41 pm citano cronista e direttore e perdono

NOVE ANNI FA quarantuno pm della procura di Napoli si associarono per citare per danni l’editore del Roma, il direttore Gigi Casciello, il cronista Roberto Paolo, l’editorialista e senatore Emiddio Novi. Dopo oltre sette anni di confronto giudiziario i magistrati, sconfitti in primo grado, hanno deciso la ritirata, rinunciando all’appello; trascorsi dodici mesi, la sentenza è diventata definitiva. Ora è necessario un passo indietro per inquadrare la vicenda.  
È il 2002 e alla procura di Napoli infuria lo scontro tra il capo Agostino 
Cordova, con un gruppo di fedelissimi, da una parte e dall’altra oltre la metà dei suoi sostituti, con il Roma schierato senza tentennamenti dalla parte del procuratore capo reggino. Per avere un’idea del calore 
Gigi Casciello e Roberto Paolo
della pugna è sufficiente scorrere alcuni dei titoli pubblicati dal Roma tra gennaio e marzo 2002: Contro Cordova la vendetta dei PMVeleno in Procura / L’ultimo ricatto contro CordovaCe l’hanno con Cordova perché ha messo ordineProcura dei veleni /Caso Cordova, il bluff dei PM ribelliIl Palazzo brucia e c’è chi pensa a spargere veleni.
L’otto aprile del 2002, a distanza di un mese dalla pubblicazione dell’ultimo articolo, viene notificato l’atto di citazione sottoscritto da quaranta magistrati della procura di Napoli (primi firmatari Marco Del Gaudio, Alessandro Milita, Francesco Cascini e Rossella Catena) e dal procuratore aggiunto Paolo Mancuso, assistiti dagli avvocati Fabio LepriPierfrancesco Torre e Paolo Maggi. Per i sette articoli pubblicati la richiesta danni è stratosferica: 13 milioni e 940mila euro perché ogni magistrato chiede un risarcimento di 340mila euro. Davanti al giudice della prima sezione civile del tribunale di Roma Massimo Corrias la vicenda giudiziaria di Emiddio Novi prende immediatamente una strada a parte perché il senatore, difeso dall’avvocato Alessandro Capograssi, solleva l’eccezione dell’insindacabilità delle sue 

Agostino Cordova e Paolo Mancusodichiarazioni prevista dalla carta costituzionale e nel giugno del 2004 la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari gli dà ragione decidendo che l’articolo di fondo firmato da Novi e i virgolettati del senatore riportati negli articoli di Roberto Paolo sono “opinioni espresse
da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni”. Il giudice Corrias non è convinto della decisione della Giunta perché ritiene “che certe affermazioni del senatore Novi contenute nell’articolo “Il Palazzo brucia e c’è chi pensa a spargere veleni” configurano gravissime accuse alla magistratura napoletana, sia inquirente che giudicante, che non trovavano alcun riscontro in nessuno dei passi di atti parlamentari che la Giunta aveva addotto a fondamento del proprio giudizio di insindacabilità”. Solleva perciò il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale e dispone la sospensione del giudizio. Ma quando, con sentenza del marzo 2007 la Corte costituzionale stabilisce che la decisione sulle dichiarazioni di Novi spetta al Senato, l’editorialista del Roma esce di fatto dal giudizio.  
Il giudice esamina quindi gli articoli di Roberto Paolo, difeso dagli avvocati Gustavo Visentini e Alfonso Papa Malatesta (mentre il legale di Casciello
è Alfredo Mazzone e l’avvocato del Roma Corrado De Martini) e rileva che “nessuna responsabilità può essere ascritta al giornalista per avere pubblicato le dichiarazioni del senatore Novi, posto che in relazione alle dichiarazioni rese da importanti
Francesco Cascini e Emiddio Novi
personalità politiche la verità della notizia è data dal fatto che determinate dichiarazioni siano state rese, a prescindere dalla verità o dalla falsità del loro contenuto, atteso l’indubbio interesse della collettività alla conoscenza delle opinioni e delle dichiarazioni dei protagonisti della vita politica”.
Evidenzia quindi che nei primi due articoli presi in esame non viene indicato il nome dei magistrati “che avevano motivi di rancore verso il Procuratore” né di “quelli dediti a irregolarità o a insabbiamenti” o di “quelli scarsamente produttivi”, e non ci sono elementi “che consentano al lettore di identificarli”. E questo “porta ad escludere la commissione del delitto di diffamazione”.Quanto alla parola “ricatto”, Corrias ricorda che anche in questo caso non viene indicato il ‘ricattatore’ e comunque “il termine è all’evidenza usato in senso figurato , come sinonimo di tentativo di pressione”. Il giudice prende poi in

Rossella Catena e Alessandro Militaesame le espressioni “sostituti ribelli”, “pm frondisti”, “pm ribelli”, “arma finale”, scrivendo che “anche se colorite, al pari di analoghe espressioni usate nei titoli, non possono ritenersi offensive”. Liquida infine il termine “bluff”: “esprime un giudizio critico del 
giornalista che, essendo stato sufficientemente argomentato, non può essere considerato diffamatorio”. Il giudice perciò “respinge ogni domanda delle parti e dichiara interamente compensate le spese del giudizio”.

Rif:http://www.iustitia.it/archivio/13_aprile_11/documenti/spalla.htm

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