“Fatti gravissimi, unici nella storia italiana, Palamara sia rimosso dalla magistratura”

“Fatti gravissimi, unici nella storia italiana, Palamara sia rimosso dalla magistratura”

Via dalla magistratura. Come previsto, anche dall’interessato Luca Palamara, ieri l’avvocato generale della Cassazione Piero Gaeta ha chiesto il massimo della sanzione disciplinare, la “rimozione” per l’ex presidente dell’Anm ed ex consigliere del Csm che solo fino a maggio 2019 era tra i magistrati più ossequiati d’Italia, uomo forte del correntismo con codazzo di toghe […]

Rif:

Palamara radiato dalla magistratura, il Csm lo condanna alla sanzione massima prevista

Bufera procure, Stefano Palamara radiato dalla magistratura

Luca Palamara è stato radiato dalla magistratura. La Sezione disciplinare del Csm lo ha condannato alla sanzione massima prevista, accogliendo la richiesta della Procura generale della Cassazione. Palamara è il primo ex consigliere del Csm ed ex presidente dell’ Associazione magistrati ad essere rimosso dall’ordine giudiziario.

Rif:http://palamara_radiato_magistratura_sentenza_csm_ultime_notizie_associazione_magistrati_cosa_e_successo_oggi

Magistratopoli, uno schifo così non l’avevo neanche immaginato

Magistratopoli, uno schifo così non l’avevo neanche immaginato

No, non è il mio album di famiglia, quello che sto sfogliando con un po’ di disgusto e che racconta storie di giornalisti e magistrati. Il disgusto è dovuto prima di tutto al fatto che si tratta di intercettazioni, cioè di colpi alle spalle nei confronti di persone che intrattengono conversazioni personali. Mi dà fastidio leggerle, è un’intrusione nei fatti altrui. Il secondo motivo dei miei sentimenti così negativi è dato dalla volgarità d’animo che emerge dal mondo della magistratura più politica e sindacalizzata. Che nel “mondo dei Palamara” si svolgessero intrallazzi, tradimenti, complotti e attacchi alla giugulare, non so perché, ma non mi stupisce. Noi lo chiamiamo il “Partito dei pm”, e ovviamente non riguarda solo il dottor Luca Palamara, che in questa storia, soprattutto nella sua parte giudiziaria, è forse più vittima che carnefice. Ma forse l’abbiamo nobilitato, il “mondo dei Palamara”, dandogli la denominazione di partito. Forse la parte più inedita di queste conversazioni carpite da uno strumentino che si chiama trojan e che ricorda metodi da Ovra, non è la lotta politica, furibonda, che si svolge tra magistrati alla vigilia elettorale delle nomine, ma proprio la volgarità.

La risata grassa, il darsi di gomito come fanno certi uomini al passare di una bella ragazza di cui non è il viso la parte che interessa. La bella ragazza di queste intercettazioni sul “mondo dei Palamara” è proprio il giornalista. Leggere quel che i togati dicono tra loro sul mondo dell’informazione, sullo spregiudicato uso che loro ne fanno e intendono farne, è ancora più imbarazzante di quanto non sia apprendere quante volte si vedono e si sentono e concordano gli articoli da far uscire i pubblici ministeri con i loro amici cronisti. Io stessa ho svolto per molti anni la mia attività di giornalista al Palazzo di giustizia, in gran parte a Milano, un poco anche a Roma. Anzi, ho cominciato a scrivere su un giornale proprio come cronista giudiziaria. È normale che nel posto di lavoro, nel luogo dove vai ogni giorno si costruiscano rapporti, nascano amicizie. A volte anche storie d’amore. Poi va anche detto che la prima fonte delle notizie che riguardano la giustizia è il magistrato, il pubblico ministero, per la precisione. Poi naturalmente ci sono gli avvocati, le forze dell’ordine, i cancellieri, i segretari, eccetera eccetera. Ma il pubblico ministero è il dominus, la bocca della verità, il miele di ogni cronista giudiziario. E ogni pm sa di contare qualcosa solo nel momento in cui i giornalisti cominciano a bussare alla sua porta, e sa di esser diventato un divo quando si sposta nei corridoi del palazzo di giustizia inseguito dal codazzo dei cronisti.

Ricordo, molti anni fa, un pubblico ministero arrivato dal sud d’Italia. Era serio e riservato. Poi un giorno, un suo collega con cui avevo preso ad avere un po’ di confidenza, mi raccontò che quel magistrato aveva appuntamento con un sarto. “Sai, gli aveva confidato, ora dovrò vestirmi meglio, perché con questa nuova inchiesta che sto conducendo dovrò incontrare i giornalisti”. Mi aveva fatto tenerezza, ma anche un po’ paura, quasi un certo mondo stesse per cambiare. Cambiò davvero tutto, con gli anni di Tangentopoli e l’arrivo di Di Pietro, nel 1992, mentre io mi avviavo a fare un altro mestiere in Parlamento e lasciavo definitivamente il Palazzaccio di Milano. Cambiò tutto, e oggi ci risiamo, daccapo. Leggere le conversazioni tra giornalisti, alcuni dei quali famosi, e un magistrato intercettato, conoscere le loro trame per orientare l’informazione per un verso piuttosto che per l’altro, e i siluri tra colleghi e le spiate, tutto questo lascia sconcertati. Ma fa venir voglia di scappare a gambe levate senza poter nascondere il disgusto per il chiacchiericcio volgare tra magistrati.

Quando dicono che quel giornalista lì è uomo dei servizi segreti, che quell’altro è legato ai poteri forti, che quella è avvicinabile, e si chiedono se non sia meglio scavalcare il cronista e puntare ai vertici del quotidiano. Per quale scopo? Per rendere l’informazione prigioniera una volta di più del potere giudiziario. E il giornalista è posto in totale passività, come l’inconsapevole bella ragazza che passava per strada davanti a un gruppo di maschi voraci. No, non è il mio album di famiglia. Ho fatto la cronista giudiziaria per tanti anni, sono stata amica di molti magistrati e di avvocati. Sempre con reciproco rispetto. Uno schifo così non l’avevo neanche immaginato. Però voglio proprio raccontarvela questa storia di giornalisti e magistrati che ho visto e vissuto da molto vicino per vari decenni.

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Indagato a Catania per corruzione e “premiato” con il Tar del Lazio

Indagato a Catania per corruzione e “premiato” con il Tar del Lazio

È indagato per corruzione in atti giudiziari ma il giudice del Tar di Catania Dauno Trebastoni è riuscito a evitare un trasferimento per incompatibilità ambientale e a farsi trasferire dove voleva: al Tar del Lazio, a Roma, sezione seconda bis, sia pure fino a dicembre. È stato il plenum del Cpga, il Csm del Consiglio […]

rif:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/04/04/indagato-a-catania-per-corruzione-e-premiato-con-il-tar-del-lazio/5085576/

Sentenze vendute, indagato il giudice del Tar di Catania Dauno Trebastoni


La Guardia di finanza ha perquisito i suoi uffici della sezione etnea. E’ accusato di corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta che vede coinvolti anche gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore (che collaborano con gli inquirenti)

l giudice del Tar di Catania Dauno Trebastoni è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Catania. Il magistrato è indagato per corruzione in atti giudiziari nell’ambito dell’inchiesta che vede già coinvolti gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore che, come è noto, stanno collaborando con gli inquirenti. La notizia è emersa dopo che in mattinata i finanzieri avevano effettuato una perquisizione negli uffici del Tar di Catania. Notizia che era stata rivelata da Live Sicilia Catania e che la Procura etnea ha confermato.

Due lettere, una destinata al Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, e l’altra al Presidente del Tar Catania Pancrazio Savasta sono partite – a quanto si apprende – da Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato a Roma. Le lettere sono volte ad ottenere elementi utili per l’adozione di eventuali iniziative di competenza del Presidente del Consiglio di Stato o dell’Organo di autogoverno della magistratura amministrativa (Cpga), in relazione alle notizie di stampa sull’indagine e la perquisizione a carico di Trebastoni.

rif:https://www.lasicilia.it/news/catania/216223/sentenze-vendute-indagato-il-giudice-del-tar-di-catania-dauno-trebastoni.html

Potenza, soldi per corrompere un giudice: da Catanzaro arriva il sequestro per l’avvocato De Bonis

Potenza, ex dirigente Corte d'Appello e assistente arrestati per peculato -  La Gazzetta del Mezzogiorno

Il fatto è emerso in un contesto investigativo più ampio di reati contro la pubblica amministrazione che hanno visto indagato l’avvocato. Nel corso delle indagini sono state acquisite immagini relative a incontri tra De Bonis ed il suo cliente nei quali sono state riportate comunicazioni in cui espressamente si faceva riferimento ai 23.000 euro, da dare in diverse ‘tranches’ e da usare per la presunta corruzione del giudice.

La somma di 23.000 euro è stata sequestrata a un avvocato del foro di POTENZA, Raffaele De Bonis Cristalli, dalla squadra mobile di POTENZA, in un’indagine della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, in esecuzione di una misura cautelare di sequestro preventivo per l’ipotesi di reato di traffico di influenze illecite. L’avvocato è indagato per aver chiesto soldi ad un suo cliente in una causa civile pendente presso la Corte d’appello di POTENZA a titolo di remunerazione a favore di un magistrato onorario che aveva composto il collegio davanti al quale la controversia era stata trattata, con esito favorevole per il suo cliente. L’indagine è partita da alcune intercettazioni riguardanti la posizione di un giudice ausiliario in servizio presso la Corte d’Appello di POTENZA e gli atti sono stati trasmessi dalla Procura di POTENZA a quella di Catanzaro. Il fatto è emerso in un contesto investigativo più ampio di reati contro la pubblica amministrazione che hanno visto indagato l’avvocato. Nel corso delle indagini sono state acquisite immagini relative a incontri tra De Bonis ed il suo cliente nei quali sono state riportate comunicazioni in cui espressamente si faceva riferimento ai 23.000 euro, da dare in diverse ‘tranches’ e da usare per la presunta corruzione del giudice. Dalle indagini, però, il giudice onorario è risultato completamente estraneo alla vicenda. Il valore del sequestro è pari alla somma consegnata all’avvocato.

Rif:https://www.ilmattinodifoggia.it/news/basilicata-free/50869/potenza-soldi-per-corrompere-un-giudice-da-catanzaro-arriva-il-nuovo-sequestro-per-l-avvocato-de-bonis.html

Corruzione, avvocato (ed ex europarlamentare dell’Udeur) indagato: “Soldi al giudice per far scarcerare 3 boss di ‘ndrangheta”

Corruzione, avvocato (ed ex europarlamentare dell’Udeur) indagato: “Soldi al giudice per far scarcerare 3 boss di ‘ndrangheta”

Denaro in cambio della libertà, sentenze comprate e giudici pagati per far scarcerare boss e gregari della cosca Bellocco di Rosarno. L’ennesimo terremoto giudiziario è scritto nero su bianco nelle undici pagine dell’avviso di conclusione indagini notificato nei giorni scorsi dalla Dda di Catanzaro. Secondo gli inquirenti il giudice Giancarlo Giusti (oggi deceduto) ha accettato 120mila euro per far scarcerare tre esponenti della ‘ndrangheta che erano stati arrestati dalla Procura di Reggio Calabria.

Tra gli indagati c’è pure l’avvocato Armando Veneto, 85 anni, originario di Palmi, ex deputato ed ex parlamentare europeo dell’Udeur, già sindaco di Palmi con il Partito popolare. Il procuratore Nicola Gratteri, l’aggiunto Vincenzo Capomolla e il sostituto procuratore Elio Romano lo accusano di corruzione in atti giudiziariaggravata dall’agevolazione alla ‘ndrangheta. Lo stesso reato viene contestato ad altri sei indagati: Domenico Bellocco, alias “Micu u Longu”, Vincenzo Puntoriero, Gregorio Puntoriero, Vincenzo Albanese, Giuseppe Consiglio e Rosario Marcellino.

Per ogni scarcerazione il giudice avrebbe intascato 40mila euro. Complessivamente, quindi, per annullare tre ordinanze di arresto il magistrato Giusti sarebbe stato pagato 120 mila euro. I fatti risalgono all’agosto 2009 quando gli indagati avrebbero dato danaro o comunque avrebbero svolto il ruolo di intermediari nella dazione di soldi a Giusti. Il magistrato era giudice relatore ed estensore del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria e aveva annullato le ordinanze di misura cautelare emesse dal gip su richiesta della Dda reggina nei confronti di Rocco Bellocco, Rocco Gaetano Gallo e Domenico Bellocco.

Sono loro tre, quelli che i pm, definiscono i “corruttori” del giudice. Gli intermediari, invece, sarebbero stato i due Puntoriero e l’avvocato Armando Veneto. Il noto penalista, infatti, è accusato di essere stato il trait d’union tra i mafiosi e il magistrato poi morto suicida nel 2015 dopo essere stato coinvolto in due inchieste antimafia.

Secondo i pm di Catanzaro, competenti sulle indagini che riguardano i magistrati reggini, la corruzione sarebbe avvenuta “per avvantaggiare la cosca Bellocco – è scritto nel capo di imputazione – in un momento di particolare difficoltà generato dall’esecuzione di numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere”.

L’avvocato Veneto e gli altri indagati, inoltre, sono accusati di concorso esterno con la ‘ndrangheta. Il penalista e Domenico Puntoriero, infatti, “in forza del rapporto di amicizia con Giancarlo Giusti, – è scritto nell’avviso di conclusione indagini – fornivano un concreto apporto al rafforzamento, alla conservazione e alla prosecuzione dell’attuazione del programma associativo criminoso della cosca Bellocco, nella sua articolazione territoriale operante a Rosarno, Emilia Romagna e Lombardia”

Secondo gli inquirenti, quindi, pur non facendone parte Veneto e Puntoriero avrebbero favorito la cosca Bellocco che, grazie alla loro intermediazione, è riuscita a “riaffermare e rafforzare il potere della stessa attraverso la ripresa operativa sul territorio dei ruoli che ciascuno dei tre soggetti posti in libertà vi ricopriva”. Adesso gli indagati hanno 20 giorni di tempo per chiedere di essere interrogati o depositare memorie alla Dda di Catanzaro. Subito dopo, il procuratore Gratteri e i pm potranno decidere se chiedere il rinvio a giudizio o archiviare. Di solito la chiusura indagini è il prologo della prima opzione.

Rif: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/01/corruzione-avvocato-ed-ex-europarlamentare-delludeur-indagato-soldi-al-giudice-per-far-scarcerare-3-boss-di-ndrangheta/5821167/

Quanti trucchi e sotterfugi nella fabbrica delle nomine

L’ex leader di Unicost tesseva la sua trama tra caffè, cene e ballottaggi pilotati. In 84 casi ha fatto centro

A Luca Palamara non piaceva perdere. Peraltro gli succedeva di rado: come abbiamo raccontato ieri, nei casi in cui nel plenum del Consiglio superiore della magistratura le correnti andavano allo scontro su una nomina, vinceva quasi sempre lui: ottantaquattro tra procuratori, presidenti e vicepresidenti di tribunale, procuratori generali, non sarebbero oggi nei loro posti se Palamara avesse puntato su un altro cavallo.

Nei pochi casi in cui andava sotto, riusciva a fare sentire la sua voce: come quando nel 2016 si rende conto che per la presidenza della Corte d’appello di Brescia è in testa Claudio Castelli, leader storico di Magistratura democratica. Cosa fa Palamara? Lascia che i suoi quattro colleghi di corrente (Unicost, il gruppo di centro delle toghe) insistano sul loro candidato. Ma lui vota per Castelli, in modo da mettere la firma sulla nomina.

Analizzare gli andamenti del plenum tra il 2014 e il 2018, quando Palamara faceva parte del Csm, fa restare quasi ammirati davanti alle astuzie di Palamara. Come in un’altra sconfitta apparente, la nomina di Francesco Lo Voi alla Procura di Palermo. Palamara vota per un altro candidato, Guido Lo Forte. Ma è un voto di facciata: in realtà ha lavorato per Lo Voi, d’intesa con il procuratore uscente Giuseppe Pignatone: di cui, raccontano oggi le chat, era la longa manus dentro il Csm.

Le chat illuminano anche altre imprese di Palamara. Come il 22 novembre 2017, quando il Csm elegge il presidente del tribunale di Palmi. Alla prima votazione Palamara finge di votare un nome di bandiera, tale Samperi. Ma al secondo giro porta tutti i suoi voti sulla candidata della destra, Concettina Epifanio, che vince. Ora si scopre che la Epifanio aveva bussato a lungo alla porta di Palamara: «Volevo sapere e quando posso venirti a parlare a tu per tu… ti voglio un mondo di bene», gli scrive in giugno.

Altra nomina in bilico, quella per il presidente del tribunale di Firenze. Una corsa a tre, Palamara spinge per Marilena Rizzo ma in plenum(novembre 2015) la partita è aperta. Lui prima tira dalla sua la consigliere di sinistra Paola Balducci, poi al secondo turno ribalta l’alleanza e porta sulla Rizzo i voti della destra di Magistratura Indipendente. Ora dalle chat si scopre che i rapporti tra Palamara e la Rizzo sono così stretti che negli anni successivi lui riceve da lei le indicazioni per toghe fidate da piazzare negli uffici giudiziari toscani.

Altra nomina in bilico fino all’ultimo, la presidenza della sezione lavoro del tribunale di Bari. In Csm il 15 novembre 2017, la prima votazione finisce alla pari, 10 a 10. Riccardo Fuzio, procuratore generale della Cassazione e come tale membro di diritto del Csm, al voto risulta «assente». Ma Palamara fa il miracolo, al momento del ballottaggio si materializza Fuzio e passa la candidata di Palamara, Maria Luisa Traversa. Anche di Fuzio le intercettazioni hanno poi rivelato il filo diretto con Palamara.

Nei retrobottega del Csm il leader di Unicost, raccontano questi verbali, si muove come un Richelieu. A fine 2015. bisogna scegliere il procuratore di Sassari, anche stavolta il primo voto si inchioda sul pareggio. Un consigliere laico, il grillino Alessio Zaccaria, si è astenuto. Beh, nei pochi istanti tra un voto e l’altro Zaccaria cambia idea: e al ballottaggio vota Giovanni Caria, il candidato di Palamara. Vittoria.

E così via, in un tripudio di pause caffè, di cene, di messaggini in cui a volte le manovre di Palamara incoronano magistrati di valore, a volte mezze figure destinate altrimenti alla sconfitta. Fino alla riunione cruciale del 21 febbraio 2018, in ballo ci sono sette nomine in Cassazione, tutte di primo piano. Area, la sinistra, si presenta in plenum con una serie di candidature pesanti, incamera le due nomine più importanti e si avvia a fare il pienone, anche Uliana Armano – l’ultima candidata superstite di Unicost – sembra destinata a soccombere. Nel gruppo di Unicost è il panico, «se perdiamo dico che mi devo allontanare – scrive in diretta a Palamara la sua collega Maria Rosaria Sangiorgio – non possiamo perdere anche l’Armano, sarebbe una debacle». Ma Palamara non molla, fa ritirare la Armano da uno scontro diretto, e la porta allo scontro con un candidato più debole. E la Armano passa, col voto del solito Fuzio. Chapeau.

Rif:https://www.ilgiornale.it/news/politica/quanti-trucchi-e-sotterfugi-nella-fabbrica-delle-nomine-1867296.html

Il Palamara-gate e i veleni del palagiustizia

Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm finito al centro della bufera per lo scandalo nomine nella giustizia

La presidente del tribunale Rizzo a processo disciplinare per le chat con la toga dello scandalo. Le accuse: “Suggerì le nomine”.

Il “Palamara-gate” non risparmia neanche Firenze. La presidente del tribunale, Marilena Rizzo, finisce sotto procedimento disciplinare per le chat in cui suggeriva soluzioni per i posti da coprire, scambiate con l’ex membro togato del Consiglio superiore della magistratura protagonista dello scandalo nel mondo della Giustizia non ancora sopito. Rizzo e Palamara appartengono alla stessa corrente, Unicost. Dallo smartphone di Palamara, indagato per corruzione a Perugia, sono state estrapolate decine di chat con magistrati di tutta Italia (e di tutte le correnti).

https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/il-palamara-gate-e-i-veleni-del-palagiustizia-1.5562447

Terremoto al processo Saguto: “Procederemo per falsa testimonianza contro altri magistrati”

inita questa requisitoria trasmetteremo gli atti perché si proceda per falsa testimonianza nei confronti di una serie di magistrati, avvocati, amministratori giudiziari, coadiutori e alcuni di coloro che hanno fatto da testimoni in questo processo. Lo ha detto il Pm Maurizio Bonaccorso, nel corso della requisitoria del processo al cosiddetto “Sistema Saguto”, l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermoaccusato di una gestione disinvolta nella nomina degli amministratori dei beni confiscati.

L’accusa, sostenuta in aula anche dal Pm Claudia Pasciutti, ha preannunciato la richiesta alla fine della requisitoria di pene molto severe – ha detto Bonaccorso -, non esemplari perché le pene esemplari non fanno parte della nostra cultura giuridica, ma adeguate alla gravità dei reati contestati”.

Tremano dunque gli amici del cosiddetto “cerchio magico” della Saguto, radiata definitivamente dalla magistratura.

Durissimo l’affondo del pm Bonaccorso: “Questo è stato definito erroneamente il processo all’antimafia ma è solo il processo a carico di alcuni pubblici ufficiali che hanno tradito la loro funzione pubblica per interessi privati”. Comincia così la requisitoria all’aula Bunker di Caltanissetta. “Dobbiamo riconoscere che gli imputati hanno svolto un ruolo di contrasto nella lotta alla mafia – ha aggiunto Bonaccorso – ma aver fatto l’antimafia non dava una sorta di ‘licenza di uccidere’, una ‘licenza a delinquere’. Non si può consentire di mortificare la funzione di magistrato con attività predatorie”. E ancora: “Non credano gli indiziati di mafia che hanno avuto i beni confiscati, di rifarsi una verginità con questo processo, non ci sarà alcuna riabilitazione per loro”.

Saguto e Cannizzo

Quindici gli imputati nel processo. Sotto accusa, oltre a Silvana Saguto, ci sono il padre, Vittorio Saguto, il marito Lorenzo Caramma e il figlio Emanuele, gli amministratori giudiziari Gaetano Cappellano Seminara, Walter Virga, Aulo Gigante e Nicola Santangelo, il colonnello della Dia Rosolino Nasca, i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano, la moglie e la collaboratrice di Provenzano, Maria Ingrao e Calogera Manta, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, l’ex giudice della sezione misure di prevenzione Lorenzo Chiaramonte. Gli imputati sono accusati di aver gestito in maniera disinvolta i beni confiscati alla mafia.

L’AUTODIFESA DELLA SAGUTO: “Mai contatti con Virga”

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“Vorrei partire dalle modifiche dei capi di imputazione. Non c’è una conversazione, una frase, o un rapporto con il dottore Tommaso Virga. L’ho incontrato rare volte andando a messa e neanche mi ricordavo il nome tanto che lo chiamavo Antonio. Quindi quale potrebbe essere l’interesse di nominare il figlio?”. Lo ha detto questa mattina Silvana Saguto, nel corso dell’udienza all’aula bunker di Caltanissetta.

Ho portato la famosa agendina – ha continuato Saguto – di cui tanto si è parlato. Non l’ho prodotta soltanto per evitare ulteriori gossip. Sono tutte le persone che mi annotavo come persone di fiducia, brave, che già si erano occupate di attività simili. Ma Tommaso Virga non mi ha manifestato questa intenzione. L’unica cosa che mi ha manifestato è stato che ci ha pregato di toglierlo. L’unica volta in cui ho parlato con Tommaso Virga di suo figlio è quando mi ha detto per favore fatelo dimettere. Io lo definisco un ragazzino da niente perché non ha retto l’impatto mediatico che tutti gli altri avevamo retto”. Il processo ha avuto inizio il 22 gennaio del 2018, le udienze previste per le discussioni proseguiranno fino ad aprile.

“CON RAPPA NON C’ENTRO NULLA”

“Io di Rappa ho saputo soltanto da Fabio Licata che aveva avuto una lettera di encomio da parte della concessionaria che avevano aumentato le vendite. E basta. Io con Rappa non c’entro nulla. Ha aggiunto Silvana Saguto, rendendo dichiarazioni spontanee. Vincenzo Corrado Rappa, nipote dello storico costruttore palermitano a cui è stato sequestrato e poi parzialmente restituito un patrimonio milionario, nel processo si è costituito parte civile contro Walter Virga. “Più volte – ha continuato Saguto – ho avuto contestato di essere stata l’artefice di provvedimenti. I provvedimenti giudiziari si fanno in tre. Non avevo degli sprovveduti accanto. Tutte le persone che portavano un curriculum avevo interesse a nominarli considerato che li vagliavamo in tre? Io motivavo i decreti, erano corposi”.

“DA PARTE MIA MASSIMA DILIGENZA”

Silvana Saguto-Le Iene

“Io ho dato tutto quello che ho potuto e ho gestito con il massimo della diligenza possibile. Gli errori sono sempre possibili”. Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, protagonista principale del processo sul cosiddetto Sistema Saguto, ha concluso con queste parole le sue dichiarazioni spontanee rese stamane nel corso dell’udienza all’aula bunker di Caltanissetta.
“Mi è capitato una volta di nominare un perito nuovo: un ragazzo – ha ricordato -, che stando a quanto mi era stato detto quella perizia non la sapeva fare. E quindi informalmente ho incaricato un’altra persona. Quello che noi guardavamo era il buon andamento generale e comunque nel massimo della trasparenza. I miei provvedimenti sono tutti motivati. Quella che non motivava mai era la dottoressa Claudia Rosini. Quelli sì erano quasi monocratici. Anche se la Rosini si erge e dice di mostrarsi dispiaciuta del lavoro che svolgevamo, il marito aveva tre incarichi. E’ rimasto fino a quando io me ne sono andata”.

“SONO INNOCENTE, LA PROVA È LA MIA AGENDA”

“L’accusa sostiene che con questa agenda blu io voglio sostenere che sono tutti colpevoli, io invece l’ho esibita per provare che sono innocente”. Così ha proseguito la Saguto in aula, riferendosi all’agenda nella quale l’ex giudice, radiato dalla magistratura, ha conservato i bigliettini da visita di colleghi che le avevano segnalato i nomi di persone da nominare come amministratori giudiziari.

L’imputata non ha ritenuto di dovere consegnare l’agenda, come invece ha sollecitato il Pm Maurizio Bonaccorso, protagonista di un acceso diverbio con il difensore della Saguto.

Rif: https://www.ilsicilia.it/terremoto-al-processo-saguto-procederemo-per-falsa-testimonianza-contro-altri-magistrati/