Corruzione giudici: in agenda Dagostino incontri e tangenti con arrestati

Negli appunti che hanno permesso alla procura  di Lecce di chiudere le indagini che  hanno portato all’arresto dei magistrati del Tribunale di Roma  Savasta e  Nardi, anche gli incontri con l’ex sottosegretario Luca Lotti, con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e con Tiziano Renzi, papà dell’ex premier Matteo.

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E’ stata l’agenda di Luigi Dagostino e la maniacale abitudine dell’imprenditore di annotare il pagamento di presunte tangenti e ogni appuntamento (anche con l’ex sottosegretario Luca Lotti, con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e con Tiziano Renzi, papà dell’ex premier Matteo) a permettere ai magistrati di Lecce di chiudere il cerchio sulle indagini che ieri hanno portato all’arresto dei magistrati del Tribunale di Roma Antonio Savasta e Michele Nardi, all’epoca dei fatti in servizio a Trani.I due sono accusati di aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata ad intascare tangenti per insabbiare indagini e pilotare sentenze giudiziarie e tributarie in favore di facoltosi imprenditori. Oltre ai due magistrati è finito in carcere l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, mentre sono stati interdetti dalla professione l’imprenditore Dagostino, ex socio di Tiziano Renzi, e gli avvocati Simona Cuomo e Ruggiero Sfrecola.Nel corso di una perquisizione della Guardia di Finanza nei confronti di Dagostino, accusato di corruzione in atti giudiziari, gli investigatori hanno sequestrato due agende, del 2015 e del 2016, nelle quali l’imprenditore aveva annotato con dovizia di particolari incontri e viaggi, cene e somme di denaro associate a nomi.“Annotazioni puntuali e metodiche” scrive il gip nelle 862 pagine dell’ordinanza, sui contatti e rapporti con il pm Savasta, con l’avvocato tranese Sfrecola, con l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, con Tiziano Renzi e anche con l’allora vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini.È proprio dall’analisi dell’agenda, i cui dettagli sono stati poi incrociati con l’esito delle intercettazioni e le dichiarazioni rese durante le indagini, che gli inquirenti ricostruiscono l’incontro a Palazzo Chigi del giugno 2015 tra Dagostino, il commercialista Roberto Franzè, Savasta e Lotti e i rapporti dello stesso Dagostino con Tiziano Renzi, che nel luglio e nel settembre dello stesso anno si reca in Puglia in sua compagnia per riunioni e cene.Savasta avrebbe chiesto e ottenuto da Dagostino l’incontro con Lotti per tentare di ottenere un incarico a Roma e allontanarsi così dalla Procura di Trani, perché era coinvolto in procedimenti penali e disciplinari al Csm.Quest’ultima circostanza è stata documentata anche dall’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che, ascoltato come testimone dalla Procura di Firenze nell’aprile 2018, ha anche “prodotto una stampa dei vari procedimenti disciplinari a carico di Antonio Savasta, alcuni dei quali già pendenti dal 2015”, annota il gip.Dalle indagini emerge, infatti, che “già nel corso del 2015 Savasta si attiva per costruirsi appoggi strumentali ad alternative professionali avvalendosi proprio di Dagostino e dei suoi importanti contatti anche in contesti istituzionali”. Allo stesso tempo, però, Savasta indaga su Dagostino per un giro di fatture false, ma per ricambiare il favore non esercita l’azione penale nei confronti dell’imprenditore. Quando Savasta viene trasferito a Roma, il procuratore di Trani invia gli atti a Firenze per competenza.

Rif: https://www.controradio.it/corruzione-giudici-in-agenda-dagostino-incontri-e-tangenti-con-arrestati/

Trani, arrestati due magistrati: processi comprati per soldi, Rolex e diamanti. Imprenditore confessa: così pagai milioni

L’ex sostituto procuratore di Trani, Antonio Savasta, 54 anni, attualmente giudice del Tribunale di Roma, e l’ex Gip di Trani Michele Nardi, 53 anni, attuale pm nella Capitale (è stato anche magistrato dell’ispettorato del Ministero della giustizia), sono arrestati oggi dai carabinieri nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Lecce per una serie di reati tra cui associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso ideologico. In manette anche un ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, 58 anni, in servizio al commissariato di Corato (Bari). I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo Msu richiesta del Procuratore Leonardo Leone De Castris.

Misure cautelari anche per due avvocati, Simona Cuomo, 43 aani, di Bari, e Ruggero Sfrecola, 53, di Trani, entrambi interdetti dalla professione per un anno mentre è in corso di notifica il divieto temporaneo all’esercizio di attività di impresa per un imprenditore di Firenze. Complessivamente sono indagate 18 persone.

Nardi, Savasta, Di Chiaro e Cuomo rispondono di associazione per delinquere finalizzata ad una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale. Gli altri indagati sono accusati, a vario titolo, di millantato credito, calunnia e corruzione in atti giudiziari.

PROCESSI IN CAMBIO DI SOLDI E PREZIOSI – Secondo l’accusa i due magistrati avrebbero assicurato il buon esito di alcune inchieste per vicende giudiziarie e tributarie degli imprenditori coinvolti in cambio di soldi e oggetti preziosi, mentre gli avvocati avrebbero prestato la loro opera a titolo di intermediari e facilitatori. Un ruolo di particolare rilievo avrebbe rivestito l’ispettore di polizia che, secondo i magistrati di Lecce, sarebbe stato al servizio dell’imprenditore coratino Flavio D’Introno “quale momento indispensabile di collegamento con il magistrato Savasta per il complessivo inquinamento dell’attività investigativa e processuale da quest’ultimo posta in essere”.

GLI ATTI DA FIRENZE – Un ulteriore filone di indagini è emerso dopo la trasmissione di alcuni atti d’indagine da parte della Procura di Firenze in cui sarebbero venuti fuori altri episodi corruttivi: in particolare l’ex pm Savasta, titolare di un fascicolo su una serie di false fatturazioni, avrebbe omesso di svolgere i dovuti approfondimenti investigativi nei confronti di un imprenditore fiorentino, ottenendo in cambio denaro e altre utilità.

I provvedimenti cautelari – secondo i pm salentini motivati da un “documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio” – sono il terminale di un’attività investigativa che si è avvalsa di intercettazioni telefoniche, confessioni, dichiarazioni di testimoni, analisi di numerosi procedimenti penali trattati negli uffici giudiziari tranesi, oltre a riscontri patrimoniali.

Il Gip di Lecce, su richiesta della Procura, ha risposto il sequestro di immobili, conti correnti, oggetti preziosi per un valore di circa 2 milioni di euro: in particolare a Savasta sono stati sequestrati 489mila euro, a Nardi 672mila (tra i quali un orologio in oro Daytona Rolex e un quantitativo di diamanti), a Di Chiaro e Cuomo beni per 436mila euro, mentre per l’imprenditore fiorentino e Sfrecola 53mila euro.

LA CONFESSIONE DI D’INTRONO – Determinante si sarebbe rivelata la collaborazione dell’imprenditore Flavio d’Introno che a ottobre del 2018 ha deciso di collaborare e vuotare il sacco, dopo che è passata in giudicata una condanna a 5 mesi per usura.

L’imprenditore ha ricostruito la tela dei rapporti con i due magistrati, Saasta e nardi, dicendo testualmente: Ho consegnato circa 300mila euro in contanti a Savasta, circa un milione e mnezzo di euro, comprensivo di regali materiali, a Nardi.

Ma non è tutto. D’Introno, microfonato, avrebbe successivamente incontrato Savasta il quale, a sua volta, avrebbe fornito dichiarazioni “confessorie” chiamando in correità anche Nardi. Insomma, da quanto è emerso per alcuni anni tra il sostituto procuratore e il gip sarebbe creato una sorta di “ponte” per un mercimonio dei processi.

Magistrati arrestati: scoperto il «tesoro» di Savasta: 22 case e 12 terreni. Ex pm interrogato a Lecce per 8 ore

È durato otto ore l’interrogatorio in carcere a Lecce dell’ex pm di Trani Antonio Savasta arrestato per corruzione il 14 gennaio scorso dalla magistratura salentina assieme al collega ex gip tranese Michele Nardi. Assistito dal proprio legale avvocato Massimo Manfreda, Savasta è stato ascoltato dal pm di Lecce Roberta Licci, titolare dell’inchiesta insieme al procuratore capo Leonardo Leone De Castris. All’uscita del carcere l’avvocato Manfreda si è detto soddisfatto dell’esito dell’interrogatorio. «Una lunghezza necessaria – ha detto Manfreda ai giornalisti che lo attendevano all’uscita del carcere – necessaria per fornire i dovuti chiarimenti. La durata dell’interrogatorio è sintomatica dell’atteggiamento processuale che non è di chiusura. Ci sono delle cose sulle quali abbiamo lealmente fornito la nostra versione, ci sono altri aspetti su cui ci siamo confrontanti altrettanto lealmente e chiaramente». «È stato il terzo interrogatorio – ha detto ancora – e probabilmente almeno in questa fase, l’ultimo. In settimana depositeremo istanza di sostituzione della misura cautelare con la concessione degli arresti domiciliari». «Nel corso dell’interrogatorio la difesa ha anche prodotto un piccolo memoriale difensivo – ha concluso – Sette pagine inerenti questioni oggetto di imputazione e contestazioni provvisoria e sui risultati delle indagini».

BARI – Il tesoro di Antonio Savasta, l’ormai ex pm arrestato il 14 gennaio per corruzione in atti giudiziari, potrebbe essere nascosto nel mattone. La vecchia regola dei tempi di Giovanni Falcone («segui i soldi») potrebbe risultare decisiva anche nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla giustizia svenduta nel Tribunale di Trani, inchiesta che ha finora fatto finire in carcere anche l’ex gip Michele Nardi e che nelle ultime settimane si sta allargando con l’esame di numerosi altri fascicoli. L’ipotesi è sempre la stessa: sentenze e indagini potrebbero essere state truccate in cambio di soldi.

E Savasta, che nell’ultimo mese ha assunto un atteggiamento di collaborazione (dopo aver parlato a lungo ha presentato le dimissioni dall’ordine giudiziario, preludio a una richiesta di scarcerazione) potrebbe aver utilizzato i soldi per accumulare un enorme patrimonio: risulta infatti proprietario (da solo o insieme ai familiari) di 22 unità immobiliari e di 12 terreni nella provincia di Bari, cui si aggiungono altre 8 unità immobiliari (più un terreno) intestati alla moglie dell’ex pm (che non risulta indagata).

A scattare la fotografia del patrimonio di Savasta è stata la Finanza di Firenze, nell’ambito di una inchiesta (quella sui presunti favori all’imprenditore barlettano Luigi D’Agostino) poi trasferita per competenza a Lecce quando sono emersi gli elementi a carico del magistrato in servizio a Trani.

Dal 2015 al 2017, gli anni in cui si sono svolti i fatti contestati nella prima parte dell’inchiesta, Savasta ha dichiarato redditi oscillanti tra i 130 e i 140mila euro, più alti rispetto al solo stipendio di magistrato (in quegli anni circa 110mila euro lordi). La differenza è fatta, appunto, dai redditi di locazione. Ma nel mirino dei militari sono finiti i numerosi bonifici e versamenti sui conti del magistrato, che – solo per fare un esempio – da gennaio a marzo 2018 ha versato assegni per 81mila euro ed ha ricevuto bonifici per oltre 21mila euro. Il quadro complessivo, molto complesso, mostra un elevato numero di operazioni finanziarie (spesso con i parenti), ma anche di operazioni immobiliari effettuate direttamente da lui o dalla moglie. Savasta risulta ad esempio aver effettuato un investimento in un immobile turistico nella zona di Polignano a Mare.

L’analisi delle risultanze patrimoniali potrà essere un valido elemento di riscontro delle accuse oggi al vaglio della Procura di Lecce. Oltre a quelle di Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che con le sue «confessioni» è stato determinante per l’arresto dei due magistrati (cui ha detto di aver corrisposto negli anni 3 milioni di euro), ci sono numerosi altri casi: ad esempio l’altro imprenditore Paolo Tarantini, di Corato, la cui posizione è all’esame in questi giorni. Ma c’è anche il «re del grano», Francesco Casillo, arrestato nel 2006 su richiesta di Savasta (accolta dal gip Nardi) per lo scandalo del grano all’ocratossina: una inchiesta che nacque dalla denuncia di un esponente della Coldiretti di Spinazzola e si concluse il 4 luglio 2012 con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste».

Casillo è stato ascoltato alcune settimane fa dalla pm Roberta Licci. Le sue parole, e la sua stessa posizione, sono adesso in corso di esame. Ieri l’imprenditore ha fornito la sua versione della storia a «Repubblica», raccontando di aver pagato «550mila euro per uscire dal carcere» tramite un intermediario. Oltre a lui, Savasta fece arrestare anche i fratelli Beniamino, Pasquale e Cardenia nell’ambito dell’inchiesta «Apocalisse» sul presunto spietramento della Murgia. L’intermediario avrebbe chiesto ad un amico di famiglia «un milione di euro per risolvere la questione. Promettendo di farlo immediatamente» e alla richiesta di «una prova che, effettivamente, se avessimo pagato saremmo usciti di galera», Francesco Casillo ha raccontato che «mia sorella, incredibilmente, dopo poche ore dal suo arresto fu scarcerata».

La storia, come detto, è ora al vaglio. Ma agli atti dell’inchiesta di Lecce c’è una strana intercettazione ambientale del 1° luglio 2016 in cui Nardi parla in macchina da solo. I carabinieri l’anno considerata «un importante spunto investigativo poiché dalle sue parole traspare, in maniera incontrovertibile, la legittimazione dell’operato del pm Antonio Savasta, nonostante al vicenda Casillo si è conclusa con l’assoluzione del re del grano coratino»: «Casillo è meglio che sta zitto perché il vero scandalo è quando Casillo è stato assolto, e no che è stato messo in galera ed è stato assolto da un collegio» in cui, secondo Nardi, uno dei giudici (non indagato e non coinvolto in alcun modo») aveva la moglie che lavorava per Casillo. «Le tangenti saranno state pagate sì – è la conclusione del monologo di Nardi – ma per essere assolto, non certo per essere messo in galera».
A novembre 2015 Savasta concluse la requisitoria a carico di Francesco Casillo chiedendo 4 anni di carcere, dopo che a novembre 2008 aveva dato il suo assenso a un patteggiamento che avrebbe comportato solo una multa: l’istanza fu però rigettata dal Tribunale perché ritenuta incongrua.

Magistrati arrestati, D’Introno: «Ai giudici escort, mazzette e frullatori»

A Michele Nardi un milione e mezzo, oltre ai soldi e i regali ottenuti dall’imprenditore Paolo Tarantini. Mezzo milione ad Antonio Savasta e alla sua famiglia. Altri 75mila a Luigi Scimè. «L’accordo coinvolgeva tutti e tre i magistrati», scrive Flavio D’Introno nel memoriale depositato davanti al gip di Lecce dove oggi pomeriggio riprende l’incidente probatorio per la giustizia truccata nel Tribunale di Trani. In 65 pagine c’è il racconto delle tangenti, degli incontri carbonari, di quelle che D’Introno ritiene essere state estorsioni e vessazioni ai suoi danni: «Ero solo un evasore fiscale», dice lui. Ma per la giustizia italiana D’Introno è un usuraio in attesa di scontare una pena definitiva a cinque anni e mezzo, e la Procura di Lecce accusa anche lui di associazione a delinquere finalizzata (tra l’altro) alla corruzione in atti giudiziari. Fatta un’ulteriore premessa (questa è la versione di D’Introno, non la verità dei fatti), leggiamo.


I SOLDI
«Ho versato al giudice Nardi una serie di somme per il pagamento delle sue utenze di casa e della villa, la ristrutturazione dell’immobile di sua proprietà in Roma, la ristrutturazione della villa in Trani della signora Di Lernia, viaggi in Italia ed all’estero, un rolex con cinturino in oro, due brillanti da un carato ciascuno, pagamento dell’Hotel Excelsior e del Grand Hotel Veneto in Roma, denaro in contanti dato in tempi vari per un totale di un milione e 500 mila euro. Ho dato al dottor Savasta (Zagaria Patruno Zaccaro) complessivi euro 500mila in contanti, 160 mila per ristrutturazione ed arredo comprensivo di attrezzi di una palestra». Poi 60mila euro al falso testimone nei confronti dei messi notificatori, Giancarlo Patruno, che minacciava di raccontare tutto, «nonché l’estorsione della scrittura privata che prevedeva l’esenzione del pagamento del canone (della palestra, ndr) per 20 anni (canone mensile di euro 1.400), utenze della palestra da me pagate». E soldi anche al poliziotto Vincenzo Di Chiaro, finito in carcere e anche lui ora testimone («Ha ricevuto circa 70mila euro), soldi e regali al suo avvocato Simona Cuomo: «Ha ricevuto ristrutturazione, l’arrredamento e pagamento canone di locazione dello studio legale in Corato alla via Duomo 38, e pagamento delle utenze del detto studio, viaggi in Italia ed all’estero anche con la famiglia, pagamento Cassa Forense, in contanti centomila euro».


E ancora, sempre su Nardi: «Aveva un potere superiore in relazione alla vita della Procura di Trani», tanto da avere le tabelle con i turni dei magistrati così da indirizzare l’assegnazione delle denunce. Un giorno si era arrabbiato, racconta D’Introno, dopo che lui ne aveva presentata una non concordata: «Mi disse che mi perdonava solo perché durante il viaggio a Dubai che mi aveva estorto il 9 maggio 2009, dopo le misure cautelari, io era stato gentile con lui pagandogli tutte le sue richieste (escort comprese)». A Nardi dice di aver pagato viaggi a Londra, a Cortina, in Sardegna. A Savasta un viaggio in Turchia per tutta la famiglia «compresa la sorella Emilia, il cognato e un’amica che non so chi sia», nell’unico albergo sei stelle di Istanbul, con trattamento full credit («pagavo io pure gli extra») per una spesa di 20.000 euro.


NARDI
D’Introno dice di aver conosciuto Nardi nel 2006 tramite un geometra della sua azienda (allo stato non indagato) che portò all’allora gip di Trani una copia del suo avviso di garanzia per usura: «In Corato, poi, era noto che anche per il caso Ferri era stato il geometra Attilio De Palma a presentare Nardi alla famiglia Ferri», gli imprenditori di Corato recentemente assolti per prescrizione dall’accusa di bancarotta che hanno raccontato la loro storia alla Procura di Lecce. Il primo appuntamento con Nardi a novembre 2006 in via Tasselgardo, a Trani in un bar nei pressi di Trony, sotto casa di Nardi, posto che diventerà centrale in questa storia: per il solo incontro pagò 30.000 euro. Di solito, dice, si vedevano «nel negozio Trony nel reparto della musica», che era «uno dei posti dove Nardi mi portava quando bisognava parlare di cose illecite perché c’era la musica alta. Mi impose di non comprare un telefono tipo smartphone perché temeva le intercettazioni con i trojan».


A febbraio 2017 Nardi «mi chiese 200.000 euro se volevo evitare la custodia in carcere, io non gli credetti (…). Il giorno 8 aprile 2007 si presentarono nella Ceramiche Base il dottor Nardi e il geometra De Palma dicendo che sarei stato arrestato e mi avrebbero sequestrato i beni in via cautelare». È l’indagine «Fenerator», quella per usura: gli arresti scattano, D’Introno non si fa trovare ma si consegna dopo alcuni giorni e finisce in carcere. Ad agosto 2007 «Nardi tramite il geometra chiese 30.000 euro per far convertire gli arresti domiciliari in obbligo di dimora». Il gip Roberto Del Castillo il 17 agosto aveva rispedito Nardi in carcere prima di andare in ferie, il 25 agosto il gip di turno gli concede l’obbligo di dimora. Quando rientra, il 10 settembre, Del Castillo ripristina il carcere. Nardi, dice D’Introno, gli chiese altri 60.000 euro per evitare delle verifiche fiscali che poi puntualmente arrivarono e portarono all’emissione di cartelle esattoriali milionarie. Quelle che poi Savasta si presterà a sequestrare.


SAVASTA
D’Introno dice di aver conosciuto l’ex pm Savasta quando fu sentito a Lecce per il caso Nardi-Caserta. Savasta «mi ha chiesto soldi sia per fare atti normali per il suo lavoro che per assicurarmi di non perseguitarmi». Anche di recente, nel 2018, «Savasta si è interessato alla mia vicenda tributaria in Cassazione, dopo il suo trasferimento a Roma. Parlava con un commercialista che era amico del relatore», un giudice napoletano: l’ex pm riferì a D’Introno che questo giudice non poteva intervenire proprio perché la vicenda era oggetto dell’indagine di Lecce.
L’ex cognato di Savasta, Savino Zagaria, anche lui indagato, «si è prestato a fare da corriere per la consegna del denaro a Savasta, anche in relazione ai soldi da me versati per il procedimento delle cartelle esattoriali», facendo una cresta di almeno 40.000 euro. «Il Savasta – prosegue D’Introno – mi ha chiesto soldi per tutta la sua famiglia a partire dai lavori di ristrutturazione alla palestra compresi tutti gli attrezzi scelti da Emilia Savasta e Zagaria Savino». La signora Savasta al momento non risulta indagata e sostiene di essere estranea a ogni accordo illecito.


LA STANGATA
A Paolo Tarantini (che in questa storia è vittima) vengono tolti 400.000 euro per far sparire un (falso) avviso di garanzia per reati fiscali. Il primo incontro di Tarantini con Savasta e Nardi, racconta D’Introno, avvenne a Barletta («In zona Patalini presso la palestra di Emilia» Savasta: «L’ho allestita io interamente per circa 50-60 mila euro»). D’Introno racconta di essere arrivato con Tarantini e di aver aspettato fuori in macchina, e quando l’incontro terminò la sorella di Savasta «mi diede una bustina piccola tipo quelle dei bigliettini di condoglianze, chiusa, dicendomi di darla al signor Tarantini». Dentro la busta, su un bigliettino, era scritta la somma di 400.000 euro. Quando andarono via Tarantini la aprì «e si mise a piangere disperato». 
D’Introno dice che prestò all’imprenditore 150mila euro per far fronte alla richiesta, soldi che avrebbe poi scontato in viaggi presso l’agenzia di Tarantini. La consegna avvenne in due tranche, sempre con D’Introno accompagnato in macchina da Tarantini. I primi 200mila euro in una stazione di servizio Esso tra Trani e Corato, dove si presentò una Bmw («Era con certezza la macchina utilizzata da Nardi e a bordo c’era la sorella»), la seconda in Corato, «sempre in contanti in una cartellina chiusa, di fronte al magazzino di mio zio», dove D’Introno e Tarantini andarono «sempre su indicazione di Nardi»: «Trovai una macchina alta e scura a bordo della quale si trovava la sorella di Savasta». Dopo una settimana ci fu un incontro a casa di Savasta dopo una settimana con Di Chiaro: «Savasta gli dette una busta con 30.000 euro e disse “divideteveli”», con chi aveva partecipato alla stangata a Tarantini, che tra l’altro fu costretto a comprare da Trony «10-15 telefonini, 4-5 pc portatili, un frullatore a immersione Moulinex». Tutta roba per Nardi.


SCIMÈ
Fu Savasta, dice D’Introno, a preannunciargli le richieste che l’allora pm Luigi Scimè avrebbe fatto a suo carico nel procedimento per usura: lo fece «sul terrazzino di casa della madre di Savasta, a Barletta». Non gratis: «Non avevo avuto alcun contatto diretto con Scimè, la somma venne da me consegnata nelle mani di Savasta il giorno prima della requisitoria: 30.000 euro in banconote da 500 all’interno della “Gazzetta” che consegnai a Savasta all’interno del bar». Per il rinvio a giudizio di una testimone che lo accusava di usura, la Frualdo, «Scimè pretese 15.000 euro, andai sotto casa di Nardi e gli consegnai una busta gialla da imballaggio che Nardi consegnò direttamente a Scimè che era lì ad aspettare» sotto i portici. D’Introno dice di aver assistito allo scambio: poi «Scimè si allontanò e io e Nardi bevemmo l’aperitivo al Bar dello Studente». Infine, i soldi per far archiviare le indagini sugli attentati alle ville della moglie di D’Introno. «Nardi mi disse che dovevo dare 30.000, ma io gli portai solo 20mila» sempre nel solito Trony. Il saldo del debito, dice D’Introno, avvenne a Milano in un bar in zona piazza Duomo. «Giorno e ora dell’incontro me li indicò Savasta. Io mi limitai a dire “buongiorno dottore” e gli consegnai la busta con i soldi». Gli ultimi 10mila euro.

Corruzione in atti giudiziari, 14 arresti a Salerno: ci sono anche due giudici tributari

Ci sono dieci cause tributarie per un valore d’imposta di circa 15 milioni di euro al centro dell’inchiesta della Procura di Salerno che ipotizza episodi di corruzione negli uffici della sezione distaccata della commissione tributaria regionale. L’inchiesta, condotta dal nucleo di polizia economica della Guardia di Finanza, è coordinata dalla pm Elena Guarino con il procuratore aggiunto Luigi Alberto Cannavale ha portato agli arresti di due giudici tributari, Fernando Spanò e Giuseppe De Camills, 6 imprenditori, 4 consulenti e 2 impiegati. Agli atti dell’indagine, anche video che documentano passaggi di denaro. Le misure sono state emesse dal giudice Piero Indinnimeo. Tutti gli indagati potranno replicare alle accuse nei successivi passaggi del procedimento. La difesa potrà proporre ricorso al Riesame per ottenere le scarcerazioni.

Corruzione in atti giudiziari, 14 arresti a Salerno: ci sono anche due giudici tributari

“Le corruzioni erano immediate, abbiamo messo la parola fine”, ha sottolineato il procuratore reggente di Salerno, Luca Masini. E ha aggiunto: “In un un caso, le sanzioni tributarie contestate nell’accertamento ammontavano a sei milioni di euro. In media, le mazzette andavano dai 5 mila ai 30 mila euro, suddivise tra i due impiegati che contattavano gli imprenditori o i loro fiscalisti per proporre le corruzioni. Le somme venivano consegnate in contanti, quasi sempre il giorno prima della decisione. Durante le perquisizioni sono sta sequestrati 50 mila euro in in contanti nell’abitazione di uno degli impiegati e migliaia di euro nell’abitazione dell’altro”.

Il procuratore aggiunto Cannavale parla di “tristezza, perché il cittadino pensa che esista una giustizia giusta, invece in questo caso era asservita a un interesse. Ma questa, come ha sottolineato il gip, è solo la punta di un iceberg. La corruzione era duplice, per condizionare sia l’iter procedimentale sia l’esito della causa”.

Nelle intercettazioni, le tangenti diventavano “mozzarelle”. Per una decisione, racconta la pm Guarino, “è stato cronometrato che, in un caso, ci hanno messo 4 secondi. La consegna dei soldi avveniva nel vano ascensore della commissione, in casa o comunque in luoghi al riparo da altri”

Rif: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/05/15/news/corruzione_in_atti_giudiziari_14_arresti_a_salerno_tra_cui_due_giudici_tributari-226307745/

Arrestati giudici al servizio degli evasori

Gli scambi avvenivano in ascensore. L’inchiesta della Procura di Salerno su un giro di sentenze pilotate svela uno spaccato criminale in cui giudici infedeli erano al servizio di imprenditori in guerra con il Fisco. Ieri mattina all’alba è scattato il blitz: la Guardia di Finanza di Salerno, su richiesta della Procura della Repubblica di Salerno, ha arrestato 14 persone accusate di corruzione in atti giudiziari. Gli indagati sono due giudici tributari della locale sezione distaccata della Commissione tributaria regionale, due dipendenti amministrativi assegnati allo stesso ufficio, sei imprenditori e quattro consulenti fiscali, tra i quali un avvocato fiscalista. Secondo l’accusa avevano costituito un «efficace» sistema per pilotare l’iter procedimentale e condizionare a favore degli imprenditori corruttori l’esito di procedimenti tributari originati da accertamenti dell’agenzia delle entrate della Guardia di Finanza di Salerno.

Le imposte evase, gli interessi maturati e le sanzioni amministrative annullate con le decisioni condizionate dalla corruzione, ammontano a circa 15 milioni di euro. Ma c’è il sospetto che il danno per le casse dello Stato sia enorme. Per il procuratore vicario degli uffici giudiziari salernitani Luca Masini la prima parte dell’inchiesta è «solo la punta di un iceberg. Andremo avanti con ulteriori accertamenti». La fame di denaro dei era tale che un giudice pare abbia rinunciato a un delicato intervento chirurgico pur di non mancare in udienza per decidere una causa che doveva «pilotare». L’episodio è contenuto in uno dei passaggi nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere con cui il gip di Salerno Pietro Indinnimeo, descrive la condotta di uno dei due giudici arrestati. Il timore di essere intercettati aveva spinto le persone coinvolte nell’inchiesta a usare un linguaggio criptico: nelle conversazioni intercettate dagli inquirenti i ricorsi tributari da «aggiustare» diventavano «comprare una macchina», invece, il denaro prezzo della corruzione «mozzarelle». Gli importi pagati ai due giudici per ottenere sentenze favorevoli andavano dai 5mila ai 30mila euro, anche se in alcuni casi sono state promesse altre dazioni, come l’assunzione del figlio di un giudice da parte di una delle società coinvolte oppure la concessione in uso gratuito di un appartamento in città.

Durante le perquisizioni eseguite, i baschi verdi hanno sequestrato, a casa di funzionario, la somma in contanti di 53mila euro; mentre, a casa dell’altro, diverse migliaia di euro, sempre in contanti. In uno dei frame delle telecamere posizionate all’interno dell’ascensore, si vede come un consulente consegna diverse banconote da 50 euro ad un impiegato amministrativo. Quest’ultimo direbbe al suo interlocutore: «No, no. Ora scendiamo. Veloce… veloce; vieni vieni». Immagini che per gli inquirenti non lasciano spazio a dubbi sull’enorme giro di corruzione scoperto in Campania.

Rif: http://www.ilgiornale.it/news/politica/arrestati-giudici-servizio-degli-evasori-1695388.html

Corruzione a Salerno, arrestati due giudici tributari 15 maggio 2019 „Mazzette per pilotare sentenze, 14 arresti a Salerno: coinvolti anche giudici tributari“

Corruzione a Salerno, arrestati due giudici tributari 15 maggio 2019
„L’operazione, coordinata dalla Procura, è stata eseguita dai finanzieri del Comando Provinciale. Agli indagati è contestato il reato di “corruzione in atti giudiziari”: intascavano fino a 30mila euro, ricevevano anche promesse di assunzione per figli“

Mazzette fino a 30mila euro, intascate anche in ascensore, per pilotare l’iter procedimentale e condizionare, a favore di imprenditori che li avevano corrotti, l’esito di accertamenti tributari avviati dopo gli accertamenti e le segnalazioni dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. Con l’accusa di corruzione in atti giudiziari sono finite in manette 14 persone che avevano messo su – secondo l’accusa – un efficace sistema per ottenere sentenze favorevoli. I militari hanno individuato, in totale, dieci procedure il cui iter è stato condizionato dalla corruzione posta in essere. Gli indagati erano molto attenti e parlavano in codice: quando si riferivano a soldi, dicevano “mozzarelle”. “Uno dei giudici coinvolti – hanno spiegato in conferenza – aveva fama di fame di soldi: avrebbe dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico ma lo ha rimandato, pur di presentarsi puntuale a una delle udienze della Commissione Tributaria”. 

Il danno erariale

L’azzeramento delle somme dovute – complici le sentenze pilotate e favorevoli, imposte evase, gli interessi maturati e le sanzioni comminate – produce un quadro inquietante: il danno erariale stimato è di circa 15 milioni di euro. A uno dei due dipendenti della Commissione tributaria sono stati sequestrati 50mila euro in contanti. Una società di Siano, grazie all’azzeramento del debito previa corruzione, ha risparmiato 8 milioni di euro. Uno sconto di 1 milione di euro per un’altra società di Salerno. I ricorsi presentati dagli imprenditori che poi hanno corrotto giudici e dipendenti erano stati quasi tutti respinti in primo grado dalla Commissione Tributaria.

Le persone coinvolte

L’ordinanza cautelare di custodia in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Salerno, su richiesta della Procura della Repubblica, ha coinvolto due Giudici Tributari della sezione distaccata della Commissione Tributaria Regionale della Campania, due dipendenti amministrativi, sei imprenditori, quattro consulenti fiscali. Risulta coinvolto anche un avvocato.

Il blitz

Alle prime luci dell’alba i finanzieri del comando provinciale di Salerno hanno eseguito un’ordinanza cautelare applicativa della custodia in carcere. Sono intervenuti dopo aver intercettato e filmato anche passaggi di denaro in contanti in ascensore. Per il tramite dei due dipendenti amministrativi, che poi trattenevano la propria parte, i soldi arrivavano ai giudici tributari. Il passaggio di soldi avveniva sempre il giorno prima dell’udienza fissata presso la Commissione Tributaria. La Guardia di Finanza ha effettuato perquisizioni anche negli uffici della Commissione Tributaria e presso le abitazioni di alcuni professionisti indagati, la cui posizione adesso è al vaglio degli inquirenti.

Il retroscena

In una circostanza, uno degli indagati si è anche lamentato: ha considerato “il regalo” – da cinquemila a trentamila euro, in base alla circostanze – ritoccato verso il basso e dunque sproporzionato, rispetto alla portata dell’operazione da portare a termine. Ha dunque preteso una integrazione, sempre in contanti, minacciando un provvedimento non in linea con le aspettative del corruttore. I regali non si fermavano alle dazioni in denaro e avvenivano non solo in ascensore ma anche presso le abitazioni degli indagati: era stata promessa l’assunzione del figlio di uno dei giudici, da parte degli imprenditori corruttori, poi promesso l’utilizzo di un appartamento in città, a titolo gratuito.

Le reazioni

“Indagine molto importante perchè consente di toccare con mano il danno enorme non solo per la casse dello Stato ma anche per tutti i contribuenti, perché le imposte servono a finanziare i servizi ai cittadini – ha spiegato il Procuratore della Repubblica Vicario, Luca Masini –  Il sistema corruttivo posto in essere incide pesantemente sull’organo di controllo giurisdizionale di secondo grado che ha il dovere di verificare la fondatezza o l’infondatezza delle lamentele del contribuente sottoposto all’accertamento e quindi di mettere la parola fine. Attraverso il sistema corruttivo, invece, venivano pilotati gli iter procedimentali e prima ancora l’assegnazione delle cause e dei ricorsi ai due magistrati che si presume possano essere corrotti. L’esito favorevole per i contribuenti ribaltava la decisione assunta in primo grado dalla Commissione Tributaria avverso i ricorsi proposti. Sono milioni di euro le somme sottratte. L’indagine è la punta di un iceberg, tant’è che la Procura della Repubblica ha dovuto immediatamente concludere le indagini, perché le fattispecie corruttive erano via via programmate quotidianamente. I ricorsi che abbiamo accertato avevano un sistema che prevedeva la selezione di alcuni casi da parte dei dipendenti, sulla base di alcune persone che conoscevano. Poi veniva fatta la proposta per ottenere una sentenza favorevole, attraverso la corruzione”.

Rif: http://www.salernotoday.it/cronaca/corruzione-salerno-arresto-due-giudici-tributari-15-maggio-2019.html

Il caos al Csm svela il nuovo girone infernale della cultura del sospetto

Se non si sono salvate le eminenze, quale sorte toccherà ai povericristi quando la Santa Inquisizione del Trojan andrà a giustiziare vecchi e nuovi nemici dell’onestà-tà-tà?

A vederli così, stravolti e smarriti, attorno al tavolo tondo di Palazzo dei Marescialli, fanno quasi tenerezza. Sono lì che annaspano, che si affannano, che si gonfiano i polmoni di ipocrisia e di retorica, che tentano con i ditini alzati di farsi coraggio a vicenda dicendo che in fondo le mele marce sono solo cinque, che l’esplosione dello scandalo è stata devastante ma si può ancora risorgere, che non tutto è perduto perché la maggioranza dei magistrati “dovrebbe” essere sana.

Rif: https://www.ilfoglio.it/giustizia/2019/06/06/news/il-caos-al-csm-svela-il-nuovo-girone-infernale-della-cultura-del-sospetto-258945/

Guerra tra toghe, l’attacco dei penalisti: «Ora il Csm va cambiato»

Secondo il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Gian Domenico Caiazza, bisogna «portare in parità il numero di membri togati e laici per spezzare il dominio delle correnti della magistratura».

È attesa per il Plenum straordinario al Consiglio Superiore della Magistraturaconvocato per stamattina, martedì 4 giugno, a Roma, dopo che una vera e propria bufera si è scatenata sulla magistratura. Al centro, la vicenda procure che ha coinvolto diversi magistrati, a partire da Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e uomo forte di Unicost, la corrente centrista delle toghe, coinvolto nell’inchiesta di Perugia per presunta corruzione: per lui il Csm attiverà i probiviri. Una tempesta dimostrata anche dal fatto che nella serata del 3 giugno il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, è salito al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Il Plenum del Csm dovrà prendere atto delle dimissioni del consigliere Luigi Spina, capogruppo di Unicost indagato a Perugia per favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d’ufficio, dimessosi venerdì da Palazzo dei Marescialli. Secondo indiscrezioni, al momento la presenza del capo dello Stato – che per Costituzione è presidente di diritto del Csm – non è in programma contrariamente alle informazioni circolate nei giorni scorsi. «Ovviamente prescindiamo da ogni valutazione sui fatti di responsabilità penale ipotizzata a carico di questo o di quello», dice a Open il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Gian Domenico Caiazza. «Ma qui si scopre l’acqua calda». 

Rif:https://www.open.online/2019/06/03/guerra-tra-toghe-lattacco-dellucpi-il-csm-va-riformato-oggi-la-giustizia-viene-a-patti-con-la-politica/

Tangenti in cambio di favori processuali: arrestati i magistrati Savasta e Nardi

Al termine delle indagini condotte dalla procura di Lecce, sono stati arrestati l’ex pubblico ministero Antonio Savasta, e l’ex giudice per le indagini preliminari Michele Nardi entrambi al Tribunali di Trani. Le accuse sono di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018.

Due magistrati del Tribunale di Roma, entrambi precedentemente in servizio presso la procura di Trani, sono stati arrestati al termine delle indagini condotte dai pm di Lecce, Leonardo Leone De Castris e Roberta Licci.

Secondo quanto si apprende dall’agenzia di stampa Ansa, l’ex pubblico ministero del Tribunale di Trani, Antonio Savasta, ora giudice del Tribunale di Roma, e Michele Nardi, pm a Roma, ex giudice per le indagini preliminari a Trani e magistrato all’ispettorato del ministero della Giustizia, sono stati arrestati con le accuse di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018, dunque negli anni in cui erano in servizio a Trani.

«Il ricorso alla misura cautelare si è reso indispensabile tenuto conto del concreto pericolo di reiterazione di condotte criminose e del gravissimo, documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio», ha evidenziato in una nota stampa il procuratore della Repubblica di Lecce, Leonardo Leone de Castris.

Le indagini della procura di Lecce hanno inoltre portato all’arresto di un ispettore di polizia e all’interdizione di un imprenditore fiorentino e di due avvocati di Bari e Trani. La nota di de Castris chiarisce inoltre che la Procura di Lecce ha indagato sulla vicenda in base all’articolo 11 del Codice di Procedura penale poiché si tratta di reati commessi da magistrati in servizio nel distretto della Corte d’appello di Bari di cui è competente la magistratura salentina.

La procura di Lecce avrebbe accertato che i magistrati arrestati avrebbero garantito esiti processuali positivi in diverse vicende giudiziarie e tributarie in favore degli imprenditori coinvolti in cambio di ingenti somme di danaro e, in alcuni casi, di gioielli e diamanti. La procura, infatti, ha inoltre sequestrato denaro, conti correnti e beni, tra cui un orologio Daytona d’oro e diamanti, trovati nella disponibilità di Nardi.

Oltre ai due magistrati, è stato arrestato anche l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro e sono stati interdetti dalla professione per un anno invece gli avvocati Simona Cuomo e Ruggiero Sfrecola. Nardi, Savasta, Di Chiaro e Cuomo sono accusati di associazione per delinquere finalizzata a una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale. Gli altri indagati sono accusati, a vario titolo, di millantato credito, calunnia e corruzione in atti giudiziari.