata, imprenditore D’Introno: «A Bari ho parlato di altri magistrati»

«Per altri magistrati sono stato ascoltato dalla Procura di Bari». Flavio D’Introno lascia cadere lì, durante una delle ultime udienze dell’incidente probatorio davanti al gip di Lecce, Giovanni Gallo, l’ennesimo indizio sulle nuove indagini partite dal fascicolo sulla giustizia svenduta nel Tribunale di Trani. Quelle nate dallo stralcio di alcuni atti che il procuratore Leonardo Leone de Castris e i pm Roberta Licci e Giovanni Gallone hanno trasferito, per competenza, ad altre sedi giudiziarie.

Sul fascicolo aperto a Bari c’è, ovviamente, massimo riserbo. «Questo non è il luogo in cui si può riferire una circostanza di questo genere», ha tagliato corto il pm Gallone per interrompere il racconto di D’Introno in sede di controinterrogatorio, il 6 giugno, davanti al gup di Lecce. L’incidente probatorio riprende stamattina con Antonio Savasta, l’ormai ex pm che ha confessato di aver accettato soldi da D’Introno per manomettere fascicoli di indagine. Ma, nel frattempo, l’inchiesta va avanti.
Lo stralcio di Bari potrebbe riguardare la gestione di alcuni procedimenti davanti alla giustizia tributaria, procedimenti che hanno riguardato lo stesso D’Introno e in particolare le cartelle esattoriali emesse nei suoi confronti per circa 8-9 milioni: queste cartelle furono annullate dalla Commissione tributaria provinciale, in primo grado, sulla base di un’eccezione di inesistenza delle notifiche, ma l’appello dell’Agenzia delle Entrate ribaltò la sentenza poi confermata in Cassazione.

’Introno ne ha parlato, nel corso dell’esame del 6 giugno, rispondendo alle domande di Francesco Paolo Sisto, difensore di Simona Cuomo, l’ex avvocato dell’imprenditore di Corato sottoposta a interdizione dall’attività professionale. A Mario Malcangi, difensore di Luigi Scimè, l’altro ex pm di Trani coinvolto nell’incidente probatorio (D’Introno dice di aver pagato anche lui, l’interessato smentisce), l’imprenditore ha raccontato «delle minacce da parte di un altro magistrato» di cui avrebbe parlato «presso la Procura di Bari». Una situazione intricatissima, nella quale si inserisce anche delle dichiarazioni che lo stesso D’Introno avrebbe reso il 4 febbraio, raccontando ai carabinieri di Barletta delle minacce a suo dire ricevute da un noto avvocato della città ed in qualche modo riconducibili all’episodio delle cartelle esattoriali.

D’Introno è per il momento il perno dell’accusa agli indagati che rispondono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari: ha raccontato di aver dato due milioni di euro all’ex gip Michele Nardi (che è in carcere) e a Savasta (ai domiciliari), ma anche – in un secondo momento – di 75mila euro dati a Scimè, oltre al coinvolgimento di altri magistrati i cui nomi sono al momento coperti da omissis negli atti depositati. Anche per questo le difese si sono concentrate, oltre che nel far emergere alcune incongruenze nel lunghissimo racconto dell’imprenditore, anche di minare la sua stessa credibilità: facendo emergere che D’Introno è in cura presso il Sert di Andria per problemi di alcolismo che sarebbero esplosi dopo la sentenza di condanna in Appello per l’usura. Sentenza poi divenuta definitiva (cinque anni e mezzo) e finora non eseguita proprio per via del trattamento in corso.

Dell’esistenza di nuove indagini, del resto, c’è traccia nell’ordinanza con cui il gip Gallo ha prorogato di altri tre mesi, al 14 ottobre, le misure cautelari a carico di Nardi, Scimè e dell’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro (anche lui in carcere). Dopo gli arresti di gennaio, ha scritto il gip, sono state presentate denunce «da altri soggetti (imprenditori del luogo e avvocati) che hanno riferito di vicende di natura corruttiva coinvolgenti gli indagati, sui quali sono in corso riscontri particolarmente complessi anche in considerazione dell’epoca remota di datazione dei fatti». Alcuni fatti sembrerebbero essere prescritti, ma in ogni caso – nell’impostazione della Procura di Lecce – dimostrerebbero l’esistenza di un accordo stabile tra i magistrati per svendere la loro funzione in cambio di denaro regali.
Oggi dunque toccherà a Savasta, che nella scorsa udienza ha detto di essere stato «incastrato» da Nardi cui ha dato la colpa di aver inventato il sistema corruttivo.

Rif: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1151825/giustizia-truccata-imprenditore-d-introno-a-bari-ho-parlato-di-altri-magistrati.html

Inchiesta giudici di Trani, Magistrato Savasta ammette le tangenti e inchioda Nardi: “Ero in un vortice”

Si è detto vittima del collega Michele Nardi ed ha ammesso di aver chiesto 300mila euro all’imprenditore di Corato Paolo Tarantini per archiviare un’indagine che era stata avviata solo per ottenere danaro. L’ex pm Antonio Savasta ha ammesso le proprie responsabilità nel giro di tangenti che ha condizionato l’amministrazione della giustizia negli uffici giudiziari di Trani e punta il dito contro il collega che lo avrebbe fatto finire nel vortice della corruzione.

Inchiesta giudici di Trani, Savasta ammette le tangenti e inchioda Nardi: "Ero in un vortice"

Per convincere Tarantini a pagare la mazzetta sarebbe stato addirittura realizzato un falso avviso di garanzia. “Era stato letteralmente spolpato” aveva detto l’ex pm durante gli interrogatori dei mesi scorsi al cospetto della pm Roberta Licci. E ancora: “Nardi mi disse di scrivere 300mila euro su un foglio e far avere la busta a Tarantini, io gliela feci arrivare”. Savasta ha ribadito che l’ex collega aveva un forte ascendente su di lui, che si conoscevano da molti anni e che, una volta entrati nel giro delle mazzette, avrebbe esercitato pressioni affinché il sistema non fosse messo in pericolo.

“È vero, ho commesso degli errori e me ne assumo la colpa”, ha detto. La confessione davanti al gip Giovanni Gallo è arrivata durante l’incidente probatorio, nello stesso giorno in cui il giudice ha fatto sapere che Savasta dovrà trascorrere altri tre mesi agli arresti domiciliari. Mentre Michele Nardi e il sovrintendente di polizia Vincenzo Di Chiaro passeranno l’intera estate in carcere, così come ha chiesto la procura di Lecce, che si appresta a chiudere la prima parte dell’inchiesta.

L’acquisizione delle dichiarazioni dell’imprenditore Flavio D’Introno, tramite l’incidente probatorio, ha già permesso di blindare la ricostruzione accusatoria del procuratore Leonardo Leone de Castris e della pm Roberta Licci, che per ora si concentrano su dodici indagati. Oltre a Nardi, Savasta e Di Chiaro, gli avvocati Simona Cuomo e Ruggero Sfrecola, l’immobiliarista Luigi Dagostino, l’ex pm di Trani Luigi Scimè, l’avvocato Giacomo Ragno, il carabiniere Martino Marancia, l’imprenditore Flavio D’Introno, il falso testimone Gianluigi Patruno, l’ex cognato di Savasta Savino Zagaria. Tutti sono accusati di avere avuto un ruolo in quell’azione di svilimento della funzione giudiziaria, che sarebbe stata realizzata sistematicamente a Trani e che ha coinvolto anche altri magistrati, stando alle rivelazioni fatte da Savasta agli inquirenti.

L’ascolto dell’ex pm proseguirà il 19 e il 28 giugno prossimi. Durante l’incidente probatorio ha ammesso le proprie responsabilità anche l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro. Questi ha detto al gip Giovanni Gallo di non aver mai preso soldi dall’imprenditore D’Introno, né di aver avuto regalie, ma di aver falsificato firme e atti per una sorta di rispetto nei confronti dell’imprenditore, che intendeva favorire.

Inchiesta sui giudici corrotti, il PM: «Rimangano agli arresti per altri 3 mesi»

La procura di Lecce ha chiesto che vengano prorogate di tre mesi le misure cautelari nei confronti dei magistrati Michele Nardi e Antonio Savasta e dell’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, coinvolti nell’inchiesta su presunti procedimenti giudiziari pilotati in cambio di favori.

La decisione spetterà al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce.

Intanto prosegue l’incidente probatorio che da settimane si sta svolgendo nel Palazzo di Giustizia di Lecce per cristallizzare le dichiarazioni degli indagati fornite durante gli interrogatori.

Corruzione giudici: in agenda Dagostino incontri e tangenti con arrestati

Negli appunti che hanno permesso alla procura  di Lecce di chiudere le indagini che  hanno portato all’arresto dei magistrati del Tribunale di Roma  Savasta e  Nardi, anche gli incontri con l’ex sottosegretario Luca Lotti, con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e con Tiziano Renzi, papà dell’ex premier Matteo.

corruzione

E’ stata l’agenda di Luigi Dagostino e la maniacale abitudine dell’imprenditore di annotare il pagamento di presunte tangenti e ogni appuntamento (anche con l’ex sottosegretario Luca Lotti, con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e con Tiziano Renzi, papà dell’ex premier Matteo) a permettere ai magistrati di Lecce di chiudere il cerchio sulle indagini che ieri hanno portato all’arresto dei magistrati del Tribunale di Roma Antonio Savasta e Michele Nardi, all’epoca dei fatti in servizio a Trani.I due sono accusati di aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata ad intascare tangenti per insabbiare indagini e pilotare sentenze giudiziarie e tributarie in favore di facoltosi imprenditori. Oltre ai due magistrati è finito in carcere l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, mentre sono stati interdetti dalla professione l’imprenditore Dagostino, ex socio di Tiziano Renzi, e gli avvocati Simona Cuomo e Ruggiero Sfrecola.Nel corso di una perquisizione della Guardia di Finanza nei confronti di Dagostino, accusato di corruzione in atti giudiziari, gli investigatori hanno sequestrato due agende, del 2015 e del 2016, nelle quali l’imprenditore aveva annotato con dovizia di particolari incontri e viaggi, cene e somme di denaro associate a nomi.“Annotazioni puntuali e metodiche” scrive il gip nelle 862 pagine dell’ordinanza, sui contatti e rapporti con il pm Savasta, con l’avvocato tranese Sfrecola, con l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, con Tiziano Renzi e anche con l’allora vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini.È proprio dall’analisi dell’agenda, i cui dettagli sono stati poi incrociati con l’esito delle intercettazioni e le dichiarazioni rese durante le indagini, che gli inquirenti ricostruiscono l’incontro a Palazzo Chigi del giugno 2015 tra Dagostino, il commercialista Roberto Franzè, Savasta e Lotti e i rapporti dello stesso Dagostino con Tiziano Renzi, che nel luglio e nel settembre dello stesso anno si reca in Puglia in sua compagnia per riunioni e cene.Savasta avrebbe chiesto e ottenuto da Dagostino l’incontro con Lotti per tentare di ottenere un incarico a Roma e allontanarsi così dalla Procura di Trani, perché era coinvolto in procedimenti penali e disciplinari al Csm.Quest’ultima circostanza è stata documentata anche dall’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che, ascoltato come testimone dalla Procura di Firenze nell’aprile 2018, ha anche “prodotto una stampa dei vari procedimenti disciplinari a carico di Antonio Savasta, alcuni dei quali già pendenti dal 2015”, annota il gip.Dalle indagini emerge, infatti, che “già nel corso del 2015 Savasta si attiva per costruirsi appoggi strumentali ad alternative professionali avvalendosi proprio di Dagostino e dei suoi importanti contatti anche in contesti istituzionali”. Allo stesso tempo, però, Savasta indaga su Dagostino per un giro di fatture false, ma per ricambiare il favore non esercita l’azione penale nei confronti dell’imprenditore. Quando Savasta viene trasferito a Roma, il procuratore di Trani invia gli atti a Firenze per competenza.

Rif: https://www.controradio.it/corruzione-giudici-in-agenda-dagostino-incontri-e-tangenti-con-arrestati/

Trani, arrestati due magistrati: processi comprati per soldi, Rolex e diamanti. Imprenditore confessa: così pagai milioni

L’ex sostituto procuratore di Trani, Antonio Savasta, 54 anni, attualmente giudice del Tribunale di Roma, e l’ex Gip di Trani Michele Nardi, 53 anni, attuale pm nella Capitale (è stato anche magistrato dell’ispettorato del Ministero della giustizia), sono arrestati oggi dai carabinieri nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Lecce per una serie di reati tra cui associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso ideologico. In manette anche un ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, 58 anni, in servizio al commissariato di Corato (Bari). I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo Msu richiesta del Procuratore Leonardo Leone De Castris.

Misure cautelari anche per due avvocati, Simona Cuomo, 43 aani, di Bari, e Ruggero Sfrecola, 53, di Trani, entrambi interdetti dalla professione per un anno mentre è in corso di notifica il divieto temporaneo all’esercizio di attività di impresa per un imprenditore di Firenze. Complessivamente sono indagate 18 persone.

Nardi, Savasta, Di Chiaro e Cuomo rispondono di associazione per delinquere finalizzata ad una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale. Gli altri indagati sono accusati, a vario titolo, di millantato credito, calunnia e corruzione in atti giudiziari.

PROCESSI IN CAMBIO DI SOLDI E PREZIOSI – Secondo l’accusa i due magistrati avrebbero assicurato il buon esito di alcune inchieste per vicende giudiziarie e tributarie degli imprenditori coinvolti in cambio di soldi e oggetti preziosi, mentre gli avvocati avrebbero prestato la loro opera a titolo di intermediari e facilitatori. Un ruolo di particolare rilievo avrebbe rivestito l’ispettore di polizia che, secondo i magistrati di Lecce, sarebbe stato al servizio dell’imprenditore coratino Flavio D’Introno “quale momento indispensabile di collegamento con il magistrato Savasta per il complessivo inquinamento dell’attività investigativa e processuale da quest’ultimo posta in essere”.

GLI ATTI DA FIRENZE – Un ulteriore filone di indagini è emerso dopo la trasmissione di alcuni atti d’indagine da parte della Procura di Firenze in cui sarebbero venuti fuori altri episodi corruttivi: in particolare l’ex pm Savasta, titolare di un fascicolo su una serie di false fatturazioni, avrebbe omesso di svolgere i dovuti approfondimenti investigativi nei confronti di un imprenditore fiorentino, ottenendo in cambio denaro e altre utilità.

I provvedimenti cautelari – secondo i pm salentini motivati da un “documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio” – sono il terminale di un’attività investigativa che si è avvalsa di intercettazioni telefoniche, confessioni, dichiarazioni di testimoni, analisi di numerosi procedimenti penali trattati negli uffici giudiziari tranesi, oltre a riscontri patrimoniali.

Il Gip di Lecce, su richiesta della Procura, ha risposto il sequestro di immobili, conti correnti, oggetti preziosi per un valore di circa 2 milioni di euro: in particolare a Savasta sono stati sequestrati 489mila euro, a Nardi 672mila (tra i quali un orologio in oro Daytona Rolex e un quantitativo di diamanti), a Di Chiaro e Cuomo beni per 436mila euro, mentre per l’imprenditore fiorentino e Sfrecola 53mila euro.

LA CONFESSIONE DI D’INTRONO – Determinante si sarebbe rivelata la collaborazione dell’imprenditore Flavio d’Introno che a ottobre del 2018 ha deciso di collaborare e vuotare il sacco, dopo che è passata in giudicata una condanna a 5 mesi per usura.

L’imprenditore ha ricostruito la tela dei rapporti con i due magistrati, Saasta e nardi, dicendo testualmente: Ho consegnato circa 300mila euro in contanti a Savasta, circa un milione e mnezzo di euro, comprensivo di regali materiali, a Nardi.

Ma non è tutto. D’Introno, microfonato, avrebbe successivamente incontrato Savasta il quale, a sua volta, avrebbe fornito dichiarazioni “confessorie” chiamando in correità anche Nardi. Insomma, da quanto è emerso per alcuni anni tra il sostituto procuratore e il gip sarebbe creato una sorta di “ponte” per un mercimonio dei processi.

Magistrati arrestati: scoperto il «tesoro» di Savasta: 22 case e 12 terreni. Ex pm interrogato a Lecce per 8 ore

È durato otto ore l’interrogatorio in carcere a Lecce dell’ex pm di Trani Antonio Savasta arrestato per corruzione il 14 gennaio scorso dalla magistratura salentina assieme al collega ex gip tranese Michele Nardi. Assistito dal proprio legale avvocato Massimo Manfreda, Savasta è stato ascoltato dal pm di Lecce Roberta Licci, titolare dell’inchiesta insieme al procuratore capo Leonardo Leone De Castris. All’uscita del carcere l’avvocato Manfreda si è detto soddisfatto dell’esito dell’interrogatorio. «Una lunghezza necessaria – ha detto Manfreda ai giornalisti che lo attendevano all’uscita del carcere – necessaria per fornire i dovuti chiarimenti. La durata dell’interrogatorio è sintomatica dell’atteggiamento processuale che non è di chiusura. Ci sono delle cose sulle quali abbiamo lealmente fornito la nostra versione, ci sono altri aspetti su cui ci siamo confrontanti altrettanto lealmente e chiaramente». «È stato il terzo interrogatorio – ha detto ancora – e probabilmente almeno in questa fase, l’ultimo. In settimana depositeremo istanza di sostituzione della misura cautelare con la concessione degli arresti domiciliari». «Nel corso dell’interrogatorio la difesa ha anche prodotto un piccolo memoriale difensivo – ha concluso – Sette pagine inerenti questioni oggetto di imputazione e contestazioni provvisoria e sui risultati delle indagini».

BARI – Il tesoro di Antonio Savasta, l’ormai ex pm arrestato il 14 gennaio per corruzione in atti giudiziari, potrebbe essere nascosto nel mattone. La vecchia regola dei tempi di Giovanni Falcone («segui i soldi») potrebbe risultare decisiva anche nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla giustizia svenduta nel Tribunale di Trani, inchiesta che ha finora fatto finire in carcere anche l’ex gip Michele Nardi e che nelle ultime settimane si sta allargando con l’esame di numerosi altri fascicoli. L’ipotesi è sempre la stessa: sentenze e indagini potrebbero essere state truccate in cambio di soldi.

E Savasta, che nell’ultimo mese ha assunto un atteggiamento di collaborazione (dopo aver parlato a lungo ha presentato le dimissioni dall’ordine giudiziario, preludio a una richiesta di scarcerazione) potrebbe aver utilizzato i soldi per accumulare un enorme patrimonio: risulta infatti proprietario (da solo o insieme ai familiari) di 22 unità immobiliari e di 12 terreni nella provincia di Bari, cui si aggiungono altre 8 unità immobiliari (più un terreno) intestati alla moglie dell’ex pm (che non risulta indagata).

A scattare la fotografia del patrimonio di Savasta è stata la Finanza di Firenze, nell’ambito di una inchiesta (quella sui presunti favori all’imprenditore barlettano Luigi D’Agostino) poi trasferita per competenza a Lecce quando sono emersi gli elementi a carico del magistrato in servizio a Trani.

Dal 2015 al 2017, gli anni in cui si sono svolti i fatti contestati nella prima parte dell’inchiesta, Savasta ha dichiarato redditi oscillanti tra i 130 e i 140mila euro, più alti rispetto al solo stipendio di magistrato (in quegli anni circa 110mila euro lordi). La differenza è fatta, appunto, dai redditi di locazione. Ma nel mirino dei militari sono finiti i numerosi bonifici e versamenti sui conti del magistrato, che – solo per fare un esempio – da gennaio a marzo 2018 ha versato assegni per 81mila euro ed ha ricevuto bonifici per oltre 21mila euro. Il quadro complessivo, molto complesso, mostra un elevato numero di operazioni finanziarie (spesso con i parenti), ma anche di operazioni immobiliari effettuate direttamente da lui o dalla moglie. Savasta risulta ad esempio aver effettuato un investimento in un immobile turistico nella zona di Polignano a Mare.

L’analisi delle risultanze patrimoniali potrà essere un valido elemento di riscontro delle accuse oggi al vaglio della Procura di Lecce. Oltre a quelle di Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che con le sue «confessioni» è stato determinante per l’arresto dei due magistrati (cui ha detto di aver corrisposto negli anni 3 milioni di euro), ci sono numerosi altri casi: ad esempio l’altro imprenditore Paolo Tarantini, di Corato, la cui posizione è all’esame in questi giorni. Ma c’è anche il «re del grano», Francesco Casillo, arrestato nel 2006 su richiesta di Savasta (accolta dal gip Nardi) per lo scandalo del grano all’ocratossina: una inchiesta che nacque dalla denuncia di un esponente della Coldiretti di Spinazzola e si concluse il 4 luglio 2012 con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste».

Casillo è stato ascoltato alcune settimane fa dalla pm Roberta Licci. Le sue parole, e la sua stessa posizione, sono adesso in corso di esame. Ieri l’imprenditore ha fornito la sua versione della storia a «Repubblica», raccontando di aver pagato «550mila euro per uscire dal carcere» tramite un intermediario. Oltre a lui, Savasta fece arrestare anche i fratelli Beniamino, Pasquale e Cardenia nell’ambito dell’inchiesta «Apocalisse» sul presunto spietramento della Murgia. L’intermediario avrebbe chiesto ad un amico di famiglia «un milione di euro per risolvere la questione. Promettendo di farlo immediatamente» e alla richiesta di «una prova che, effettivamente, se avessimo pagato saremmo usciti di galera», Francesco Casillo ha raccontato che «mia sorella, incredibilmente, dopo poche ore dal suo arresto fu scarcerata».

La storia, come detto, è ora al vaglio. Ma agli atti dell’inchiesta di Lecce c’è una strana intercettazione ambientale del 1° luglio 2016 in cui Nardi parla in macchina da solo. I carabinieri l’anno considerata «un importante spunto investigativo poiché dalle sue parole traspare, in maniera incontrovertibile, la legittimazione dell’operato del pm Antonio Savasta, nonostante al vicenda Casillo si è conclusa con l’assoluzione del re del grano coratino»: «Casillo è meglio che sta zitto perché il vero scandalo è quando Casillo è stato assolto, e no che è stato messo in galera ed è stato assolto da un collegio» in cui, secondo Nardi, uno dei giudici (non indagato e non coinvolto in alcun modo») aveva la moglie che lavorava per Casillo. «Le tangenti saranno state pagate sì – è la conclusione del monologo di Nardi – ma per essere assolto, non certo per essere messo in galera».
A novembre 2015 Savasta concluse la requisitoria a carico di Francesco Casillo chiedendo 4 anni di carcere, dopo che a novembre 2008 aveva dato il suo assenso a un patteggiamento che avrebbe comportato solo una multa: l’istanza fu però rigettata dal Tribunale perché ritenuta incongrua.

Magistrati arrestati, D’Introno: «Ai giudici escort, mazzette e frullatori»

A Michele Nardi un milione e mezzo, oltre ai soldi e i regali ottenuti dall’imprenditore Paolo Tarantini. Mezzo milione ad Antonio Savasta e alla sua famiglia. Altri 75mila a Luigi Scimè. «L’accordo coinvolgeva tutti e tre i magistrati», scrive Flavio D’Introno nel memoriale depositato davanti al gip di Lecce dove oggi pomeriggio riprende l’incidente probatorio per la giustizia truccata nel Tribunale di Trani. In 65 pagine c’è il racconto delle tangenti, degli incontri carbonari, di quelle che D’Introno ritiene essere state estorsioni e vessazioni ai suoi danni: «Ero solo un evasore fiscale», dice lui. Ma per la giustizia italiana D’Introno è un usuraio in attesa di scontare una pena definitiva a cinque anni e mezzo, e la Procura di Lecce accusa anche lui di associazione a delinquere finalizzata (tra l’altro) alla corruzione in atti giudiziari. Fatta un’ulteriore premessa (questa è la versione di D’Introno, non la verità dei fatti), leggiamo.


I SOLDI
«Ho versato al giudice Nardi una serie di somme per il pagamento delle sue utenze di casa e della villa, la ristrutturazione dell’immobile di sua proprietà in Roma, la ristrutturazione della villa in Trani della signora Di Lernia, viaggi in Italia ed all’estero, un rolex con cinturino in oro, due brillanti da un carato ciascuno, pagamento dell’Hotel Excelsior e del Grand Hotel Veneto in Roma, denaro in contanti dato in tempi vari per un totale di un milione e 500 mila euro. Ho dato al dottor Savasta (Zagaria Patruno Zaccaro) complessivi euro 500mila in contanti, 160 mila per ristrutturazione ed arredo comprensivo di attrezzi di una palestra». Poi 60mila euro al falso testimone nei confronti dei messi notificatori, Giancarlo Patruno, che minacciava di raccontare tutto, «nonché l’estorsione della scrittura privata che prevedeva l’esenzione del pagamento del canone (della palestra, ndr) per 20 anni (canone mensile di euro 1.400), utenze della palestra da me pagate». E soldi anche al poliziotto Vincenzo Di Chiaro, finito in carcere e anche lui ora testimone («Ha ricevuto circa 70mila euro), soldi e regali al suo avvocato Simona Cuomo: «Ha ricevuto ristrutturazione, l’arrredamento e pagamento canone di locazione dello studio legale in Corato alla via Duomo 38, e pagamento delle utenze del detto studio, viaggi in Italia ed all’estero anche con la famiglia, pagamento Cassa Forense, in contanti centomila euro».


E ancora, sempre su Nardi: «Aveva un potere superiore in relazione alla vita della Procura di Trani», tanto da avere le tabelle con i turni dei magistrati così da indirizzare l’assegnazione delle denunce. Un giorno si era arrabbiato, racconta D’Introno, dopo che lui ne aveva presentata una non concordata: «Mi disse che mi perdonava solo perché durante il viaggio a Dubai che mi aveva estorto il 9 maggio 2009, dopo le misure cautelari, io era stato gentile con lui pagandogli tutte le sue richieste (escort comprese)». A Nardi dice di aver pagato viaggi a Londra, a Cortina, in Sardegna. A Savasta un viaggio in Turchia per tutta la famiglia «compresa la sorella Emilia, il cognato e un’amica che non so chi sia», nell’unico albergo sei stelle di Istanbul, con trattamento full credit («pagavo io pure gli extra») per una spesa di 20.000 euro.


NARDI
D’Introno dice di aver conosciuto Nardi nel 2006 tramite un geometra della sua azienda (allo stato non indagato) che portò all’allora gip di Trani una copia del suo avviso di garanzia per usura: «In Corato, poi, era noto che anche per il caso Ferri era stato il geometra Attilio De Palma a presentare Nardi alla famiglia Ferri», gli imprenditori di Corato recentemente assolti per prescrizione dall’accusa di bancarotta che hanno raccontato la loro storia alla Procura di Lecce. Il primo appuntamento con Nardi a novembre 2006 in via Tasselgardo, a Trani in un bar nei pressi di Trony, sotto casa di Nardi, posto che diventerà centrale in questa storia: per il solo incontro pagò 30.000 euro. Di solito, dice, si vedevano «nel negozio Trony nel reparto della musica», che era «uno dei posti dove Nardi mi portava quando bisognava parlare di cose illecite perché c’era la musica alta. Mi impose di non comprare un telefono tipo smartphone perché temeva le intercettazioni con i trojan».


A febbraio 2017 Nardi «mi chiese 200.000 euro se volevo evitare la custodia in carcere, io non gli credetti (…). Il giorno 8 aprile 2007 si presentarono nella Ceramiche Base il dottor Nardi e il geometra De Palma dicendo che sarei stato arrestato e mi avrebbero sequestrato i beni in via cautelare». È l’indagine «Fenerator», quella per usura: gli arresti scattano, D’Introno non si fa trovare ma si consegna dopo alcuni giorni e finisce in carcere. Ad agosto 2007 «Nardi tramite il geometra chiese 30.000 euro per far convertire gli arresti domiciliari in obbligo di dimora». Il gip Roberto Del Castillo il 17 agosto aveva rispedito Nardi in carcere prima di andare in ferie, il 25 agosto il gip di turno gli concede l’obbligo di dimora. Quando rientra, il 10 settembre, Del Castillo ripristina il carcere. Nardi, dice D’Introno, gli chiese altri 60.000 euro per evitare delle verifiche fiscali che poi puntualmente arrivarono e portarono all’emissione di cartelle esattoriali milionarie. Quelle che poi Savasta si presterà a sequestrare.


SAVASTA
D’Introno dice di aver conosciuto l’ex pm Savasta quando fu sentito a Lecce per il caso Nardi-Caserta. Savasta «mi ha chiesto soldi sia per fare atti normali per il suo lavoro che per assicurarmi di non perseguitarmi». Anche di recente, nel 2018, «Savasta si è interessato alla mia vicenda tributaria in Cassazione, dopo il suo trasferimento a Roma. Parlava con un commercialista che era amico del relatore», un giudice napoletano: l’ex pm riferì a D’Introno che questo giudice non poteva intervenire proprio perché la vicenda era oggetto dell’indagine di Lecce.
L’ex cognato di Savasta, Savino Zagaria, anche lui indagato, «si è prestato a fare da corriere per la consegna del denaro a Savasta, anche in relazione ai soldi da me versati per il procedimento delle cartelle esattoriali», facendo una cresta di almeno 40.000 euro. «Il Savasta – prosegue D’Introno – mi ha chiesto soldi per tutta la sua famiglia a partire dai lavori di ristrutturazione alla palestra compresi tutti gli attrezzi scelti da Emilia Savasta e Zagaria Savino». La signora Savasta al momento non risulta indagata e sostiene di essere estranea a ogni accordo illecito.


LA STANGATA
A Paolo Tarantini (che in questa storia è vittima) vengono tolti 400.000 euro per far sparire un (falso) avviso di garanzia per reati fiscali. Il primo incontro di Tarantini con Savasta e Nardi, racconta D’Introno, avvenne a Barletta («In zona Patalini presso la palestra di Emilia» Savasta: «L’ho allestita io interamente per circa 50-60 mila euro»). D’Introno racconta di essere arrivato con Tarantini e di aver aspettato fuori in macchina, e quando l’incontro terminò la sorella di Savasta «mi diede una bustina piccola tipo quelle dei bigliettini di condoglianze, chiusa, dicendomi di darla al signor Tarantini». Dentro la busta, su un bigliettino, era scritta la somma di 400.000 euro. Quando andarono via Tarantini la aprì «e si mise a piangere disperato». 
D’Introno dice che prestò all’imprenditore 150mila euro per far fronte alla richiesta, soldi che avrebbe poi scontato in viaggi presso l’agenzia di Tarantini. La consegna avvenne in due tranche, sempre con D’Introno accompagnato in macchina da Tarantini. I primi 200mila euro in una stazione di servizio Esso tra Trani e Corato, dove si presentò una Bmw («Era con certezza la macchina utilizzata da Nardi e a bordo c’era la sorella»), la seconda in Corato, «sempre in contanti in una cartellina chiusa, di fronte al magazzino di mio zio», dove D’Introno e Tarantini andarono «sempre su indicazione di Nardi»: «Trovai una macchina alta e scura a bordo della quale si trovava la sorella di Savasta». Dopo una settimana ci fu un incontro a casa di Savasta dopo una settimana con Di Chiaro: «Savasta gli dette una busta con 30.000 euro e disse “divideteveli”», con chi aveva partecipato alla stangata a Tarantini, che tra l’altro fu costretto a comprare da Trony «10-15 telefonini, 4-5 pc portatili, un frullatore a immersione Moulinex». Tutta roba per Nardi.


SCIMÈ
Fu Savasta, dice D’Introno, a preannunciargli le richieste che l’allora pm Luigi Scimè avrebbe fatto a suo carico nel procedimento per usura: lo fece «sul terrazzino di casa della madre di Savasta, a Barletta». Non gratis: «Non avevo avuto alcun contatto diretto con Scimè, la somma venne da me consegnata nelle mani di Savasta il giorno prima della requisitoria: 30.000 euro in banconote da 500 all’interno della “Gazzetta” che consegnai a Savasta all’interno del bar». Per il rinvio a giudizio di una testimone che lo accusava di usura, la Frualdo, «Scimè pretese 15.000 euro, andai sotto casa di Nardi e gli consegnai una busta gialla da imballaggio che Nardi consegnò direttamente a Scimè che era lì ad aspettare» sotto i portici. D’Introno dice di aver assistito allo scambio: poi «Scimè si allontanò e io e Nardi bevemmo l’aperitivo al Bar dello Studente». Infine, i soldi per far archiviare le indagini sugli attentati alle ville della moglie di D’Introno. «Nardi mi disse che dovevo dare 30.000, ma io gli portai solo 20mila» sempre nel solito Trony. Il saldo del debito, dice D’Introno, avvenne a Milano in un bar in zona piazza Duomo. «Giorno e ora dell’incontro me li indicò Savasta. Io mi limitai a dire “buongiorno dottore” e gli consegnai la busta con i soldi». Gli ultimi 10mila euro.