Quel tribunale “amico” che valuterà il pm di Etruria, Procuratore Roberto Rossi

Niente di strano, procedura standard dopo l’esposto di un cittadino che ha segnalato a Palazzo dei Marescialli gli articoli del Giornale e la storia dell’appartamento.

La Prima Commissione esaminerà le carte e valuterà. Due le alternative da proporre al plenum del Csm: archiviazione, qualora gli elementi a carico di Rossi siano ritenuti evanescenti oppure trasferimento per incompatibilità ambientale nel caso in cui l’episodio della casa sia considerato uno scivolone indifendibile.

Si vedrà. Per ora si deve registrare che l’organismo ha ai suoi vertici una coppia di personaggi che conoscono molto bene il pm dell’inchiesta su Banca Etruria. Il presidente è Giuseppe Fanfani, avvocato, ex sindaco di Arezzo, ovvero la città in cui Rossi ha svolto gran parte della sua carriera a partire dal lontano 1998. Prima come «soldato semplice», poi, pur con qualche interruzione per incarichi in altre sedi, come reggente e infine capo dell’ufficio.

Si può pacificamente affermare che Rossi e Fanfani sono, ciascuno per la propria parte, fra le figure più in vista della città. Fanfani, appartenente al Pd, è stato il primo cittadino fra il 2006 e il 2014 quando ha lasciato la Toscana per Roma e Palazzo dei Marescialli. Dunque ha incontrato Rossi com’è normale che sia tutte le volte che gli impegni istituzionali l’hanno richiesto. Non solo: l’avvocato aretino è da sempre il penalista di riferimento di Banca Etruria e dei suoi vertici, a cominciare dall’ex vicepresidente Pier Luigi Boschi, papà del neosottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena. Da quando si è spostato a Roma, Fanfani senior, per evitare potenziali conflitti di interesse con annesse polemiche, ha correttamente ceduto gli incartamenti al figlio Luca che manda avanti lo studio di famiglia. Insomma, in un modo o nell’altro Fanfani e Rossi si sono incontrati o sfiorati chissà quante volte nella loro normale attività.

Ancora più marcato è, se possibile, il rapporto che lega Rossi a Luca Palamara. Entrambi militano nella stessa corrente, Unicost, il pancione centrista della magistratura tricolore, e hanno lavorato nella stessa squadra. Palamara è stato il presidente dell’Anm fra il 2008 e il 2012, nello stesso periodo Rossi era nella giunta centrale dell’Associazione. I due sono in sintonia, buoni amici, e del resto, nelle nuove vesti di consigliere del Csm, Palamara è corso in aiuto del collega. Rossi era sotto attacco per essersi trovato a un crocevia assai delicato: indagava su Banca Etruria e dunque in qualche modo sulla famiglia di un ministro, la Boschi, del governo Renzi, ma in contemporanea era consulente dello stesso esecutivo. Una situazione inopportuna, a sentire più di un consigliere. «Ogni volta che ponevo il tema in discussione – ricorda Pierantonio Zanettin, consigliere laico di Forza Italia – Palamara interveniva sempre per difendere Rossi». La vicenda, come è noto, è finita in niente, ma non è questo il punto.

Ora Fanfani e Palamara si misureranno con il dossier relativo all’appartamento situato nelle campagne subito fuori Arezzo e nella disponibilità di Rossi fra il 2010 e il 2011. Una vicenda irrilevante dal punto di vista penale, ma che potrebbe aver ammaccato il prestigio del procuratore. Per questo la Prima commissione ha deciso di approfondire la pratica, affidandola ad Aldo Morgigni: la toga non avrebbe mai pagato un euro. Né per il canone d’affitto, né per le bollette o le spese condominiali. Una macchia per il custode della legalità.

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/tribunale-amico-che-valuter-pm-etruria-1344324.html

Caso Pm Roberto Rossi, il Csm si schiera con gli amici del Pm

E i consiglieri si schierano con i colleghi sotto i riflettori: Giuseppe Fanfani e Luca Palamara. Roberto Rossi, il procuratore della Repubblica di Arezzo, ha un legame collaudato con i due: l’ex sindaco di Arezzo Fanfani, avvocato e oggi presidente della Prima commissione dell’organo di autogoverno della magistratura, l’ex numero uno dell’Anm Palamara.

Incroci. Coincidenze. Suggestioni, ma anche rapporti cementati dalla consuetudine. Nulla di male, solo il Giornale sottolinea che la prestigiosa coppia Fanfani-Palamara guida l’organismo, appunto la Prima commissione, chiamato ad affrontare nelle prossime settimane l’imbarazzante vicenda della garçonnière.

Per la precisione, fra il 2010 e il 2011 Rossi aveva le chiavi di una appartamento che frequentava con le sue amiche, avvocatesse secondo la vox populi. Una casa situata nei dintorni di Arezzo e occupata da Rossi per un anno e mezzo, a quanto risulta, senza versare un euro per il canone e le spese condominiali. Quella storia, irrilevante dal punto di vista penale, potrebbe diventare una macchia sul prestigio e il curriculum che dovrebbe essere al disopra di ogni sospetto, voce o gossip.

La Prima commissione esaminerà la vicenda su input del Comitato di presidenza che ha aperto il dossier. Il Giornale, dopo aver raccontato tutti i passaggi della storia che molti ad Arezzo conoscevano da anni, si concentra sulla Prima commissione. Fanfani è stato il primo cittadino di Arezzo, la città di Rossi, prima di approdare nel 2014 a Roma. Ma, in un interminabile gioco di specchi, è anche considerato l’avvocato di riferimento di Banca Etruria, l’istituto di credito oggi al centro dell’indagine avviata dal pm. Palamara, invece, è stato al timone dell’Anm fra il 2008 e il 2012, nello stesso periodo Rossi era nella giunta dell’associazione.

Fatti. Non opinioni. Utili per comprendere il contesto in cui matura il procedimento che potrebbe chiudersi con l’archiviazione oppure con il trasferimento di Rossi per incompatibilità ambientale.

Questa è la trama. Ma a Palazzo dei Marescialli l’articolo non passa inosservato. Anzi, suscita qualche malumore. Viene interpretato da più un consigliere come un attacco preventivo, a freddo, alla credibilità dei consiglieri e più in generale dell’istituzione. E allora il plenum vira su quel tema e si apre con un dibattito che è in sostanza un atto di fiducia verso Palamara e Fanfani.

In verità il Giornale non si è mai permesso di mettere in dubbio la correttezza e le capacità dei due, ma ha solo ricostruito una rete di relazioni, peraltro legittime.

Dopo le vacanze finalmente si passerà all’esame della vicenda: relatore il togato Aldo Morgigni.
Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/caso-rossi-csm-si-schiera-amici-pm-1344990.html

Il caos al Csm svela il nuovo girone infernale della cultura del sospetto

Se non si sono salvate le eminenze, quale sorte toccherà ai povericristi quando la Santa Inquisizione del Trojan andrà a giustiziare vecchi e nuovi nemici dell’onestà-tà-tà?

A vederli così, stravolti e smarriti, attorno al tavolo tondo di Palazzo dei Marescialli, fanno quasi tenerezza. Sono lì che annaspano, che si affannano, che si gonfiano i polmoni di ipocrisia e di retorica, che tentano con i ditini alzati di farsi coraggio a vicenda dicendo che in fondo le mele marce sono solo cinque, che l’esplosione dello scandalo è stata devastante ma si può ancora risorgere, che non tutto è perduto perché la maggioranza dei magistrati “dovrebbe” essere sana.

Rif: https://www.ilfoglio.it/giustizia/2019/06/06/news/il-caos-al-csm-svela-il-nuovo-girone-infernale-della-cultura-del-sospetto-258945/

Guerra tra toghe, l’attacco dei penalisti: «Ora il Csm va cambiato»

Secondo il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Gian Domenico Caiazza, bisogna «portare in parità il numero di membri togati e laici per spezzare il dominio delle correnti della magistratura».

È attesa per il Plenum straordinario al Consiglio Superiore della Magistraturaconvocato per stamattina, martedì 4 giugno, a Roma, dopo che una vera e propria bufera si è scatenata sulla magistratura. Al centro, la vicenda procure che ha coinvolto diversi magistrati, a partire da Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e uomo forte di Unicost, la corrente centrista delle toghe, coinvolto nell’inchiesta di Perugia per presunta corruzione: per lui il Csm attiverà i probiviri. Una tempesta dimostrata anche dal fatto che nella serata del 3 giugno il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, è salito al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Il Plenum del Csm dovrà prendere atto delle dimissioni del consigliere Luigi Spina, capogruppo di Unicost indagato a Perugia per favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d’ufficio, dimessosi venerdì da Palazzo dei Marescialli. Secondo indiscrezioni, al momento la presenza del capo dello Stato – che per Costituzione è presidente di diritto del Csm – non è in programma contrariamente alle informazioni circolate nei giorni scorsi. «Ovviamente prescindiamo da ogni valutazione sui fatti di responsabilità penale ipotizzata a carico di questo o di quello», dice a Open il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Gian Domenico Caiazza. «Ma qui si scopre l’acqua calda». 

Rif:https://www.open.online/2019/06/03/guerra-tra-toghe-lattacco-dellucpi-il-csm-va-riformato-oggi-la-giustizia-viene-a-patti-con-la-politica/

Scandalo Csm, la nuova guerra tra toghe (in tre minuti)

Il Consiglio Superiore della Magistratura è al centro di una bufera. Lo scandalo, partito da un’inchiesta per corruzione su Luca Palamara, potentissimo ex presidente dall’Anm ed ex membro dello stesso Csm, ha squarciato il velo su alcuni meccanismi interni alla magistratura, in particolare per quanto riguarda la modalità con cui verrebbero decise le nomine e le sanzioni disciplinari. 

David Ermini, ex parlamentare del Partito Democratico e vicepresidente dell’organo di autocontrollo della magistratura – il presidente è Sergio Mattarella, il capo dello Stato – parlando all’assemblea del Consiglio in seduta plenaria ha detto: «O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». Parole che danno la cifra della serietà della situazione.

l motivo per cui l’inchiesta su un magistrato è arrivata a gettare, in pochi giorni «discredito», riprendendo la definizione di Ermini, sul Csm e sull’intera categoria va ricercato nelle pieghe delle indagine e degli addebiti che sono contestasti a Palamara: cioè aver ricevuto denaro e regali da alcuni lobbisti, con cui intratteneva stretti rapporti di amicizia, in cambio dell’influenza in alcune sentenze.

«Influenza» sembra proprio la parola chiave dello scandalo che sta travolgendo il Csm. Palamara, infatti, oltre che di corruzione, è accusato di aver cercato, venuto a sapere delle indagini a suo carico, di influenzare la nomina del prossimo procuratore capo di Perugia: la procura del capoluogo umbro ha infatti competenza sulle indagini che riguardano i magistrati romani, come lo stesso Palamara. 

Non solo, come pm a Roma e progettando una nuova scalata, il magistrato voleva scegliere anche il successore del procuratore capo Giuseppe Pignatone, in pensione dall’8 maggio. Con l’idea di ridimensionare il peso dei pm più duri di piazzale Clodio, avrebbero partecipato ai vertici anche Cosimo Ferri e Luca Lotti, quest’ultimo iscritto al registro degli indagati sul caso Consip proprio a Roma.

Il 2019 non era iniziato sotto i migliori auspici per la magistratura capitolina: Antonio Savasta, giudice del tribunale di Roma e ex pubblico ministero di Trani era stato arrestato insieme al collega Michele Nardi, pm nella Capitale, per ordine della procura di Lecce con l’accusa di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018 quando i magistrati era in servizio a Trani.

Rif: https://www.open.online/2019/06/07/scandalo-csm-la-nuova-guerra-tra-toghe-in-tre-minuti/

Il complicato scandalo che ha investito la magistratura italiana decollato da Palamara & C

Un vero e proprio terremoto giudiziario sta scuotendo il Csm, con le indagini che pendono sul magistrato Luca Palamara e un sistema che qualcuno ha paragonato allo scandalo P2.

Da qualche giorno i principali mezzi di informazione italiani seguono un’intricata indagine per corruzione che ha posto al centro dei riflettori Luca Palamara, tra i volti più noti e influenti della magistratura italiana, con un passato alla presidenza dell’Associazione nazionale magistrati ed ex membro togato del Consiglio nazionale della magistratura. Sul suo conto pende la pesante accusa di aver accettato gioielli, viaggi e denaro per favorire alcune nomine e impedirne altre – se necessario facendo ricorso a vere e proprie operazioni di killeraggio – ma le indagini sembrano più in generale destinate a far luce su un sistema interno al Csm che uno dei suoi consiglieri, Giuseppe Casciniha paragonato allo scandalo P2.

Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, il piano a lungo termine di Palamara comprendeva la nomina di un pm a Perugia “sensibile alla sua posizione procedimentale” e a tal fine l’ex presidente dell’Anm avrebbe incontrato Cosimo Ferri e Luca Lotti, rispettivamente ex sottosegretario alla Giustizia e sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Renzi, entrambi di area Pd. Insieme a loro, diversi incontri avvenuti in hotel avrebbero coinvolto anche Luigi SpinaCorrado ArtoniAntonio LepreGianluca Morlini e Paolo Criscuoli, tutti consiglieri del Csm.

rif:https://www.wired.it/attualita/politica/2019/06/07/scandalo-corruzione-magistratura-italiana/

Tiscali: Tsunami Csm: corruzione, lottizzazione, rivalse e progetti “eversivi”. La resa dei conti tra toghe

C’è la corruzione, presunta. La lottizzazione dei vertici di procure e tribunali. I giornalisti amici che si prestano a diffondere dossier farlocchi per non dire avvelenati. C’è il disegno, anche questo presunto e al limite dell’eversivo, di controllare gli uffici chiave delle procure italiane, Brescia che controlla Milano, Perugia che controlla Roma, Caltanissetta che controlla Palermo. Ci sono i magistrati più anziani, costretti ad andare in pensione a 70 anni per via della riforma Renzi del 2014, che adesso intravedono la possibilità di una rivalsa. C’è anche, infine, l’occasione servita su un piatto d’argento, di regolare i conti con quel che resta del renzismo che dalle parti del Pd è sempre una presenza ingombrante nel progetto di rinascita del centrosinistra.

Giuseppe Pignatone, ex 'dominus' della Procura romana, e il magistrato Luca Palamara

I sei filoni dell’inchiesta

Si fa presto a dire “l’inchiesta sul CSM”. Il fatto è che dietro e dentro quella “comoda” frasetta ci sono almeno altre 5-6 storie tutte importanti, persino gravi, talvolta intrecciate ma che non si deve fare l’errore di confondere. Cosa che invece sta puntualmente accadendo. In questo modo la magistratura, indebolita dallo scandalo, diventa territorio di conquista di chi da anni cerca di limitarne l’autonomia e l’indipendenza. Dopo dieci giorni di silenzio – quasi che nessuna forza politica, meno che mai quelle adesso in maggioranza, potessero o volessero mettere bocca in una faccenda che tutto sommato conoscono e accettano da anni, per non dire da sempre – ieri è partito il coro di chi chiede la riforma del Csm e, più in generale, della magistratura. Tanto che il dossieraggio del ministro dell’Interno sui magistrati che hanno scritto sentenze che hanno demolito il decreto sicurezza e l’osanna di dichiarazioni e interventi “adesso basta, la magistratura è fuori controllo – non sono gli effetti collaterali dell’inchiesta sul Csm ma forse il vero obiettivo di questa incredibile storia.

La corruzione

Sei filoni, che menti raffinatissime stanno legando insieme in un gigantesco ed incomprensibile nodo per poi magari buttare via il bimbo insieme all’ acqua sporca. Tutta questa storia inizia nel febbraio 2018 quando l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo ricevono dai colleghi di Messina il fascicolo sulla rete di contatti di due avvocati, Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, che dalla Sicilia avevano messo in piedi un sistema di corruzione dove viaggi a Dubai, vacanze in hotel di lusso,bustarelle fatte recapitare in ufficio tra bottiglie di champagne erano la merce di scambio per condizionare sentenze o confezionare dossier farlocchi per armare esposti contro i nemici del momento. La rete partiva dalla Sicilia, arrivava a Roma e si allungava fin dove c’era bisogno. Amara e Calafiore hanno patteggiato. E riempito verbali. Una maglia di questa rete è, secondo la procura di Perugia, il pm della procura di Roma Luca Palamara, ex membro del Csm ed ex presidente dell’Anm, in predicato fino a dieci giorni fa di diventare aggiunto a piazzale Clodio. Anche per lui viaggi all’estero, vacanze di lusso, un anello di brillanti da regalare ad un’amica. Persino soldi (40 mila )per nominare il collega (ora ex) Longo a procuratore capo di Gela. Nomina mai avvenuta perché non gradita al Presidente Mattarella.

La lottizzazione

E’ grande e amaro lo stupore nell’opinione pubblica nel leggere che l’assegnazione della procura di Roma, l’ufficio della pubblica accusa più importante del paese ed equivalente ad un paio di ministeri, è una faccenda tra correnti della magistatura. Ora però sarebbe da ipocriti fare le vergini e stupirsi del fatto che i vari incarichi direttivi della magistratura rispondono anche a criteri di appartenenza ad una corrente o all’altra e al peso specifico che quella corrente misura in quel momento. Dopo un ventennio in cui la correnti di sinistra (Md e Verdi) hanno goduto di ottima salute, adesso siamo tornati al predominio delle correnti più di centro (Unicost, quella di Palamara) e destra (Mi) (Cosimo Ferri, deputato pd) lasciando alla novella A&I di Davigo, ex di Mi, la libertà di posizionarsi dove meglio crede. Tutti sanno – compresi Lega e 5 Stelle che adesso chiedono la riforma del Csm – che l’assegnazione avviene per titoli, certamente, per meriti, ma anche per appartenenza. E se potessimo leggere la mappa delle procure d’Italia in base alla corrente di appartenenza, vedremmo venir fuori un disegno di perfetto bilanciamento e specchio dei rapporti di forza attuali. Nella guerra per la procura Roma, il fatto che i tre candidati siano di Unicost (Creazzo) o Mi (Viola e Lo Voi) , ha certamente fatto arrabbiare Area (sinistra) che è rimasta fuori dalla grande spartizione. Anche Primo Presidente e Procuratore generale della Cassazione sono infatti di quelle due correnti. Non si può escludere che anche questo elemento abbia dato pubblicità ai fatti – corruzione e nomine – legandoli insieme. Così fan tutti e così tutti sanno. Il timore di una serie di ricorsi a raffica contro gli ultimi anni di nomine è fondato ma sarebbe una gigantesca ipocrisia. Auspicabile che il meccanismo cambi una volte per tutte. Ma da ora in avanti perché finora è andata bene così a tutti.

Giornalisti “amici”

E’ un altro aspetto della cosiddetta “inchiesta sul Csm”. Giornalisti che seguono la giudiziaria e su cui poteva contare il pm di Roma Stefano Fava (indagato per violazione di segreto e favoreggiamento) nella costruzione del dossieraggio contro l’aggiunto Paolo Ielo obiettivo di due diversi rancori: Palamara lo considerava nemico perché è stato Ielo ad inviare a Perugia le carte dell’inchiesta Amara in cui lui stesso risulta parte del sistema; Fava ce l’aveva con lui perché nel tempo gli aveva contestato il modo di condurre le indagini, quella su Amara ad esempio, ritirando la delega. Anche qui, niente di nuovo: i giornalisti coltivano fonti, soprattutto nella giudiziaria, di cui diventano spesso canali esclusivi.Giusto? Sbagliato? L’inchiesta sul Csm è stata, fin da subito, anche una guerra tra giornali. Il Giornale ieri ipotizzava anche un giro di danaro utile alla fabbrica dei dossier. La differenza sta nell’essere una buca delle lettere. E nel farlo a pagamento. Vedremo.

Il controllo delle procure chiave

Nella geografia del potere giudiziario, le procure di Brescia, Perugia e Caltanissetta sono tra gli incarichi più strategici. Questione di potere di indagine: quegli uffici controllano Milano, Roma e Palermo tre procure che possono incidere e molto sul piano politico con le loro inchieste. Roma, poi, nel settennato di Pignatone ha dimenticato il porto delle nebbie e aperto l’abisso sui sistemi criminali della Capitale. Un’operazione di svelamento che deve essere portata avanti. Secondo l’informativa del Gico della Finanza, braccio operativo della procura umbra, il king maker Luca Palamara, e non solo lui, mirava a questo tipo di controllo territoriale posizionando ai vertici degli uffici toghe amiche. Per questioni di puro potere. Sarebbero una quarantina i nomi di magistrati coinvolti, consapevolmente o meno, in questo progetto. Che in procura a Roma è stato definito “eversivo”.

La vendetta delle toghe contro gli ultimi scampoli di renzismo

La goccia che ha reso insostenibile – molti magistrati già non la sopportavano più, gli stessi che ora chiedono le dimissioni dalla magistratura dei colleghi coinvolti – la grande ipocrisia del potere delle correnti sulle nomine è stata la presenza di Luca Lotti, deputato Pd, ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio, uomo ombra di Matteo Renzi , agli incontri per definire il nome del nuovo procuratore di Roma. Scelta sofferta e fratricida perché alla fine Lo Voi, il favorito, e Viola (che invece è stato il più votato in Commissione al Csm) sono entrambi di Mi. Il fatto grave è che Lotti è un imputato della procura di Roma (inchiesta Consip) e nei fatti era come se stesse dando il gradimento a chi dovrà giudicarlo. Il fatto che fosse presente anche Ferri (ora Pd ma un tempo legato a Verdini) è meno rilevante perché Ferri da anni è il consulente del centrosinistra sul fronte magistratura. Su questo dato si è scatenato un doppio fuoco di fila. L’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti (ora eurodeputato Pd) è stato chiarissimo: “Nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa era dettata da un duplice interesse: liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti anche come consiglieri di ministri; tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più “sensibili”. Roberti è stato una delle tante vittime illustri del pensionamento anticipato. Lo stesso di cui sarà vittima a breve anche Pier Camillo Davigo (salvo proroghe che potrebbe riconoscergli lo stesso Csm) e ministro Guardasigilli ombra dei 5 Stelle. Nota margine su Lotti: par di capire che l’ex sottosegretario non accetterà di passare per un puparo che trama di notte nelle hall degli alberghi con un pugno di magistrati.

Il faccia a faccia

Tirato per il bavero perché nessuno, fino a ieri, e neppure il Pd ha detto una parola sull’indagine e le sue mille facce, il segretario Zingaretti ieri ha incontrato Lotti“per ascoltare le spiegazioni e tentare una prima valutazione comune”. Lo staff del segretario si è molto risentito quando l’incontro è passato per “atto di solidarietà”. Il fatto è che lo stesso Zingaretti ha un po’ le mani legate visto che è indagato per finanziamento illecito, fondi ricevuti – ma è ancora tutto da accertare – dai due avvocati Amara e Calafiore che sono all’origine di questo caos. E non può fare del tutto ciò che una parte del Pd, come Roberti, sta chiedendo: affondare quel che resta del renzismo prima che si possa riorganizzare.

La riforma sul tavolo

Lo tsunami Csm offre uno straordinario assist a chi da trent’anni vuole mettere le mani sulla magistratura. E anche i 5 Stelle, paladini delle toghe e del giustizialismo, si ritrovano, loro malgrado, dalla stessa parte di Salvini e di chi mal sopporta le indagini della magistratura. Ieri il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il ministro dell’Interno hanno parlato della necessità di “un intervento urgente” sul Csm. Salvini tira per la giacca anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, numero uno del Consiglio superiore e regista silenzioso in queste lunghe giornate della tutela e dell’operatività dell’attuale plenum dove, prima volta nella storia, cinque membri togati sono dimessi o autosospesi perché presenti agli incontri per decidere le nomine a tavolino. Salvini è sicuro che “il Capo dello Stato dirà o farà qualcosa sulla vicenda visto che è il supremo garante” dell’organo di autogoverno della magistratura”. Come si interverrà, è ancora tutto da decidere. Anche perché si tratta di una riforma costituzionale che richiede tempi lunghi. Riforma del Csm (prevista dal contratto di governo) e riforma del processo penale (voluta da Salvini) potrebbero cambiare presto ruolo e funzioni della magistratura. Come mai è successo nei settant’anni della Repubblica.

Rif: https://notizie.tiscali.it/politica/articoli/tsunami-csm/

Il Giornale: La Tangentopoli dei magistrati. Nella “cupola” pure i giornalisti

“La Gdf a caccia di chi gestiva i fondi usati per alterare le nomine nelle Procure. Nel mirino i contatti del pm Fava con i cronisti del “Fatto” e della “Verità” sul dossier contro Pignatone.

Non era solo una faccenda di potere. A trasformare in un mercato a cielo aperto la nomina dei capi degli uffici giudiziari, a inquinare fin nelle falde più profonde i meccanismi posti a tutela dell’indipendenza della magistratura, c’erano anche i soldi.

Un fiume di quattrini che ha oliato le procedure di selezione, spostato equilibri, convinto gli incerti. È questo il grande «non detto» dell’inchiesta che sta travolgendo, più dei singoli giudici, l’intera istituzione, il terzo potere dello Stato nei suoi organismi e nel suo prestigio.

La parte emersa dell’inchiesta sta nel cd che la Procura di Perugia ha trasmesso al Consiglio superiore della magistratura, con i risultati di un anno di intercettazioni eccellenti, a partire da quella di Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. É il materiale che ha già travolto Palamara e Luigi Spina, membro del Csm, e che ha costretto altri quattro componenti del Consiglio ad autosospendersi. È materiale quasi brutale nella sua chiarezza: emerge la rete dei favori, delle faide politiche, della connection micidiale con giornalisti e mass media.”

Rif:http://www.ilgiornale.it/news/politica/gdf-caccia-chi-gestiva-i-fondi-usati-alterare-nomine-nelle-1706831.html

Toghe sporche ci ricorda che abbiamo un grosso problema nella magistratura

Il CSM è diventato, anziché organo di autogoverno e garante dell’autonomia della magistratura, una struttura da cui il magistrato si deve guardare… (con) le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica” (Giovanni Falcone, 20 maggio 1990)

Il decreto della perquisizione disposta dalla procura di Perugia nei confronti dell’attuale sostituto procuratore a piazzale Clodio racconta una vicenda meritevole di attenzione. Il pm della procura di Roma, Luca Palamara, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm avrebbe ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela, non andata in porto.

Noi restiamo garantisti con tutti, per davvero, ma è interessante sottolineare la difesa di Palamara: “Sulla mia persona si stanno abbattendo i veleni della Procura di Roma, ma ho la tempra forte e non mi faccio intimidire. Sto chiarendo punto per punto tutti i fatti che  mi vengono contestati perchè ribadisco che non ho ricevuto pagamenti, né regali, né  anelli e non ho fatto favori a nessuno”.

Al netto, delle vicende personali da chiarire nelle sedi opportune emergono 3 questioni interessanti:

  1. Nelle procure c’è una guerra per bande, che mette il cittadino alla mercé di procuratori e PM sostanzialmente motivati da ragioni completamente avulse dalla applicazione dei codici. Queste dinamiche si riflettono evidentemente sulle garanzie del cittadino.
  2. Il CSM che dovrebbe vigilare su queste faccende è a sua volta preda di correntismi. Se da un lato è ovunque riconosciuta e richiamata l’assoluta necessità dell’indipendenza dei giudici e dei PM da ogni interferenza esterna, non si nota la stessa attenzione nei confronti della cosiddetta “autonomia interna” del magistrato, quella cioè rispetto al proprio organismo associativo.
  3. C’è da chiedersi se gli strumenti previsti per sanzionare condotte di magistrati corrotti o che comunque abusano del loro siano adeguati, a partire dall’impianto del CSM.

Quali soluzioni?

A) Da queste parti denunciamo da tempo la necessità di una profonda riforma della giustizia (quindi necessariamente costituzionale). Più che di riforma del CSM dovremmo parlare di riforma dei CSM, perché la separazione delle carriere è un bene necessario.

B) A presiedere i due CSM dovrebbe essere, non solo virtualmente, il Capo dello Stato, la cui posizione super partes di raccordo tra i poteri dello Stato garantisca il necessario collegamento della magistratura con le istanze esterne. Il primo presidente della Corte di cassazione è membro di diritto del CSM giudicante, mentre il procuratore generale della Corte di cassazione è membro di diritto del CSM requirente. I componenti di entrambi i nuovi Consigli sono nominati per metà dal Parlamento in seduta comune, e per metà, rispettivamente, dagli appartenenti all’ordine dei giudici e dai pubblici ministeri. La presenza dei due membri di diritto (primo presidente della Corte di cassazione e procuratore generale) garantisce la prevalenza numerica della componente togata. Inoltre, la componente togata di ciascun Consiglio dovrebbe essere nominata, rispettivamente, dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero previo sorteggio degli eleggibili. Questo meccanismo è il più idoneo a contrastare il fenomeno della “correntocrazia” e a rafforzare quindi l’autonomia interna dei magistrati. Percorribile l’ipotesi secondo la quale possano essere sorteggiati fra gli eleggibili solo soggetti di garantita esperienza: si pensi a un albo comprensivo dei magistrati già valutati tre volte.

C) La cognizione delle questioni disciplinari è devoluta a un’apposita sezione disciplinare, composta da cinque membri effettivi; il vicepresidente del Consiglio è il presidente della sezione, che è altresì formata da un componente eletto tra quelli designati dal parlamento e da quattro componenti eletti tra quelli togati. Il nostro disegno di legge costituzionale prevederebbe la creazione (dopo i due nuovi CSM) di una terza istituzione: la Corte di disciplina. Separando la funzione disciplinare da quella amministrativa, si escluderebbero rischiose interferenze, evitando che chi è chiamato a valutare, a vario titolo, le carriere dei magistrati (professionalità, conferimento di incarichi dirigenziali, incompatibilità non derivanti da illeciti disciplinari) ne possa giudicare anche i profili disciplinari. Superando, finalmente, anche quella “giustizia domestica” testimoniata a più riprese, logicamente ed eticamente inaccettabile.

Rif:https://www.immoderati.it/2019/05/31/toghe-sporche-ci-ricorda-che-abbiamo-un-problema-nella-magistratura/

“Toghe sporche”: il ministro Bonafede invia gli ispettori nelle procure (Luca Palamara)

Iniziativa nel pieno rispetto dell’autonomia della magistratura che ha aperto un’inchiesta nei primi giorni di maggio, attivando l’Ispettorato di via Arenula per svolgere “accertamenti, valutazioni e proposte”.

ROMA – La vicende che stanno investendo i pm Luca Palamara e Stefano Fava sono all’attenzione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che, già nei primi giorni di maggio, ha investito l’Ispettorato di via Arenula del compito di svolgere “accertamenti, valutazioni e proposte“.

Il Guardasigilli come viene riferito, e’ molto preoccupato data la delicatezza della vicenda che coinvolgerebbe anche le nomine del Csm, tiene il massimo riserbo e si riserva di assumere ogni opportuna iniziativa quando il quadro sara’ piu’ chiaro, nel pieno rispetto dell’autonomia della magistratura che ha aperto un’inchiesta.

Oggi intanto Palamara verrà nuovamente ascoltato dai magistrati, il pm ex consigliere del Csm assistito dagli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi e Michele Di Lembo,  viene accusato di aver accettato gioielli e viaggi per pilotare le nomine dei magistrati a capo delle procure. In particolare avrebbe ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela, non andata in porto.

Mai ricevuto pagamenti. Si stanno abbattendo su di me i veleni della Procura di Roma, – si difende Palamara – ma ho la tempra forte e non mi faccio intimidire. Sto chiarendo punto per tutto tutti i fatti che mi vengono contestati perchè ribadisco che non ho ricevuto pagamenti, nè regali, ne anelli,e non ho fatto favori a nessuno“.

Restano però le intercettazioni della Guardia di Finanza effettuante mediante un captatore (trojan) installato nel telefono di Palamara, che hanno consentito persino di ascoltare le conversazioni di Palamara con due parlamentari (ascoltati quindi casualmente) ed una registrazione con l’ex sottosegretario Luca Lotti (Pd). I parlamentari sono estranei all’indagine.

il procuratore aggiunto Paolo Ielo

Un altro dei soggetti chiave associati alle indagini sui rapporti tra Palamara e Spina è poi il pm romano Stefano Rocco Fava, a sua volta indagato per “favoreggiamento” e “rivelazione del segreto di ufficio in concorso”. Il pm calabrese, firmatario dell’esposto al Csm contro il procuratore Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo, è accusato di aver rivelato a Palamara notizie sulle indagini a suo carico e di averlo aiutato ad eluderle fornendo atti e documenti.

C’avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo (…) forse sarà lui a doversi difendere a Perugia, per altre cose perché noi a Fava lo chiamiamo”, diceva al telefono Spinaall’amico Palamara, che gli rispondeva: “No adesso lo devi chiamare altrimenti mi metto a fare il matto“. Nei colloqui intercettati anche la necessità di far arrivare a capo della procura di Perugia un magistrato amico in grado di alleggerire la sua posizione e magari aprire un fascicolo contro l’aggiunto Paolo Ielo, che aveva trasmesso gli atti arrivati da Messina a Perugia per competenza.

Dal fascicolo d’ indagine della Procura di Perugia sul pm Palamara, affidato alla pm Gemma Milano e al Gico della Guardia di Finanza di Roma si evince che Palamara avrebbe acquisito informazioni anche attraverso il commercialista Andrea De Giorgio, consulente nominato anche all’interno della Procura della Repubblica di Roma. Secondo i pm, “la consegna di queste carte ‘contro’ i suoi colleghi da parte di Fava e parimenti le informazioni assunte dal De Giorgio” hanno “per Palamara, nella sua ottica, un valore al contempo difensivo e forse di ‘ritorsione“.  Adesso al vaglio degli inquirenti ci sono i file contenuti in uno dei computer dell’ex consigliere del Csm sequestrato a piazzale Clodio.

Rif:https://www.ilcorrieredelgiorno.it/toghe-sporche-il-ministro-bonafede-invia-gli-ispettori-nelle-procure-per-accertare-il-caos-in-corso/