Trani, arrestati due magistrati: processi comprati per soldi, Rolex e diamanti. Imprenditore confessa: così pagai milioni

L’ex sostituto procuratore di Trani, Antonio Savasta, 54 anni, attualmente giudice del Tribunale di Roma, e l’ex Gip di Trani Michele Nardi, 53 anni, attuale pm nella Capitale (è stato anche magistrato dell’ispettorato del Ministero della giustizia), sono arrestati oggi dai carabinieri nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Lecce per una serie di reati tra cui associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso ideologico. In manette anche un ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, 58 anni, in servizio al commissariato di Corato (Bari). I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo Msu richiesta del Procuratore Leonardo Leone De Castris.

Misure cautelari anche per due avvocati, Simona Cuomo, 43 aani, di Bari, e Ruggero Sfrecola, 53, di Trani, entrambi interdetti dalla professione per un anno mentre è in corso di notifica il divieto temporaneo all’esercizio di attività di impresa per un imprenditore di Firenze. Complessivamente sono indagate 18 persone.

Nardi, Savasta, Di Chiaro e Cuomo rispondono di associazione per delinquere finalizzata ad una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale. Gli altri indagati sono accusati, a vario titolo, di millantato credito, calunnia e corruzione in atti giudiziari.

PROCESSI IN CAMBIO DI SOLDI E PREZIOSI – Secondo l’accusa i due magistrati avrebbero assicurato il buon esito di alcune inchieste per vicende giudiziarie e tributarie degli imprenditori coinvolti in cambio di soldi e oggetti preziosi, mentre gli avvocati avrebbero prestato la loro opera a titolo di intermediari e facilitatori. Un ruolo di particolare rilievo avrebbe rivestito l’ispettore di polizia che, secondo i magistrati di Lecce, sarebbe stato al servizio dell’imprenditore coratino Flavio D’Introno “quale momento indispensabile di collegamento con il magistrato Savasta per il complessivo inquinamento dell’attività investigativa e processuale da quest’ultimo posta in essere”.

GLI ATTI DA FIRENZE – Un ulteriore filone di indagini è emerso dopo la trasmissione di alcuni atti d’indagine da parte della Procura di Firenze in cui sarebbero venuti fuori altri episodi corruttivi: in particolare l’ex pm Savasta, titolare di un fascicolo su una serie di false fatturazioni, avrebbe omesso di svolgere i dovuti approfondimenti investigativi nei confronti di un imprenditore fiorentino, ottenendo in cambio denaro e altre utilità.

I provvedimenti cautelari – secondo i pm salentini motivati da un “documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio” – sono il terminale di un’attività investigativa che si è avvalsa di intercettazioni telefoniche, confessioni, dichiarazioni di testimoni, analisi di numerosi procedimenti penali trattati negli uffici giudiziari tranesi, oltre a riscontri patrimoniali.

Il Gip di Lecce, su richiesta della Procura, ha risposto il sequestro di immobili, conti correnti, oggetti preziosi per un valore di circa 2 milioni di euro: in particolare a Savasta sono stati sequestrati 489mila euro, a Nardi 672mila (tra i quali un orologio in oro Daytona Rolex e un quantitativo di diamanti), a Di Chiaro e Cuomo beni per 436mila euro, mentre per l’imprenditore fiorentino e Sfrecola 53mila euro.

LA CONFESSIONE DI D’INTRONO – Determinante si sarebbe rivelata la collaborazione dell’imprenditore Flavio d’Introno che a ottobre del 2018 ha deciso di collaborare e vuotare il sacco, dopo che è passata in giudicata una condanna a 5 mesi per usura.

L’imprenditore ha ricostruito la tela dei rapporti con i due magistrati, Saasta e nardi, dicendo testualmente: Ho consegnato circa 300mila euro in contanti a Savasta, circa un milione e mnezzo di euro, comprensivo di regali materiali, a Nardi.

Ma non è tutto. D’Introno, microfonato, avrebbe successivamente incontrato Savasta il quale, a sua volta, avrebbe fornito dichiarazioni “confessorie” chiamando in correità anche Nardi. Insomma, da quanto è emerso per alcuni anni tra il sostituto procuratore e il gip sarebbe creato una sorta di “ponte” per un mercimonio dei processi.

Magistrati arrestati: scoperto il «tesoro» di Savasta: 22 case e 12 terreni. Ex pm interrogato a Lecce per 8 ore

È durato otto ore l’interrogatorio in carcere a Lecce dell’ex pm di Trani Antonio Savasta arrestato per corruzione il 14 gennaio scorso dalla magistratura salentina assieme al collega ex gip tranese Michele Nardi. Assistito dal proprio legale avvocato Massimo Manfreda, Savasta è stato ascoltato dal pm di Lecce Roberta Licci, titolare dell’inchiesta insieme al procuratore capo Leonardo Leone De Castris. All’uscita del carcere l’avvocato Manfreda si è detto soddisfatto dell’esito dell’interrogatorio. «Una lunghezza necessaria – ha detto Manfreda ai giornalisti che lo attendevano all’uscita del carcere – necessaria per fornire i dovuti chiarimenti. La durata dell’interrogatorio è sintomatica dell’atteggiamento processuale che non è di chiusura. Ci sono delle cose sulle quali abbiamo lealmente fornito la nostra versione, ci sono altri aspetti su cui ci siamo confrontanti altrettanto lealmente e chiaramente». «È stato il terzo interrogatorio – ha detto ancora – e probabilmente almeno in questa fase, l’ultimo. In settimana depositeremo istanza di sostituzione della misura cautelare con la concessione degli arresti domiciliari». «Nel corso dell’interrogatorio la difesa ha anche prodotto un piccolo memoriale difensivo – ha concluso – Sette pagine inerenti questioni oggetto di imputazione e contestazioni provvisoria e sui risultati delle indagini».

BARI – Il tesoro di Antonio Savasta, l’ormai ex pm arrestato il 14 gennaio per corruzione in atti giudiziari, potrebbe essere nascosto nel mattone. La vecchia regola dei tempi di Giovanni Falcone («segui i soldi») potrebbe risultare decisiva anche nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla giustizia svenduta nel Tribunale di Trani, inchiesta che ha finora fatto finire in carcere anche l’ex gip Michele Nardi e che nelle ultime settimane si sta allargando con l’esame di numerosi altri fascicoli. L’ipotesi è sempre la stessa: sentenze e indagini potrebbero essere state truccate in cambio di soldi.

E Savasta, che nell’ultimo mese ha assunto un atteggiamento di collaborazione (dopo aver parlato a lungo ha presentato le dimissioni dall’ordine giudiziario, preludio a una richiesta di scarcerazione) potrebbe aver utilizzato i soldi per accumulare un enorme patrimonio: risulta infatti proprietario (da solo o insieme ai familiari) di 22 unità immobiliari e di 12 terreni nella provincia di Bari, cui si aggiungono altre 8 unità immobiliari (più un terreno) intestati alla moglie dell’ex pm (che non risulta indagata).

A scattare la fotografia del patrimonio di Savasta è stata la Finanza di Firenze, nell’ambito di una inchiesta (quella sui presunti favori all’imprenditore barlettano Luigi D’Agostino) poi trasferita per competenza a Lecce quando sono emersi gli elementi a carico del magistrato in servizio a Trani.

Dal 2015 al 2017, gli anni in cui si sono svolti i fatti contestati nella prima parte dell’inchiesta, Savasta ha dichiarato redditi oscillanti tra i 130 e i 140mila euro, più alti rispetto al solo stipendio di magistrato (in quegli anni circa 110mila euro lordi). La differenza è fatta, appunto, dai redditi di locazione. Ma nel mirino dei militari sono finiti i numerosi bonifici e versamenti sui conti del magistrato, che – solo per fare un esempio – da gennaio a marzo 2018 ha versato assegni per 81mila euro ed ha ricevuto bonifici per oltre 21mila euro. Il quadro complessivo, molto complesso, mostra un elevato numero di operazioni finanziarie (spesso con i parenti), ma anche di operazioni immobiliari effettuate direttamente da lui o dalla moglie. Savasta risulta ad esempio aver effettuato un investimento in un immobile turistico nella zona di Polignano a Mare.

L’analisi delle risultanze patrimoniali potrà essere un valido elemento di riscontro delle accuse oggi al vaglio della Procura di Lecce. Oltre a quelle di Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che con le sue «confessioni» è stato determinante per l’arresto dei due magistrati (cui ha detto di aver corrisposto negli anni 3 milioni di euro), ci sono numerosi altri casi: ad esempio l’altro imprenditore Paolo Tarantini, di Corato, la cui posizione è all’esame in questi giorni. Ma c’è anche il «re del grano», Francesco Casillo, arrestato nel 2006 su richiesta di Savasta (accolta dal gip Nardi) per lo scandalo del grano all’ocratossina: una inchiesta che nacque dalla denuncia di un esponente della Coldiretti di Spinazzola e si concluse il 4 luglio 2012 con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste».

Casillo è stato ascoltato alcune settimane fa dalla pm Roberta Licci. Le sue parole, e la sua stessa posizione, sono adesso in corso di esame. Ieri l’imprenditore ha fornito la sua versione della storia a «Repubblica», raccontando di aver pagato «550mila euro per uscire dal carcere» tramite un intermediario. Oltre a lui, Savasta fece arrestare anche i fratelli Beniamino, Pasquale e Cardenia nell’ambito dell’inchiesta «Apocalisse» sul presunto spietramento della Murgia. L’intermediario avrebbe chiesto ad un amico di famiglia «un milione di euro per risolvere la questione. Promettendo di farlo immediatamente» e alla richiesta di «una prova che, effettivamente, se avessimo pagato saremmo usciti di galera», Francesco Casillo ha raccontato che «mia sorella, incredibilmente, dopo poche ore dal suo arresto fu scarcerata».

La storia, come detto, è ora al vaglio. Ma agli atti dell’inchiesta di Lecce c’è una strana intercettazione ambientale del 1° luglio 2016 in cui Nardi parla in macchina da solo. I carabinieri l’anno considerata «un importante spunto investigativo poiché dalle sue parole traspare, in maniera incontrovertibile, la legittimazione dell’operato del pm Antonio Savasta, nonostante al vicenda Casillo si è conclusa con l’assoluzione del re del grano coratino»: «Casillo è meglio che sta zitto perché il vero scandalo è quando Casillo è stato assolto, e no che è stato messo in galera ed è stato assolto da un collegio» in cui, secondo Nardi, uno dei giudici (non indagato e non coinvolto in alcun modo») aveva la moglie che lavorava per Casillo. «Le tangenti saranno state pagate sì – è la conclusione del monologo di Nardi – ma per essere assolto, non certo per essere messo in galera».
A novembre 2015 Savasta concluse la requisitoria a carico di Francesco Casillo chiedendo 4 anni di carcere, dopo che a novembre 2008 aveva dato il suo assenso a un patteggiamento che avrebbe comportato solo una multa: l’istanza fu però rigettata dal Tribunale perché ritenuta incongrua.

Magistrati arrestati, D’Introno: «Ai giudici escort, mazzette e frullatori»

A Michele Nardi un milione e mezzo, oltre ai soldi e i regali ottenuti dall’imprenditore Paolo Tarantini. Mezzo milione ad Antonio Savasta e alla sua famiglia. Altri 75mila a Luigi Scimè. «L’accordo coinvolgeva tutti e tre i magistrati», scrive Flavio D’Introno nel memoriale depositato davanti al gip di Lecce dove oggi pomeriggio riprende l’incidente probatorio per la giustizia truccata nel Tribunale di Trani. In 65 pagine c’è il racconto delle tangenti, degli incontri carbonari, di quelle che D’Introno ritiene essere state estorsioni e vessazioni ai suoi danni: «Ero solo un evasore fiscale», dice lui. Ma per la giustizia italiana D’Introno è un usuraio in attesa di scontare una pena definitiva a cinque anni e mezzo, e la Procura di Lecce accusa anche lui di associazione a delinquere finalizzata (tra l’altro) alla corruzione in atti giudiziari. Fatta un’ulteriore premessa (questa è la versione di D’Introno, non la verità dei fatti), leggiamo.


I SOLDI
«Ho versato al giudice Nardi una serie di somme per il pagamento delle sue utenze di casa e della villa, la ristrutturazione dell’immobile di sua proprietà in Roma, la ristrutturazione della villa in Trani della signora Di Lernia, viaggi in Italia ed all’estero, un rolex con cinturino in oro, due brillanti da un carato ciascuno, pagamento dell’Hotel Excelsior e del Grand Hotel Veneto in Roma, denaro in contanti dato in tempi vari per un totale di un milione e 500 mila euro. Ho dato al dottor Savasta (Zagaria Patruno Zaccaro) complessivi euro 500mila in contanti, 160 mila per ristrutturazione ed arredo comprensivo di attrezzi di una palestra». Poi 60mila euro al falso testimone nei confronti dei messi notificatori, Giancarlo Patruno, che minacciava di raccontare tutto, «nonché l’estorsione della scrittura privata che prevedeva l’esenzione del pagamento del canone (della palestra, ndr) per 20 anni (canone mensile di euro 1.400), utenze della palestra da me pagate». E soldi anche al poliziotto Vincenzo Di Chiaro, finito in carcere e anche lui ora testimone («Ha ricevuto circa 70mila euro), soldi e regali al suo avvocato Simona Cuomo: «Ha ricevuto ristrutturazione, l’arrredamento e pagamento canone di locazione dello studio legale in Corato alla via Duomo 38, e pagamento delle utenze del detto studio, viaggi in Italia ed all’estero anche con la famiglia, pagamento Cassa Forense, in contanti centomila euro».


E ancora, sempre su Nardi: «Aveva un potere superiore in relazione alla vita della Procura di Trani», tanto da avere le tabelle con i turni dei magistrati così da indirizzare l’assegnazione delle denunce. Un giorno si era arrabbiato, racconta D’Introno, dopo che lui ne aveva presentata una non concordata: «Mi disse che mi perdonava solo perché durante il viaggio a Dubai che mi aveva estorto il 9 maggio 2009, dopo le misure cautelari, io era stato gentile con lui pagandogli tutte le sue richieste (escort comprese)». A Nardi dice di aver pagato viaggi a Londra, a Cortina, in Sardegna. A Savasta un viaggio in Turchia per tutta la famiglia «compresa la sorella Emilia, il cognato e un’amica che non so chi sia», nell’unico albergo sei stelle di Istanbul, con trattamento full credit («pagavo io pure gli extra») per una spesa di 20.000 euro.


NARDI
D’Introno dice di aver conosciuto Nardi nel 2006 tramite un geometra della sua azienda (allo stato non indagato) che portò all’allora gip di Trani una copia del suo avviso di garanzia per usura: «In Corato, poi, era noto che anche per il caso Ferri era stato il geometra Attilio De Palma a presentare Nardi alla famiglia Ferri», gli imprenditori di Corato recentemente assolti per prescrizione dall’accusa di bancarotta che hanno raccontato la loro storia alla Procura di Lecce. Il primo appuntamento con Nardi a novembre 2006 in via Tasselgardo, a Trani in un bar nei pressi di Trony, sotto casa di Nardi, posto che diventerà centrale in questa storia: per il solo incontro pagò 30.000 euro. Di solito, dice, si vedevano «nel negozio Trony nel reparto della musica», che era «uno dei posti dove Nardi mi portava quando bisognava parlare di cose illecite perché c’era la musica alta. Mi impose di non comprare un telefono tipo smartphone perché temeva le intercettazioni con i trojan».


A febbraio 2017 Nardi «mi chiese 200.000 euro se volevo evitare la custodia in carcere, io non gli credetti (…). Il giorno 8 aprile 2007 si presentarono nella Ceramiche Base il dottor Nardi e il geometra De Palma dicendo che sarei stato arrestato e mi avrebbero sequestrato i beni in via cautelare». È l’indagine «Fenerator», quella per usura: gli arresti scattano, D’Introno non si fa trovare ma si consegna dopo alcuni giorni e finisce in carcere. Ad agosto 2007 «Nardi tramite il geometra chiese 30.000 euro per far convertire gli arresti domiciliari in obbligo di dimora». Il gip Roberto Del Castillo il 17 agosto aveva rispedito Nardi in carcere prima di andare in ferie, il 25 agosto il gip di turno gli concede l’obbligo di dimora. Quando rientra, il 10 settembre, Del Castillo ripristina il carcere. Nardi, dice D’Introno, gli chiese altri 60.000 euro per evitare delle verifiche fiscali che poi puntualmente arrivarono e portarono all’emissione di cartelle esattoriali milionarie. Quelle che poi Savasta si presterà a sequestrare.


SAVASTA
D’Introno dice di aver conosciuto l’ex pm Savasta quando fu sentito a Lecce per il caso Nardi-Caserta. Savasta «mi ha chiesto soldi sia per fare atti normali per il suo lavoro che per assicurarmi di non perseguitarmi». Anche di recente, nel 2018, «Savasta si è interessato alla mia vicenda tributaria in Cassazione, dopo il suo trasferimento a Roma. Parlava con un commercialista che era amico del relatore», un giudice napoletano: l’ex pm riferì a D’Introno che questo giudice non poteva intervenire proprio perché la vicenda era oggetto dell’indagine di Lecce.
L’ex cognato di Savasta, Savino Zagaria, anche lui indagato, «si è prestato a fare da corriere per la consegna del denaro a Savasta, anche in relazione ai soldi da me versati per il procedimento delle cartelle esattoriali», facendo una cresta di almeno 40.000 euro. «Il Savasta – prosegue D’Introno – mi ha chiesto soldi per tutta la sua famiglia a partire dai lavori di ristrutturazione alla palestra compresi tutti gli attrezzi scelti da Emilia Savasta e Zagaria Savino». La signora Savasta al momento non risulta indagata e sostiene di essere estranea a ogni accordo illecito.


LA STANGATA
A Paolo Tarantini (che in questa storia è vittima) vengono tolti 400.000 euro per far sparire un (falso) avviso di garanzia per reati fiscali. Il primo incontro di Tarantini con Savasta e Nardi, racconta D’Introno, avvenne a Barletta («In zona Patalini presso la palestra di Emilia» Savasta: «L’ho allestita io interamente per circa 50-60 mila euro»). D’Introno racconta di essere arrivato con Tarantini e di aver aspettato fuori in macchina, e quando l’incontro terminò la sorella di Savasta «mi diede una bustina piccola tipo quelle dei bigliettini di condoglianze, chiusa, dicendomi di darla al signor Tarantini». Dentro la busta, su un bigliettino, era scritta la somma di 400.000 euro. Quando andarono via Tarantini la aprì «e si mise a piangere disperato». 
D’Introno dice che prestò all’imprenditore 150mila euro per far fronte alla richiesta, soldi che avrebbe poi scontato in viaggi presso l’agenzia di Tarantini. La consegna avvenne in due tranche, sempre con D’Introno accompagnato in macchina da Tarantini. I primi 200mila euro in una stazione di servizio Esso tra Trani e Corato, dove si presentò una Bmw («Era con certezza la macchina utilizzata da Nardi e a bordo c’era la sorella»), la seconda in Corato, «sempre in contanti in una cartellina chiusa, di fronte al magazzino di mio zio», dove D’Introno e Tarantini andarono «sempre su indicazione di Nardi»: «Trovai una macchina alta e scura a bordo della quale si trovava la sorella di Savasta». Dopo una settimana ci fu un incontro a casa di Savasta dopo una settimana con Di Chiaro: «Savasta gli dette una busta con 30.000 euro e disse “divideteveli”», con chi aveva partecipato alla stangata a Tarantini, che tra l’altro fu costretto a comprare da Trony «10-15 telefonini, 4-5 pc portatili, un frullatore a immersione Moulinex». Tutta roba per Nardi.


SCIMÈ
Fu Savasta, dice D’Introno, a preannunciargli le richieste che l’allora pm Luigi Scimè avrebbe fatto a suo carico nel procedimento per usura: lo fece «sul terrazzino di casa della madre di Savasta, a Barletta». Non gratis: «Non avevo avuto alcun contatto diretto con Scimè, la somma venne da me consegnata nelle mani di Savasta il giorno prima della requisitoria: 30.000 euro in banconote da 500 all’interno della “Gazzetta” che consegnai a Savasta all’interno del bar». Per il rinvio a giudizio di una testimone che lo accusava di usura, la Frualdo, «Scimè pretese 15.000 euro, andai sotto casa di Nardi e gli consegnai una busta gialla da imballaggio che Nardi consegnò direttamente a Scimè che era lì ad aspettare» sotto i portici. D’Introno dice di aver assistito allo scambio: poi «Scimè si allontanò e io e Nardi bevemmo l’aperitivo al Bar dello Studente». Infine, i soldi per far archiviare le indagini sugli attentati alle ville della moglie di D’Introno. «Nardi mi disse che dovevo dare 30.000, ma io gli portai solo 20mila» sempre nel solito Trony. Il saldo del debito, dice D’Introno, avvenne a Milano in un bar in zona piazza Duomo. «Giorno e ora dell’incontro me li indicò Savasta. Io mi limitai a dire “buongiorno dottore” e gli consegnai la busta con i soldi». Gli ultimi 10mila euro.

Tangenti in cambio di favori processuali: arrestati i magistrati Savasta e Nardi

Al termine delle indagini condotte dalla procura di Lecce, sono stati arrestati l’ex pubblico ministero Antonio Savasta, e l’ex giudice per le indagini preliminari Michele Nardi entrambi al Tribunali di Trani. Le accuse sono di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018.

Due magistrati del Tribunale di Roma, entrambi precedentemente in servizio presso la procura di Trani, sono stati arrestati al termine delle indagini condotte dai pm di Lecce, Leonardo Leone De Castris e Roberta Licci.

Secondo quanto si apprende dall’agenzia di stampa Ansa, l’ex pubblico ministero del Tribunale di Trani, Antonio Savasta, ora giudice del Tribunale di Roma, e Michele Nardi, pm a Roma, ex giudice per le indagini preliminari a Trani e magistrato all’ispettorato del ministero della Giustizia, sono stati arrestati con le accuse di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018, dunque negli anni in cui erano in servizio a Trani.

«Il ricorso alla misura cautelare si è reso indispensabile tenuto conto del concreto pericolo di reiterazione di condotte criminose e del gravissimo, documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio», ha evidenziato in una nota stampa il procuratore della Repubblica di Lecce, Leonardo Leone de Castris.

Le indagini della procura di Lecce hanno inoltre portato all’arresto di un ispettore di polizia e all’interdizione di un imprenditore fiorentino e di due avvocati di Bari e Trani. La nota di de Castris chiarisce inoltre che la Procura di Lecce ha indagato sulla vicenda in base all’articolo 11 del Codice di Procedura penale poiché si tratta di reati commessi da magistrati in servizio nel distretto della Corte d’appello di Bari di cui è competente la magistratura salentina.

La procura di Lecce avrebbe accertato che i magistrati arrestati avrebbero garantito esiti processuali positivi in diverse vicende giudiziarie e tributarie in favore degli imprenditori coinvolti in cambio di ingenti somme di danaro e, in alcuni casi, di gioielli e diamanti. La procura, infatti, ha inoltre sequestrato denaro, conti correnti e beni, tra cui un orologio Daytona d’oro e diamanti, trovati nella disponibilità di Nardi.

Oltre ai due magistrati, è stato arrestato anche l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro e sono stati interdetti dalla professione per un anno invece gli avvocati Simona Cuomo e Ruggiero Sfrecola. Nardi, Savasta, Di Chiaro e Cuomo sono accusati di associazione per delinquere finalizzata a una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale. Gli altri indagati sono accusati, a vario titolo, di millantato credito, calunnia e corruzione in atti giudiziari.

Scandalo Csm, la nuova guerra tra toghe (in tre minuti)

Il Consiglio Superiore della Magistratura è al centro di una bufera. Lo scandalo, partito da un’inchiesta per corruzione su Luca Palamara, potentissimo ex presidente dall’Anm ed ex membro dello stesso Csm, ha squarciato il velo su alcuni meccanismi interni alla magistratura, in particolare per quanto riguarda la modalità con cui verrebbero decise le nomine e le sanzioni disciplinari. 

David Ermini, ex parlamentare del Partito Democratico e vicepresidente dell’organo di autocontrollo della magistratura – il presidente è Sergio Mattarella, il capo dello Stato – parlando all’assemblea del Consiglio in seduta plenaria ha detto: «O sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». Parole che danno la cifra della serietà della situazione.

l motivo per cui l’inchiesta su un magistrato è arrivata a gettare, in pochi giorni «discredito», riprendendo la definizione di Ermini, sul Csm e sull’intera categoria va ricercato nelle pieghe delle indagine e degli addebiti che sono contestasti a Palamara: cioè aver ricevuto denaro e regali da alcuni lobbisti, con cui intratteneva stretti rapporti di amicizia, in cambio dell’influenza in alcune sentenze.

«Influenza» sembra proprio la parola chiave dello scandalo che sta travolgendo il Csm. Palamara, infatti, oltre che di corruzione, è accusato di aver cercato, venuto a sapere delle indagini a suo carico, di influenzare la nomina del prossimo procuratore capo di Perugia: la procura del capoluogo umbro ha infatti competenza sulle indagini che riguardano i magistrati romani, come lo stesso Palamara. 

Non solo, come pm a Roma e progettando una nuova scalata, il magistrato voleva scegliere anche il successore del procuratore capo Giuseppe Pignatone, in pensione dall’8 maggio. Con l’idea di ridimensionare il peso dei pm più duri di piazzale Clodio, avrebbero partecipato ai vertici anche Cosimo Ferri e Luca Lotti, quest’ultimo iscritto al registro degli indagati sul caso Consip proprio a Roma.

Il 2019 non era iniziato sotto i migliori auspici per la magistratura capitolina: Antonio Savasta, giudice del tribunale di Roma e ex pubblico ministero di Trani era stato arrestato insieme al collega Michele Nardi, pm nella Capitale, per ordine della procura di Lecce con l’accusa di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018 quando i magistrati era in servizio a Trani.

Rif: https://www.open.online/2019/06/07/scandalo-csm-la-nuova-guerra-tra-toghe-in-tre-minuti/