Magistratura corrotta, nazione infetta

Delle sorde, sordide, lotte intestine che si sono scatenate fra le varie correnti del Csm e i magistrati a esse legati per accaparrarsi il posto di Procuratore capo di Roma lasciato libero un mese fa da Giuseppe Pignatone, che hanno a loro volta scoperchiato, come in una matrioska, altri fondi e sottofondi dello stesso genere per assicurarsi posizioni apicali nell’ordine giudiziario, col corollario di altissimi magistrati sospettati di essere disposti a vendersi per un anello da regalare alla moglie, per sbafare una vacanza in qualche località prestigiosa, e di frequentazioni equivoche, in questo caso non più sospettate ma documentate, con uomini politici, faccendieri, imprenditori indagati per gravi reati, insomma di questo guazzabuglio sinistro e quasi inestricabile abbiamo capito una sola cosa, quella scritta (Fatto, 31.5) da Gian Carlo Caselli, ex Procuratore della Repubblica di Torino fra i tanti incarichi che ha avuto, cioè che “l’impatto vero e tremendo” di questa storia grava “sull’indipendenza della Magistratura”.

Noi, che non siamo magistrati né ex magistrati, e siamo quindi liberi da ogni riguardo di colleganza, diremo qualcosa di più: dalle notizie emerse in questi giorni, anche se fossero confermate solo in parte, si ricava che la Magistratura italiana, come ogni altro corpo del nostro Stato, è corrotta, con tutta probabilità anche penalmente, di sicuro moralmente. “Pecore nere” ci possono essere ovunque, questo è ovvio, ma qui il dissesto morale, e forse anche penale, appare di sistema. E se anche si trattasse solo di sospetti bastano per incrinare la fiducia dei cittadini nella credibilità della Magistratura. E con una Magistratura ritenuta, a torto o a ragione, più a ragione, temiamo, che a torto, poco credibile, si minano alle radici le fondamenta stesse dello Stato e della democrazia. In uno Stato di diritto la Magistratura è il massimo organo di garanzia di una corretta convivenza fra i cittadini, non lo è, benché sia capo del Csm, il presidente della Repubblica che in quest’ambito ha di fatto solo un potere di moral suasion che in un Paese come il nostro dove l’immoralità e la corruzione, nelle Istituzioni e non, sono dilaganti, lascia il tempo che trova. Se settori della Magistratura e singoli magistrati non agiscono per la difesa di quella legalità di cui dovrebbero essere gli integerrimi custodi, ma per fini propri diversi da quelli di giustizia, allora casca l’asino. Si rompe cioè il contratto sociale che dovrebbe tenerci insieme. Diventa anche patetico il disperato grido dei Cinque Stelle “legalità, legalità” se a violarla sono proprio quelli che dovrebbero assicurarla. E si rischia di dar ragione al mantra di Silvio Berlusconi che, coadiuvato dalla potenza di fuoco dei suoi media, ha sempre sostenuto, e tuttora sostiene, di essere stato e di essere vittima di una “magistratura politicizzata”. E allora avremo davvero toccato il fondo.
Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/06/04/magistratura-corrotta-nazione-infetta/5230178/

Csm, tutte le trame di Palamara, Lotti & Co.: «Se mi intercettano, diranno che sono la P5»

Csm, tutte le trame di Palamara, Lotti & Co.: «Se mi intercettano, diranno che sono la P5»

Le nuove rivelazioni choc dell’inchiesta. Il pm indagato per corruzione: «Ho parlato di Roma, di Lo Voi, di Creazzo: possono dire che sono quello che fa le nomine». Le mire dei congiurati: «Ridimensionare» la procura di Napoli e ricattare Pignatone. «È un matto vero, uno stronzo. Tu devi solo fargli capì che finisce male». Il pm Sirignano a Palamara: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti»

L’informativa del Gico della Guardia di Finanza è un pozzo senza fondo. Letta dall’inzio alla fine, disegna un sistema mefitico di intrallazzi e operazioni oscure che hanno un solo obiettivo: la gestione assoluta del potere. In particolare, del potere giudiziario in Italia. Fuori ogni canone costituzionale. Fuori ogni logica democratica.

Protagonisti della storia, come sappiamo dalle cronache delle ultime due settimane, toghe di primo livello della magistratura italiana, e alcuni politici che tramano – insieme a loro – per piazzare uomini graditi in cima agli uffici giudiziari più delicati del Paese. Regista indiscusso del film horror sulle nomine, almeno a leggere le trascrizioni delle registrazioni effettuate dal trojan piazzato dal Gico della Guardia di Finanza nel suo cellulare, è Luca Palamara.

Il boss della corrente centrista di Unicost, indagato a Perugia in merito a una presunta corruzione per alcuni viaggi e utilità che avrebbe ricevuto dall’imprenditore Fabrizio Centofanti, è stato ascoltato per mesi.

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Magistratura dipendente, al servizio dei politici

Corruzione diffusa. Guerre di potere per sistemare amici e proteggere la propria cricca, a Roma ma non solo. Così le toghe sono finite nel fango 

E le sue conversazioni con i piddini Luca Lotti e Cosimo Ferri (magistrato in aspettativa e influente esponente di Magistratura indipendente), con alcuni membri del Consiglio superiore della magistratura e pm assortiti stanno terremotando l’intero sistema giudiziario nazionale.

Finito d’improvviso nel gorgo di una crisi morale ed etica che ha pochissimi precedenti nella storia repubblicana (cinque componenti del Csm si sono già dimessi, e ieri lo scandalo ha travolto il sindacato della categoria, l’Anm: ne ha fatto le spese il presidente Pasquale Grasso, di Mi, che ha lasciato l’incarico; al suo posto è stato eletto Luca Poniz, della corrente di sinistra Area).

Già sappiamo che i congiurati, in un incontro notturno avvenuto lo scorso 9 maggio in un hotel romano, discutevano – in un clima a metà tra mercato delle vacche e riunione carbonara – delle nomine delle più importanti procure italiane.

Sappiamo anche che per Roma il preferito del gruppetto era Marcello Viola, di cui Palamara voleva diventare braccio destro, in modo da provocare una «discontinuità» (scrive il Gico) rispetto alla gestione di Giuseppe Pignatone. Sappiamo soprattutto che Lotti (imputato nel caso Consip) ragionava di alcuni dossier da usare contro Paolo Ielo, cioè il pm che lo ha rinviato a giudizio per favoreggiamento. Sappiamo infine che molti astanti si informavano su altre carte che avrebbero potuto inguaiare la candidatura di Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze che ha fatto arrestare qualche mese fa i genitori di Matteo Renzi.

«DIRANNO: IO SONO LA P5»
Ma il pozzo, come detto, è senza fondo. E se il pm Giuseppe Cascini ha invocato la P2, la loggia massonica guidata da Licio Gelli, le nuove intercettazioni pubblicate ora dall’Espresso descrivono comportamenti allarmanti da parte di pubblici ufficiali. Ricatti incrociati, minacce, veleni, dossieraggi contro i nemici. Fughe di notizie, e un uso strumentale dei giornali. Condotte che per qualcuno (a oggi il fascicolo sulle nomine non ha indagati, ma sono una dozzina i magistrati finiti nel fango etico dell’inchiesta di Perugia) potrebbero essere al limite dell’eversione.

Per bocca degli stessi protagonisti dell’affaire, infatti, le manovre appaiono delineare una sorta «di P5».
La definisce così proprio Palamara, quando – parlando con Stefano Fava, l’amico pm che ha depositato un esposto al Csm contro Ielo e Pignatone, in merito a presunti confitti d’interesse per alcuni contratti avuti da rispettivi fratelli, due avvocati professionisti) – inizia a temere di essere stato intercettato per lungo tempo.

Fava: «Penso che ti ha intercettato, sto pezzo…»
Palamara: «Io non lo escludo più»
Fava: «Io non ho mai visto un’indagine fatta da Perugia… su un magistrato romano… mai!»
Palamara: «Eh! Beh! L’informativa è del Gico… è di coso…»
Fava: «Del Gico… Ovviamente è sicuro questo… perché ovviamente il Gico indagava nel nostro procedimento»
Palamara: «Liguori mi ha detto… che ero archiviato… però a questo punto secondo me non è vero».

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Gherardo Colombo

«Anche la P2 voleva controllare le procure. La magistratura sa fare pulizia al proprio interno» 

Lo scandalo delle nomine inquinate ha travolto il Csm. Ma alcune delle soluzioi proposte sembrano solo metodi per minare l’indipendenza delle toghe. Parla Gherardo Colombo, ex magistrato di Milano che ha scoperto la loggia massonica

Palamara sa che la notizia dall’indagine su di lui è arrivata al Csm.

Palamara: «Ma io, se mi chiama qualcuno in Prima Commissione (del Csm, ndr) devo dire: “Signori, voi mi chiamate qui… io purtroppo conosco questa storia… ve la dico oggi… la so da un anno e mezzo…»
Fava: «Eh»
Palamara: «Vediamo, come dici tu… per il fascicolo loro mi fanno vedere le intercettazioni? Ci dovrebbero… mi dovrebbero dare pure quelle… e che teoricamente sono irrilevanti ai fini dell’ipotesi principale no? Perché se io parlo… se a Roma viene Lo Voi, o Creazzo…»
Fava: «Vabbè certo… certo»
Palamara: «Eh… però loro ti possono dire che io sono la P5… che sono quello che fa le nomine!»
Fava: «Certo! Certo!»
Palamara: «E quindi in teoria mi possono… è pazzesco… capisci che ti voglio dire?»

UN LIBRO CONTRO PIGNATONE
Palamara è arrabbiato. Sa che l’inchiesta per presunta corruzione dei pm di Perugia rischia di farlo finire nella polvere, e di far saltare tutta l’operazione. Che sembra essere composta da due fasi diverse: da un lato, spingere il suo candidato per Roma (Marcello Viola) nella commissione del Csm che deve scremare con un voto i 13 candidati (la speranza è che lui stesso poi diventi il suo braccio destro) e lavorare per trovare un buon successore del procuratore De Ficchy a Perugia.

In secondo ordine distruggere – attraverso dossier e veleni sparsi a piene mani – quelli che considera i suoi avversari: a partire da Creazzo, che con Lo Voi e Viola è il più accreditato successore di Pignatone, fino ai suoi nemici mortali. Cioè lo stesso Pignatone e Paolo Ielo, i due che hanno osato inviare a Perugia, che ha competenza a indagare sui reati dei magistrati capitolini, la storia dei presunti viaggi pagati da Centofanti.

Sul tentato dossieraggio a Ielo l’Espresso ha già scritto negli scorsi giorni. Il report del Gico, però, mostra anche l’odio feroce che Palamara sembra nutrire verso Pignatone. I rapporti un tempo tra i due, ricorda Luca a Spina che non si capacita, erano un tempo più che buoni. Ora, secondo il pm, il suo capo (oggi in pensione) è diventato il perno di un oscuro complotto contro di lui. Per questo, dunque, bisogna punirlo:

Palamara: «… E soprattutto quel matto di Pignatone. Perché il matto vero è Pignatone…»
Spina: «E che c’ha da capì»
Palamara: «Perché tu… dopo tutte ste cose che sappiamo…»
Spina: «Luca… ma come che c’è da capire… ancora non hai capito. Il potere! Luca…»
Palamara: «Esatto. Ma qualcuno ha ricattato Pignatone… Pignatone…»
Spina: «Eh ma…è ricattabile Pignatone…»
Palamara: «Lo Voi (il procuratore capo di Palermo, ndr) lo fa Pignatone…. il ricorso di Guido Lo Forte (ex procuratore che nel 2015 fece ricorso al Tar e al Consiglio di Stato contro la designazione di Lo Voi, vincendo in primo grado e perdendo al secondo)… c’è pure Pignatone in mezzo… vabbè è meglio che non ti racconto… loro sono dei matti perché Peppe, Peppe…»
Spina: «È soltanto potere»
Palamara: «Scherza col fuoco… tu devi solo fargli capì… secondo me, se gli fate rode il culo finisce male»

Leggendo la trascrizione del Gico, dunque, Palamara suggerisce a Spina di andare a fare pressioni su “Peppe” (cioè Pignatone). Se non lo lasciano stare, se non mollano la presa, questa sembra essere l’antifona, lui potrebbe vendicarsi. Non si sa con quali mezzi. Né è chiaro che cosa c’entri la vecchia nomina di Lo Voi a Palermo.
Quella nomina decisa dal Csm, infatti, fu contestata sia da Lo Forte sia dal collega Sergio Lari. In primo grado il Tar diede ragione a questi ultimi, ma il Consiglio di Stato ribaltò poi la decisione, confermando Lo Voi al suo posto.
La sentenza a Palazzo Spada fu firmata dal presidente Riccardo Virgilio e da Nicola Russo, come ha scritto il Fatto Quotidiano qualche giorno fa. Il primo è stato indagato e il secondo è finito in carcere proprio a seguito di un’inchiesta della procura di Roma (e di Messina) su una sospetta compravendita di sentenze, ordita dall’imprenditore Piero Amara.

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Csm, le trame tra Lotti e Palamara su Ielo: «Il dossier va spinto». «Sì, così li ammazzo» 

L’Espresso ha letto le nuove intercettazioni. Stavolta l’ex ministro e il pm indagato per corruzione sono soli a cena. Il renziano contro Ielo: «Su di lui a noi la decisione. Che si fa? Si spinge? Una volta fatti anche i procuratori aggiunti». Il magistrato: «Fava è un matto. Siccome non mi frega un cazzo di nessuno, ora vado fino in fondo»

Torniamo a Palamara. Parlando con Spina, è ancora un fiume in piena.

Palamara: «A Stefano (Fava probabilmente, ndr) gli raccontavo i fatti, e lui diceva, allora c’è qualcosa che non va…”guarda che ti vogliono inculare, occhio che lo utilizzano (Centofanti, ndr) come arma di ricatto”, mi faceva “dimmi la verità, hai fatto qualche processo e l’hai aiutato”. “Stefano, mai: perché non stavo in ruolo, nel 2011 ero nel pieno dell’Anm”…e allora (Stefano) ha iniziato a dire, viene fuori il fratello di Pignatone, di Ielo… mi ha detto “fottitene,vai in fondo, qualsiasi cosa ti fanno, li vendi”»

“Li vendi”. Palamara, che si autodefinisce «la P5», dice proprio così. Minaccia e sbraita, ipotizza apertura di fascicoli e intimidazioni assortite e poi, con una capriola logica, definisce in un’altro colloquio con Fava i suoi nemici «dei banditi…ricattatori di professione». L’idea finale dei due amici è quella di scrivere un libro contro di loro. Contro Pignatone, in particolare.

Palamara: «Cioè qui la cosa… è capire se pure Sebastiano (presumibilmente Ardita, pm e consigliere attuale del Csm della corrente di Davigo, ndr) capisce che cazzo c’è dietro. Sebastiano è forse l’unico che può capì sti ricatti»
Fava: «ma ora, ieri, ha chiamato a Erminio…»
Palamara: «Però dopo lo sai che facciamo, facciamo un libro, io faccio un libro, no non sto scherzando»
Fava: …(ride)…
Palamara: «… Na specie de ricatto…tu mi dai le co..eh..e tutto… è diciamo quello che cazzo è successo»
Fava: «Il titolo è “Ricatto alla Palermitana”…”Ricatto” punto “alla Palermitana»
Palamara: «alla Palermitana…»

DAVIGO E ARDITA, «I NOSTRI ALLEATI»
Le intercettazioni sul trojan mostrano manovre e operazioni di ogni tipo. In qualche caso i protagonisti parlano di strategie che mettono a punto in prima persona. Altre volte, invece, si discute di soggetti apicali della magistratura e delle istituzioni italiane, si ipotizzano alleanze con assenti e si millantano entrature nei Palazzi (come quella che Lotti vanta con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha smentito categoricamente di aver mai parlato con il renziano, o con chicchessia, di nomine di giudici.

Dunque, le parole degli intercettati su persone terze vanno prese con le pinze.

Come quelle su Davigo (membro del Csm e capo della corrente di Autonomia e Indipendenza) fatte da Ferri («cioè il nostro alleato è Davigo, più Davigo di Ermini», dice il deputato Pd; Davigo, è un fatto, ha votato a favore di Viola, ma può certamente averlo fatto per convinzione personale).

E come i tanti apprezzamenti che il gruppo, nel famoso incontro del 9 maggio, fa nei confronti di Ardita, neo membro del Csm in Prima Commissione (dove è finito l’esposto di Fava contro Ielo) e davighiano di ferro.

Spina: «Cè coso che vuole spingere… Sebastiano… digli di stare calmo..»
Ferri: «Ti volevo dire… scusami… ma voleva convocare Ielo?»
Spina: «No, voleva convocare Fava…per farsi…»
Corrado: «Calma, calma, calma…»
Spina: «Calma… più sta quella pratica meglio è»
Ferri: «Però Ardita lo inizio a rivalutare»
Palamara: «Sì»
Ferri: «È tosto… e nostro alleato è diventato… sai cosa, io l’ho capito Ardita… lui vuole rientrare e prendere in mano Magistratura indipendente politicamente… come segreteria, perché lui il cuore ce lo ha lì, dai»
Spina: «È più a destra di tutti Ardita, ragazzi…»
Ferri: «E poi lui gli piace la politica, perché è uno che ragiona… cioè lui non è un coglione».

Anche Palamara lo stima molto. Tanto che, qualche giorno dopo, discettando con Fava dei suoi problemi giudiziari (anche questi finiti davanti alla Prima Commissione del Csm), dice: «Questo ormai è un rica… è una storia pazzesca… poi a chi va a finire in prima commissione, per fortuna che c’è Sebastiano Ardita…».

IL CASO NAPOLI
I magistrati Palamara e Spina parlano di nomine e magheggi anche in auto. Non sanno che il Gico li sta intercettando. Ricordano di quando dovevano «inculà (Francesco, ndr) Cananzi». Palamara letteralmente spiega che «a Napoli abbiamo dato una marea di inculate… Cananzi ha iniziato a dare le botte contro il muro… ad urlà come un pazzo… perché il patto tra me, Massimo e Alberto… era il ridimensionamento di Napoli… quella era la mia politica precostituita».

Poi i due parlano di Cesare Sirignano, importante pm antimafia, anche lui – vedremo – intercettato dal trojan di Palamara.

Palamara: «Ognuno di Napoli si scredita con l’altro. Cioè, la Sica dice che Sirignano non conta un ca… Sirignano dice che la Sica non conta un ca… Sirignano su Napoli è l’unica carta che ci possiamo giocare…in questo momento mi fido di più di Sirignano».

In effetti, il pm indagato per corruzione e Sirignano (magistrato che contribuì ad arrestare il sanguinario boss Giuseppe Setola e che interrogò per primo Antonio Iovine, capo dei Casalesi) in un dialogo captato il 7 maggio sembrano davvero in ottimi rapporti.
Anche loro discutono di nomine e di pedine da muovere sul tavolo della scacchiera del potere giudiziario (in particolare Palamara voleva mettere a Perugia Giuseppe Borrelli, magistrato napoletano che – secondo l’indagato e Sirignano – avrebbe potuto gestire la denuncia contro Ielo di Fava; Borrelli ha però smentito duramente le parole intercettate di Sirignano, inviando una relazione di servizio al suo procuratore capo Giovanni Melillo).
Ma, soprattutto, parlano di possibili vendette.

Palamara: «Eh no tu hai detto Borrelli… Borrelli non ce l’hai?
Sirignano: «Borrelli è come hai detto tu… viene dopo di Maresca…. perché Maresca (presumibilmente Catello, ndr) è Unicost sicuramente, Borrelli mezzo e mezzo…»
Palamara: «E quindi che facciamo su Perugia? Tu mi hai chiesto che volevi… che bisognava dargli quello»
Sirignano: «Si perché tu non hai alternative… perché non puoi fare andare Antonio D’Amato come si prospettava»
Palamara: «Non si può Viola a Roma e D’Amato, no»

E quando Palamara chiede se Borrelli è in grado, una volta diventato capo a Perugia, di aprire un’inchiesta penale contro Ielo, Sirignano sembra capire al volo di che sta parlando il sodale:

Sirignano: «Ma quella cosa lì di quale, di Fava? … E quindi che cosa significa quella cosa lì deve andare avanti contro questi qua?
Palamara: «Eh… deve aprire un procedimento penale su Ielo… cioè stiamo a parlà di questo… non lo farà mai!»
Sirignano: «Io non lo so se Ielo è amico di Melillo… Se sono della stessa parte… tieni conto che Melillo e lui stanno in contrasto però»
Palamara: «Melillo e Borrelli?»
Sirignano: «Se voi non li uccidete questi qua…»
Palamara: «…non lo faremo mai…»
Sirignano: «…è chiaro che questa cosa non si fa»
Palamara: «Esatto»
Sirignano: «Uccidere questa gente significa andare a mettere le pedine nei posti giusti…significa dare visibilità alle vostre scelte».

Qualche giorno fa Sirignano, dopo la pubblicazione di poche frasi del dialogo rispetto a quelle che leggete ora, ha spiegato di non essere indagato, di essere estraneo a manovre di ogni sorta e ad accordi opachi di ogni genere. Chissà se poteva immaginare mai che l’amico Palamara, intercettato, era quello che si autodefiniva quello della «P5».

Rif:http://espresso.repubblica.it/palazzo/2019/06/17/news/csm-intercettazioni-luca-palamara-luca-lotti-p5-1.336056

La fine di un mito, onesti di qua e ladri di là

La magistratura è tutta un mondo di mazzette, impunità, raccomandazioni e intrallazzi con la politica? No, ma no come la politica non è tutto un mondo di corrotti, così come i professori universitari non sono tutti baroni, la sanità non è solo malasanità e perfino i giornalisti non sono tutti cialtroni. Se c’è una cosa che spero resti di questa inchiesta sul Csm, è la fine delle generalizzazioni.

È perfin banale osservare che non si può dividere l’umanità in categorie buone e categorie cattive. «La linea di demarcazione fra il bene e il male non è fra un gruppo di uomini e un altro gruppo di uomini, ma all’interno del cuore di ciascun uomo», diceva sant’Agostino. Di «ciascun uomo», perché ognuno di noi ha qualcosa da farsi perdonare. Mi fa inorridire sentire qualcuno che dice di sé «io sono una persona onesta», «io sono una persona perbene»: nel momento in cui afferma una cosa del genere ha già compiuto un atto di disonestà, cioè una menzogna, perché di esseri umani concepiti senza peccato originale ne risulterebbe uno solo, anzi una sola. «Il giusto pecca sette volte al giorno», dice la Bibbia.

E però va pur detto che ad avere alimentato questo mito della contrapposizione fra ladri e onesti è stata proprio la narrazione leggendaria sull’assoluta purezza della magistratura. Ci sono stati giornalisti e movimenti politici che hanno costruito le proprie fortune dipingendo l’Italia come uno dei Paesi più corrotti del mondo, i politici come tutti ladri, gli avvisi di garanzia come testi sacri. E adesso si scopre – ma che strano – che anche fra i magistrati non solo ci può essere chi sbaglia, ma pure chi è in malafede. Il risultato è che la fiducia nella magistratura è passata dal 95 per cento dei tempi di Mani Pulite all’attuale 44 (sondaggio di Noto di ieri). 
E il vero danno non l’hanno neanche fatto i magistrati finiti ora sotto inchiesta, ma i moralisti che li hanno idolatrati. Chiedo scusa se passo da una citazione di sant’Agostino a una di Andreotti, ma è troppo bella: «Io distinguerei le persone morali dai moralisti, perché molti di coloro che parlano di etica, a forza di discuterne, non hanno poi il tempo di praticarla».

Rif:https://www.quotidiano.net/editoriale/magistratura-anm-csm-1.4650640

Renziani E Magistrati Corrotti: La Massoneria Dei Brocchi

Una volta i massoni erano più accorti; la nuova generazione lascia parecchio a desiderare sul piano della riservatezza. Sarà l’eccesso di vanità o, come nel caso degli esponenti renziani, sete di potere che non conosce freni al punto da voler pilotare un organo di auto governo come il Consiglio Superiore della Magistratura.

Sotto il governo monarchico che lo istituì nel 1907, il CSM agiva, come tutti i magistrati, in nome del Re e con piena subordinazione al governo; qualcuno deve essersi appassionato a questo ricordo al punto da auspicarne il controllo del Partito Democratico – ce lo dice la cronaca – e del famigerato “governo delle larghe intese” già sperimentato in passato e coi motori accesi pronto a tornare sulla scena.

Il riferimento alla massoneria è un tributo alla memoria nonché all’intelligenza dei lettori; va ricordato innanzitutto che nel 2010, il PD si ritrovò al centro di una pesante polemica sui suoi iscritti che, contemporaneamente, risultavano iscritti al Grande Oriente.

Alcuni nel partito sollevarono questioni sull’inopportunità di accettare al proprio interno dei massoni, quelli che vennero fuori da diverse inchieste giornalistiche. Ma come suol dire, a volte la soluzione è sotto gli occhi di tutti e nel giro di pochi giorni, il PD mise mani al proprio statuto stabilendo nuove regole.

Il comitato dei Garanti stabilì  che si può essere massoni e iscritti al Pd. “Gelli uno di noi”avranno cantato in coro felici dopo aver approvato la nuova norma.

E sono proprio ispirati al gran maestro venerabile scomparso nel 2015 i traffici illeciti finiti sotto intercettazione di magistrati infedeli e uomini del PD. Il Piano di rinascita non è mai stato abbandonato ma gli attori che dovrebbero portarlo a compimento, non sono esattamente cavalli buoni su cui puntare. Dai vari scandali quotidiani, emerge piuttosto che siano dei “brocchi”.

Brocchi renziani per l’esattezza, capitanati da quello che si è rivelato il più brocco di tutti proprio per quella sete di potere che, a detta di molti, è stata ed è ancora “bulimica” e investe tutta la sua famiglia.

Racconta un noto esperto di massoneria, Gioele Magaldi, che i tentativi di Renzi di entrare in massoneria, risalgono agli anni in cui stringeva amicizia con Denis Verdini ex macellaio ora regista – fra una condanna e l’altra – di trame politiche nonchè neo suocero di Matteo Salvini.

Magaldi, nel suo libro “Massoni, Società a responsabilità illimitata”, dichiara apertamente che a Renzi non bastava una qualunque loggia toscana, lui voleva contare davvero nel panorama eversivo internazionale:

Renzi non desidera essere iniziato nel Grande Oriente d’Italia o in qualche altra comunione ordinaria della Penisola. Punta molto più in alto. Preferibilmente ad una delle Ur-Lodges (superlogge sovranazionali, nda) della rete di Mario Draghi (“Three Eyes”, “Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Der Ring”). Ma sarebbe molto felice, in alternativa, anche di essere affiliato alla “Leviathan”, grazie ai buoni uffici di Richard Nathan Haass, oppure alla “White Eagle” e/o alla “Hathor Pentalpha”, mediante il massone Michael Leeden”.

Secondo Magaldi, Renzi incontra Haass quando, da Presidente del Consiglio, si reca negli Stati Uniti per prendere parte al Council on Foreign Relations. Un incontro molto cordiale in cui gli viene spiegato che per farlo entrare nella prestigiosa Ur-Lodges, figure come Mario Draghi e Giorgio Napolitano, devono sostenerlo pienamente e i due, in quel preciso momento, lo ritengono inaffidabile per capacità.

Due precisazioni; Renzi non ha mai querelato Magaldi per queste rivelazioni messe nere su bianco e per quanto riguarda Draghi e Napolitano, è superfluo che vengano indicati come “liberi muratori” da Magaldi anche qui, senza che  sia seguita alcuna querela anzi, proprio dopo l’uscita del libro in questione, il M5S presenta una interrogazione al Parlamento che inizia cosi:

«Il Presidente della Repubblica riferisca sulla sua affiliazione alla loggia massonica segreta sovranazionale aristocratica reazionaria Three Eyes».

Napolitano non rispose. E’ più cordiale con le telefonate che con le interrogazioni parlamentari.

E’ cronaca ma tranquilli, nessuno si è scomposto. Tutti sanno e tutti ignorano.

Questo è il terreno nel quale si evolvono le note vicende degli ultimi giorni che portano l’imputato Luca Lotti  ad interfacciarsi con l’infedele magistrato Luca Palamara. Cosa preme al fedelissimo di Renzi che, dopo la sua caduta, lo impone insieme a Maria Elena Boschi anche al governo Gentiloni?

Le cattive intenzioni sono rivolte in particolare al magistrato che ha arrestato i genitori di Renzi: “A Creazzo va messa paura.”

Dalle intercettazioni, risulta che fra gli interlocutori ci fosse anche il magistrato Luigi Spina: “… e noi te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile“ (Creazzo).

Luca Lotti: “Se lo mandi a Reggio liberi Firenze” (sempre da Creazzo).

Ad un certo punto il deputato PD Cosimo Ferri chiede a Palamara: “Ma secondo te poi Creazzo, una volta che perde Roma, ci vuole andà a Reggio Calabria o no, secondo voi?”.

Il magistrato risponde: “Gli va messa paura con l’ altra storia, no? Liberi Firenze, no?”. 

Infedelissimo Palamara, una domanda: come avevate intenzione di intimidire il magistrato Giuseppe Creazzo e chi vi avrebbe ricompensato per questo favore?

Dobbiamo forse gioire per il fatto che non si tratti di tritolo ma di nomine pilotate? Matteo Renzi è forse – per dirlo alla Ghedini – “l’utilizzatore finale” della manovra?

La consorteria appare chiara e determinata e sarebbe anche il caso di inquadrarla con gli stessi criteri con cui si inquadra un’organizzazione criminale. I presupposti ci sono tutti.

Da evidenziare il comportamento del ministro degli Interni Salvini, il quale, allineandosi perfettamente alla mistificazione del valore del garantismo, ha commentato la vicenda portando l’attenzione sul non problema:

“Indegno leggere sui giornali intercettazioni senza rilievo penale” che fa il paio con “a Palermo il problema è il traffico”.

Un ministro senza arte ne’ parte che sostiene le ragioni di un manipolo di sovversivi. In attesa che arrivi il suo turno sul banco degli imputati fra un Siri e un Arata, pare ovvio.

C’è poi il comportamento del segretario PD Nicola Zingaretti che con Palamara ha in comune il fatto di aver dato lavoro – ottimamente retribuito – alla moglie in regione Lazio; la casa brucia di scandali e fatti inquietanti e lui ha trovato il coraggio di presentarsi alle telecamere col fare di topo gigio per dire: Luca mi ha rassicurato dice che non ha fatto nulla di male.

E qui servirebbe il Totò dell’On. Trombetta…

Nel frattempo, facciamo i conti con lo squallore di un ordine democratico violato dalla corruzione: la magistratura. E’ più facile interpretare l’infedeltà della politica, coi magistrati, resta sempre un giudizio sospeso pieno di ombre. Chi è condizionabile e perchè?

Racconta Peter Gomez, che durante un’intervista a Licio Gelli, si parlò del processo a Marcello Dell’Utri. Il gran maestro disse che si sarebbe concluso con una condanna a 7 anni per il fondatore di Forza Italia.

Gomez: “quando ripenso alla condanna definitiva a 7 anni poi inflitta a Dell’Utri  mi gela ancora il sangue”.

Rif: https://www.themisemetis.com/politica/renziani-magistrati-corrotti-massoneria-dei-brocchi/3170/

Nomine e magistrati. Il caso ora arriva sul tavolo del governo: Premier Conte vede Ministro Bonafede

Dal Quirinale nessuna interferenza sulle nomine. E’ Giovanni Legnini, ex vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, a sgomberare il campo dalle ombre che dalle carte della procura di Perugia sul pm ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara sembrano allungarsi fino al Colle, con il presidente Sergio Mattarella chiamato in causa dal deputato Pd Luca Lotti a proposito del voto sul successore di Giuseppe Pignatone alla guida della procura di Roma. «Tutto falso» aveva già smentito seccamente venerdì il Quirinale. Una linea di trasparenza che Legnini conferma: «Nei quattro anni di mia vicepresidenza il presidente Mattarella non è mai intervenuto sulle nomine di magistrati ai vertici degli uffici giudiziari e ha sempre garantito l’autonomia del Csm e dei suoi organi, limitandosi a fornire indirizzi generali». Dunque, sottolinea, le dichiarazioni «che si ricavano dagli stralci di intercettazioni circa i rapporti tra Csm e Quirinale rappresentano millanterie senza alcun riscontro con la realtà». Di fronte allo scandalo che ha investito il Csm, i Cinquestelle lanciano via blog un appello alla stampa: «Pubblicate tutto, perché i cittadini hanno il sacrosanto diritto di sapere». Il governo accelera la riforma della giustizia. Mercoledì il premier Giuseppe Conte incontrerà il Guardasigilli Alfonso Bonafede e il ministro della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno per esaminare un’ipotesi che prevede limiti ai tempi dei processi e alle intercettazioni e un sorteggio per scegliere i componenti del Csm. 

Il Pd, dopo mesi di relativa calma, è alle prese con un nuovo travaglio interno. Il giorno dopo aver scelto di auto-sospendersi «in attesa che la situazione si chiarisca», Lotti contrattacca: «Com’è evidente dalle stesse intercettazioni, io non ho commesso alcun reato, pressione o forzatura. Una verità sarà sempre più forte di mille bugie». L’ex sottosegretario e braccio destro di Matteo Renzi, poi ministro dello Sport con Paolo Gentiloni, definisce falso il suo interessamento sulla vicenda Consip, dedotto «utilizzando una frase di Luca Palamara», smentisce che frasi a lui attribuite siano riferite al vice presidente del Csm e compagno di partito David Ermini, e definisce «totalmente fuorvianti alcune frasi e ricostruzioni» riferite a Mattarella. Si chiama fuori anche Ermini: «Dal giorno della mia elezione il mio unico punto di riferimento è sempre stato il presidente della Repubblica». Il partito è di nuovo lacerato: se il tesoriere Luigi Zanda e l’europodeputato Carlo Calenda avevano preso le distanze da Lotti, Michele Anzaldi si dice allibito per il «tafazzismo del partito» e ricorda che Lotti non è indagato: «Il Pd ha dato prova di un autolesionismo imbarazzante» dichiara, mentre il senatore Luciano D’Alfonso accusa i vertici di «inadeguatezza»nella gestione della vicenda. Per il governatore toscano Enrico Rossi il problema è «politico» ed è stato risolto « con il passo indietro di Lotti», segno di «senso di responsabilità». Da Forza Italia Maurizio Gasparri profetizza: «Ne leggeremo ancora delle belle, non finisce qui». E Giorgia Meloni conia un nuovo termine, «togopoli»: «Serve una seria riforma del Csm – afferma – Fuori la politica dalla magistratura».

Rif: https://www.lastampa.it/2019/06/16/italia/nomine-e-magistrati-il-caso-ora-arriva-sul-tavolo-del-governo-conte-vede-bonafede-9567JgCVaOYG9m1z9U1M9M/pagina.html

Bufera Csm travolge anche l’Associazione magistrati: Grasso si dimette da presidente

Bufera procure, crisi all'Anm. Il presidente Grasso lascia Magistratura Indipendente

Si è dimesso il presidente dell’Anm Pasquale Grasso. Dopo aver ascoltato gli interventi dei rappresentanti dei gruppi all’interno all’Associazione nazionale magistrati nel Comitato direttivo centrale, Grasso ha rassegnato le proprie dimissioni come aveva anticipato in apertura nel caso avesse avuto sentore di una richiesta in tal senso. «Vi ho ascoltato – ha detto – vi comprendo e ovviamente rassegno le mie dimissioni». Il numero uno del sindacato delle toghe aveva lasciato nei giorni scorsi la sua corrente, Mi, in polemica con la scelta di non far dimettere i membri del Csm coinvolti dall’inchiesta.

Vi ho ascoltato tutti. Vi comprendo e vi rispetto. Vi rispetto e vi ringrazio. Vi rispetto molto più di quanto abbiate dimostrato di rispettare me», ha detto Grasso annunciando le sue dimissioni. «Potrei osservare che le vostre considerazioni hanno deliberatamente trascurato la prospettiva cronologica degli avvenimenti. Potrei dolermi di convenienti fraintendimenti della mia condotta», ha aggiunto, ma «vi ho ascoltato e compreso. Ovviamente rassegno le mie dimissioni. Lo faccio serenamente, dicendo no a me stesso. Nel ricordo di un grande intellettuale del passato, che ricordava che i moralisti dicono no agli altri, l’uomo morale dice no a se stesso». Grasso proprio nei giorni scorsi aveva lasciato la sua corrente, Magistratura indipendente – la più coinvolta dalla bufera sul Consiglio superiore della magistratura- non condividendone la linea adottata sui togati autosospesi del Csm, cioè in dissenso con la scelta iniziale di non farli dimettere. Una posizione che oggi Grasso ha ribadito, parlando di «netta frattura tra il sottoscritto e Mi».

All’inizio del suo intervento Grasso si era rimesso al parlamentino dell’Anm. In apertura del Comitato direttivo centrale, convocato a seguito della bufera sulle nomine in magistratura, ha esordito dicendo che «se riterrete sarò ancor qui per riaffermare quella linea politica e per testimoniare l’unità della associazione», al contrario «mi farò da parte» di fronte alla «percezione della semplice richiesta di dimissioni che provenisse da una parte apprezzabile dei presenti, senza volontà di imporre un voto che sarebbe comunque divisivo». «Rivendico con forza – ha detto all’inizio del suo intervento – la correttezza e la coerenza della linea di azione, politica, giuridica e morale, che, come presidente dell’Anm, componente di questo Comitato direttivo centrale e come magistrato, ho proposto e seguito». «Nell’iniziale deflagrare di notizie di stampa – aveva ancora ricordato il magistrato – la chiara affermazione e rivendicazione di un principio non negoziabile: no a qualsiasi forma di cessione dell’autogoverno, centralità del Consiglio, decisa affermazione del fatto che coloro i quali avessero operato nel modo descritto dalla stampa non potevano essere o rimanere rappresentanti dei magistrati nel Consiglio».

«Il mio richiamo al cambio di passo – ha attaccato poi Grasso in una dichiarazione a Sky – è stato assolutamente inascoltato e come temevo purtroppo” non si “coglierà l’occasione per un cambiamento perché il dire di allontanarsi dalle correnti come gruppi di potere e solo centri di elaborazione culturale è un qualcosa che viene declamato ma assolutamente non praticato in questi attimi” in cui “con una sorta di manuale Cencelli si stanno decidendo, immagino, i nomi e le appartenenze dei singoli che parteciperanno alla nuova giunta”. 

Le dimissioni di Grasso, in carica da aprile al vertice dell’Anm, fanno seguito agli interventi al parlamentino dei rappresentanti di Unicost, Area e Autonomia e Indipendenza, che ritengono troppo morbida la sua presa di distanza da quanto l’inchiesta di Perugia ha evidenziato, coi contatti tra magistrati, politici e consiglieri del Csm per le nomine ai vertici delle procure. Ora questi gruppi potrebbero dare vita a una nuova giunta. Duro Giovanni Tedesco, di Area, nei confronti di Magistratura Indipendente, il gruppo che ha espresso Grasso alla presidenza, e dal quale poi però si è dimesso: «La linea di MI verso chi si era autosospeso nel Csm è stato chiedere tornate a fare il vostro splendido lavoro». Angelo Renna, di Unicost ha paragonato la vicenda a una «Caporetto» per la magistratura alla quale bisognava reagire tracciando la linea della legalità. E per Francesco Valentini, di A&I, gruppo che non sosteneva la giunta unitaria, si tratta di una «vicenda catastrofica», di fronte alla quale dal presidente dell’Anm «sono arrivati solo una serie di distinguo, e non ne avevamo bisogno. Non ha saputo gestire quel momento e il momento successivo». Da Magistratura Indipendente, invece, con Stefano Buccini è arrivato un invito «alla unità, data la comune valutazione di assoluta gravità delle condotto contestate».

La rabbia dei magistrati: “Siamo stati traditi, si voti un nuovo Csm”

Il “mercato delle toghe” emerso dall’inchiesta di Perugia è qualcosa di più di un semplice mercimonio delle funzioni condizionato dalla politica: è un «tradimento» che mette in crisi l’istituzione stessa della magistratura e rischia di esporla alle peggiori riforme. Tra i magistrati della Penisola si avverte un senso di abbandono e di un allarme altissimo:c’è il timore che si sia superato un punto di non ritorno. I giudizi sono drastici. “Hanno creato un danno d’immagine al sistema.”

Rif:https://www.lastampa.it/2019/06/17/italia/la-rabbia-dei-magistrati-siamo-stati-traditi-si-voti-un-nuovo-csm-NUtOj4IR3baQI4QHDD0e8I/premium.html

Caos Procure, Palamara prova a tirare in ballo Cafiero de Raho: «Solo falsità, è un millantatore»

Diceva di avere la benedizione di magistrati di primo piano, nelle strategie per gestire le nomine ai vertici delle procure più importanti d’Italia, prima tra tutte quella della Capitale. «Cafiero sapeva tutto della situazione di Roma e di quello che mi volevano fare, mi ha detto: Hai perfettamente ragione sul ridimensionamento di Pignatone». A parlare, intercettato, è il pm di Roma, Luca Palamara, finito sotto inchiesta a Perugia per corruzione sulla base di un’informativa inviata ai colleghi umbri proprio dall’ex capo dei pm di Roma. Il riferimento è al Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, che, interpellato, smentisce categoricamente di avere mai parlato con Palamara della questione Pignatone e del progetto di spingere la candidatura al vertice degli uffici giudiziari di Marcello Viola, in discontinuità con la gestione dell’ex capo dei pm capitolini, al posto di quella di Francesco Lo Voi, considerato il naturale successore di Pignatone. L’indagine di Perugia, infatti, ha scoperchiato lo scandalo del mercato delle toghe, che ha travolto il Csm e ha portato a galla gli accordi tra magistratura e politica per controllare il risiko delle nomine.

Rif:https://www.ilmattino.it/primopiano/politica/caos_procure_palamara_cafiero_raho-4561868.html

Toghe sporche, al Csm nuove carte su Lotti, Ferri e il pg di Cassazione

Nelle intercettazioni un colloquio tra Fuzio e Palamara. Le manovre per la Procura di Perugia: l’obiettivo è il pm Ielo.

ROMA – Avviso ai naviganti. Il calvario non è finito. Dalla Procura di Perugia è partito alla volta del Csm un nuovo robusto faldone di carte. Si tratta delle trascrizioni di quel che restava delle conversazioni captate dal software spia “Trojan” installato nell’Iphone di Luca Palamara fino al 29 maggio scorso, giorno in cui è stato disattivato. E, per quanto se ne sa, sarà una nuova onda destinata a travolgere ciò che resta.

Rifhttps://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/06/16/news/toghe_sporche_al_csm_nuove_carte_su_lotti_ferri_e_il_pg_di_cassazione-228935865/

Corruzione e sentenze pilotate: il giudice Spanò vuole parlare

Fernando Spanò, uno dei giudici coinvolti nell’inchiesta legata alla corruzione in atti giudiziari in provincia di Salerno, sarebbe disposto a fornire la sua versione dei fatti. 
Il giudice è stato arrestato 15 giorni fa, insieme ad altre persone, dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Salerno, con l’accusa di aver intascato mazzette in cambio di sentenze favorevoli.
Stando alle ricostruzioni degli inquirenti, Spanò sarebbe disposto a rilasciare dichiarazioni importanti sul caso. Intanto, lo stesso giudice ha chiesto una perizia per potere verificare le proprie condizioni di salute e rendersi conto se il suo stato sia compatibile con il carcere.